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sabato 15 ottobre 2011


LA PENA DI MORTE NEGLI STATI UNITI
Un'abolizione de facto?

 
 
Raffaello Sanzio_La Giustizia_Stanza della Segnatura_Vaticano_da Wikipedia 

The Death Penalty’s De Facto Abolition




 



A new Gallup poll reports that support for the death penalty is at its lowest level since 1972. In fact, though, the decline, from a high of 80 percent in 1994 to 61 percent now, masks both Americans’ ambivalence about capital punishment and the country’s de facto abolition of the penalty in most places.



When Gallup gave people a choice a year ago between sentencing a murderer to death or life without parole, an option in each of the 34 states that have the death penalty, only 49 percent chose capital punishment.
 



That striking difference suggests that more Americans are recognizing that killing a prisoner is not the only way to make sure he is never released, that the death penalty cannot be made to comply with the Constitution and that it is in every way indefensible. But there are other numbers that tell a more compelling story about the national discomfort with executions.



From their annual high points since the penalty was reinstated 35 years ago, the number executed has dropped by half, and the number sentenced to death has dropped by almost two-thirds. Sixteen states don’t allow the penalty, and eight of the states that do have not carried out an execution in 12 years or more. There is more.



Only one-seventh of the nation’s 3,147 counties have carried out an execution since 1976. Counties with one-eighth of the American population produce two-thirds of the sentences. As a result, the death penalty is the embodiment of arbitrariness. Texas, for example, in the past generation, has executed five times as many people as Virginia, the next closest state. But the penalty is used heavily in just four of Texas’s 254 counties.



Opposition to capital punishment has built from the ground up. It is evident in the greater part of America’s counties where people realize that, in addition to being barbaric, capricious and prohibitively expensive, the death penalty does not reflect their values.   
 




 



A new Gallup poll reports that support for the death penalty is at its lowest level since 1972. In fact, though, the decline, from a high of 80 percent in 1994 to 61 percent now, masks both Americans’ ambivalence about capital punishment and the country’s de facto abolition of the penalty in most places.



When Gallup gave people a choice a year ago between sentencing a murderer to death or life without parole, an option in each of the 34 states that have the death penalty, only 49 percent chose capital punishment.  



 


venerdì 11 marzo 2011





Pena di morte. Nessuno Tocchi Caino: abolizione in Illinois segna una svolta in tutti gli Stati Uniti



“L’abolizione della pena di morte in Illinois segna una svolta in tutti gli Stati Uniti, perché dimostra che la via della moratoria, in atto nello Stato americano dal 2000, è la strategia vincente per porre fine all’aberrante anacronismo dello Stato che per fare giustizia impone la morte”, ha dichiarato il Segretario di Nessuno tocchi Caino, Sergio D’Elia.

“L’abolizione in Illinois supera anche il luogo comune che per vincere le elezioni in America devi essere a favore della pena capitale”, ha aggiunto D’Elia, riferito al fatto che il Governatore Pat Quinn, che ha firmato la legge, aveva battuto il suo rivale repubblicano che in campagna elettorale aveva promesso di porre fine alla moratoria e mettere il veto sulla legge abolizionista.

Dopo quattro abolizioni in tre anni e mezzo (oltre all’
Illinois , hanno rinunciato alla pena di morte New Mexico nel 2009 e New Jersey e New York nel 2007), secondo D’Elia “occorre dare atto agli Stati Uniti di aver trovato ragioni molto pratiche che li portano all’abolizione: non per motivi ideologici, etici o religiosi, ma perché hanno preso atto che la pena di morte rischia di uccidere persone innocenti e anche perché hanno scoperto che costa molto di più dell’ergastolo”.

Radicali.it


mercoledì 3 dicembre 2008

Proposta Europea di condanna delle discriminazioni contro le identità di genere



Lasciate che gli omosessuali e i loro simili vengano discriminati, imprigionati, torturati, messi a morte.
L'omosessualità rimanga pure un reato in molti Paesi del mondo. Nel silenzio. 
A questo testo contro le discriminazioni 
Noi ci opponiamo.


(Ovviamente queste parole non sono mai state pronunciate dal Papa in questo modo, ma così me le sono immaginate io dopo il NO del Vaticano alla proposta di cui riporto il testo. La forma vuole sottolineare la discrepanza violenta tra quel NO e il dettato evangelico sulla eguaglianza di tutti i figli di Dio.)



Le vere frasi in un penoso delirio logico sono queste: CITTA' DEL VATICANO - L’osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, monsignor Celestino Migliore, boccia il progetto di dichiarazione che la Francia intende presentare a nome dell’Unione europea all’Onu per la depenalizzazione universale dell’omosessualità. «Tutto ciò che va in favore del rispetto e della tutela delle persone fa parte del nostro patrimonio umano e spirituale», afferma il vescovo in un’intervista all’agenzia stampa francese "I.Media". «Il catechismo della Chiesa cattolica, dice, e non da oggi, che nei confronti delle persone omosessuali si deve evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione. Ma qui, la questione è un`altra». «Con una dichiarazione di valore politico, sottoscritta da un gruppo di paesi - afferma mons. Migliore - si chiede agli Stati e ai meccanismi internazionali di attuazione e controllo dei diritti umani di aggiungere nuove categorie protette dalla discriminazione, senza tener conto che, se adottate, esse creeranno nuove e implacabili discriminazioni. Per esempio, gli Stati che non riconoscono l’unione tra persone dello stesso sesso come "matrimonio" verranno messi alla gogna e fatti oggetto di pressioni». (Corriere della Sera, 3 dicembre 2008: qui )


Proposta dell’Unione Europea per una dichiarazione ONU che condanni formalmente le discriminazioni contro gli omosessuali


Abbiamo l’onore di presentare questa dichiarazione sui diritti umani realtivamente all’orientamento sessuale e all’identità di genere da parte di […]




  1. Riaffermiamo il principio di universalità dei diritti umani, così come sancito nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo di cui quest’anno si celebra il 60esimo anniversario e che all’articolo 1 proclama che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”;




  2. Riaffermiamo che ogni individuo ha diritto a godere dei diritti umani senza distinzioni di alcun tipo, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione, così come stabilito nell’Articolo 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e nell’articolo 2 del Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali e nell’articolo 26 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici;




  3. Riaffermiamo il principio di non-discriminazione che richiede che i diritti umani siano estesi a tutti gli esseri umani indipendentemente dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere;




  4. Siamo profondamente preoccupati per le violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali basate sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere ;




  5. Siamo anche preoccupati che le persone di tutti i paesi del mondo siano oggetto di violenze, persecuzioni, discriminazioni, esclusioni, stigmatizzationi e pregiudizi a causa del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere e che queste pratiche minino la loro integrità e dignità;




  6. Condanniamo tutte le violazioni dei diritti umani basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere ovunque avvengano ed in particolare la loro penalizzazione attraverso la pena di morte, le esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, la pratica della tortura, altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti, l’arresto o la detenzione arbitrarie e la privazione dei diritti economici, sociali e culturali, compreso il diritto alla salute;




  7. Richiamiamo la dichiarazione del 2006 emessa di fronte al Consiglio per i Diritti Umani da 54 paesi, per richiedere al presidente del Consiglio di fornire un’occasione per discutere di queste violazioni durante un’appropriata futura sessione del Consiglio;




  8. Accogliamo con favore l’attenzione conferita attraverso speciali procedure a questi temi dal Consiglio dei Diritti Umani e dai soggetti del trattato e li incoraggiamo a continuare a considerare, nell’esercizio dei loro mandati, le violazioni dei diritti umani basate sull’orientamento sessuale;




  9. Accogliamo l’adozione della Risoluzione AG/RES. 2435 (XXXVIII-O/08) su “Diritti umani, Orientamento Sessuale e Identità di Genere” dell’Assemblea Generale dell’Organizzazione degli Stati Americani, emessa durante la 38esima sessione, il 3 giugno 2008;




  10. Richiamiamo tutti gli stati e i maggiori organismi per la protezione dei diritti umani ad impegnarsi a promuovere e proteggere i diritti umani di tutte le persone, indipendentemente dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere;




  11. Esortiamo gli Stati a prendere tutte le misure necessarie, in particolare legislative o amministrative, per assicurare che l’orientamento sessuale o l’identità di genere non possano essere, in nessuna circostanza, la base per l’attuazione di pene criminali, in particolare di esecuzioni, arresti o detenzioni;




  12. Esortiamo gli Stati ad assicurare che le violazioni dei diritti umani legate all’ orientamento sessuale o all’identità di genere siano investigate e che gli autori siano perseguiti e tenuti a renderne conto in termini giudiziari;




  13. Esortiamo gli Stati ad assicurare un’adeguata protezione ai difensori dei diritti umani e a rimuovere gli ostacoli che impediscono loro di portare avanti il loro lavoro relativamente alla tutela dei diritti umani e alla lotta alle discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere.




Radio Radicale.it, 2 dicembre 2008: qui .


Senza uguaglianza il mondo è un inferno, come tragicamente sanno tutte le vittime che subiscono la violenza dei regimi non democratici, soprattutto quelli teocratici.


Senza uguaglianza in ogni Paese del mondo il percorso di umanizzazione e civilizzazione delle società non può dirsi compiuto. E le religioni costituite dovrebbero essere le più attente all'affermazione della giustizia, se non altro per dettato divino, come per prime affermano.


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martedì 18 dicembre 2007



18 Dicembre 2007 ore 18:00

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L'Assemblea generale dell'Onu ha votato, oggi, a favore della moratoria universale delle esecuzioni capitali nel mondo: con 104 voti a favore, 54 contro e 29 astenuti.


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Dalla Moratoria universale delle esecuzioni  alla Abolizione della pena di morte.



La grande attesa.



Oggi 18 dicembre 2007 alle 16 (ora italiana), l'Assemblea generale dell'ONU si esprimerà con un voto sulla risoluzione per la moratoria universale delle esecuzioni capitali, passo determinante verso l'abolizione della pena di morte.



Attendo con ansia ed emozione questo atto planetario di civiltà, e sono orgogliosa dell'impegno particolare dell'Italia ( Radicali in prima linea ) per arrivare a questa votazione, che ricorda le tappe per arrivare all'abolizione della schiavitù. Sta per avverarsi tutto questo? Un buon segno: il New Jersey ha abolito la pena di morte.


Il testo della risoluzione:



«L'Assemblea generale, guidata dagli obiettivi e dai principi contenuti nella Carta delle Nazioni Unite;
Richiamando la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'uomo, la Convenzione Internazionale sui diritti civili e politici e alla Convenzione per i diritti del bambino;
Richiamando le risoluzioni sulla questione della pena di morte adottate nel corso degli ultimi dieci anni dalla Commissione per i diritti umani in tutte le sue sessioni consecutive, la più recente essendo la E/CN4/RES/2005/59 che ha esortato gli Stati che mantengono la pena di morte ad abolirla completamente e, nel frattempo, a stabilire una moratoria sulle esecuzioni;
Richiamando gli importanti risultati raggiunti dalla ex Commissione per i Diritti umani sulla questione della pena di morte e contemplando che il Consiglio per i diritti umani possa continuare a lavorare su questo tema;
Considerando che la messa in atto della pena di morte va a minare la dignità umana e convinti che una moratoria sull'esecuzione della pena di morte contribuisca alla promozione e al progressivo sviluppo dei diritti umani; che non c'è prova definitiva del valore della pena di morte come deterrente; che qualsiasi errore o fallimento della giustizia sull'applicazione della pena di morte è irreversibile e irreparabile;
Accogliendo le decisioni prese da un sempre maggiore numero di stati nell'applicare una moratoria sulle esecuzioni, seguita in molti casi dall'abolizione della pena di morte;

1) Esprime la sua profonda preoccupazione per il sussistere dell'applicazione della pena di morte;

2) Esorta gli stati che mantengono la pena di morte a:
a) rispettare gli standard internazionali che salvaguardano i diritti di coloro che sono in attesa dell'esecuzione della pena capitale, in particolare gli standard minimi, come stabilito dall'allegato alla risoluzione 1984/50 del Consiglio economico e sociale
b) fornire al Segretario generale informazioni riguardanti la messa in atto della pena capitale e l'osservanza delle clausole di salvaguardia dei diritti di coloro che sono in attesa dell'esecuzione della pena di morte
c) restringere progressivamente le esecuzioni e ridurre il numero dei reati per i quali la pena di morte può essere imposta
d) stabilire una moratoria sulle esecuzioni in vista dell'abolizione della pena di morte.

3) Esorta gli stati che hanno abolito la pena di morte a non reintrodurla;

4) Chiede al Segretario generale di riferire sull'applicazione di questa risoluzione nella 63esima sessione;

5) Decide di continuare la discussione sul tema nella 63esima sessione all'interno dello stesso punto dell'agenda».

mercoledì 19 settembre 2007

PENA DI MORTE


Verso la moratoria tra difficoltà, timori e ipocrisie e veti polacchi.


Prodi ha scritto una lettera ai 55 premi nobel firmatari dell’appello per la presentazione della risoluzione sulla moratoria universale della pena di morte:


“Desidero ringraziarvi di cuore per l’appello che mi avete rivolto a sostegno di una causa cosi’ nobile. Anche grazie al vostro sforzo ed alla vostra mobilitazione un numero crescente di paesi, di organizzazioni governative di esponenti della societa’ civile hanno risposto positivamente alla nostra iniziativa contro la pena di morte. Siamo adesso giunti a un momento decisivo. All’inizio dell’assemblea generale delle Nazioni Unite che si aprira’ nei prossimi giorni, l’Europa e Paesi di ogni regione del mondo presenteranno insieme una risoluzione sulla moratoria universale delle esecuzioni e l’abolizione della pena di morte. l’Obiettivo e’ giungere al piu’ presto alla sua approvazione in Assemblea. Per prepararci al meglio a questa scadenza, l’Italia e il Portogallo promuovono a New York una riunione dei ministri degli Esteri dei 95 paesi firmatari della dichiarazione di associazione del dicembre scorso sulla moratoria delle esecuzioni capitali e l’abolizione della pena di morte. La riunine, cui sono invitati anche i paesi delle Nazioni Unite che hanno abolito la pena di morte o stabilito una moratoria, si terra’ il 28 settembre prossimo al Palazzo di Vetro, con inizio alle ore 8.30. Un vostro autorevole sostegno a questo evento e la partecipazione di quanti di voi saranno a New York in quei giorni sarebbero una testimonianza straordinaria di un impegno comune per vincere tutti insieme questa sfida decisiva per una sempre piu’ piena realizzazione dei diritti umani universali. Ringrazio fin da ora tutti coloro che vorranno raccogliere il nostro invito ad essere presenti. Romano Prodi”. [ Fonte: AGI, 18 settembre 2007 ]


e intanto


Polonia conferma sua opposizione a giornata contro pena di morte

BRUXELLES. martedì, 18 settembre 2007 6.39 (Reuters) - La Polonia ha confermato oggi la sua opposizione alla proposta di altri paesi membri della Ue di creare una giornata europea contro la pena di morte, secondo quanto riferito dal ministro della Giustizia Clemente Mastella.


"A questo punto non credo che il prossimo 10 ottobre si faccia", ha detto Mastella ai giornalisti riferendosi alla proposta di celebrare in quella data la ricorrenza dell'abolizione della pena di morte nei paesi europei.


"E' una piccola battuta di arresto", ha aggiunto il ministro dopo aver partecipato ad una riunione dei ministri della Giustizia dell'Unione che si è tenuta oggi a Bruxelles.


Il titolare di via Arenula ha definito "speciose" le argomentazioni addotte dalla Polonia, definendo l'opposizione di Vienna (?) alla proposta "un atto arrogante".


I gemelli che guidano il governo polacco con il loro partito conservatore e cattolico -- Lech Kaczynski, presidente della Repubblica, e Jaroslaw Kaczynski, primo ministro -- vorrebbero vedere approvata la celebrazione di una giornata che, oltre alla pena di morte, simboleggi anche la protezione della vita più in generale condannando eutanasia e aborto.


"Stabilire una giornata europea contro la pena di morte all'improvviso è diventata una priorità. Prima vorremmo discutere quello che realmente vuol dire", ha detto il ministro degli Interni polacco Wladyslaw Stasiak ai giornalisti.


La disputa è sintomatica di una tensione più generale che si è venuta a creare fra la Polonia e Bruxelles in vista delle elezioni per rinnovare il Parlamento di Varsavia che si svolgeranno il 21 di ottobre.


Un diplomatico della Ue ha detto che, a causa delle imminenti elezioni, è difficile che la posizione polacca possa cambiare nonostante le forti pressioni esercitate su Varsavia da parte della Commissione europea e del Portogallo, che detiene il turno della presidenza.


Il partito Legge e Giustizia dei gemelli Kaczynskis, al governo da due anni, ha basato infatti la sua campagna elettorale sulla promessa di combattere la corruzione e tornare ai valori tradizionali della famiglia, ottenendo anche l'appoggio della ultra cattolica e anti-europea Radio Maryja.


Alla luce del veto polacco, il ministro della Giustizia portoghese Alberto Costa ha detto di avere comunque intenzione di trovare un modo per celebrare l'abolizione della pena capitale.


Portogallo e Italia sono fra i paesi più impegnati nella lotta per l'abolizione della pena di morte.


In vista della discussione all'Onu sulla moratoria delle esecuzioni capitali, oggi il presidente del Consiglio Romano Prodi ha annunciato l'intenzione di Roma e Lisbona di promuovere a New York, il 28 settembre prossimo a margine dei lavori dell'Assemblea generale, una riunione dei ministri degli Esteri dei 95 paesi che l'anno scorso hanno firmato una dichiarazione sul tema.


L'annuncio è contenuto in una lettera firmata da Prodi e indirizzata ai 55 premi Nobel che lo avevano pregato di accelerare i tempi sulla discussione dell'abolizione della pena capitale, secondo quanto dichiarato da Palazzo Chigi in una nota.


La Polonia, insieme a Malta e all'Irlanda, sono gli unici paesi dove l'interruzione volontaria di gravidanza non è permessa e dove spesso politici e prelati hanno definito la pratica dell'eutanasia in Olanda come una cultura di morte.  [ © Reuters 2007. Tutti i diritti assegna a Reuters. ]


Ma i Radicali continuano la loro lotta pacifica con sciopero della fame a oltranza e manifestazioni. Consiglio a ogni viandante di visitare il sito radicali.it che è ricchissimo di informazioni al riguardo. Quelle informazioni che il nostro servizio pubblico radiotelevisivo continua a negarci con inspiegabile ottusa testardaggine. Quelle informazioni che sembra non arrivino al soglio pontificio e nemmeno al presidente della CEI Bagnasco (se qualcuno sa di un intervento dell'alto prelato generalmente interventista, è pregato di informarmi).

domenica 9 settembre 2007


   La Polonia, i suoi tragici gemelli, qualcosa della sua storia



L'ultimo atto antieuropeo e antistorico dei gemelli polacchi, Lech Kaczynski come presidente e Jaroslaw Kaczynski in qualità di primo ministro, il NO all'istituzione della giornata europea contro la pena di morte. Forse la loro avventura è già finita con l'autoscioglimento del Parlamento, ma lo si potrà sapere solo dopo il prossimo voto anticipato. Sono stati due anni terribili per la Polonia che è stata presente in Europa con le posizioni ultranazionaliste e isolazioniste dei Kaczynski, di cui gli elettori sono responsabili come avviene nei regimi democratici. Se sono stati ingannati dai loro incredibili gemelli, come sembra dalle notizie sull'opposizione interna, ora i polacchi hanno l'occasione per porre rimedio.


Quest'ultimo atto richiama alla memoria la loro proposta più repellente: reintrodurre la pena di morte, in Polonia e nel resto del continente. Tanto mi basterebbe a escludere qualsiasi possibilità di affidare ai due una sia pur piccola responsabilità politica. Vedremo che cosa faranno i polacchi.


Le ideologie dei gemelli sono di stampo conservatore, nel senso deteriore del termine, se si considerano le posizioni illiberali e intolleranti del loro partito, non a caso chiamato “Prawo i Sprawiedliwosc” (Legge e Giustizia), a cominciare dall'omofobia e dall'antisemitismo per finire con il loro evidente e disastroso antieuropeismo.


   Tadeus Rydzyk, direttore di Radio Maryja ( La Stampa )


L'antisemitismo. L'antisemitismo e i programmi di Radio Maryja e le posizioni integraliste anticonciliari di Tadeusz Rydzyk, il prete redentorista fondatore dell'emittente radiofonica polacca. Alla Polonia l'occupazione nazista prima e il regime comunista poi inflissero sofferenze enormi, ma la diffusione dell'antisemitismo oggi sulle onde di una radio cattolicissima crea qualche perplessità: l'essere stati vittime non ci rende innocenti e non abilita a comportamenti contrari ai diritti umani. Mi ha colpito la richiesta spregiudicata di più voti in seno alla UE in nome delle vittime del nazismo, perché la polazione sarebbe numericamente superiore se non ci fossero stati i morti della seconda guerra mondiale. E allora è forse il caso di ricordare che i polacchi furono senz'altro vittime, ma in parte (non so quanto grande) furono anche carnefici di ebrei, come tanti in Europa, noi italiani compresi.  


L'hanno letto i polacchi, soprattutto quelli  che hanno eletto i gemelli e che seguono Radio Maryja, "I carnefici della porta accanto". 1941: Il massacro della comunità ebraica di Jedwabne in Polonia? L'autore è Jan T. Gross, insegnante di politica e studi europei alla New York University, e di fatto "riscrive la storia del Novecento polacco e ci rivela verità atroci ma ineludibili sulle relazioni tra ebrei e gentili nell'Europa del XX secolo". Risulta a qualcuno che Jan T. Gross sia stato sconfessato e sbugiardato?


"Un giorno d'estate del 1941 metà degli abitanti del paese di Jedwabne, in Polonia, assassinò l'altra metà, milleseicento persone, tra uomini, donne e bambini: tutti gli abrei del paese, sette esclusi. I carnefici della porta accanto racconta la loro storia, una storia sciocca e brutale, mai narrata prima d'ora.
L'aspetto più sconvolgente di questa terribile vicenda è che a bastonare, affogare, scannare e bruciare gli ebrei di Jedwabne non furono nazisti senza volto, ma i compaesani polacchi, che le vittime conoscevano per nome: ex compagni di scuola, i negozianti da cui compravano il pane, la gente con cui chiacchieravano per strada. [...] Nel dopoguerra i pochissimi sopravvissuti denunciarono i fatti e seguì un processo. Ma solo Jan T. Gross con questo libro è stato in grado di ricostruire quell'orribile giorno di luglio, innescando un ampio dibattito tra i maggiori storici di tutto il mondo sul ruolo della popolazione civile nello sterminio degli ebrei d'Europa e sul superamento  della stessa definizione (di Daniel J. Goldhagen) di "volenterosi carnefici di Hitler". ( dal risvolto di copertina del testo edito da Mondadori )."


Non voglio attaccare etichette al popolo polacco, ci mancherebbe altro, l'antisemitismo alligna più o meno in tutti i paesi europei con una persistenza che meraviglia dolorosamente. Voglio riflettere, però, sulle scelte elettorali che portano al potere personaggi come i gemelli Kaczynski, scelte di oltre la metà degli aventi diritto al voto. Voglio interrogarmi anche sul funzionamento dell'Unione Europea, soprattutto sul diritto di veto assegnato anche a un singolo Stato. Voglio sapere come coniugano la loro cattolicità i gemelli con la loro voglia di pena di morte e quanto seguito hanno tra i polacchi, nostri concittadini europei, su temi come questo.

martedì 28 agosto 2007

   Alberto Gonzales si è dimesso.


Bush e Gonzalesamici dai tempi in cui lui era governatore del Texas. Gonzales allora era l'avvocato di Bush. Poi è stato consigliere legale della Casa Bianca. Infine è stato chiamato, primo ispanico nella storia, a fare il ministro della Giustizia. Questa è una fotografia storica con quel presiedente sfocato in secondo piano che guarda il suo pupillo, l'ultimo del suo giro di amici a dimettersi, dopo il ministro della difesa Donald Rumsfeld e il cervello consigliere Karl Rove. Il nome di Alberto Gonzales, al di là degli altri scandali, sarà per sempre collegato alla vergogna di Guantanamo . Peccato per un uomo che ha detto: "Ho vissuto il sogno americano". E sarebbe stato bello se l'avesse vissuto senza trasformarlo in incubo con le sue idee nefaste sulla giustizia, sui diritti umani e sul trattamento dei prigionieri.


"Mr. Gonzales has been a controversial figure in Washington since shortly after the terrorist attacks on Sept. 11, 2001, when, as White House counsel, he supported legal policies that broadly expanded the powers of the executive branch and allowed for the imprisonment and interrogation of terrorism suspects in conditions that human rights groups said amounted to torture. He became attorney general in February 2005, succeeding John Ashcroft." (The New York Times )



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Voglio segnare nel mio diario questo giorno che finalmente è arrivato. Nell'attesa che altri ne arrivino per cambiare rotta e riprenderci la nostra civiltà che non può prescindere dai diritti umani. Ma giustizia vuole che non si dimentichi il ruolo dei paesi europei in questa tragedia, in primis della Gran Bretagna e dell'Italia a guida berlusconiana. E, ancora, è obbligatorio porsi domande sulle lotte degli integralisti islamici tra loro e contro gli altri gruppi religiosi. Giustizia vuole che si dica che i capi religiosi, forti dello strumento "divino", hanno responsabilità non minori dei politici.



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Fotografie: The New York Times - BBC

sabato 25 agosto 2007

LA PENA DI MORTE e NOI



Due giorni fa, anniversario dell'esecuzione barbara di  Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, in Texas è stata eseguita la condanna a morte di Jhonny Conner e in Giappone di tre persone (chi?). La fotografia l' ho presa dal blog "laicisticamente". Dal Manifesto "prendo" un articolo che io ovviamente non avrei potuto scrivere, quindi eccolo qua :


Esecuzione in Texas scontro con l'Europa


A. D'Arg. - Bruxelles


«La morte non è giustizia e non lo sarà mai», arriva dal Consiglio d'Europa, l'organizzazione che raccoglie 47 stati del vecchio continente e che non ha nulla a che fare con la Ue, la più dura reazione all'esecuzione di Jhonny Conner, fatto fuori ieri notte in Texas con il poco inviabile titolo del 400esimo giustiziato dal 1976, anno della reintroduzione della pena capitale in questo stato nordamericano. La cifra tonda è una «macabra pietra miliare», insiste l'organizzazione. Poco dopo altri tre detenuti venivano giustiziati in Giappone.
«La pena di morte non è una punizione giusta ed appropriata
, come dice il governatore del Texas Rick Perry», afferma René Van der Linden, presidente dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa. Parole che hanno come chiaro obiettivo il governatore repubblicano, lo stesso che alla vigilia dell'esecuzione di Conner ha rigettato una richiesta di moratoria avanzata dall'Unione europea. E lo ha fatto con un certo sarcasmo. «230 anni fa i nostri antenati hanno lottato per liberarsi dal giogo di un monarca europeo e per guadagnare il diritto all'autodeterminazione - ha detto il portavoce di Perry - Rispettiamo i nostri amici europei, accogliamo volentieri i loro investimenti e apprezziamo il loro interesse per le nostre leggi, ma il Texas si arrangia molto bene a governare il Texas. I texani hanno deciso da tempo che la pena di morte è un castigo giusto ed appropriato per i delitti più orribili».
Di fronte a una reazione tanto sprezzante, la Ue preferisce mantenere un basso profilo, assai più basso di quello del Consiglio d'Europa. «Confermiamo la dichiarazione fatta prima dell'esecuzione: la Ue è incondizionatamente contro la pena di morte», dice Manuel Carvalho, portavoce della Presidenza portoghese. Nessun commento sull'esecuzione statunitense: «Lamentiamo tutte le esecuzioni nel mondo, non dobbiamo dare più importanza a casi specifici». Poca cosa per chi aveva avanzato una richiesta specifica al Texas e si è poi visto rimandare indietro l'invito senza alcun complimento.
Non è inoltre da escludere che l'atteggiamento di sfida del repubblicano Perry potrebbe puntare a increspare il fronte europeo in vista del dibattito all'Onu sulla proposta di moratoria avanzata ancora l'anno scorso dall'Italia e poi fatta propria da tutta la Ue. A giugno i ministri degli esteri dei 27 hanno deciso di chiedere il voto alla prossima Assemblea generale che inizia a fine settembre. Il problema è che la sessione dura nove mesi e l'Europa non ha ancora chiaro quando presentare il dibattito, divisa com'è tra due partiti: quello dell'Italia che vuole il voto il prima possibile affermando che ormai ci sono i numeri per vincere (in realtà siamo a 93 adesioni e la maggioranza è a 97) e quello di Regno unito, Olanda, Polonia e Ungheria che preferiscono andare con i piedi di piombo, ufficialmente per essere sicuri di farcela, in realtà per non innervosire Washington. La Presidenza portoghese conferma che non è ancora stata fissata un'agenda precisa.



Salviamo Pegah dalla lapidazione



«Cara signora ministra degli interni Jacqui Smith, le scriviamo per pregarla di concedere alla signora Pegah Emambakhsh un permesso di soggiorno che impedisca la sua deportazione in Iran, fissata per lunedì prossimo, e consenta ai suoi avvocati di portare nuovi elementi a conferma della sua necessità di ricevere asilo nel Regno unito».


Dopo il tam tam sul web gli attivisti inglesi e di mezzo mondo si mobilitano ora inondando di fax e email gli uffici della ministra degli interni britannica, Jacqui Smith. Il deputato di Sheffield (dove la donna abitava), Richard Caborn sta cercando di rendere definitiva la sospensione della deportazione, ma non è una cosa facile, visto che per l'Home Office la donna se rimpatriata non rischia persecuzioni. continua su Il Manifesto <<<qui>>>


Quando siamo responsabili "noi" ( mi scuso per la semplificazione "noi e loro" che generalmente respingo ), penso che il giudizio possa, anzi debba essere più deciso e più duro. Ci vantiamo di essere delle democrazie, e abbiamo il privilegio di esserlo, un privilegio costato prezzi altissimi nel corso di una storia millenaria. Per questo la responsabilità è maggiore e la condanna non ha bisogno di attenuazioni o distinguo.


venerdì 24 agosto 2007

    Salviamo Pegah dalla lapidazione


LAPIDARE un uomo o una donna fino a farli morire può richiedere molto tempo, specialmente se coloro che scagliano le pietre desiderano di proposito prolungarne l'agonia. Il colpo di grazia alla testa, in grado di portare a uno stato di incoscienza o alla morte, può farsi attendere anche un'ora, mentre le pietre di piccole dimensioni che provocano contusioni sono rimpiazzate poco alla volta da pietre di dimensioni maggiori in grado di frantumare gli arti. Soltanto quando il corpo è in agonia in ogni sua parte può sopraggiungere la morte.

Questa è la sorte che potrebbe attendere Pegah Emambakhsh, una donna iraniana di quaranta anni, il cui crimine è quello di essere lesbica. Pegah Emambakhsh ha trovato rifugio nel Regno Unito nel 2005, in seguito all'arresto, alla tortura e alla condanna a morte per lapidazione della sua partner sessuale (non è chiaro, ad ogni buon conto, se la sentenza è stata eseguita o lo sarà in futuro). La sua domanda di asilo però è stata respinta: secondo l'Asylum Seeker Support Initiative di Sheffield, dove Pegah si trova rinchiusa in un centro di detenzione, quando le è stato chiesto di fornire le prove della sua omosessualità e lei non ha potuto farlo, le è stato riferito che doveva essere deportata. L'estradizione, che doveva avvenire oggi, all'ultimo momento è stata rinviata al 28 agosto: alla fine del mese potrebbe essere già morta.

La Repubblica Islamica Iraniana, si legge in un recente rapporto, è "più omofobica di qualsiasi altro paese al mondo o quasi. La tortura e la condanna a morte di lesbiche, gay e bisessuali, caldeggiate dal governo e contemplate dalla religione, fanno sì che l'Iran sembri agire in barba a tutte le convenzioni sottoscritte a livello internazionale in tema di diritti umani". Leggere il rapporto, redatto da Simon Forbes dell'organizzazione londinese Outrage, è terribile: vi si leggono storie di giovani uomini e giovani donne perseguitati, arrestati, picchiati, torturati e giustiziati - spesso con soffocamento lento - per avere avuto rapporti omosessuali.

Il brutale giro di vite nei confronti dei gay iraniani - gruppo che non ha mai goduto di grande supporto nel suo stesso paese - è iniziato dopo il 1979 e l'arrivo al potere del regime religioso ispirato dall'Ayatollah Khomeini. All'epoca gli omosessuali colti in flagranza o sospettati di essere gay erano impiccati agli alberi sulla pubblica piazza. In linea di massima si trattava di uomini, ma non mancavano le donne. A quei tempi i diritti degli omosessuali non erano una causa granché popolare da nessuna parte e il nuovo regime, ispirato da un genere di fondamentalismo islamico che non poneva limiti al proprio radicalismo e che addossava a Stati Uniti e Occidente la responsabilità di tutti i suoi mali, non vedeva necessità alcuna di dissimulare le proprie azioni. Tutto ciò è andato avanti fino alla fine degli anni Ottanta, quando i diritti dei gay hanno riscosso ovunque maggiore comprensione: le proteste internazionali hanno iniziato a moltiplicarsi e il regime, preoccupato in maggior misura per la propria immagine a livello internazionale, è diventato meno radicale e ha posto fine a queste dimostrazioni.

Ciò non significa che le esecuzioni fossero cessate. Il 19 luglio 2005 due adolescenti gay della città iraniana di Mashhad sono stati impiccati in pubblico, giustiziati con un lento strozzamento. Sono stati condannati a morte per il fatto di essere gay. Le autorità li avevano accusati di aver rapito e stuprato un minore, ma a loro carico non è mai stata prodotta alcuna prova. La comunità gay iraniana e i gruppi di difesa dei diritti umani non hanno mai creduto alle accuse ufficiali. La loro condanna a morte è servita a rammentare a tutti che l'omosessualità, nell'Iran di Ahmadinejad, è tuttora considerata un reato punibile con la condanna a morte. Per gli uomini o le donne sposate la condanna a morte è eseguita tramite lapidazione, perché nel loro caso il reato è considerato più grave. (Pergah, che ha due figli, ha dovuto contrarre un matrimonio organizzato).

Quantunque negli ambienti della middle-class di Teheran una certa discreta attività gay sia ancora possibile, il rischio - estremo, di morte - lo si corre sempre. Il rapporto di Outrage così commenta: "Affermare che per gli omosessuali del 2006 alcune zone dell'Iran sono più sicure di altre equivale ad affermare che per gli ebrei del 1935 alcune zone della Germania erano più sicure di altre".

Deportare una donna sulla quale incombe una morte tramite lenta agonia per il fatto di esercitare le proprie preferenze sessuali non è azione degna di uno Stato civile: non possiamo che augurarci che le autorità britanniche facciano dietrofront. Una speranza ancora c'è: uno dei membri del Parlamento dell'area di Sheffield dove vive oggi Pegah, Richard Carbon, Ministro dello Sport, alcuni giorni fa ne aveva bloccato la deportazione e le autorità l'hanno rinviata a domani sera. Le associazioni gay hanno diffuso la notizia in tutto il mondo e i media di molti paesi, Italia inclusa, hanno sollevato il caso.

Per la Gran Bretagna in tutto ciò vi è un triste paradosso: essa è stata e rimane il rifugio di molti musulmani che professano apertamente di odiarla, in parte proprio per le sue opinioni relativamente liberali in fatto di omosessualità, e per le sue leggi sui diritti umani. Alcuni musulmani, accusati di istigare al terrorismo, sono stati deportati, la stragrande maggioranza no. Eppure, adesso una donna che in Gran Bretagna ha trovato salvezza da una pena efferata e che ha fatto appello alle autorità perché le considerava tolleranti, potrebbe essere rispedita indietro e, di fatto, mandata a morire. Deportare Pegah Emambakhsh non sarebbe semplicemente un'ingiustizia: sarebbe indegno di uno Stato civile.


John Lloyd  ( Traduzione di Anna Bissanti , 23 agosto 2007 - Fonte: La Repubblica  )


La priorità assoluta spetta a tutto ciò che si può fare per salvare questa persona, senza sottilizzare sull'entità del pericolo, perché il solo spettro di un pericolo del genere è terrificante di per sé. Se poi lo stato sovrano è l'Iran, c'è poco da sottilizzare, come sta facendo la Gran Bretagna, membro dell'Uniuone Europea e stato di tradizione liberale e democratica.


Non ho trovato appelli da firmare in rete, appelli al nostro Stato, che almeno in questo campo è affidabile. Qualcuno degli altri/e viandanti del web ci è riuscito?


Non è il tempo di fare polemiche, ma qualche rilievo devo farlo:


1. La Gran Bretagna continua nei suoi comportamenti incomprensibili, dalla guerra in Iraq in poi. Ora pare che l'Italia si stia attivando per offrire asilo politico a Pegah.


2. La notizia di un orrore simile che sta per essere perpetrato in Europa, prima che in Iran, non gode di grande interesse nei "nostri" mezzi di informazione.


3. L'Iran è uno stato sovrano, lo so. Le condanne a morte sono frequentissime ed eseguite spesso con metodi cruenti di crudeltà inaudita. La tortura sembra essere legale in quelle lande: le fustigazioni, gli strozzamenti lenti, le lapidazioni avvengono in pubblico e sono ampiamente documentate, perciò non voglio pensare a ciò che accade nel chiuso delle prigioni. Ultimo documento: Iran, frustato in piazza per aver bevuto alcol.Tutto questo viene fatto in nome di Allah (nome proprio arabo per indicare Dio). E mi tremano le mani mentre scrivo, nonostante la mia distanza siderale dalla blasfemia di questi pseudoreligiosi.


4. Mi si sta creando un problema sempre più grave con l'Islam. Come si può rispettare una religione in nome della quale, senza che i vari seguaci muovano ciglio, si applica la legge della sharia? La non violenza, l'in-nocenza, l'ahimsa, in cui mi riconosco come essere umano, mi spingono a ribellarmi, a oppormi, a gridare.


*



Ringrazio Masso57 e Pling per la collaborazione ampia e generosa. Bisogna fare scrivere ora tutte le mail possibili a tutti gli indirizzi indicati, ma poi bisognerà mantenersi vigili, perché nessuno approfitti del silenzio che seguirà inesorabilmente.




  • Sit In di fronte all’Ambasciata Britannica a Roma
    in via XX settembre 80
    lunedì 27 agosto 2007 dalle ore 18,30.  
    Per adesioni inviare una mail a: presidente@arcigay.it



  • Questo il testo dell’appello in italiano del Gruppo Everyone, per sottoscrivelo, inviare una mail con nome e cognome e con oggetto "Adesione appello caso Pegah Emambakhsh" a o matteo.pegoraro@infinito.itroberto.malini@annesdoor.com



  • Per ulteriori approfondimwenti: www.rowzane.com

    IRanian Queer Organization: 
    www.imgpress.it 



  • Un modo per scongiurare che questo avvenga occorre mandare una mail all'indirizzo: savepegah@gmail.com - la mail dovrà avere come oggetto "Save Pegah" e servirà per sottoscrivere l'appello lanciato dall'associazione del Gruppo EveryOne, che lotta affinché non ci siano ancora tragedie assurde come questa.



  • Possiamo inoltre scrivere al nostro governo mandando una mail all'indirizzo relazioni.pubblico@esteri.it , affinché il ministero italiano degli esteri faccia pressioni alla Gran Bretagna per scongiurare l'estradizione.




  • Invece, in UK: (da http://www.ukgaynews.org.uk/Archive/07/Aug/2301.htm)

    Letters of support of for Pegah Emambakhsh should be sent to: Rt. Hon. Jacqui Smith MP, Home Secretary, 2, Marsham St, London, SW1P 4DF. Because of the urgency and the holiday weekend, faxing the letter is suggested. The fax numbers are: + 44 (0) 207 035 3262 or +44 (0) 207 035 2362.
    In either case the letter (envelope or fax) should be clearly marked for ‘The personal attention of The Home Secretary’. The Home Secretary’s email address is homesecretary.submissions(at)homeoffice.gsi.gov.uk – replace “(at)” with “@”.
    “So we can keep a record of what has been written please send a brief email to: pegahletters(at)mac.com to let the campaign group know who you have written to and by what form (letters, fax, email),” the Assist spokesperson requested.






  • Ecco alcune e-mail dove inoltrare una, dieci, cento, mille mail (civili) di protesta, per la vita di Pegah:

    Home secretary, Jaqui Smith at the link below http://www.upmystreet.com/commons/email/l/37.html
    Pegah's own MP richard Caborn is here
    http://www.upmystreet.com/commons/email/l/582.html

    the Prime Minister, Gordon Brown is here
    http://www.upmystreet.com/commons/email/l/850.html

    Home Offices ministers:

    Vernon Coaker 
    http://www.upmystreet.com/commons/email/l/528.html

    Tony McNulty 
    http://www.upmystreet.com/commons/email/l/393.html

    Liam.Byrne@homeoffice.gsi.gov.uk





lunedì 11 giugno 2007

     Il Ruanda abolisce la pena di morte


 


"La notizia dell'abolizione della pena di morte in Ruanda e quella del 58% di americani favorevoli alla moratoria delle esecuzioni, dichiarano in un comunicato Sergio D'Elia ed Elisabetta Zamparutti di Nessuno tocchi Caino, sono "segnali eccezionali che confermano la certezza di una maggioranza assoluta alla Assemblea Generale dell'Onu, una maggioranza a cui l'Unione Europea impedisce da tredici anni di esprimersi". [ La Repubblica, 10 giugno 2007 ]

Se è irrinunciabile che i responsabili dei crimini vengano puniti, è un grande avanzamento civile e umano che il Ruanda abbia deciso di non ricorrere alla pena di morte per fare giustizia.




Ricordiamo bene i massacri di enormi proporzioni in Ruanda, un vero e proprio genocidio perpetrato in brevissimo tempo, dall'aprile al luglio del 1994. Le vittime furono in massima parte di etnia Tutsi, in minoranza rispetto all'etnia Hutu.


Parlando del concetto di Ubuntu, Desmond Tutu, scrive: "Noi  siamo intessuti in una fitta rete di interdipendenze: come diciamo con un'espressione africana, una persona è una persona attraverso altre persone. Disumanizzare l'altro significa inevitabilmente disumanizzare se stessi." Ma, sul genocidio in Ruanda, non può fare a meno di domandarsi: "Come mai i ruandesi non hanno dato prova della qualità dell'unbuntou, distruggendosi invece l'un l'altro nel più cruento genocidio che mai si ricordi nella storia di quel bellissimo paese? Non so come mai. Posso soltanto dire che chiaramente non sitratta di un processo automatico, che si verifica invariabilmente; e che neppure si tratta di una qualità specifica dei neri, perché il Sudafrica ha avuto la grazia di annoverare tra i suoi cittadini persone eccezionali di tutte le razze, non solo neri ma anche bianchi." [ D. Tutu, Non c'è futuro senza perdono, Feltrinelli, pag. 33 ]


Questa importantissima cancellazione del crimine di stato detto "pena di morte" significa per il Ruanda un ritorno all'Ubuntu. E intanto va avanti la lotta a suon di digiuni di Pannella e degli altri. Non è positivo che si sia resa necessaria questa forma di lotta nerll'Italia e nell'Europa di oggi. E' degna di biasimo la mancanza di interesse del nostro servizio pubblico televisivo, a parte qualche eccezione di non grande peso (ieri però ho visto un buon servizio su RAI 3). E' insopportabile l'ambiguità della Germania e di parte della UE nel portare avanti la moratoria in un momento che sembra quanto mai favorevole. Ma di chi o di che cosa hanno paura. Mica della solita Cina, o dei gemelli polacchi, tanto per fare un paio di nomi?


Aggiornamento del 12 giugno 2007, 09:35


"Il tribunale del Ruanda assume spesso decisioni di portata storica: non posso dimenticare che fu il primo al mondo, nei primi anni 90, a considerare lo stupro, durante le guerre, come crimine contro l'umanità. In Ruanda il ricorso allo stupro puntava a cancellare l'altra etnia: accompagnato da mutilazioni di genitali, femminili e maschili, come per eliminare un'intera stirpe, ben oltre il confine tra misoginia e razzismo.
La nostra Europa ha avuto bisogno del conflitto nella ex Jugoslavia per accettare, anni dopo, questa nuda realtà." dal commento di Masso57


Sono interessanti queste lezioni che arrivano dal Ruanda, il posto dal quale meno te le aspetteresti. Sarei grata a Massimo se mi ripescasse la fonte della notizia, perché è stupefacente il contrasto con le vicende ruandesi dei primi anni '90 e in particolare dei terribili mesi del 1994. Comunque l'Unione Europea fa una ben strana politica. Ora c'è il problema del sostegno alla richiesta di moratoria della pena di morte. Moratoria, attenzione, non abolizione.


Link forniti da  Masso57: 1. International Criminal Tribunal for Rwanda - 2. IL GENOCIDIO IN RWANDA - 3. Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda


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Ho scoperto e firmato poco fa un appello di "Nessuno tocchi Caino" al governo italiano per la moratoria ONU delle esecuzioni capitali.  APPELLO QUI



Noi sottoscritti:


conosciamo fin dal 1994, e riconosciamo in queste ultime settimane, la leadership dei Governi e del Movimento Pro-Moratoria italiani a favore della proclamazione di una Moratoria universale della pena di morte alle Nazioni unite. Riteniamo che, dopo anni di rinvii e ricerche di consensi dell'Unione europea in quanto tale non richiesti né necessari, il tempo per l'azione al Palazzo di Vetro sia dunque arrivato.


Ci appelliamo quindi al Presidente del Consiglio Romano Prodi, dando seguito alle delibere del Parlamento italiano e agli inviti e riconoscimenti del Parlamento europeo, affinché depositi nelle prossime ore, assieme al gruppo di paesi di tutti i continenti che si sono già manifestati, il progetto di risoluzione definito sulla base della Dichiarazione di associazione del dicembre scorso già sottoscritta da 93 paesi, per la Moratoria universale della pena di morte, al fine di porlo al voto entro la sessione in corso dell'Assemblea generale.


mercoledì 18 aprile 2007

Levare la mano per uccidere


C'e' un senso di stordimento fra gli americani con cui parlo dopo la strage del Virginia Tech. Alcuni deprecano l'incontrollata circolazione delle armi, ma il diritto individuale di possedere delle armi e' ben lontano dall'essere messo in discussione. Sono in pieno corso nei dibattiti e nelle dichiarazioni i tentativi di dare un senso a questo orribile massacro, con la consueta teoria di analisi psicologiche, di interviste ad autorita' e sopravvissuti, di richiami alla necessita' di servizi per la salute mentale, non molto diversamente da cio' che avviene nei media italiani. Il silenzio non e' previsto, non e' nemmeno immaginabile. D'altra parte anch'io ho bisogno di parlare, ma so che non potrei che dire cose sentite ma vane. Non ha parlato banalmente, invece, Furio Colombo oggi su L'Unita'.


Usa, moratoria per le stragi


Da molti anni, ormai, dagli anni di Reagan, la vita interna americana è stretta in una morsa che blocca l’immagine democratica di quel Paese e ne limita il valore di modello nel mondo. Sto descrivendo il corrispondersi, simmetrico e tragico, della pena di morte, ovvero della morte data «per ragioni giuste» dallo Stato, e della libera e impetuosa circolazione della armi.

Armi (personali, semiautomatiche e automatiche) che rendono possibile a singoli individui - non importa per quali ragioni - di eseguire, anche in dimensioni impressionanti, una propria “giusta” sentenza, legittimata dall’orgoglioso possesso dell’arma e dal sentirsi parte di uno Stato che ha l’autorità di uccidere. Occorre cominciare di qui, dalla pena di morte e dalla morte di Stato, che purtroppo segna ancora la vita americana, per provare a riflettere sulla spaventosa carneficina nel Campus del Virginia Technological Institute, uno dei più avanzati centri di formazione tecnico-scientifica negli Stati Uniti e forse nel mondo.

Come si vede il livello altissimo della migliore cultura scientifica sfiora, senza vederlo, il problema del pericolo che incombe sempre sulla protezione della vita. L’esempio allarmante è in quella fotografia mostrata la sera del 16 aprile nel programma «Controcorrente» di Corrado Formigli. Si vede il preside di una facoltà del Technological Institute della Virginia che riceve un vistoso premio in danaro per la sua scuola dalla National Rifle Association, la potente lobby americana delle armi. Che cosa ha fatto il preside per meritare quel premio? Ha creato o aiutato a creare nel suo Stato (ed evidentemente impiegando risorse e personale della Università colpita dalla strage) una serie di club o centri per i ragazzi e adolescenti. Hanno il macabro nome di «Shooting Educational Centers» luoghi in cui - tra i dodici e i quattordici anni - ragazzi e bambine imparano a usare “correttamente” le armi da fuoco. “Correttamente” - ti dicono - vuol dire imparare a non usare le armi a sproposito. Ma il senso vero, specialmente se impersonato da un educatore-tiratore traspare facilmente: “corretto” è il tiro che centra il bersaglio. Lo sparatore del Virginia Tech ne ha centrati trentatré, senza contare i feriti.

* * *


Spostiamoci ora sull’altro lato della tenaglia, la pena di morte che continua ad essere eseguita in trentasei Stati americani, nonostante vistose prove e documentazioni di errori giudiziari, di condannati innocenti e di esecuzioni lunghe e terribili dovute a macabri errori.

Viene dall’Italia il messaggio che potrebbe interrompere la sequenza senza sfidare l’orgoglio e la legittima rivendicazione del diritto di decidere degli Stati che - come l’America - continuano a credere nella pena capitale. Il messaggio - è necessario ricordarlo - è di Marco Pannella. Da 25 giorni digiuna per dire: «fermatevi. Non occorre rivedere alcuna legge, aprire alcuna disputa, discutere principi che alcuni ripugnano e ad altri appaiono sacri. Fermarsi vuol dire solo smettere di eseguire le condanne. Il termine è “moratoria”». Moratoria universale per la pena di morte nel mondo.

Il senso è «Io non pretendo di essere più giusto di te. Ti chiedo solo di fermarti e dare spazio e tempo al confronto di idee». A chi lo sta dicendo Pannella con la sua testarda manifestazione che sembra locale e riguarda il mondo e stranamente provoca meno attenzione del premio di maggioranza alla tedesca? Lo sta dicendo al governo italiano affinché presenti - insieme a molti altri governi che condividono la civiltà della proposta - una risoluzione che la Assemblea generale delle Nazioni Unite potrebbe votare (ci si è quasi riusciti in passato) in questa sessione. Cioè subito. È ovvio che non stiamo parlando di un simbolo. La moratoria che dice “Basta morte di Stato” è un messaggio che si estende all’impegno di far prevalere la politica sulla guerra, la trattativa sull’ultimatum, la forza del diritto sulla forza delle armi. E qui, all’altro capo della grande questione troviamo l’enorme fenomeno della libera circolazione delle armi. E noi, che in Italia ne fabbrichiamo di ottime e ci vantiamo che vadano forte sui mercati di Stato di Usa e Cina, non possiamo chiuderci in un comodo giudizio di condanna della “solita violenza americana”.

* * *

Un argomento è che la moratoria o riguarda il mondo o non riguarda nessuno e dunque ci collega in modo attivo e intelligentemente interventista all’orrore delle stragi, che sono esecuzioni informali.

Un altro argomento - e qui so di forzare le motivazioni assai più ecumeniche e rispettose della moratoria sulle esecuzioni delle condanne a morte invocata da Pannella - è che è urgente spezzare una cultura della destra che salda l’uomo “giusto” che distribuisce pene eque (la vita si paga con la vita) con l’uomo “giusto” che viene avanti dalla prateria dotato di armi adeguate, fiero del diritto di portare quelle armi, implicitamente consapevole del diritto a usarle.

* * *

Cominciano insieme, nella recente storia politica americana, il ritorno (dopo un lungo intervallo senza esecuzioni) della pena di morte, principio e pratica, e il riaffermare intenso, continuo, fanatico del diritto di portare le armi, che risponde alle esigenze di una vasta e moderna produzione di pistole e fucili molto più che al principio costituzionale vecchio di secoli e tutt’altro che invocato da gran parte degli americani. Il debutto avviene nel 1988 quando, nel corso della campagna elettorale del democratico Dukakis, allora governatore del Massachusetts contro George Bush padre, un detenuto nero condannato per stupro ha stuprato e ucciso mentre era in permesso fuori dal carcere. L’evento ha stroncato Dukakis, riaperto la strada alla pena di morte e - nel corso della stessa campagna elettorale - rilanciato il diritto dei cittadini liberi e “giusti” di portare armi. Si tratta di armi leggere dell’ultima generazione. Ma tutto è avvenuto lungo un percorso promozionale in quattro tappe: prima la pistola per difesa, poi il fucile per la caccia, quindi il semiautomatico che, con lievi modifiche artigianali diventa arma automatica da guerra. Infine il diritto di portare “concealed weapons”, armi nascoste sulla propria persona. Ovvero il diritto di girare armati. Anche questo ritorno di fiamma della libera circolazione delle armi ha il suo momento di triste celebrazione: il capo di una setta cristiana detta “davidica” , David Koresh, che era ricercato dallo Fbi perché aveva fatto apertamente incetta di armi automatiche nella sua chiesa-fortino di Waco, Texas, è sfuggito all’assedio della polizia facendosi saltare in aria con più di 80 fedeli fra cui 19 bambini. Era il 19 aprile 1993. L’evento è stato visto e denunciato come un tentativo del governo federale di impedire agli “uomini giusti” di armarsi. Ed è stato brutalmente vendicato.


Lo stesso giorno, nel 1995, il soldato McVeigh (non si sa con quali complicità) ha fatto saltare in aria l’edificio federale di Oklahoma City: centosessantotto morti fra cui 19 bambini, lo stesso numero delle piccole vittime di Waco. Contro le richieste dell’intero mondo giuridico americano, McVeigh è stato condannato a morte. Neppure l’esecuzione della condanna ha chiuso il caso. La memoria di Oklahoma a destra è cancellata, ma non l’episodio di Waco che è ancora citato come esempio del delitto di perseguitare chi “legittimamente” vive armato. Come si è detto, la parte sanguinosa di questa storia è coperta dalla parte promozionale, “Educational Shooting”, avviare i ragazzi a sparare. I parlamentari americani per ora non si oppongono perché la lobby delle armi non scherza nel diffamare chi vuole porre un freno al loro mercato, come è accaduto nelle ultime elezioni al candidato democratico ed eroe di guerra John Kerry, come è accaduto negli otto anni della sua presidenza a Bill Clinton, ostinato avversario della libera circolazione delle armi. La strage di Virginia Tech provocherà una rivolta dell’America che si oppone? Lo abbiamo detto: molto, forse tutto, dipende dalla moratoria universale sulla pena di morte, il congelamento del simbolo, della bandiera, della cultura delle armi. Sarebbe immensamente importante per tutta la cultura democratica nel mondo. E molto più efficace della ricorrente esecrazione, dopo ogni vittima della morte di Stato e della morte di mercato. Sarebbe il segnale di una vera campagna popolare contro la circolazione delle armi e il presunto e folle diritto di uccidere.
furiocolombo@unita.it


L'Unita', Pubblicato il: 18.04.07 - Modificato il: 18.04.07 alle ore 9.17 - >>>QUI<<<

venerdì 1 dicembre 2006

PENA DI MORTE



"Dall'anno 2000 il Consiglio Regionale della Toscana ha approvato una legge per celebrare, il 30 novembre, la `Festa della Regione Toscana', una festa che vuole essere un omaggio a tutti coloro i quali si riconoscono nei valori della pace, della giustizia e della libertà, la cui voce echeggiava alle cinque della sera del 30 novembre del 2000, giorno della prima celebrazione della festività, quando le campane hanno suonato a festa in tutta la Toscana per un laico rito della memoria.
La Regione, con in testa il suo capoluogo, infatti, ha istituito la festa commemorativa del 30 novembre, per ricordare il giorno in cui ricorre l'anniversario della Riforma Penale promulgata, a quella data nel 1786, da Pietro Leopoldo di Lorena, Granduca di Toscana dal 1765 al 1790.
Con tale Riforma, che del Granduca fu " monumento e gloria", secondo uno storico del primo Novecento, la Toscana divenne il primo Stato al mondo in cui si abolì la pena di morte, uno degli atti più incivili perpetuati fino ad allora da tutti i governi, "conveniente -secondo Pietro Leopoldo- solo ai popoli barbari".
Il 30 novembre, pertanto, non è una data fondamentale solo per l'antico Granducato di Toscana o interessante per coloro che si occupano di storia, è il primo giorno di una storia nuova per tutti gli uomini dal XVIII secolo ai nostri tempi. Fu il principio di una rinnovata vita per l'intera umanità, una vita che nacque lungo le sponde dell'Arno.
"Abbiamo veduto -leggiamo al LI articolo della Riforma- con orrore con quanta facilità nella passata Legislazione era decretata la pena di Morte per Delitti asco non gravi, ed avendo considerato che l'oggetto della Pena deve essere la sodisfazione al privato, ed al pubblico danno, la correzione del Reo figlio anche esso della Società e dello Stato, della di cui emenda non può mai disperarsi, la sicurezza nei Rei dei più gravi ed atroci Delitti che non restino in libertà di commetterne altri, e finalmente il Pubblico esempio; che il Governo nella punizione dei Delitti, e nel servire agli oggetti ai quali questa unicamente è diretta, è tenuto sempre a valersi dei mezzi più efficaci col minor male possibile al Reo ...avendo altresì considerato, che una ben diversa Legislazione potesse più convenire alla maggior dolcezza, e docilità di costumi del presente secolo, e specialmente nel popolo Toscano, Siamo venuti nella determinazione di abolire come Abbiamo abolito con la presente Legge per sempre la Pena di Morte contro qualunque Reo..." . Con l'abolizione della pena di morte aveva anche termine l'uso della tortura e della mutilazione delle membra."... continua qui: http://www.comune.firenze.it/mese/festivita/regionetoscana.htm


 Hanno di che essere orgogliosi i nostri concittadini della Toscana. E noi italiani tutti con loro. Un primato planetario nel percorso tormentato della storia umana, in cui molti stati del mondo di oggi sono ancora ultimi. Ultimi anche se hanno avuto tutte le occasioni per non esserlo. Penso soprattutto agli Stati Uniti, non perché mi siano antipatici, al contrario, perché penso che la loro storia e i loro fondamenti democratici avrebbero dovuto portarli a essere fra i primi ad abolire la barbarie della pena di morte e della tortura. E, invece, oggi abbiamo un presidente come Bush, grande sostenitore della pena di morte e reintroduttore della possibilità di torturare. Non che sia tenera con la Cina e l'Iran, ai primi posti di questa graduatoria di barbarie, e con tutti gli altri stati nella stessa condizione.


Ieri la GIORNATA MONDIALE CONTRO LA PENA DI MORTE.


Roma 30 novembre 2006. "Un grido contro la pena di morte che parte da Roma per scuotere le coscienze e dire no alle esecuzioni.  L'appello parte dalla  capitale che, insieme ad altre 500 città nel mondo, darà  il via  alla quinta edizione dell'iniziativa contro la pena di morte e per eliminarla  dalla legislazione internazionale. Oggi 30 novembre, tutte le città che hanno aderito - tra loro 33 capitali tra le quali Bruxelles, Madrid, Parigi, Vienna, Bogotà - si collegheranno alla capitale italiana per la più grande mobilitazione internazionale finora mai realizzata per fermare ovunque tutte le esecuzioni. Settantasei in tutti i Paesi che ancora la contemplano nel proprio ordinamento giudiziario." RaiNews24: http://www.rainews24.it/Notizia.asp?NewsID=65691  


Forse sono distratta, forse sono vanamente polemica, ma devo dire che sono desolata per il "quasi" silenzio dei nostri media nazionali. Notizie sfumate nei telegiornali, nessun programma di approfondimento sul tema. Sarò grata a chi mi dirà che sbaglio o a eventuali programmi futuri che smentiranno questo mio senso di indignazione di fronte all'indifferenza.


venerdì 4 marzo 2005

Una buona notizia dagli USA 


Storica decisione del massimo organo giurisdizionale statunitense
Era ancora in vigore in 19 stati. Effetti immediati per 70 detenuti


Usa, stop alla pena di morte ai minori
Corte suprema: "E' incostituzionale"



E' stata definita "crudele" e contraria ai principi fondanti dell'Unione
Positivo commento di Amnesty International: "Una grande vittoria"

NEW YORK - La Corte suprema degli Stati Uniti ha definito incostituzionale l'esecuzione di detenuti che avevano meno di 18 anni all'epoca in cui hanno commesso delitti. La sentenza mette fine alla pena di morte per i minorenni, ancora in vigore in 19 stati degli Usa.

La decisione, piuttosto risicata, presa dai giudici 5 voti favorevoli e 4 contrari, ha effetto immediato per circa 70 detenuti nel braccio della morte e impone agli stati di non chiedere più la pena capitale per i minori di 18 anni, perchè ritenuta "crudele" e contro i dettati della Costituzione.

La Corte Suprema ha fatto propria una precedente sentenza di un tribunale del Missouri che aveva impedito l'esecuzione di alcuni condannati per crimini commessi quando non avevano ancora compiuto i 18 anni di età.

Per festeggiare la notizia, il sindaco di Roma ha deciso che questa sera il Colosseo sia illuminato: "La decisione della Corte - ha commentato Walter Veltroni - è una vittoria per tutti quanti, nel mondo, si battono per l'abolizione della pena di morte".

Anche Amnesty International ha commentato positivamente la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti: ''La sentenza rappresenta una grande vittoria di Amnesty International e dei movimenti abolizionisti che da anni chiedevano questo provvedimento. Auspichiamo - ha detto Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia - che questa sentenza possa essere a breve seguita da analoghe decisioni degli organi giudiziari e legislativi in Arabia Saudita, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo e Iran, paese in cui dal 1990 sono state eseguite almeno 11 condanne a morte di minorenni''.


Dal 1990 sono state almeno 35 le esecuzioni di minorenni all'epoca del reato accertate da Amnesty International in Usa, Iran, Pakistan, Arabia Saudita, Yemen, Cina, Repubblica Democratica del Congo e Nigeria.

"Save the Children", organizzazione non governativa impegnata a favore dei minori, si augura che la sentenza di incostituzionalità emessa dalla Corte suprema rappresenti "il primo, fondamentale passo verso la ratifica della Convenzione sui Diritti del Fanciullo che gli Stati Uniti, unico paese al mondo, ancora non riconoscono come documento normativo vincolante".

La Repubblica, 1 marzo 2005


Mi domando come sia possibile che gli Stati Uniti non abbiamo ancora ratificato la Convenzione sui Diritti del Fanciullo. Non lo sapevo e non l'avrei mai immaginato, mi sembra incredibile, spero che sia un errore. Per quanto riguarda l'abolizione della pena di morte per i minorenni all'epoca del delitto, voglio sperare che sia un primo passo della Corte Suprema verso l'abolizione della pena di morte in assoluto almeno nella "più grande democrazia del mondo".