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lunedì 9 marzo 2009

BERLUSCONISMO


Contro due fondamenti della civiltà democratica occidentale:


incisività delle indagini penali e libertà di stampa.


Posto un articolo di Carlo Federico Grosso per conservarlo qui. Comunque non  saprei trattare l'argomento con informazioni e conoscenze di questo livello. Quest'ennesimo attacco berlusconista a quella che io considero una società equa e libera grava nell'ennesima pagina di un diario che mai avrei voluto tenere. Di seguito, poi, posto un articolo di Vito Mancuso su libertà della ragione e fede. Pur nella diversità degli argomenti e dei contesti, il cardine è sempre il concetto di libertà. Ho suddiviso l'intero post in due spazi che corrispondono alle due ideologie imperanti oggi in Italia: berlusconismo e vaticanismo (come le chiamo io ormai da un po' di tempo).


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Intercettazioni, con la scusa degli abusi di C. F. Grosso


Domani la Camera dovrebbe iniziare la discussione in aula del disegno di legge sulle intercettazioni. Dopo una travagliata incubazione, nel corso della quale la stessa maggioranza si è divisa, sembra che sia stato raggiunto un accordo. Dovrebbe essere eliminato il previsto divieto di pubblicare ogni notizia sul contenuto delle indagini, anche di quelle nei confronti delle quali sia caduto il segreto. Le intercettazioni dovrebbero diventare possibili quando siano emersi «rilevanti» o «evidenti» indizi di colpevolezza a carico di qualcuno, senza che sia più necessario che essi siano addirittura «gravi».

Tali modificazioni migliorative sono, in realtà, briciole di fronte a ciò che il Parlamento si appresta a votare nel suo complesso. Perché, se davvero la riforma dovesse diventare legge, si determinerebbe un’involuzione grave nella qualità del nostro ordinamento. Risulterebbero intaccati quantomeno due capisaldi di civiltà: l’incisività delle indagini penali e la libertà di stampa.

Vediamo di riassumere i termini della questione, concentrando l’attenzione sui profili di maggiore impatto. Da un lato, la possibilità d’intercettare soltanto quando siano già emersi indizi di colpevolezza a carico di qualcuno (sono esenti da tale limitazione soltanto i reati di mafia e terrorismo).

Dall’altro, la previsione del carcere per i giornalisti rei di pubblicazioni vietate e la configurazione di pesanti sanzioni pecuniarie a carico degli editori dei giornali.

Il primo profilo interessa l’efficienza delle indagini penali. È noto che le intercettazioni costituiscono uno strumento importante di acquisizione probatoria. Esse sono, d’altronde, soprattutto utili all’inizio delle inchieste, quando gli autori non sono ancora stati individuati, si è aperto un processo contro ignoti e ci si deve orientare fra le diverse ipotesi investigative. La riforma prescrive, invece, di rinunciare al loro utilizzo fino a quando qualcuno risulti attinto da indizi di colpevolezza. Ma se sono già stati acquisiti tali indizi, che bisogno c’è più, molte volte, d’intercettare? D’altronde, quando le intercettazioni potranno essere finalmente disposte perché sono emersi presupposti di colpevolezza, che senso ha obbligare a interromperle, salvo casi assolutamente eccezionali, dopo soli due mesi? Il rischio di vanificare gli accertamenti in corso è, anche qui, evidente.

Il paradosso è che le forze politiche che hanno progettato questa caduta nell’incisività delle indagini sono le stesse che hanno posto a livello alto, nel loro programma, ordine e sicurezza. Nessuna di esse ha pensato che, così facendo, la sicurezza dei cittadini, invece, s’indebolisce fortemente anche con riferimento a delitti che li interessano direttamente, come lo stupro, il furto, la rapina?

Ma veniamo al secondo dei menzionati profili. L’accordo di maggioranza ha eliminato, quantomeno, l’ipotesi più clamorosa di attentato alla libertà di stampa originariamente previsto. Il ripristino della possibilità d’informare i cittadini quantomeno sull’essenzialità delle inchieste in corso non garantirà, certo, una informazione sempre dettagliata, o una spiegazione sempre esauriente di ciò che sta accadendo nei Palazzi di Giustizia. Quantomeno, l’informazione non sarà, peraltro, del tutto oscurata e un minimo di controllo sociale sull’attività della magistratura in fase di indagine sarà ancora possibile.

Sono rimasti, tuttavia, sostanzialmente intatti due diversi aspetti di potenziale impatto sul libero esercizio della stampa. Da un lato l’incremento del carcere previsto per i giornalisti che pubblicano notizie non pubblicabili, dall’altro la previsione di pesanti sanzioni pecuniarie a carico degli editori. L’incremento della previsione del carcere per i giornalisti possiede un’evidente finalità intimidatoria: attento, giornalista, a ciò che scrivi, è il messaggio, perché, prima o poi, finirai in galera. Le sanzioni pecuniarie che si vogliono introdurre a carico degli editori costituiscono una novità della quale, fino ad ora, pochi hanno denunciato i rischi.

Il disegno di legge introduce la responsabilità diretta dell’impresa editrice con riferimento al reato di pubblicazione arbitraria. Questa previsione determinerà costi rilevanti di organizzazione, imponendo la predisposizione di «modelli organizzativi» idonei a prevenire le infrazioni. Ma, soprattutto, renderà gli editori molto attenti a ciò che avviene nelle redazioni. Allo scopo di evitare che il direttore si lasci prendere la mano dall’ansia di pubblicare comunque la notizia, e li costringa a pagare esose sanzioni, useranno modi forti. Ma chi ci garantisce, a questo punto, che tali modi non serviranno, nella prassi, anche a coartare direttori e giornalisti sul terreno dell’indirizzo del giornale, della selezione dei servizi, della scelta dei temi da trattare? Risulterebbe intaccato, a questo punto, un altro dei principi sui quali si fonda la libertà di stampa, cioè l’autonomia del giornalista.

Si dirà, a questo punto, che le restrizioni delle intercettazioni e della stampa sono comunque necessarie di fronte agli abusi, gravi e ricorrenti, di magistratura e giornalismo. Troppi sono stati, nel passato, i privati intercettati, le violazioni della privatezza, le intercettazioni pubblicate, i mostri sbattuti sui giornali.

La mia idea è che gli abusi commessi, non discutibili, vengano comunque oggi enfatizzati a tutt’altro scopo. Che, con la scusa degli abusi (che è possibile rimuovere, si badi, con una ragionevole disciplina di accantonamento e distruzione delle intercettazioni che non interessano le indagini e di divieto di ogni loro divulgazione), qualcuno intenda, in realtà, perseguire l’obiettivo di indebolire, con un colpo solo, potere giudiziario e libera stampa. Due fastidi talvolta insopportabili per molti politici, dell’uno e dell’altro schieramento. (La Stampa, 9 marzo 2009)


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VATICANISMO


LA CHIESA E LA BIOETICA
NON C'E' FEDE SENZA LIBERTA'
di Vito Mancuso


LE GERARCHIE cattoliche sottolineano spesso che i loro interventi sui temi bioetici sono condotti sulla base della ragione e riguardano temi di pertinenza della ragione, legati alla vita di ognuno, non dei soli cristiani. Per questo, aggiungono, tali interventi non costituiscono un`ingerenza negli affari dello stato laico. Scrive per esempio il recente documento Dignitas personae che la sua-affermazione a proposito dello statuto dell`embrione è «riconoscibile come vera e conforme alla legge morale naturale dalla stessa ragione» e che quindi, in quanto tale, «dovrebbe essere alla base di ogni ordinamento giuridico».


Allo stesso modo molti politici cattolici rimarcano nei loro interventi sulle questioni bioetiche che parlano non in quanto cattolici ma in quanto cittadini. Va quindi preso atto che le posizioni cattoliche sulla bioetica, sia nel metodo sia nel contenuto, si propongono all`insegna della razionalità.


Se questo è vero, se si tratta davvero di argomenti di ragione per i quali «mestier non era parturir Maria» (Purgatorio 111,39), allora le posizioni della Chiesa gerarchica sulla bioetica sono perfettamente criticabili da ogni credente. L`esercizio della ragione è per definizione laico, non ha a che fare con l`obbedienza della fede e il principio di autorità.


Chi ragiona, convince o non convince per la forza delle argomentazioni, non per altro. Per questo vi sono non-credenti che approvano gli argomenti razionali delle gerarchie convinti dalla coerenza del ragionamento, per esempio gli atei devoti.


Ma sempre per questo vi sono credenti che, non convinti dal ragionamento, non approvano tutti gli argomenti razionali delle gerarchie ìn materia di bioetica. Deve essere chiaro quindi (se davvero la base dell`argomentazione magistenale è la ragione) che la posizione critica di alcuni credenti verso il magistero bioetico è del tutto legittima.


Se la gerarchia gradisce la convergenza degli atei devoti in base alla sola ragione, allo stesso modo, sempre in base alla sola ragione, deve accettare (se non proprio gradire) la divergenza di alcuni credenti, peraltro non così pochi e privi di autorevolezza.


Sempre che, ovviamente, le gerarchie non pensino che la razionalità valga solo "fuori" dalla Chiesa e non anche al suo interno, dove vale invece solo l`autorità, istituendo una specie di disciplina della doppia verità. E sempre che le medesime gerarchie amino davvero la razionalità e che il richiamarsi ad essa non sia invece un trucco tattico (come io credo non sia).


In realtà nessuno può chiedere obbedienza sugli argomenti di ragione perché l`obbedienza viene da sé, come di fronte a un risultato di aritmetica o a una norma morale fondamentale. Per questo io penso che agli argomenti di ragione occorrerebbe lasciare maggiore duttilità, visto che la ragione, da che mondo è mondo, esercita il dubbio, soppesai pro e i contro, e per questo vede grigio laddove invece altri (che non amano la calma della ragione ma forme più nervose di autorità) vedono solo bianco o solo nero. Intendo dire che proprio il richiamo alla ragione da parte delle gerarchie cattoliche dovrebbe indurre a una maggiore relatività del proprio punto di vista di fronte alla complessità dell`inizio e della fine della vita alle prese con le possibilità aperte dal progresso scientifico.


La cautela è tanto più auspicabile se si prende atto della storia. La Chiesa dei secoli scorsi infatti non è stata in grado di interpretare sapientemente l`evoluzione sociale e politica dell`occidente, finendo per condannare pressoché tutte quelle libertà democratiche che ora, invece, essa stessa riconosce: libertà di stampa, libertà dì coscienza, libertà religiosa e in genere i diritti delle democrazie liberali. Allo stesso modo, a mio avviso, le odierne posizioni della gerarchia corrono il rischio di non capire la rivoluzione in atto a livello biologico, respinta con una serie di intransigenti no, pericolosamente simili a quelli pronunciati in epoca preconciliare contro le libertà democratiche.


Ora io mi chiedo se tra cento anni i principi bioetici affermati oggi con granitica sicurezza dalla Chiesa saranno i medesimi, o se invece finiranno per essere rivisti comelo sono stati i princìpi della morale sociale.


Siamo sicuri che la fecondazione assistita (grazie alla quale sono venuti al mondo fino ad oggi più di 3 milionidîbambini, dicui centomilainltalia) sia contraria al volere di Dio? Siamo sicuri che l`uso del preservativo (grazie al quale ci si protegge dalle malattie infettive e si evitano aborti) sia contrario al volere di Dio? Siamo sicuri che il voler morire in modo naturale senza prolungate dipendenze da macchinari, compresi sondini nasogastrico, sia contrario al volere di Dio? E per fare due esempi concreti legati a precise persone: siamo sicuri che si sia interpretato bene il volere di Dio negando i funerali religiosi a Piergiorgio Welby perché rifiutatosi di continuare a vivere dopo anni legato a una macchina? E siamo sicuri che si sia interpretato il volere di Dio chiamando "boia" e "assassino" il signor Englaro, salvo poi aggiungere, non so con quale dignità, di pregare per lui? Mi chiedo se tra cento anni (espero anche prima) ipapi difenderanno il principio di autodeterminazione del singolo sullapropriavitabíologica, così come oggi difendono il principio di autodeterminazìonedel singolo sulla propria vita di fe de (la quale peraltro perla dottrina cattolica è sempre stata più importante della vita biologica). Se si riconosce alla persona la libertà di autodeterminarsi nel rapporto con Dio, come fa la Chiesa cattolica a partire dal Vaticano II, quale altro ambito si sottrae legittimamente al principio di autodeterminazione? Non ci possono essere dubb i a mio avviso che questo principio vada esteso anche al rapporto del singolo con la sua biologia.


I cattolici intransigenti che oggi parlano della libertà di autodeterminazione definendola "relativismo cristiano" dovrebbero estendere l`accusa al Vaticano II il quale afferma che «l`uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà» (Gaudium et spes 17). La realtà è che non è possibile nessuna adesione alla verìtà se non passando per la libertà. È del tutto chiaro per ogni credente che la libertà non è fine a se stessa, ma all`adesione al bene e al vero; ma è altrettanto chiaro che non si può dare adesione umana se non libera. Dalla libertà che decide non è possibile esimersi, e questo non è relativismo, ma è il cuore del giudizio morale. (La Repubblica, 9 marzo 2009)


 

lunedì 31 marzo 2008

E' il momento del Tibet.


Si accendano piccole luci in tutto il mondo.


Caro Giuliano Ferrara… La lettera di Anita, ex feto malato


Tibetan nuns chant prayer hymns as they pray for the souls of those who died during protests in China as well as to urge the Chinese government to resist from using force against Tibetan protesters, in Katmandu, Nepal, Saturday, March 29, 2008.Tibetan spiritual leader Dalai Lama prays for those who lost their lives during China's crackdown on protests in Tibet, at the memorial of Mahatma Gandhi in Rajghat, New Delhi, March 29, 2008.


A Tibetan boy plays with flags in front of the tent where activists hold a 49-hour hunger strike against the crackdown on human rights protesters in Tibet, in Taipei March 30, 2008.A boy sits in a cart in a Tibetan village on the outskirts of the township of Hezuo in the south-western area of Gansu Province March 30, 2008. The area saw local unrest last week, with roads blockaded and buildings damaged. Mountainous areas of Gansu are home to many ethnic Tibetans who have long lived next to Han Chinese and other ethnic groups, but recent weeks have seen riots and protests against the Chinese presence in Sichuan and neighbouring provinces.


 


A young protester holds a placard during a rally 'Stand Up For Tibet Global Day of Action' in Sydney, Australia, Monday, March 31, 2008. Tibetian and pro-Tibetian activists protest next to Acropolis hill in Athens. Greece handed over the Olympic torch to the organisers of the Beijing Games on Sunday in a tightly-guarded Athens ceremony, after police quickly arrested anti-Chinese protesters shouting "Save Tibet".


Demonstrators holding burning torches form the peace sign at the Heroes' Square in Budapest during a protest against clashes in Tibet March 30, 2008.Rio de Janeiro, Sunday, March 30, 2008. AP


A Monk looks at paintings decorating the outside of the main prayer-house in a temple in the township of Zhuoni in the south-western area of Gansu Province March 30, 2008. Mountainous areas of Gansu are home to many ethnic Tibetans who have long lived next to Han Chinese and other ethnic groups, but recent weeks have seen riots and protests against the Chinese presence in Sichuan and neighbouring provinces.A Tibetan woman pulls a cart along a road near a Tibetan village on the outskirts of the township of Hezuo in the south-western area of Gansu Province March 30, 2008. The mountainous areas of Gansu are home to many ethnic Tibetans who have long lived next to Han Chinese and other ethnic groups, but recent weeks have seen riots and protests against the Chinese presence in Sichuan and neighbouring provinces, with locals blockading roads and damaging buildings.


Male policemen grab a Tibetan nun for detention outside the visa section of Chinese Embassy in Katmandu, Nepal, Sunday, March 30, 2008. Policemen baton charged and dragged away scores of exiled Tibetan monks, nuns and people as Tibetans continued their protest against China.


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Caro Giuliano Ferrara… La lettera di Anita, ex feto malato



Mi chiamo Anita, ho 18 anni e sono un ex feto malato… ora sono una ragazza “malata”, ho una malattia neuromuscolare, in inglese SMA, molto simile alla sclerosi laterale amiotrofica, solo che la Sma colpisce i bambini. Si divide in tre forme: la prima, ossia la più grave, impedisce quasi ogni movimento e si manifesta nei primi mesi di vita del bambino e colpisce anche l’apparato respiratorio e spesso provoca la morte entro i primi anni di vita, la seconda (della quale sono affetta io) si manifesta entro l’anno di vita e impedisce di camminare e porta alla scoliosi e anch’essa colpisce l’apparato respiratorio e porta all’utilizzo di un respiratore durante la notte e fin dai primi anni di vita all’utilizzo di una carrozzina elettrica, la terza è la meno grave ma porta comunque negli anni all’utilizzo della carrozzina.


È una malattia genetica rara e quindi non rientra nelle patologie che vengono sottoposte al controllo prima della nascita, a meno che non ci siano casi in famiglia.


Suppongo che la domanda sorga spontanea… sono contenta di essere nata? Ovviamente sì, sono fiera di ciò che sono, amo la mia vita con tutte le sue difficoltà, vivo una vita piena, molto più piena di quanto si possa immaginare, ho una famiglia stupenda che mi ha voluta, che quando ha saputo delle mia malattia ha avuto un primo momento di sconforto poi si è rimboccata le maniche e mi ha cresciuto normalmente come tutti gli altri bambini… Ora mi crescono come una ragazza “normale” (esiste la normalità?).


Nella mia vita sono passata da tante situazioni, dai reparti di neurologia pediatrica alle rianimazioni… ai convegni sulla mia malattia, che sono dei raduni carichi di speranza, di dolore, di gioia di vivere… Ho visto genitori straziati dal dolore di aver perso un figlio, tanto velocemente e con tante sofferenze… Ho visto bimbi di due anni su una carrozzina attaccati ad un respiratore impossibilitati a muoversi dalla testa ai piedi, eppure carichi di vita, ne ho visti altri con lo sguardo stanco…


Chi si batte tanto a parlare di vita, di diritto alla vita, temo che ne sappia ben poco del vero valore di questa parola, forse parliamo tanto di diritto alla vita di questi tempi perché ci sembra di vivere passivamente e allora ci battiamo più che per il diritto di vita degli altri per riaccendere la nostra volontà di vivere. 


Qualcuno potrebbe dirmi “se tua madre avesse saputo della tua malattia tu non saresti nata”, sì è vero, mia madre avrebbe avuto il difficilissimo e dolorosissimo compito di scegliere se perdere un figlio o metterlo al mondo anche se malato.
Bene, mia madre dopo aver avuto me ha provato a darmi un fratellino e ha fatto tutti gli esami ed è risultato che anch’esso era malato… potete immaginare la tragedia interna di mia madre… abortire e perdere un figlio e in un certo senso rinnegarmi o mettere al mondo un bimbo malato (senza sapere quale forma di malattia potesse avere)…. bene mia madre da donna, da madre, ha preso la decisione più giusta… ossia abortire. È forse stata un mostro? un’assassina? o forse è stata coraggiosa, saggia, e ha evitato di mettere al mondo un bimbo destinato a soffrire… Ognuno la può interpretare come vuole… ma è proprio questo il punto, la libertà. Per libertà non intendo poter fare ciò che si vuole (come spesso viene interpretata la libertà) ma essere liberi di poter compiere una scelta, dolorosa in qualsiasi caso, di non sentirsi dei mostri se si compie una o l’altra scelta. Dio stesso ha fornito all’uomo il libero arbitrio…


Concludo rivolgendomi direttamente a lei signor Ferrara. Io personalmente trovo la sua “lista-crociata” anti-abortista del tutto fuori posto, trovo decisamente inadeguato usare un tema così delicato e che tocca così profondamente e personalmente milioni di donne e di uomini, come campagna elettorale. Lei ha messo sullo stesso piano la moratoria sulla pena di morte e l’aborto, trovo difficile comprendere questa comparazione, visto che nel caso della moratoria sulla pena di morte si parla di evitare che persone adulte che hanno compiuto un crimine atroce, e già per questo hanno perso la loro umanità, vengano uccise, per evitare che anche la giustizia si disumanizzi, mentre nel caso dell’aborto parliamo di donne che si trovano davanti a un bivio atroce e non hanno nessuna colpa se non quella di cercare il meglio per sé e per i propri figli…


Finisco dicendole che se per lei abortire è come compiere un omicidio… bene… sono fiera che mia madre sia un’assassina. Cordiali saluti.


Anita Pallara 18 anni ex feto malato


E' nato il blog di Anita Pallara, la ragazza affetta da Sma, ospite di Annozero nella puntata del 20 marzo 2008 .

domenica 3 febbraio 2008

MEMENTO MORI



"Modi di morire" di Iona Heat, medico di base inglese.
Bollati Boringhieri. Recensione di
Umberto Galimberti
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La morte, il destino, la scienza


   Siamo ancora capaci di morire? O abbiamo a tal punto rimosso il concetto di morte da non essere più in grado di affrontare l'evento con quello sguardo sereno di cui forse erano capaci gli uomini di altre culture, non ancora educati dalla cultura cristiana in cui noi occidentali siamo cresciuti, dai progressi della scienza medica che riduce il nostro corpo a semplice organismo, e infine dall'enfasi giornalistica che annuncia promesse che il sapere medico non è ancora in grado di garantire?


   Per effetto della cultura cristiana, infatti, si è affievolita la persuasione interiore, ben radicata nella cultura greca, secondo la quale l'uomo è "mortale", e perciò non muore perché si ammala, ma si ammala perché fondamentalmente deve morire. L'affievolirsi della promessa di una vita ultraterrena, per effetto della secolarizzazione del cristianesimo, ha fatto del prolungamento della vita ad opera della scienza medica il supremo valore a cui tutti tendono, per cui la morte non appare più come un "destino", ma come un "fallimento" del sapere e della pratica medica.


   I medici, a loro volta, avendo a che fare con la "salute", che è una sottospecie della categoria religiosa della "salvezza", sono stati investiti da un alone di sacralità, quando invece sono dei semplici funzionari di un sapere limitato, in grado non di salvare chiunque in qualsiasi circostanza, ma, come diceva Ippocrate: "di evitare la morte evitabile", o come a più riprese ribadisce Aristotele: "di aiutare la natura a risanarsi da sé". I limiti della scienza non sono noti ai pazienti, che tendono ad attribuire al sapere medico quell'onnipotenza che in ambito religioso viene attribuito a Dio o ai santi che fnno i miracoli.


   A tutto ciò si aggiunge il fatto che il medico, nel corso della sua preparazione universitaria e specialistica, non è mai a contatto con l'"uomo ", ma sempre e soltanto con il suo "organismo", per cui se è capace di cogliere il "male" che è un elemento oggettivo, può faticare a capire il "dolore" che è un tratto soggettivo, e ancor più l'angoscia di menomazione o di morte che è il nucleo più profondo della soggettività di ciascuno di noi. Nell'Ottocento chi si laureava in medicina doveva aver seguito due corsi di filosofia per capire chi è un uomo al di là del suo organismo. Oggi non è più così.


   In Modi di morire, Iona Heat, medico di base con alle spalle oltre trent'anni di pratica in uno dei quartieri più poveri di londra, affronta in modo non consolatorio, ma incisivo e radicale questo problema, a partire dalla trasformazione  della figura del medico che, da intermediario tra noi e la morte, s'è fatto: o seguace della sfida teconologica che ha come suo scopo il prolungamento della vita e non la sua qualità, o sacerdote della prevenzione, come se il nostro rapporto con la morte fosse solo quello di prevenirla o di posticiparla. E allora: state a dieta, non fumate, fate jogging, pensate positivo, come se queste pratiche potessero cambiare l'incidenza o l'esito di buona parte delle nostre effettive disgrazie.


   Scienziati e medici, ma anche giornalisti e politici sono ampiamente responsabili di queste illusioni, che hanno come risultato quello di "colpevolizzare la vittima", come ben ci ha insegnato Susan Sontag in Malattia come metafora, o quello ben peggiore di distoglierci dal pensiero della morte, con il risultato di farci morire male, senza dignità, ridotti a puro materiale biologico nelle mani dei medici, che vivono la nostra morte come una sconfitta del loro sapere, a cui mancano le parole che nessuno ha loro insegnato per accompagnarci quando la vita si congeda. [da La Repubblica, sabato 2 febbraio 2008]


 




Venezia_Palazzo Grassi sul Canal Grande


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Aggiornamento di martedì 5 febbraio 2008


Tra informazione e disinformazione: un post aiuta


lunedì 4 febbraio 2008. Cure perinatali nelle età gestazionali estremamente basse (22-25 settimane)





Il documento sui prematuri redatto dai direttori delle cliniche ginecologiche delle facoltà di medicina delle università romane (Tor Vergata, La Sapienza, Cattolica e Campus Biomedico) ha scatenato l’ennesima polemica.


Il documento originale (ne ho fatto richiesta alla AGUI che cortesemente me lo ha inviato) è il seguente: La prematurità estrema: margini di gestione ostetrica e risvolti neonatologici. Convegno promosso dalle Facoltà di Medicina e Chirurgia delle Università Romane. Documento conclusivo: con il momento della nascita la legge attribuisce la pienezza del diritto alla vita e quindi all’assistenza sanitaria. Pertanto un neonato vitale va trattato come qualsiasi persona in condizioni di rischio ed assistito adeguatamente. L’attività rianimatoria esercitata alla nascita dà quindi il tempo necessario per una migliore valutazione delle condizioni cliniche, della risposta alla terapia intensiva e della possibilità di sopravvivenza e permette di discutere il caso con il personale dell’Unità ed i genitori. Se ci si rendesse conto dell’inutilità degli sforzi terapeutici, bisogna evitare ad ogni costo che le cure intensive possano trasformarsi in accanimento terapeutico.

continua nel blog Bioetica, qui .



lunedì 28 maggio 2007

LENIRE IL DOLORE


VI Giornata Nazionale del Sollievo


Domenica 27 maggio 2007



Luce che filtra


Dedico questo post a tutte le persone che soffrono inutilmente e che medici poco informati o ideologizzati non si curano di aiutare. Dedico questo post a tutte le persone che si chinano verso chi soffre per alleviare il dolore fisico e psicologico. Dedico questo post a mia zia, morta da poco, tristemente accompagnata dai dolori atroci provocati dall'osteoporosi, per quanto dignitosamente e coraggiosamente sopprtati.  Solo poco dopo la sua morte ho saputo dal mio medico di famiglia che quei dolori erano sedabili grazie a terapie del tutto accessibili e ben calibrate a base di oppiacei. Il rimorso per non aver cercato abbastanza, per essermi fidata di chi mi diceva che non si poteva fare di più, per non aver urlato il diritto a non soffrire, forse non mi lascerà mai. La speranza è che possa servire poiché l'informazione è ancora carente e l'atteggiamento nei confronti del dolore è ancora influenzato dalla cultura cattolica dell'espiazione e del sacrificio.



Statua lignea policroma del XVI secolo raffigurante un "oppiato"


"Circa il 20 per cento della popolazione italiana, secondo stime recenti, soffre di dolore acuto o cronico. In genere si tende ad associare la terapia del dolore solo ai pazienti terminali, tuttavia il 70 per cento di pazienti che necessitano il trattamento soffrono di patologie cosiddette benigne croniche ( dall'osteoporosi all'artrite, da post-operatorie a neuropatie diabetiche )." [ L'Unità, 26 maggio 2007, Giorno del sollievo: il tabù della terapia del dolore, >>>QUI<<< ]



La Giornata del Sollievo, istituita nel 2001 da Umberto Veronesi, allora Ministro della Salute, dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e dalla Fondazione nazionale Gigi Ghirotti, viene celebrata ogni ultima domenica di maggio a partire dal 2002.


"Lo scopo della manifestazione è informare e sensibilizzare gli operatori sanitari e i cittadini sull'importanza di promuovere la cultura del sollievo ed estendere la consapevolezza che il sollievo non è solo desiderabile ma anche possibile.In questa giornata, infatti, si afferma la centralità della persona malata e l'affrancamento dal dolore inutile e viene evidenziata l'importanza che rivestono nell'alleviare la sofferenza non solo le terapie più avanzate ma anche il sostegno psicologico e la capacità di rapportarsi umanamente a chi soffre considerando il malato nella sua interezza e ponendo attenzione a tutti i suoi bisogni, psichici, fisici, sociali e spirituali, in modo di creare la migliore qualità di vita per il malato e per la sua famiglia." [ Ministero della Salute >>>QUI<<< ]





Cito dall'articolo dell'Unità alcune affermazioni. Dice il dottor  Vito Ferri, psicologo del comitato scientifico della Fondazione Ghirotti, tra i promotori dell'iniziativa:



«Potevamo scegliere di chiamare la Giornata del sollievo in un altro modo "Contro il dolore", per esempio. Ma si è voluto dare un'impronta propositiva. Il dolore fa parte della persona umana, è impossibile cancellarlo. Il vero obiettivo è affrancare la persona dal dolore "inutile", che troviamo nella fase avanzata delle malattie tumorali, ma anche in seguito a malattie croniche».


«E' l'altro importante messaggio della giornata che risponde all'idea erronea che esista solo il dolore fisico. Non è così. Esistono diverse forme di dolore che accompagnano una malattia, c'è quello morale, psicologico, spirituale. Il dolore sociale, che nasce dalla mancata soddisfazione delle esigenze del cittadino. Del singolo che non vede riconosciuto un diritto. Si pensi al malato povero che necessita del servizio di trasporto in ospedale...»


«Le cose stanno migliorando. Prendiamo il superamento dell'oppiofobia, per esempio. Dell'idea distorta che la morfina sia una droga da assumere solo prima di morire, e non un semplice farmaco, come la molecola della cannabis, d'altro canto. Mentre magari è poco noto che esistono farmaci molto più potenti e pericolosi della morfina»


«Le cure palliative si pongono sia contro l'accanimento terapeutico che contro l'eutanasia. Lenire i sintomi e la sofferenza globale, accompagnare il malato con dignità fino alla morte, può essere considerata una "terza via", meno ideologica, nell'assistenza al malato.» 


Il dottor Edoardo Arcuri, direttore presso il Regina Elena di Roma dell'Istituto di rianimazione, terapia del dolore e cure palliative, dichiara:


«Uno dei pochi in Italia. Per dimostrare che questi tre aspetti possono integrarsi.»


«Negli ultimi tre anni c'è stato un boom d'informazioni. L'industria s'è mobilitata, e si è passati a nuovi criteri farmaceutici, meno invasivi, come il cerotto sottocutaneo... Ma tutto questo ancora non è facile da tradurre in realtà. C'è un paradosso tra quanto si parla del dolore e quanto si può realmente fare. Noi per esempio siamo considerati una struttura all'avanguardia, eppure fatichiamo a reperire le risorse per mantenere due borsisti, naturalmente, precari.» (per la serie 'mancano i fondi')


«Il dolore può diventare malattia nella malattia. durante il parto può provocare sofferenza fetale, per esempio, e portare alla perdita del bambino. In teoria il controllo del dolore dovrebbe essere il centro di eccellenza dell'ospedale. In pratica è affidato a comitati poco finanziati. Non c'è ancora autonomia culturale, gestione ed economica.»


Adriano Amadei, di Cittadinanzattiva e membro della commissione istituita dal ministro Livia Turco, afferma:


«La cosiddetta umanizzazione della sanità passa per il superamento del dolore inutile, per l'ascolto del malato. Non è che occorrono grandi cose dal punto di vista tecnologico. Né molte risorse. Bastano pochi gesti. Il primo è interpellare il malato. Se questo non accade, è un brutto segnale dal punto di vista professionale.»


«Alle radici del ritardo italiano ci sono delle cause storiche. Inutile nascondersi dietro un dito: la tradizione cattolica, che vedeva il dolore come espiazione, ha influito molto sulla percezione del problema. Questo non vuol dire che oggi dobbiamo fare battaglie ideologiche, di contrapposizione, però dobbiamo tenere conto del contesto specifico da cui siamo partiti.»


«Si è passati da modalità quasi discriminatorie nei confronti del medico generale che provava a prescrivere farmaci contro il dolore, all'istituzione della prescrizione speciale. Ma molti medici non la ritiravano nemmeno. Oggi che non c'è nemmeno questa e i medici non hanno più scuse. D'altra parte è vero che occorre aumentare la percentuale destinata ai farmaci anti dolore.»


«L'intera questione non è tecnica, ma universale. È in gioco l'affermazione e il riconoscimento della soggettività della persona. »


APPELLO DEL MINISTRO DELLA SALUTE, LIVIA TURCO


"Un appello per facilitare la terapia del dolore in Italia, ULTIMA in Europa per numero di centri specializzati. Per sbloccare il disegno di legge, "arenato" al Senato dalla scorsa estate, che dovrebbe semplificare le prescrizioni dei farmaci a base di oppiacei. Lo ha lanciato il ministro della Salute Livia Turco, presentando a Roma la VI "Giornata nazionale del sollievo", in programma domenica 27 maggio prossimo. «Dateci una mano - ha detto la Turco alla Fondazione Gigi Ghirotti, promotrice dell'iniziativa, - per velocizzare l'iter del disegno di legge sulla semplificazione delle prescrizioni dei farmaci per la terapia del dolore».

Tra i punti della legge, ferma in prima lettura a palazzo Madama, ci sono l'adozione del ricettario normale anche per gli oppiacei, la prescrivibilità dei medicinali per la terapia del dolore anche ai malati non oncologici, l'affidamento del registro di questi prodotti ai farmacisti, e la possibilità di prescrivere anche i farmaci a base di cannabis. [ ... ]


Sulla questione è intervenuto anche il professor Umberto Veronesi. «La battaglia contro il cancro è stata anche una sfida alla sofferenza. Occorre togliere il dolore, far sì che l'uomo non sia mai umiliato», ha dichiarato l'oncologo ed ex ministro della Sanità. «Non soffrire – ha aggiunto – è un diritto fondamentale di ogni uomo. E non far soffrire è uno dei doveri più alti della medicina.»" [ L'Unità, 22 maggio 2007, Terapia del dolore, Livia Turco: «Sbloccare la legge» >>>QUI<<< ]


La filosofia e il dolore.



Ippocrate di Kos


Segnalo di Salvatore Natoli un testo fondamentale: L'esperienza del dolore. Le forme del patire nella cultura occidentale, Milano, Feltrinelli 2002.  E una conversazione con Salvatore Natoli nel sito: Salvatore Natoli: Il senso del dolore. 


domenica 1 aprile 2007

LA CONFERENZA



Quelli che seguono sono pezzi degli ultimi due post di Rosalba Sgroia. Penso che gli argomenti trattati debbano essere diffusi quanto piu' possibile, anche tenendo conto della limitatezza dell'informazione ufficiale. Lascio stare le ultime uscite del vescovo Bagnasco, poi ridimensionate ma non semntite, perche' sono stanca del personaggio e dei suoi sodali, ma soprattutto perche' la polemica a un certo punto diventa sterile. Meglio lasciare la parola a chi ha qualcosa da dire e da proporre.



Il Circolo UAAR di Roma “Gianni Grana” presenta


Margherita Hack & Piergiorgio Donatelli


LAICITA’ : GARANZIA DI DEMOCRAZIA E DI LIBERTA’ NELLA RICERCA SCIENTIFICA


Venerdì 30 marzo 2007 - ore 16,00 - SALA GONZAGA - Via della Consolazione, 4 - ROMA


dal blog di Rosalba Sgroia >NERO ASSENSO<


venerdì, 30 marzo 2007, 22:25


CONFERENZA CON LA HACK: FOTO E VIDEO

Si è svolta oggi la conferenza  con la grande scienziata Margherita Hack ( Presidente onorario UAAR) e con l'apprezzatissimo filosofo Piergiorgio Donatelli ( prof. Storia Filosofia Morale Univ. La Sapienza). ... grande soddisfazione tra i presenti, ma enorme dispiacere per come sia stato  ignorato l'evento dalla stampa e dai telegiornali. Link: QUI


Fortunatamente l 'incontro è stato registrato da TELEAMBIENTE e dall'immancabile RADIO RADICALE.


vedi il video degli interventi


Aggiornamento del 2 aprile 2007.


Masso57 nel suo blog Blue River ha postato un pezzo di Galeano che si inserisce con grande nitidezza nei furori delle gerarchie vaticane contro le unioni omosessuali. Da conservare e da diffondere.



Il sesso degli angeli uguali


di

EDUARDO GALEANO




Per Richard Nixon, uno storico prestigioso, era tutto molto chiaro. Nel 1972, quando era presidente degli Stati uniti, dettò ai suoi collaboratori più stretti un corso lampo sulla decadenza della Grecia e di Roma. - Sapete che è successo ai greci? L'omosessualità li ha distrutti. Aristotele era omo, lo sappiamo tutti. E anche Socrate. E sapete che è successo ai romani? Gli ultimi sei imperatori erano froci...



...continua QUI