giovedì 22 luglio 2004




Particolare della vetrata di Marc Chagall nel palazzo delle Nazioni Unite a New York


Map of Rwanda


Dire No ai Killer




Allora, che cosa avreste fatto voi se, come Carl Wilkens, vi foste trovati in mezzo a un genocidio?


Mr. Wilkens, un missionario della Chiesa degli Avventisti del Settimo Giorno, viveva con sua moglie e tre bambini piccoli a Kigali, Rwanda, nel 1994. In quel tempo una milizia Hutu cominciò a fare strage di Tutsi, cominciando con le figure più importanti come i suoi vicini Banker, che per salvare i figli che stavano per essere uccisi si lanciarono contro il recinto (back fence) prima che venissero giustiziati. Mr Wilkens e sua moglie, Teresa, tentarono di distrarre i propri bambini dalla carneficina giocando una variazione del gioco delle sedie, per cui potevano muoversi soltanto quando non si sentivano spari d’arma da fuoco vicino.



I funzionari USA e i capi della chiesa ordinarono a Mr Wilkens di unirsi a un’evacuazione d’emergenza di stranieri dal Rwanda, e parenti ed amici lo implorarono di andare.



Rifiutò.



Mrs Wilkens e i bambini andarono via, ma Mr Wilkens insistette per rimanere a Kigali per tentare di proteggere gli amici Tutsi. Suo padre lo avvisò che, anche se fosse sopravvissuto, la sua insubordinazione avrebbe potuto metter fine alla sua carriera nella chiesa. Alla fine tutti gli americani che erano rimasti lasciarono Kigali, ma Mr Wilkens rimase per tutta la durata del genocidio.



“Sembrava proprio la cosa giusta da fare” ha ricordato in un intervista qui in Oregon dove è un pastore Avventista nella piccola città di Days Creek. “Avrei potuto prendere il mio passaporto blu e andare, e pochi momenti dopo la mia domestica e il mio guardiano di notte, entrambi identificabili come Tutsi, sarebbero stati macellati.”



Una sera la milizia arrivò per uccidere Mr Wilkens e i suoi domestici Tutsi, ma i vicini Utu elogiarono il suo lavoro umanitari e la milizia se ne andò via. Le minacce di morte si intensificarono, ma Mr Wilkens si dedicò a farsi strada tra i blocchi di soldati ringhiosi, ubriachi in modo da poter prendere acqua e cibo per gli orfanotrofi intorno alla città. Il Raoul Wallenberg di Rwanda, egli negoziò, …………



Continuò per tre mesi mentre 800,000 persone venivano massacrate. Durante tutto questo tempo il presidente Bill Clinton e altri americani esitarono, ci fu un totale fallimento morale in tutto il mondo.



Ma Mr Wilkens tirò avanti ogni giorno, salvando vite su piccola scala. I sopravvissuti lo descrivono come straordinariamente coraggioso, non solo per il fatto di essere rimasto in Rwanda, ma anche per essersi avventurato ogni giorno nelle strade che crepitavono per i mortai, i colpi d’arma da fuoco e facendosi strada tra blocchi stradali di soldati arrabbiati, macchiati di sangue, armati di macete e di fucili d’assalto.



Certamente Mr Wilkens ha potuto salvare soltanto un piccolo numero di Tutsi a Kigali, e gli americani qualche volta domandano se il suo lavoro non fosse come un sputo nell’oceano. E’ vero, egli lo ha riconosciuto aggiungendo, “ Ma per le persone che tu aiuti, e ben significativo.”



Dieci anni dopo, è un esercizio utile chiedersi quanti di noi avrebbero il coraggio dimostrato da Mr Wilkens.



Ma comunque noi non dobbiamo chiederci pigramente come risponderemmo ad un tale genocidio Africano – uno se sta verificando proprio ora, nella regione di Darfur in Sudan, e ancora una volta stiamo facendo quasi niente. L’Organizzazione Mondiale della Salute stima che là stanno morendo 10000 persone ogni mese. E ancora una volta la risposta in tutto il mondo è stata un abietto fallimento morale.



La visita di Colin Powell in Sudan è stato un eccellente primo passo, ma il presidente Bush è rimasto passivo. Per quanto riguarda John Kerry, egli ha distatolo lo sguardo dal Darfur per mesi, ma la settimana scorsa finalmente ha chiesto di muoversi contro quello che lui ha definito genocidio.



Gli Stati Uniti devono mandare massicci carichi di aiuti e prendere decisioni molto più ferme, come dare un ultimatum che porti a una zona “ no flight” sulla maggior parte del Darfur finchè il governo sudanese non avrà disarmato la milizia genocida Jaweed. Questo attirerebbe l’attenzione di Cartum.



Per rispondere a questo genocidio, non abbiamo bisogno di affrontare killer ubriachi armati di macete AK-47, come ha fatto Mr Wilkens. Ma invece noi, sia come individui che come nazione, non possiamo tuttora fare appello alla nostra volontà per fare minimi passi per salvare delle vite, come provvedere cibo adeguato, acqua e medicine, e costringere il Sudan a metter fine alle uccisioni.



Se i lettori voglio aiutare io ho fatto una lista di alcune azioni che possono fare su www.nytimes.com/kristofresponds, Posting 520 (per favore non mandatemi denaro). Le scelte morali spettano non soltanto a quelli che, come Carl Wilkens, rischiano la vita per aiutare gli altri, ma anche ai milioni di persone normali che hanno risparmiato i rischi ma che ancora devono affrontare una decisione basilare: Dobbiamo tentare di salvare delle vite o dobbiamo semplicemente voltarci dall’altra parte?



NICHOLAS D. KRISTOF - PORTLAND, Oregon

Published: July 21, 2004 - http://www.nytimes.com/


 Amin Nirere (L) and Furaha Nyankowba (R) (Pic: Simon Roberts) Sudanese child


sopravvissuti in Rwanda ......................... in pericolo in Sudan



4 commenti:

  1. mi si stringe il cuore..... ma proverò a non voltare la faccia dall'altra parte...

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  2. sarebbe bello vedere, una volta tanto,che gli stati facciano qualcosa solo per intenzioni umanitarie e non per interessi puramente economici e strategici....

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  3. Meno male che ci sei tu a darmi la sveglia....Sei diventata la mia coscienza. Un bacio, Harmonia. Percival

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  4. Grazie! ti leggo sempre molto volentieri, dolcenotte, un abbraccio:-)

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