mercoledì 25 dicembre 2019


La nuova voglia di idealismo

di Dacia Maraini - Corriere della Sera, 23 dicembre 2019

Oggi la novità del movimento delle Sardine ricorda alla lontana le parole di un pastore povero che a piedi nudi portava a pascolare le pecore

Mi capita di scrivere queste poche righe proprio sotto Natale. Un giorno in cui si festeggia la nascita di un bambino straordinario che ha cambiato le sorti di una grande parte del mondo. Un giovane uomo che ha riformato la severa e vendicativa religione dei padri, introducendo per la prima volta nella cultura monoteista il concetto del perdono, del rispetto per le donne, il rifiuto della schiavitù e della guerra.
In nome di Cristo sono state fatte delle orribili nefandezze. La scissione fra etica e politica è accaduta nel momento in cui la Chiesa, da idealistica e innovativa forza rivoluzionaria si è trasformata in un impero che ha subito costruito il suo esercito, le sue prigioni, i suoi tribunali, la sua pena di morte. Ma molti, proprio dentro la Chiesa, hanno rifiutato i principi del vecchio Testamento, il suo concetto di giustizia come vendetta (occhio per occhio, dente per dente), la sua profonda misoginia, l’intolleranza e la passione per la guerra. Oggi la novità del movimento delle Sardine ricorda alla lontana le parole di un pastore povero che a piedi nudi portava a pascolare le pecore. I movimenti che abbiamo conosciuto finora, perfino il grande Sessantotto, usavano le parole Lotta, Guerra, Appropriazione, Distruzione, Nemico da abbattere, ecc. Mentre le piccole sardine , (che spero tanto non si facciano trasformare dai media in tonni pronti per la mattanza), rifiutano l’insulto e l’aggressività. Non pretendono di cambiare il mondo, ma di introdurre in una società sfiduciata e cinica, una nuova voglia di idealismo. Non hanno sbagliato simbolo secondo me, perché la sardina da sola non esiste, ma in una massa di corpi volanti, aiuta il mare a compiere i suoi cicli vitali. Inoltre possiamo dire che la sardina è ormai il solo pesce che non provenga da allevamenti intensivi, non si nutre di farine sintetiche, e non viene rimpinzata di antibiotici. Il fatto che riescano a smuovere tante persone, soprattutto giovani, è segno di una richiesta di nuove idealità, ovvero fiducia nel futuro, progetti comuni, spirito di solidarietà e collaborazione. Certuni li ridicolizzano, ma non si accorgono che fanno del male prima di tutto a se stessi. Con il sarcasmo perpetuano il vizio tutto italiano di disprezzare tutto ciò che è comunitario, di sentirsi superiore a ogni manifestazione di indignazione civica, di criticare tutto e tutti in nome di una conoscenza del mondo più antica e superiore.
23 dicembre 2019, 19:38 - modifica il 23 dicembre 2019 | 19:38

Sardine, cosa non va nel programma

di Barbara Spinelli
«Il Fatto Quotidiano», 17 dicembre 2019

Sabato a San Giovanni le Sardine hanno annunciato il loro programma, non economico né sociale, ma incentrato quasi interamente sulla comunicazione e sull’uso nonché controllo dei social network.
Essendomi occupata di questo tema nella scorsa legislatura europea, come relatore della risoluzione dell’aprile 2018 sul pluralismo e la libertà dei media nell’Unione europea, non posso fare a meno di esprimere disagio. Ricordo che le principali obiezioni a una piena libertà dei media e a un più scrupoloso rispetto del diritto internazionale sono venute – durante i negoziati che ho condotto con i vari gruppi del Parlamento prima che la relazione venisse adottata – dal Partito popolare, dai Conservatori e da buona parte dei Socialisti e dei Liberali. Le obiezioni non mi hanno permesso, tra l’altro, di mantenere nella sua integralità il paragrafo sul reato di diffamazione, di cui chiedevo la depenalizzazione.
Meglio dunque i silenzi e il vuoto di messaggio delle prime manifestazioni di piazza che la nuova Costituzione distopica “pretesa” dalle Sardine (ma da chi, fra le Sardine?) nei 6 punti indicati a San Giovanni. Eccoli elencati, in ordine di gravità. Il numero 5 (“La violenza verbale venga equiparata a quella fisica”) non resisterebbe al giudizio di nessuna Corte: internazionale (Onu), europea o nazionale. Da anni – e soprattutto dall’inizio delle guerre contro il terrorismo – le Corti discutono e sentenziano su quale violenza sia condannabile, nei media offline e online: i verdetti invariabilmente e puntigliosamente separano la violenza verbale da quella fisica, pur fissando alcuni paletti molto ben definiti alla violenza verbale (in sostanza: la violenza che prelude inequivocabilmente a IMMINENTI violenze fisiche). L’equiparazione è un temibile novum giuridico, da evitare a tutti i costi e in tutte le sedi. Il reato di diffamazione, criticato da diverse Corti europee e internazionali che raccomandano di sostituirlo con l’imputazione di illecito amministrativo, viene rafforzato.
I numeri 3 e 4 promettono male, contaminati come sono, e forzatamente, dal numero 5 che introduce il novum giuridico sulla violenza. Il numero 3 pretende “trasparenza nell’uso che la politica fa dei social network”. Il numero 4 pretende che “il mondo dell’informazione traduca tutto questo nostro sforzo in messaggi fedeli ai fatti”. Si profila l’aspirazione a un vasto controllo/soppressione dei media e dei loro contenuti, soprattutto online. Tutto quello che viene ritenuto violento (da chi? Da quale istanza?) è passibile di azioni che limitano la libertà di diffondere e ricevere informazioni. Il numero 6 pretende l’abrogazione dei decreti Sicurezza. È l’unico punto veramente sensato, ma se la pretesa sulla violenza contenuta nel numero 5 (applicata in vari ambiti: media online e offline, manifestazioni pubbliche etc.) viene inserita nei decreti riscritti, è meglio forse tenersi quelli di Salvini.
Il numero 2 (“Chiunque ricopra la carica di ministro comunichi solamente nei canali istituzionali”) blinda le oligarchie e non le obbliga, come invece queste dovrebbero, a comunicare tous azimuts, anziché solo nei canali istituzionali. La comunicazione limitata le protegge da ogni sorta di attacco esterno, rinchiudendole in un recinto separato.
Il numero 1 recita: “Chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a lavorare”. È immaginabile che si faccia qui riferimento alle attività non istituzionali di Salvini ministro dell’Interno. Ma la pretesa viene generalizzata e ha un suono inquietante, soprattutto se legata al numero 2.
© Editoriale Il Fatto S.p. A.

I 6 punti del programma delle sardine

1. "Pretendiamo che chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a fare politica invece che fare campagna elettorale permanente".
2. "Pretendiamo che chiunque ricopra la carica di ministro comunichi solamente su canali istituzionali".
3. "Pretendiamo trasparenza nell'uso che la politica fa dei social network".
4. "Pretendiamo che il mondo dell'informazione protegga, difenda e si avvicini il più possibile alla verità".
5. "Pretendiamo che la violenza, in ogni sua forma, venga esclusa dai toni e dai contenuti della politica".
6. "Chiediamo alla politica di rivedere il concetto di sicurezza e, per questo, di abrogare i decreti sicurezza attualmente vigenti".
Armonie Angeliche Natività



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Benozzo Gozzoli, Cappella dei Magi, Palazzo Medici-Riccardi, Firenze

Foto: in Wikimedia Commons

lunedì 2 dicembre 2019

Affonda il referendum sulla divisione tra Venezia e Mestre: 

vota solo il 21,7 per cento


Affluenza lontanissima dal quorum fissato al 50 per cento, netta sconfitta dei separatisti. La terraferma non sente il tema, ma diserta anche il centro storico. Il Si prevale con il 66,1 per cento 
VENEZIA. Alla fine, è accaduto quello che un po' tutti, alla vigilia, si aspettavano: non è stato raggiunto il quorum per il referendum di separazione tra Mestre e Venezia. Quello che però non tutti si aspettavano, anzi, è stata l'entità della debacle del fronte separatista, che è riuscito a portare al voto una minima parte degli aventi diritto, che erano  206.553 (97.793 uomini e 108.760 donne) di cui due terzi in terraferma e un terzo tra Venezia e le altre isole. Ha votato appena il 21,73 per cento degli aventi diritto, pari a 44.887 abitanti.
Nel dettaglio, a Venezia centro storico ha votato il 32,6 per cento contro il 27,9 per cento dell'Estuario e il 16,3 percento della terraferma.
Le Municipalità. Tutto secondo copione, rispetto alle attese della vigilia, sull'affluenza delle singole Municipalità. In testa Venezia con Murano e Burano con il 31,4 per cento, a seguire Lido Pellestrina con il 29,6 percento, quindi Mestre con il 17,8 percento, Chirignago Zelarino con il 15,9 percento, Favaro con il 15,4 e infine Marghera con il 12,9 percento.
Lo scrutinio.Come detto, hanno votato 44.888 persone. Lo scrutinio si è svolto come prevede la legge, pur essendo l'esito del tutto ininfluente per mancato raggiungimento del quorum. L'esito finale è arrivato alle 01.03. Il Si ha prevalso sul No con il 66,1 per cento dei voti contro il 33,8 percento.
Anche qui, l'esito finale deve tenere conto della suddivisione territoriale: il Si ha raggiunto l'85,7 percento nell'Estuario, l'83,4 percento in Centro storico mentre in Terraferma ha prevalso il No con il 51,8 percento.
Il dettaglio dello scrutinio per Municipalità
  • Venezia Murano Burano 83,48 percento Si - 16,51 percento No
  • Lido Pelllestrina 86,30 percento Si - 13,69 percento No
  • Favaro Veneto 54,10 percento No - 45,89 percento Si
  • Mestre Carpenedo 51,25 percento Si - 48,74 percento No
  • Chirignago Zelarino 52,11 percento No - 47,88 percento Si
  • Marghera 63,60 percento No - 36,39 percento Si
L'affluenza delle 19. Alle 19 aveva votato il 18,64 per cento degli aventi diritto.Si profila in maniera netta il mancato raggiungimento del quorum, e di conseguenza l'annullamento del referendum che perderebbe qualunque valore giuridico. Il quorum come noto era stato fissato al 50 percento più uno rispetto agli aventi diritto.
Nel dettaglio, l'affluenza è stata del 27,1 per cento a Venezia Centro Storico, del 23,5 percento in Estuario e al 14,7 percento in Terraferma. Guardando ai dati delle Municipalità, Venezia con Murano e Burano è la più alta (con il 26,1 per cento), a seguire Lido Pellestrina con il 25,4, Favaro con il 13,4, Mestre Carpenedo co il 16,3, Cirignago Zelarino con il 14,2 e infine Marghera con l'11,4 per cento.
L'affluenza alle 12. Alle 12 il dato dell’affluenza per il referendum sulla separazione amministrativa tra Venezia e Mestre è del 7,21%, i votanti su 256 sezioni su 256 sono stati 14mila 909 su 206 mila 553 iscritti totali. Il quorum a 103 mila voti. Le operazioni si sono avviate stamattina, si vota fino alle 23, e subito dopo vi sarà lo spoglio delle schede. In passato - nel 1979, nel 1989, nel 1994 - hanno sempre prevalso i 'no, mentre al quarto tentativo, quello del 2003, non si arrivò nemmeno al quorum: l'affluenza si fermò al 39%, ma anche allora prevalsero le schede con il “no”.
Nel dettaglio al Referendum a Venezia ha votato il 10,4 per cento; estuario 8,4% e terraferma 5,8%. Municipalità di Venezia-Murano-Burano affluenza 9,94%; Lido-Pellestrina 9,27%;  Favaro Veneto 4,91%; Mestre Carpenedo 6,65%; Chirignano Zelarino 5,48%; Marghera 4,59%.
Le reazioni.
Stefano Chiaromanni, Movimento Autonomia di Mestre "Piero Bergamo" ha dichiarato: "I dati dell'affluenza a Mestre non ci soddisfano affatto. Non siamo riusciti a far arrivare a tutti l'informazione, anche a causa del silenzio voluto dall'amministrazione comunale. Sono mancati, purtroppo, la partecipazione, l'interesse per Mestre e la coscienza di essere una comunità, ma questo è uno degli effetti del Comune unito. Attendiamo i risultati definitivi per dare un giudizio completo".
Nicola Pellicani (Pd): È stato un referendum per pochi intimi che dimostra come fosse un’iniziativa anacronistica. Il malessere espresso dal Si soprattutto a Venezia è un chiaro segnale di malcontento nei confronti dell’amministrazione Brugnaro Però la stragrande maggioranza degli elettori ha dimostrato di essere consapevole che per risolvere i problemi che attendono risposta da anni, non ha alcun senso dividere il Comune. Serve semmai una buona amministrazione. Dobbiamo anzitutto cambiare sindaco.
Maria Laura Faccini di Mestre Mia. Con la tagliola del quorum, non possiamo dire di avere perso poiché al voto ha prevalso il SI soprattutto nella Venezia d’acqua né d’altra parte possiamo dire di avere vinto poiché l’affluenza è stata bassa e il quorum mancato.
Il confronto, ammesso che tale possa definirsi  viste le inconsistenti motivazioni dei fautori del no, si è svolto nella terra bruciata preparata dai propugnatori dell’astensionismo che detengono il controllo della macchina organizzativa elettorale e che si sono giovati della loro posizione privilegiata per diffondere notizie sensazionalistiche.
La percentuale così bassa di votanti della Terraferma non è comunque attribuibile solo all’invito all’astensionismo ma, a parte la carente informazione istituzionale, è sintomatica di un inaspettato disinteresse da parte dei cittadini: Mestre resta in balia della marea più che Venezia.
Il dato oggettivo dell’affluenza rivela il distacco dei cittadini da proposte di cambiamento e la tendenza generalizzata ad accettare lo status quo,  rinunciando forse inconsapevolmente alla responsabilità di scegliere e governare un diverso futuro per la  propria città.
Alvise Maniero (M5S): “Sono dispiaciuto che il referendum non abbia raggiunto il quorum, una decisione presa dall’astensionismo non è mai una bella decisione”. Lo ha detto il deputato M5S Alvise Maniero, commentando il risultato del referendum sulla separazione di Venezia e Mestre. “Ero favorevole alla separazione, ma soprattutto speravo in un risultato superiore in termini di affluenza, fosse anche stato per il “no”.
"Quando abbiamo la possibilità di farlo, noi cittadini dobbiamo sempre esprimerci e difendere le nostre idee con passione: la nostra voce è una forza per tutti, il nostro silenzio è indice di debolezza e deve sollevare una riflessione. Ad ogni modo questo risultato non ferma il nostro dovere, che resta quello di difendere Venezia, la sua unicità, e darle più tutela e più rappresentanza anche per le fragilità che, tristemente, abbiamo dovuto ricordare in questi giorni”.
Una e Unica: "Non è la vittoria dell’astensionismo, ma la sconfitta dell’idea di Separazione in una città che da 40 anni ribadisce la propria dimensione Una e Unica. Una città complessa e policentrica che oggi ha posto una pietra tombale su qualsiasi forma di frammentazione. Le problematiche emerse dal dibattito referendario sono serie e urgenti.
"A differenza dei separatisti però, siamo convinti che la divisione di Mestre da Venezia non sia in alcun modo la soluzione a questi problemi. Anzi, come abbiamo più volte dichiarato e ribadito in queste settimane, la separazione porterebbe soltanto ad un aumento delle criticità. I cittadini hanno confermato largamente questa lettura, certificando la totale inconsistenza del quesito posto dal quinto Referendum in questi ultimi 40 anni. Dopo questo inutile spreco di risorse ed energie, dopo questo triste teatrino che ha visto contrapposti cittadini appartenenti alla stessa comunità, abbiamo il dovere di tornare ad occuparci dei problemi reali e complessi della nostra grande e amata Città di Venezia". 
Andrea Tomaello, Commissario Lega Venezia: "Rimettere Venezia al centro dell’azione amministrativa, dando a Mestre una propria identità. L’esito del referendum lascia pochi spazi a commenti, da domani è necessario pensare a come sviluppare una politica per i prossimi 20 anni nel comune di Venezia. Il centro storico ha bisogno di essere tutelato e rimesso al centro dell’azione amministrativa. Mestre non deve fungere solo da dormitorio, ma va valorizzata dandole più vita e sicurezza con necessario rilancio del commercio".
Renzo Scarpa, Gruppo Misto. Il SI vince in modo esteso e in modo straordinario a Venezia. Il NO vince di misura a Favaro, Chirignago-Zelarino e in modo netto a Marghera. L'indicazione politica è chiarissima: i Cittadini chiedono un cambio di passo perché non vedono il proprio futuro e si sentono abbandonati.Per quanto riguarda l'affluenza, in tutta onestà non ci si poteva aspettare di più visti i tempi ristretti, i mezzi a disposizione, quello che è successo a Venezia e il vero e proprio terrorismo svolto da chi attualmente governa il Comune.

Per il quorum si deve guardare alle ultime elezioni amministrative quando al primo turno ha votato il 59% degli elettori e al ballottaggio non ha raggiunto il 50% dei voti, nonostante tutto l'arco costituzionale dei partiti fosse schierato a chiedere i voti. Il risultato rappresenta un punto di partenza.
+Mestre+Venezia. Il referendum 2019, per decidere se Venezia e Mestre possono diventare due città autonome, sarà ricordato per le sistematiche azioni di oscuramento contro chi si è attivato a favore del SI e per la dilagante produzione di fake news intimidatorie a sostegno del NO. 
Spazi pubblicitari rifiutati dopo aver firmato regolari contratti d’acquisto. Caccia a chi espone drappi alle finestre. Azienda di trasporto che inventa nuovi tariffari in caso di vittoria del SI. Casinò che si sciolgono come neve al sole se Mestre e Venezia diventassero autonome. Spazi irrisori per i manifesti. E tanto altro ancora.
Alla luce dell’alterazione delle normali prassi di correttezza per assicurare ai cittadini un sereno confronto democratico, per non parlare delle indicazioni di non voto da parte di chi amministra la città che contraddicono qualunque codice di comportamento istituzionale, +Mestre+Venezia raccoglie positivamente anche il mancato raggiungimento del quorum referendario, considerate le percentuali ottenute. Un risultato che, più che rappresentare un “astensionismo” consapevole, è la conseguenza di assenza di comunicazione e di iniziative che hanno compromesso la responsabilità civica.
In questi minuti, in assenza di dettagli sui risultati delle votazioni nei vari seggi, è possibile affermare con certezza che il referendum ha confermato, aldilà del quorum, che all’interno dello stesso comune esistono due città radicalmente diverse. 
Se a Venezia l’affluenza ai seggi è stata praticamente quasi doppia rispetto alla terra ferma, significa che esistono due sensibilità diverse verso l’urgenza e la gravità dei problemi da affrontare e risolvere. A Venezia la necessità di coinvolgimento dei cittadini, malgrado il sindaco, alla definizione del proprio destino è una priorità diffusa tra la popolazione. Riteniamo che il minor coinvolgimento nella consultazione in parte della popolazione è anche attribuibile alla perdita di speranze di molti cittadini incontrati in queste settimane, cittadini che sono stati ridotti a credere che la loro opinione non conti nulla.
Venezia nella sua fragilità e unicità potrà sopravvivere solo grazie alla cura costante dei residenti e alla capacità di fronteggiare lo spopolamento e per questo rimaniamo convinti sia necessaria un’amministrazione dedicata e non l’attuale amministrazione unica che deve gestire anche le priorità di Mestre. 
La battaglia sul quorum.
Il fronte referendario ha sempre contrastato i quorum e il 25 novembre, ovvero pochi giorni prima della consultazione, ha depositato un ricorso urgente al Tar come estrema conseguenza di una escalation di proteste del fronte autonomista contro la scarsa informazione assicurata a questo appuntamento con il voto.
Tema di scontro nelle ultime ore prima dell'apertura dei seggi erano stati anche i tabelloni elettorali che da anni spesso, alle elezioni, rimangono vuoti. All’Ateneo Veneto, Giorgio Suppiej di “Venezia Serenissima” ha strappato applausi denunciando quello che definisce il «tentativo di ostacolare la campagna referendaria».
L'analisi - Rosanna Codino
Forse non si amano, di sicuro non intendono separarsi: è destinato a fallire anche il quinto tentativo di trasformare con un referendum Venezia e Mestre in due comuni separati.
A far pendere l'ago della bilancia verso la coabitazione amministrativa sono stati soprattutto gli abitanti della terraferma, disertando il voto. Un afflusso più massiccio, ma numericamente meno 'pesantè, si è avuto in centro storico e nelle isole della laguna, dove si sono toccate punte di affluenza del 30%. In un clima arroventato da fake news e polemiche politiche corse soprattutto sui social si è consumata l'ennesima prova tecnica di separazione che ha coinvolto poco più di 206 mila votanti.
Troppi gli interessi economici in gioco, ripetono dal fronte del sì, facendo notare che dei 20 milioni di euro che arrivano alle casse del Comune in virtù della Legge speciale e delle donazioni per Venezia, più o meno la metà finisce per essere dirottata verso la terraferma. Al contrario, sul versante del 'no molti amministratori locali hanno messo in luce i costi economici (in particolare nei trasporti) e le criticità di un eventuale frattura del Comune in due realtà distinte.
Lo stesso sindaco Luigi Brugnaro non ha mai nascosto il convincimento che l'iniziativa referendaria contrastasse con la legge sulle città metropolitane, invitato all'astensione. Le forze di maggioranza in Comune si sono allineate al 'non votò, mentre l'opposizione si è spaccata. Da una parte il Pd, che ha invitato a barrare sulla scheda il 'nò, dall'altra il M5S favorevole al 'sì' in nome del 'rispetto per la volontà popolarè.
L'appuntamento con i seggi è arrivato, peraltro, in un momento 'emotivamentè difficile per la città lagunare, messa in ginocchio dalle acque alte eccezionali che si sono susseguite nei giorni scorsi causando danni milionari. Senza trascurare che larga parte di chi lavora a Venezia, e che del richiamo turistico della città trae beneficio economico e occupazione, risiede proprio in terraferma e non ha quindi alcun interesse a vedere le due realtà divise dallo steccato di amministrazioni diverse.
Più che in passato, dunque, il dato più evidente è stata la disaffezione alle urne. Anche nel 1979, nel 1989, nel 1994 hanno sempre prevalso i 'nò e al tentativo del 2003, il quarto, si è arrivati al di sotto del quorum con il 39%. Ma stasera il dato di affluenza inferiore al 19% appare come una pietra tombale sulle aspirazioni delle due città di non incrociare più i loro destini.
Proprio la soglia del 50% più uno degli elettori stabilita per la consultazione potrebbe diventare già da domani un nuovo terreno di battaglia per gli irriducibili fautori della separazione, con una una raffica di ricorsi già annunciati sulla legittimità dello sbarramento. (ANSA).
Un flop il quinto referendum (in 40 anni) per la separazione tra Venezia Mestre: alle 23, ora di chiusura dei seggi, ha votato soltanto il   

21,73%  pari a 44.887 cittadini su 206.553 aventi diritto.


E' questo il risultato finale dell'affluenza. E' in corso lo scrutinio anche se chiaramente 

il quorum del 50% più 1 non è stato raggiunto

alla fine il Si ha prevalso sul No con il 66,1 per cento  
contro il 33,9 per cento.  
Le schede bianche sono state 135, le nulle 166; schede contestate una.
A far pendere l'ago della bilancia per il non voto sono stati soprattutto gli abitanti della terraferma, disertando le urne: 

in terraferma ha votato il 16,35%


in centro storico (32,4%) e nelle isole (28%) della laguna.


AFFLUENZA ALLE 19 - HA VOTATO IL 18,64%
Alle 19 di oggi ha votato il 18,64% degli aventi diritto nelle 256 sezioni che ospitano i seggi per
il referendum con quorum per la separazione comunale di Mestre da Venezia. I votanti sono stati sino ad ora 38.513 su 206.553.
AFFLUENZA ALLE 12 - HA VOTATO 7,3%
Alle 12.20 di oggi ha votato il 7,23% degli aventi diritto nelle 256 sezioni che ospitano i seggi per il voto sul referendum con quorum per la separazione comunale di Mestre da Venezia. I votanti sono stati 14.909 su 206.553. La maggiore affluenza si è avuta nel centro storico lagunare dove ha votato il 10,44% degli aventi diritto (4.997 su 47.824), seguita dalle isole con l'8,45% (2.048 su 24.223). Flop, per ora, in terraferma con il 5,84% (7.864 su 134.506), l'area comunale numericamente determinante per il superamento della soglia del quorum.

GIA' PRONTI I RICORSI
Se il referendum per la separazione amministrativa di Venezia da Mestre non passerà sono già pronti i ricorsi contro la soglia del 50% stabilità per la consultazione. Lo fanno sapere i movimenti favorevoli alla separazione, sottolineando che il quorum è illegittimo perchè non sarebbe previsto dalla Costituzione e dalla legge regionale. Critiche vengono poi mosse alle convocazioni che sarebbero state effettuate in ritardo o mai avvenute per i veneziani iscritti all'Aire, l'anagrafe italiana dei residenti all'estero. Segnalazioni di disguidi su questo fronte, viene detto, sarebbero giunte al movimento per il sì da concittadini che si trovano, in particolare, a Parigi e Gerusalemme.

LA CONSULTAZIONE. Mestre e Venezia devono separarsi? Domenica 1 dicembre i cittadini sono stati chiamati alle urne per dire se volevano o meno la divisione del Comune, con la ricostituzione del Comune di Mestre, quasi un secolo dopo quel 1926 quando fu soppresso da una legge fascista. Si è votato dalle ore 7 alle 23. Il vero punto cardine era il raggiungimento o meno del quorum.
Per votare era come sempre necessario presentarsi con un documento d'identità e con la tessera elettorale sulla quale è indicata la sezione di appartenenza. Chi avesse smarrito la tessera o esaurito gli spazi per l'apposizione del timbro, doveva procurarsi un duplicato e lo poteva fare direttamente nelle sedi comunali deputate.  (Il Gazzettino, 2/12/2019)
https://www.ilgazzettino.it/nordest/venezia/referendum_separazione_venezia_mestre-4898129.html