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domenica 31 luglio 2011


GIUSEPPE D'AVANZO

  


il coraggio della parresia
 



Un grande giornalista e il suo impegno appassionato, intelligente, onesto. E coraggioso. Già, coraggioso. Mi stupiva molto il coraggio delle sue inchieste e gliene ero grata, perché la parresia comporta dei rischi e richiede coraggio per affrontarli. Nel buio politico attuale cercare e dire la verità, per quanto possibile, comporta più che mai delle difficoltà. Il giornalista D'Avanzo ha accettato difficoltà e pericoli e pesi. Con generosità e discrezione, senza la pretesa dell'infallibilità.
Simpatia e compassione per le persone che più erano vicine a Peppe, per gli amici e le amiche, i colleghi e le colleghe. Condoglianze a La Repubblica. E condoglianze anche a tutti noi lettori e lettrici che trovavamo sostegno e incoraggiamento nel lavoro del giornalista dalla schiena diritta.

 



 *

La forza e il coraggio
di Ezio Mauro

 



Sembra impossibile credere che la forza di Peppe D'Avanzo, uno dei segni distintivi del suo carattere e del suo mestiere, abbia dovuto arrendersi, ieri mattina, quando la morte è arrivata troppo presto, a 57 anni. La forza, e il coraggio. Volersi far carico - e saperlo fare come nessun altro - delle situazioni più complicate e difficili, correre il rischio, accettare ogni volta la sfida, e vincerla. Fino all'ultima, ieri, che non ha potuto nemmeno combattere.
Il tempo appena di chiamare "Attilio", e morire tra le braccia di Attilio Bolzoni, l'amico con cui aveva indagato per anni sui misteri criminali della mafia. Il giornalismo è così, brucia giornate e settimane intere di lavoro nello spazio di un articolo, di un titolo, di una fotografia. Sembra una condanna all'effimero, dove nulla dura abbastanza per acquistare
sostanza e tutto è subito sopravanzato dall'urto della cronaca. E invece, qualcosa si deposita ogni giorno, dal fondo di questo mestiere, mentre si compie. È un accumulo di conoscenza e di sapere, non di semplice esperienza, quella che si può davvero chiamare l'intelligenza degli avvenimenti. E insieme (più difficile da riconoscere nei tempi convulsi in cui il giornale prende forma e si fa, ogni giorno) è un deposito di umanità e di passione, che lega le persone nelle loro diversità e anche nella naturale competizione: attraverso il gioire e il patire insieme, condividendo campagne e battaglie, o anche lo sforzo semplice ma necessario di comprensione dei fenomeni che abbiamo davanti.

È il sentimento del giornale, che è il senso di un'avventura comune. Per questo noi di "Repubblica" piangiamo prima di ogni cosa il nostro compagno, con cui abbiamo diviso passaggi difficili e momenti esaltanti, attraverso arrabbiature, soddisfazioni, tentativi, scoperte, per trovare al giornalismo quella strada che gli consentisse ogni volta di venire a capo di tutto, e risolvere ogni cosa. Perché questo interessava a D'Avanzo: il giornalismo. Poter fronteggiare la realtà, poterla indagare e decifrare applicando gli strumenti e le regole del mestiere, senza risparmiarsi mai, con un'adesione quasi fisica alla sua passione che era diventata una missione. Nelle situazioni più complesse, quando la realtà apparente sembrava dar torto al nostro lavoro, D'Avanzo sapeva richiamare se stesso, noi e dunque i lettori alla realtà vera delle cose, badando alla sostanza.

Durante le grandi campagne di stampa di cui è stato protagonista, quando il rapporto di forza tra un giornale e il potere dominante sembrava sproporzionato e squilibrante, se qualcuno domandava dov'era il punto d'arrivo, la via d'uscita, lui rispondeva sicuro: non ce n'è bisogno, noi abbiamo messo in moto qualcosa di importante, il potere reagirà e il nostro giornalismo deciderà da solo come rispondere. È semplice. Sapeva rendere semplici situazioni complesse.

Il suo giornalismo era cresciuto negli anni, ma ancora lo esaltava la grande cronaca, stava ragionando su un'inchiesta in val di Susa sulla Tav, voleva tornare a Napoli per i rifiuti, era attirato dallo scandalo della pedofilia in Vaticano e dalle convulsioni della Rai. Ma con gli anni, aveva imparato a trarre da ogni vicenda il filo invisibile che riporta al potere, e svela come il potere agisce. In questo la sua capacità di analisi si era affinata, attraversava la politica, l'economia, la giustizia, e gli consentiva ogni volta di arrivare al cuore del potere italiano, dandone una rappresentazione impietosa perché veritiera. Era ormai il protagonista di un'operazione giornalistica e culturale senza uguali, un'indagine permanente sul potere. Che infatti lo temeva più di qualsiasi altro giornalista.

Non si può dimenticare che D'Avanzo è stato spiato e pedinato nel corso delle sue inchieste più delicate, che una delle varie diramazioni miserabili dei nostri servizi segreti (che dovrebbero servire lo Stato democratico e le sue istituzioni) preparava dossier su di lui, che l'ansia impaurita di questi funzionari deviati li aveva spinti più volte a chiedere a giornalisti infedeli su che cosa stava lavorando D'Avanzo, che cosa stava scrivendo, che articolo preparava per il giorno seguente. Sapeva perfettamente di essersi spinto in territori pericolosi, sapeva che la forza delle sue inchieste lo esponeva personalmente, soprattutto davanti ai metodi obliqui e irresponsabili di quella che aveva svelato e battezzato come la "macchina del fango". Da qui, anche, la sua solitudine, il sentimento individuale del rischio, la ricerca continua di una condivisione necessaria con il vertice del giornale. E la scelta di vivere senza mai potersi permettere un errore, dunque senza nessun rapporto con i potenti, uomini della politica o dell'economia, decidendo ogni volta cosa scrivere in base ai dati nudi della realtà, e a nient'altro, senza condizionamenti di alcun genere.

 Tutto ciò già dagli anni di Falcone, del lavoro sulla mafia. Poi nelle grandi inchieste internazionali, come il caso Abu Omar e il Nigergate. O lo scandalo delle tangenti Telekom Serbia, svelato su "Repubblica" quando al governo c'era la sinistra, e poi smontato nella gigantesca calunnia successiva, quando la destra organizzò una campagna diffamatoria e falsa contro Prodi, Dini e Fassino. Fino al lungo lavoro finale su Berlusconi e sull'anomalia della destra italiana, quando dallo scandalo di Noemi Letizia, dalla denuncia di Veronica Lario e dalle contraddizioni del premier nacquero le 10 domande, scritte da D'Avanzo e finite sui giornali di tutto il mondo, a prova dell'irresponsabilità del potere. Il caso Ruby innescò una nuova inchiesta giornalistica, questa volta con l'indicazione di dieci bugie del Presidente del Consiglio, pubblicate ogni giorno per sei mesi, senza che Palazzo Chigi potesse smentirle. In più, il lavoro di anni sulla "struttura Delta", quella macchina del consenso che D'Avanzo vide per primo, al crocevia tra politica ed editoria, e che orchestrava l'informazione Rai e Mediaset a danno dei lettori e a vantaggio dell'azienda e della politica del premier.

Infine, la battaglia sulle leggi ad personam, che ha visto sempre D'Avanzo in prima linea, fino a dirottare (insieme con i lettori e altre forze capaci di reagire) la "legge bavaglio" sulle intercettazioni telefoniche. Ecco perché i lettori avevano imparato a considerarlo non semplicemente un giornalista, ma un punto di riferimento. Lo era anche per me, nelle telefonate mattutine, quando cercavamo di capire la direzione in cui si muoveva la giornata, commentavamo i segnali che arrivavano dai giornali, provavamo ad anticipare le mosse del potere, per poterle intercettare giornalisticamente. Adesso quelle telefonate non ci saranno più.

Non riesco nemmeno a guardare le foto di Peppe mentre lavora, a immaginarlo quando entra nella mia stanza e dice "C'è roba". Quando s'incazza, e non c'è verso di fargli cambiare idea. Quando critica, magari esagerando, ma sempre con un fondo di passione autentica per il giornalismo, per cui ogni volta - come ripetevamo tra noi - "vale la pena". Quando svela, come ancora giovedì scorso, incurvando le spalle, sentimenti delicati e profondi, che il mestiere regala senza dirtelo, dopo anni passati insieme. Su quelle spalle potenti, abbiamo caricato il peso di alcune partite giornalistiche tra le più difficili che "Repubblica" ha dovuto e voluto giocare, e che ha portato avanti grazie alla comune fiducia nel giornalismo, in democrazia, Ora quelle spalle che Marina ieri ha abbracciato per l'ultima volta, non hanno più retto. E noi alla fine piangiamo senza rimedio Peppe, il nostro compagno che non c'è più.





La Repubblica, 31 luglio 2011 -  © Riproduzione riservata  






 
 

martedì 12 luglio 2011

sabato 2 luglio 2011


LIBERA RETE IN LIBERO STATO
  La notte contro il bavaglio dell'Agcom

 



Il 5 luglio, dalla Domus Talenti di Roma andrà in scena la “Notte della Rete” , una no-stop che coinvolgerà giornalisti, esperti, associazioni, esponenti politici per protestare contro la delibera dell'Autorità garante per le Comunicazioni che, in presenza di violazioni del copyright, prevede l'oscuramento dei siti Internet. ...  .
 



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BLOG SCORZA: AGCOM E IL TELECOMANDO DI STATO
BLOG PAVONE: COPYRIGHT, DALLE PAROLE AI FATTI 
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venerdì 1 luglio 2011


Golpe sul web: fermiamoli



di Guido Scorza



Un'Autorità amministrativa di emanazione politica assumerà il controllo esclusivo di ogni contenuto in Internet. E' un 'codice di guerra' per trasformare la Rete italiana in una grande tv controllata da un pugno di politici e manager. Ed è una prova generale per violentare, sotto i nostri occhi, il principio della separazione dei poteri



(29 giugno 2011)

L'Espresso

 



10 domande per l’AGCOM




 



  


 




 

giovedì 12 maggio 2011


Sostiene Vittorio Feltri

William Blake_The great red Dragon_paticolare 

Blake_ Blake_The great Red Dragon_particolare - B. S.
 



"Il Diavolo e Berlusconi sono facce della stessa medaglia."
Libero, 12 maggio 2011

 



Non avrei mai potuto dire una cosa del genere, ma Feltri non ha il timore di evocare il maligno, sia pure per fare una battuta. Comunque sarebbe istruttivo riflettere su questa medaglia. 

martedì 10 maggio 2011


Come degli sprovveduti
al seguito di una "persona tragica"?


ma non lasciamoci distrarre come fossimo
la "media berlusconista" degli italiani
segue post sui referendum





foto copiata da Il Fatto Quotidiano_10 maggio 2011


"La media degli Italiani è un ragazzo di seconda media che nemmeno siede al primo banco... È a loro che devo parlare.
(dal Corriere della sera, 10 dicembre 2004)"

 



E' molto applaudito dal suo pubblico, che ride - risponde - reagisce a comando. Il suo pubblico, appunto. Ma per fortuna non è la media degli italiani.
Comincio la giornata con l'ormai consueto doloroso senso di incredulità e desolazione per l'affievolirsi dei poteri della democrazia disegnata dalla nostra Costituzione.

La fotografia, che è simile a molte altre del genere, questa volta ha colpito il mio immaginario riportando alla memoria una fabula di Fedro, letta in seconda media.
Ricordo che non sedevo al primo banco, perché ero troppo alta e il primo banco era riservato agli allievi più piccolini o ai più bisognosi di attenzione e cure didattiche.  
Ricordo bene, però, che eravamo molto critici a quei tempi e ci dedicavamo con feroce infantile precisione al rilievo delle contraddizioni degli adulti, in particolare gli insegnanti. Non ricordo punizioni, uniche regole era la buona educazione e l'argomentazione delle nostre affermazioni.
Nel caso in questione la sicurezza ci viene dalle regole democratiche, ancorché indebolite dalla violenta continua unilaterale rissa del "premier", che ritiene (a ragione finora) di piacere così. E non solo. Manca anche la bellezza della maschera. Absit iniuria verbis, è proprio tanto brutto, e non per la sua inesorabile vecchiezza. Tragico voler nascondere l'inoccultabile.
 
    degli adulti

 



Personam tragicam forte vulpes viderat:
«O quanta species, inquit, cerebrum  non habet!»
Hoc illis dictum est, quibus honorem et gloriam
fortuna tribuit, sensum communem abstulit. 

Ghirlandaio_Maschera_Firenze Uffizi

Ghirlandaio, Maschera_Firenze_Uffizi

Per caso una volpe aveva visto una maschera tragica:
«Oh quanta bellezza, disse, ma non ha cervello!».
Ciò è stato detto per coloro ai quali onore e gloria
la sorte ha concesso, ma ha tolto la comune intelligenza.

Fedro, Fabulae, Libro I, VII 

domenica 10 aprile 2011


              Riappropriamoci del Va pensiero 


Comitato per la Bellezza: Riappropriamoci di Va' pensiero
 



RIAPPROPRIAMOCI DI "VA' PENSIERO"
CORO RISORGIMENTALE E UNITARIO


 



Il Comitato per la Bellezza propone ad altre associazioni culturali di organizzare una campagna mediatica per
 



"Va' pensiero"

strumentalizzato dalla Lega Nord
in funzione anti-unitaria e quindi anti-italiana.

 




Nel periodo in cui lo scrisse per "Nabucco", Giuseppe Verdi era, fra l'altro, animato da spiriti fortemente mazziniani. Per cui scrisse all'amico e librettista Francesco Maria Piave. "Sì, sì, ancora pochi anni, forse pochi mesi, e l'Italia sarà libera, una e repubblicana". Nel 1861 "libera e una" lo fu, "repubblicana" soltanto nel 1946. Ma Giuseppe Verdi la pensava così fin dal 1848. Non solo: nel gennaio del 1849 "inaugurò", si può dire, la seconda Repubblica Romana (soltanto ora rivalutata appieno, con un suo Museo inaugurato da Giorgio Napolitano), rappresentando al Teatro Argentina la "prima" della "Battaglia di Legnano", opera più di ogni altra patriottica e italiana. Presenti gli stessi Mazzini e Garibaldi, il successo fu così fragoroso che il teatro venne invaso dal pubblico che agitava bandiere tricolori e reclamava il bis dell'intero ultimo atto (come avvenne).

In questo 150° dell'Unità d'Italia dobbiamo quindi riappropriarci di "Va' pensiero", non per contrapporlo all'Inno di Mameli (operazione musicalmente priva di senso), bensì per rifarne a pieno titolo uno dei canti fondamentali del nostro Risorgimento nazionale ed europeo (sottolineiamo, europeo), sottraendolo ad un uso ormai chiaramente anti-italiano. Questo dobbiamo fare con la più solenne delle dichiarazioni collettive.

p. il Comitato della Bellezza

Vittorio Emiliani -v.emiliani@virgilio.it

 

domenica 6 febbraio 2011


DISINGANNO


Francesco Queirolo (1753-54)_DISINGANNO_Museo Cappella San Severo_Napoli

 



L' allegoria dell'uomo che si libera dal peccato, opera mirabile di Queirolo, mostra con la fiamma sulla fronte del genio alato, gli strumenti della liberazione:  l'intelligenza umana e la conoscenza.

Nulla impedisce di variare in parte il senso dell'allegoria sostituendo alla liberazione dal peccato l'idea della liberazione dagli inganni.

Le maglie della rete che imprigiona, oggi, sono appunto gli inganni, gli abbagli, le trappole di un potere politico concluso nel mantenimento e accrescimento di se stesso e dell' informazione quando è poco o punto veriteria e onesta.

E, infine, le maglie costruite da noi stessi. Autoinganni, fissità funzionali, accidia (ma l'elenco è molto più lungo).

Queste riflessioni hanno lo scopo di aiutarmi a comprendere cose incomprensibili, come il berlusconismo e il leghismo oggi, e a intravedere tutto ciò che può produrre il disinganno, come è stato fatto dalle persone che ieri a Milano hanno espresso la necessità di una liberazione che tarda a venire. Liberazione democratica, com'è ovvio, non violenta, nemmeno verbalmente, non distruttivamente emotiva, ma cognitiva e lungimirante.

I miei strumenti: parresia
, ahimsa, satyagraha.


Disinganno - Constatazione che qualcuno o qualcosa non è come si credeva o si sperava. (DISC) -'Atto, effetto del disingannare o del disingannarsi' XVII sec. - derivato da disingannare - 'togliere dall'errore' - disingannarsi - 'rendersi conto della della verità'. (Cortelazzo, Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli)
 



*
 democrazia e decadenza
di Adriano Prosperi

La Repubblica, 3 gennaio 2011

 



Perché, nonostante le prove schiaccianti di ripetute e numerose illegalità e turpitudini morali, gli italiani continuano a sostenere Silvio Berlusconi? Questa è la domanda che ci si pone fuori d' Italia. Il New York Times ha aperto uno spazio di dibattito sull' Italia intitolandolo così: "Decadenza e democrazia in Italia". È un titolo che ci ricorda un punto importante: dal punto di vista di una tradizione come quella americana la moralità e la democrazia sono essenziali l' una all' altra. Dalla decadenza morale discende la crisi della democrazia. Il politico che mente, che giura il falso, che dà esempi di vita palesemente immorale, che attacca l' ordinamento costituzionale, vi è non solo messo in stato d' accusa ed espulso dal gioco del potere ma è anche immediatamente colpito dal verdetto inappellabile dell' opinione pubblica. Il caso Berlusconi sembra fatto apposta per proiettare come in uno specchio rovesciato l' idea di democrazia agli occhi del paese che l' ha creata. Così gli argomenti hanno finito col battere sul tasto della diversità antropologica degli italiani: disposti a perdonare tutte le forme di corruzione, maschilisti e sessisti, portati a discriminare le donne più di ogni altro paese europeo e a consumare immagini di corpi femminili in una misura impensabile altrove. In quel dibattito sono intervenuti anche diversi italiani che hanno provato a rispondere e a fornire giustificazioni. Non hanno avuto un compito facile. E soprattutto non hanno centrato il nodo del rapporto tra moralità e democrazia. Si è andati dal piano politico - la presunta mancanza di alternative - a quello dell' imbonimento dei media asserviti in vario modo al padrone. Argomenti fragili, come ognun vede. Non siamo in un regime dittatoriale di controllo dell' informazione. E quanto a possibili alternative, ce ne sono anche troppe: il problema è che non riscuotono consensi nella stessa misura del personaggio che fuori d' Italia appare così sconveniente e grottesco. Ma la speranza è dura a morire e c' è chi ha chiesto ai lettori americani di avere pazienza promettendo a breve scadenza una normalizzazione della situazione italiana: così Alexander Stille ha concluso il suo intervento affermando che il pubblico italiano non sopporterà più a lungo il fatto che Berlusconi si occupi dei propri affari trascurando del tutto l' attività di governo. Questo sarebbe secondo lui l' unico "peccato imperdonabile" per gli italiani. Vedremo se la previsione sarà confermata. Ma intanto si è affacciata la questione squisitamente teologica e religiosa del "sin that may not be sorgiven", il "peccato imperdonabile". Che cosa abbia significato nella cultura puritana questo problema lo abbiamo imparato dalla grande letteratura dell' 800. Ma oggi è una domanda molto semplice quella che ci viene proposta dal paese di Melville e di Hawthorne: esiste almeno un peccato imperdonabile per gli italiani? La risposta negativa dei paesi di cultura non cattolica è a questo proposito antica e ben consolidata. Un viaggiatore inglese del ' 600 autore di un rapporto sullo stato della religione in Italia che fu postillato da Paolo Sarpi, Edwin Sandys, lo disse molto chiaramente: gli italiani gli sembrarono un popolo civile e accogliente, dotato di eccellenti qualità. Gli piacquero anche alcuni aspetti della loro religione. Ma trovò incomprensibile e del tutto esecrabile la pratica della confessione cattolica: il modo in cui nel segreto del confessionale i comportamenti più immoralie le infrazioni più gravi ai comandamenti cristiani venivano cancellati al prezzo di qualche orazioncella biascicata distrattamente gli sembrò una vera e propria licenza di immoralità, un modo per corrompere in radice la natura di un popolo. Oggi quei tempi e quelle idee sono lontani ma il problema si ripropone. La questione teologica di allora ci si presenta come qualcosa che riguarda il paese interoe tocca la radice profonda della convivenza democraticae del funzionamento delle istituzioni. È il problema della moralità pubblica come cemento della democrazia, o in altre parole della sostanza morale della democrazia, come questione del rapporto che deve esserci tra il buon ordinamento della società e il patto stretto dal politico con gli elettori: l' impegno ad accettare le regole, quelle del fisco, della giustizia, della libertà d' informazione, incluso l' obbligo a sottostare alla legge comee più di ogni privato cittadino. Ora, che questo problema sia stato ignorato clamorosamente dalla dirigenza della Chiesa cattolica italiana anche nei suoi recenti e imbarazzati pronunciamenti è qualcosa che rinvia ai caratteri profondi della religione italiana e non può essere spiegato soltanto dalla difesa del proprio potere e dalla ricerca dei favori governativi da parte di chi si arroga la funzione di maestro e censore della morale collettiva. Ma è dal punto di vista della sopravvivenza della democrazia italiana che quello che ci viene proposto da Berlusconi in questo tardo autunno dell' "egoarca" appare come un patto scellerato: si tratterebbe di affrontare i problemi del paese lasciando cadere come irrilevanti i capi d' accusa dei tanti reati che pendono sulla testa del premier. Se anche fosse vero che accettando questo pattoi problemi di un paese ridotto nelle condizioni che ognuno vede sarebbero risolti, la questione è quella della natura del regime che noi italiani ci troveremmo ad avere inventato. E qui torna utile la domanda che fu posta da Benedetto Croce a proposito della natura del fascismo: rivoluzione o rivelazione, trasformazione violenta e radicale dell' assetto politico del paese o disvelamento di una verità profonda, di carenze antiche e radicali, tali da rendere il paese Italia diverso da tutti gli altri. Oggi, al termine - speriamo, infine- di un' avventura individualee collettiva che consegna una fetta consistente di storia del Paese alla figura di Berlusconi, gli italiani tutti e non solo la classe politica, sono giudicati nel mondo per ciò che hanno accettato e premiato con le loro sceltee di cui continuano a non volersi liberare. Come nel rapporto tra personaggio e ritratto descritto da Oscar Wilde ne "Il ritratto di Dorian Gray", oggi il nostro Paese e la qualità morale della nostra convivenza civile sono diventati il ritratto rivelatore della verità nascosta del personaggio Berlusconi: brutti, vecchi, laidi, corrotti. Così li giudica l' opinione pubblica democratica dei paesi civili. - ADRIANO PROSPERI 
 

lunedì 3 maggio 2010


3 Maggio
Giornata Onu per la Libertà d’Informazione



Giornata Unesco per la libertà di stampa nel mondo. I Tg italiani se ne dimenticano

Libertà di informare e di essere informati. La menzogna non è libertà.

Urgono grandi e piccoli atti di ribellione per tenere la testa alta e allontanare la vergogna dell'acquiescenza, dell'indifferenza, della mancanza di dignità. Per esempio:

"La dignità dei giornalisti e il rispetto dei cittadini"

Valigia Blu


le ronde di controllo del Tg1

Minzobugie, blitz in RAI

Clicca sulla foto


Minzobugie, secondo tempo






 



martedì 11 agosto 2009

BERLUSCONISMO


L'informazione assoluta di Berlusconi


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(AGI) - Roma, 10 ago. - "Non esiste da nessuna parte un servizio pubblico che critica il governo essendo pagato dai cittatdini e anche il Pd dovrebbe apprezzare un'azienda che non attacca ne' il governo ne' l'opposizione'". Cosi' il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in una intervista al Gr1, torna sulla questione Rai.  Secondo Berlusconi sulla Rai la pensa cosi' "la maggioranza degli italiani: e' inaccettabile che la televisione pubblica, pagata con i soldi di tutti, sia l'unica tv pubblica ad essere sempre contro il governo".
  Per il premiera anche la sinistra, "che e' stata al governo dovrebbe apprezzare che questo governo dica che la Rai non deve attaccare nessuno, ne' il governo, ne' l'opposizione. La Rai - ha concluso Berlusconi - deve fare cio' che deve fare e cioe' una televisione di servizio pubblico: prima di tutto deve informare, formare (?) e come terzo obiettivo divertire".


Ciò che mi meraviglia è la teorizzazione della NON-LIBERTA' di informazione e di opinione nel giornalismo RAI. Berlusconi non si accontenta di attaccare il giornalismo non del tutto consenziente ma propone, anzi, impone esplicitamente una nuova legge che cancella il dettato dello'art. 21 della Costituzione. Quale sarà il prossimo passo? Il ritorno alle veline vere e proprie?


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"L'Egocrate è ossessionato. Diventa isterico, quando lo si contraddice con qualche fatterello o addirittura con qualche domanda. Se non parli il suo linguaggio di parole elementari e vaghe senza alcun nesso con la realtà; se non alimenti le favole belle e stupefacenti del suo governo; se non chiudi gli occhi dinanzi ai suoi passi da arlecchino sulla scena internazionale; se non ti tappi la bocca quando lo vedi truccare i numeri, il niente della sua politica e addirittura le sue stesse parole, sei "un delinquente", come ha detto di Repubblica qualche giorno fa." (L'ossessione permanente di G. D'Avanzo, La Repubblica, 11 agosto 2009)



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Se questo è un primo ministro...




Michael Wolff


All Broads Lead to Rome
Mired in sex scandals, Italian prime minister Silvio Berlusconi is a national joke. He also has no intention of changing his ways. Will Italy change without him?


Photo Special


All the Prime Minister’s Women
A visual guide to Berlusconi’s female companions, set to key passages from his public apology to his wife in 2007.


VANITY FAIR


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Tardo pomeriggio:


E ALLA FINE IL PREMIER RIDICOLIZZO' REPUBBLICA  di FARINA RENATO (detto 'betulla'), Libero, 11 agosto 2009. (Per non farci mancare la visione e l'interpretazione delle cose secondo l'ortodossia berlusconista.)


sabato 25 luglio 2009

VERITA' IPOCRISIA MENZOGNE


nella vita politica italiana al tempo del berlusconismo (4)


GB.Tiepolo-La Verità svelata dal Tempo - S. B. Berlusconi_La Verità coperta dall'IpocrisiaG.B.Tiepolo_La Verità svelata dal tempo - S. Berlusconi_I Pudori dell'anziano Timorato di Dio di fronte alla Nuda Veritas


Si sfregia così un'opera d'arte anche se in copia? Si danno esempi così agli aspiranti vandali?



L'AMMISSIONE


"Cerimonia per l'inaugurazione della Brebemi_22 luglio 2009_da: Il Sole 24ore


«Io non sono un santo, lo avete capito, speriamo lo capiscano anche quelli di Repubblica».


Dopo tutte le smentite, le confusioni, le menzogne acclarate, è arrivata l'ammissione tombale e immodificabile con le solite giravolte: "Io non sono un santo" 


Bene. Poi c'è il silenzio, vale a dire la mancata smentita della posizione D'Addario, contrastata con petetica inavvedutezza dall'avvocato Ghedini. Il grido riguarda la violazione della privacy, non la veridicità dei fatti, prima dati per non accaduti o mistificati e montati ad arte. Poiché il grido: "Non è vero niente, ciò che vedete con i vostri occhi e udite con le vostre orecchie non esiste" , tutto il famigerato "gossip" deve intendersi come sottoscritto pubblicamente, suppongo. Di conseguenza, prima o poi dovrebbe arrivare per la stessa bocca la dichiarazione che più interessa a cittadini e cittadine:


 "Io non sono uno che dice la verità." 


Tanto perché i suoi elettori (35% utime europee) sappiano chi è il lider per cui votano spasimando e adorando, a sentir lui. Stabilire un punto di partenza veritiero è poco, ma ci si può aspettare che il "non santo" e "non veritiero" prosegua di buona lena verso posizioni di maggiore moralità.


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LE EMISSIONI DELLE GERARCHIE CATTOLICHE


Le contorsioni del relativismo moral-amorale: prudenza e delicatezze quando il "peccatore" o il "non santo" è uno come Berlusconi.


"...Per rattoppare lo sbrego che queste vicende hanno aperto con la Chiesa, Gianni Letta si sta muovendo riservatamente e con cautela. L’incontro di Berlusconi con il cardinal Ruini - che nei momenti più scabrosi non ha smesso di offrire i propri suggerimenti - è il primo passo verso il tentativo di riavvicinamento con l’altra sponda del Tevere, e con quel mondo cattolico che alle elezioni Europee ha dato un chiaro segno di distacco dal Cavaliere. Fosse però l’unico problema. ..." [ Il premier, Ruini e la coalizione da mettere in riga di F. Verderami, Corriere Sera, 25 luglio 2009  ]


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"Forse avrete notato che ieri nella prima pagina di Avvenire non c’era alcun cenno alle ultime spiegazioni avanzate da Silvio Berlusconi. Quelle per intendersi sul «non sono un santo» o «nelle mie dimore passano anche i leader politici del mondo». Ne riferivamo, com’è ovvio, all’interno del giornale, in sede di cronaca, e la notizia era pure presente sul nostro sito; ma «in vetrina» abbiamo preferito sorvolare. Un modo per esprimere disagio rispetto al coinvolgimento di termini di qualche delicatezza per la sensibilità dei nostri lettori. E un modo per prendere le distanze pure dal seguito di una vicenda che non solo non ci convince (com’è ovvio), ma che – per quanto ci è dato di capire – continua a piacere poco o punto a larga parte del Paese reale. Le «rivelazioni»non sappiamo quanto autentiche –, che si succedono, a disposizione di chi ha la curiosità di continuare a leggerle o ad ascoltarle, non aggiungono (probabilmente) nulla a uno scenario che già era apparso nella sua potenziale desolazione. Nel constatarlo non ci muove alcun moralismo, ma il desiderio forte e irrinunciabile che i nostri politici siamo sempre all’altezza del loro ruolo. Chiarezza per ora non è venuta, ed è un fatto evidentemente non apprezzabile, ma non è questo francamente quel che oggi ci preoccupa di più. Non ci piace che determinati comportamenti siano messi a confronto con un consenso – emergente dai sondaggi – che di per sé è qualcosa di inafferrabile, quasi che da questi possa venire l’avallo a scelte poco consone; così come non ci piace che sull’intera vertenza gravi il sospetto di una strumentalità mediatica, inevitabile forse ma non liberante, circa il punto di vista da cui si muovono le accuse. C’è davvero per la classe politica, ancor prima della decenza, un a priori etico che va salvaguardato sempre e in ogni caso? E che va fatto valere nelle situazioni ordinarie come in quelle straordinarie? Ecco, solo se una simile consapevolezza dovesse ad un certo punto emergere dal dibattito, si potrà allora dire che questa tornata ha paradossalmente avuto una sua, per quanto amara, utilità. Diversamente il Paese, che si è scoperto vieppiù attonito, potrebbe sentirsi anche leggermente raggirato." Dino Boffo, Avvenire, Lettere, 24 luglio 2009.


Non conosco la prosa di Boffo, ma in questa ardua risposta non brilla per chiarezza e scorrevolezza. Poiché le gerarchie sanno parlare con forza e anche violenza, se vogliono, queste prese di posizione sono così imbarazzate da diventare imbarazzanti per dei maestri di verità e leggi morali "assolute". E ci sono volute proteste e ribellioni dei cattolici indignati per ottenere siffatta breve contorta lettera-editoriale del direttore di Avvenire, Dino Boffo.

giovedì 23 luglio 2009

VERITA' e MENZOGNA
nella vita politica italiana al tempo del berlusconismo (3)


Tiepolo_La Verità svelata dal Tempo_1770_ dal sito: http://www.galleriaborghese.it/borghese/it/verita.htm



LA PRIMA VERITA'


«Non sono un santo». (Nessuno lo sospettava, ma lui lo sosteneva, porgendo a Vespa la mano perché ne apprezzasse l'odore di santità. A quest'uomo gli elettori italiani, primi responsabili in democrazia, danno la loro fiducia)


"Come sa che non è il diavolo, Repubblica non ha mai pensato che Silvio Berlusconi fosse o dovesse essere "un santo". Sappiamo chi abbiamo di fronte: un leader politico eletto legittimamente e liberamente dagli italiani che ha oggi la responsabilità di guidare il Paese. Come lo fa? È di questo che parliamo. Di questo che si intende e si deve parlare: il Cavaliere come muove il suo potere, come interpreta le sue responsabilità? Danneggia il Paese o lo migliora? Ne deteriora o ne irrobustisce la democrazia?"..."Nessuno ha obbligato Berlusconi a diventare un uomo di Stato. Lo ha fatto liberamente. Liberamente ha scelto di rendere conto all'opinione pubblica - come chiunque eserciti funzioni pubbliche - della coerenza tra valori proclamati e comportamenti tenuti. Si è rifiutato ostinatamente di farlo per mesi e tuttavia il lavoro giornalistico ha dimostrato, nel servile silenzio del servizio pubblico radiotelevisivo, che valori proclamati e condotte private girano per Berlusconi come ruote divaricate. Per eclissare questa realtà, il Cavaliere ha sollecitato una seconda, esplicita questione politica: qual è il grado di menzogna che è legittimo adoperare in politica? Una volta smascherata quella menzogna, e proprio per proteggere la fiducia che si è legittimamente conquistata nell'elettorato, il premier non deve rendere disponibile la verità in un pubblico dibattito?

Ora Berlusconi ammette che non è un "santo". Ammette quel che non può più negare, in verità, e tuttavia è un primo, non trascurabile passo. Non va sottovalutato. Il capo del governo conviene che i cittadini hanno diritto a conoscerlo al di là dei mimetismi da incantatore che si organizza. Potrebbe bastare se avessimo, in questi mesi, discusso soltanto di moralità privata. Berlusconi ha trasformato questa storia in una questione di etica politica e ora dovrà essere all'altezza degli interrogativi che egli stesso, con le sue menzogne, ha proposto al Paese. Coraggio, presidente, la strada è quella giusta ma lei è soltanto all'inizio. [ G. D'Avanzo, Un primo passo dopo le bugie, Repubblica,
23 luglio 2009 ]


La parabola del santo mancato tra sesso proibito e coda di paglia di Filippo Ceccarelli, La Repubblica, 23 luglio 2009


ECCO CHI TIENE IN PIEDI LA PERSECUZIONE MEDIATICA CONTRO IL CAVALIERE  (FACCI FILIPPO), Il Giornale, 23 luglio 2009



Int. a DE GIOVANNI BIAGIO - "COL SEXGATE LA SINISTRA E' IN UN VICOLO CIECO"  (SIGNORINI ANTONIO). Il Giornale, 23 luglio 2009




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E Palazzo Chigi «velò» il seno alla «Verità svelata» del Tiepolo.


ROMA — Le donne, a Palazzo Chigi, preferiscono vederle vestite. E non importa se quella che esibisce un seno — piccolo, tondo, pallido — se ne sta su una copia del celebre dipinto di Giambattista Tiepolo (1696-1770): «La Verità svelata dal Tempo ». Il dipinto, che Silvio Berlusconi aveva scelto come nuovo sfondo per la sala delle conferenze stampa, viene ritoccato. È successo. ... Corriere della Sera, 3 agosto 2008


mercoledì 22 luglio 2009

VERITA' e MENZOGNA
nella vita politica italiana al tempo del berlusconismo (2)


Bernini_La verità svelata dal Tempo_marmo bianco Galleria Borghese_1625-1645. dal sito: http://www.galleriaborghese.it/borghese/it/verita.htm



"Come osservava Hannah Arendt in un suo famoso testo, Dalla menzogna alla violenza, ciò che contraddistingue la verità è il fatto che il suo contrario non è l' errore, né l' illusione, ma la menzogna. Un bugiardo dice "ciò che non è" perché vorrebbe che le cose fossero diverse da come sono. Il suo scopo è cambiare radicalmente il mondo. È per questo che si avvale di quella misteriosa capacità umana che ci permette di dire che "il sole splende" anche quando fuori piove a dirotto. Nel momento in cui tutto è immagine e spettacolo, le menzogne fanno parte del copione. Ne sono un elemento centrale per far sì che tutto torni. Ma è possibile dire la verità in politica? La politica, da sempre, non è proprio l' arte di mentire con prudenza (Machiavelli docet) per costruire il consenso e ottenere e mantenere il potere? Come conciliare potere e verità? In realtà, affinché il discorso politico sia sincero non c' è bisogno di dire sempre "tutta" la verità. Basterebbe non ricorrere sistematicamente alle menzogne e accontentarsi di non dire "ciò che non è", senza pretendere la trasparenza. È il solo modo per creare uno spazio appropriato per "dire", per "ascoltare" ciò che viene detto, per "chiedere" ciò che è opportuno chiedere, per aiutare a "pensare"... È per questo che bisogna fare attenzione a non confondere "verità" e "trasparenza", come aveva già spiegato Kant, dopo aver fatto della verità un dovere morale: se l' essere umano non deve mentire, talvolta può non dire tutto e avere per sé dei segreti. La discrezione è a volte un modo per rispettare gli altri, migliore della completa e totale trasparenza."Michela Marzano, Quando il potere è senza maschera, Repubblica — 21 luglio 2009 ]    


"SONO venute a galla, finalmente, due questioni che riguardano, l'una, la verità e, l'altra, la moralità nella vita pubblica. Sono questioni che oggi particolarmente toccano un uomo alle prese con l'affannosa gestione davanti alla pubblica opinione di uno sdoppiamento, tra la realtà di ciò che effettivamente egli è e fa e la rappresentazione fittizia che ne dà, a uso del suo pubblico. Siamo di fronte a una novità? Possiamo credere sia un caso isolato? Via! La menzogna e l'ipocrisia, alla fine la schizofrenia, sono sempre state compagne del potere.

Questa constatazione realistica può chiudere il discorso solo per i nichilisti, i quali pensano a un eterno nudo potere, che volta a volta, si presenta in forme esteriori diverse, ma sempre e solo per coprire la sua immutabile, disgustosa, realtà. Per gli altri, quelli che credono che il potere non necessariamente sia sempre solo quella cosa lì, ma che si possa agire, oltre che per conquistarlo, anche per cambiarlo; per quelli, in breve, che credono che vi siano diversi possibili modi di concepire e gestire le relazioni politiche, verità e menzogna, moralità e ipocrisia sono dilemmi su cui si può e si deve prendere posizione." ... 


Non è affatto questione di moralismo. Nessuno, meno che mai quella cosa che si denomina opinione pubblica, ha diritto di pronunciare sentenze morali, condannare peccati e peccatori. Chi mai gradirebbe un giudizio di questo genere sulle piazze o sui giornali? Non è questo il punto. Il punto è che in democrazia i cittadini hanno diritto di conoscere chi sono i propri rappresentanti, perché questi, senza che nessuno li obblighi, chiedono ai primi un voto e instaurano con loro un rapporto che vuol essere di fiducia. Devono poterli conoscere sotto tutti i profili rilevanti in questo rapporto. Ora, entrambe le interferenze tra pubblico e privato di cui si è detto convergono nel creare divisioni castali in cui la disponibilità del potere crea disuguaglianze, privilegi e immunità, perfino codici morali diversi, che discriminano chi sta su da chi sta giù. E questo non ha a che vedere con la democrazia? Non deve entrare nel dibattito pubblico? Così siamo ritornati al punto di partenza, il rapporto verità menzogna. Che questa immoralità tema la verità è naturale ed evidente. Anzi, proprio il rifiuto ostinato di renderla disponibile a tutti in un pubblico dibattito, motivato dalle temute ripercussioni sul rapporto di fiducia tra l'eletto e gli elettori, è la riprova che questa è materia di etica politica, non (solo) di moralità privata; è questione che tocca tutti, non (solo) famigliari, famigli, amici, clienti." [ Gustavo Zagrebelsky, Quando il potere teme la verità, Repubblica,  17 luglio 2009 ]


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Diverse verità


Il Cavaliere, Ghedini e Tarantini al varietà delle contraddizioni di G. D'Avanzo, Repubblica, 22 luglio 2009.


"TI TAGLIO LA FACCIA": LE GESTA DELL'ESCORT COL REGISTRATORE di Chiocci, Il Giornale, 21 luglio 2009


AGGRAPPATI ALL'INDECENZA  di Giordano Mario, Il Giornale, 21 luglio 2009


SU SILVIO ALTRO PATTUME di Carioti Fausto, Libero, 21 luglio 2009


Gli articoli sulle vicende di Berlusconi e relativi approfondimenti, giochi di specchi, interpretazioni, sono innumerevoli. L'informazione televisiva, invece, è scarna o quasi assente e fuorviante. Come fa chi non ha l'opportunità e la pazienza di navigare in rete a districarsi tra fatti e opinioni, tra verità e menzogne? Penso che il pattume (Carioti) sia nauseabondo, ma il problema non è il pattume in sé, ma questo pattume e le sue implicazioni con il decoro istituzionale, la moralità pubblica e la dicotomia verità-menzogna.

martedì 21 luglio 2009

VERITA' e MENZOGNA
nella vita politica italiana al tempo del berlusconismo (1)


Ancora un post costruito con articoli presi qua e là in rete per sfuggire alle acque melmose della palude politica italiana, acque buie quanto l'aria di pece che rende sento vorticare intorno.


Fenomenologia della menzogna


"A quasi tre mesi dal viaggio a Casoria per i diciotto anni di Noemi, un provvisorio rendiconto deve concludere che Silvio Berlusconi ha in questi mesi attraversato, senza pudicizia, tutta intera la fenomenologia della menzogna. Nella sua classificazione, Vladimir Jankélévitch distingue la menzogna in base al rapporto che intrattiene con la verità. E dunque c'è la dissimulazione, quando ci si limita a nascondere la verità (Berlusconi ha detto: "Non ho mai voluto candidare veline, non frequento minorenni"). L'alterazione, quando si modifica la natura del vero (Berlusconi ha detto: "Non sapevo che Patrizia fosse una prostituta"). La deformazione, quando se ne ingrandisce o se ne rimpicciolisce il formato (Berlusconi ha detto: "Ho visto tre, quattro volte Noemi e sempre con i genitori"). L'antegoria, quando si dice l'assoluto contrario (Berlusconi ha detto: "Non ho mai pagato una prostituta"). La fabulazione, quando invece di mascherare la verità, la si inventa di sana pianta (Berlusconi ha detto: "C'è un progetto eversivo contro di me").

Verità e menzogna. Etica pubblica. Fiducia tra eletto ed elettori. Tra i pifferi e le grancasse di un'Italia ingaglioffita o pavida, di questo ci parla uno scandalo, da cui il capo del governo non riesce a venir fuori. Non c'è bisogno di ripetere quanto hanno scritto qui Carlo Galli ( L'etica della democrazia, 22 giugno ), Stefano Rodotà ( L'etica pubblica perduta, 10 luglio; Il dovere della chiarezza, 13 luglio ), Edmondo Berselli ( Verità finte e bugie vere, 15 luglio ). Dovrebbe essere ormai chiaro che "chi mente - non importa su che cosa - è un pericolo per la libertà e la democrazia" e diventano "parole al vento" gli "assennati appelli alla concordia e al dialogo senza il parallelo, anzi preliminare, appello alla chiarezza della verità" ( Gustavo Zagrebelsky, Quando il potere teme la verità, 17 luglio ). A meno di non voler pensare, come il patriarca di Marquez: "Non importa che una cosa non sia vera, che cazzo, lo diventerà col tempo". " [ G. D'Avanzo, L'autunno del patriarca, La Repubblica, 21 luglio 2009 ] 


Menzogne e fatti


"Finora Silvio Berlusconi ha mentito a ogni posta di questa storia. Lo si può documentare, al di là del chiasso sollevato da un'informazione servile, e dire di lui con quieta serenità: il capo del governo è Gran Bugiardo.
a. Ha negato di aver voluto candidare veline al parlamento europeo. È stato contraddetto finanche dalle veline deluse per l'esclusione e smentito dalle prostitute a cui aveva promesso un seggio a Strasburgo.
b. Ha negato di aver frequentato minorenni, ha giurato di aver incontrato Noemi Letizia soltanto "tre, quattro volte e sempre alla presenza dei genitori". Ha dovuto ammettere di aver avuto Noemi, minorenne e senza genitori, prima accanto ad una cena del governo, poi tra le ospiti del suo Capodanno 2009 a Villa Certosa.
c. Ha dichiarato di non aver mai conosciuto l'avvocato David Mills. È stato accertato che il corrotto (Mills) e il corruttore (Berlusconi) si sono parlati per lo meno in un'occasione e incontrati in un'altra, ad Arcore.
d. Ha dichiarato di aver usato i "voli di Stato" soltanto per "esigenze di servizio" anche quando erano a bordo musici e ballerine, ma ha dovuto proteggere con il segreto di Stato le liste dei passeggeri e i piani di volo degli aerei presidenziali. La quinta posta di questa storia ... [ G.D'Avanzo, Le menzogne e i fatti, La Repubblica, 11 luglio 2009 ]

lunedì 13 luglio 2009

PARRESIA [ παρρησία ] E TREGUE



Ed anche quelle donne odio, che caste
   sono a parole
, e di soppiatto indulgono
   a tristi audacie.
O veneranda Cípride,
   e come gli occhi alzar nel viso possono
   al loro sposo? E il buio non paventano,
   complice loro, e della casa i tetti,
   che levino la voce? - Ecco che cosa,
   amiche mie, mi spinge a morte. Oh, ch'io
   mai non sia còlta a svergognar lo sposo,
   né del mio grembo i figli
. Oh, ch'essi vivano
   liberi, e franca alzar la voce (parresia) possano,
   grazie al buon nome della madre, nella
   celebre Atene: poiché servo è un uomo,
   anche d'ardito cuor, se coscïenza
   ha d'un materno, d'un paterno fallo.
   Sola una cosa ha pregio, a quanto dicono,
   non minor della vita: aver bontà
   e giustizia nel cuore
. Al punto giusto
   scopre il tempo i malvagi, ed uno specchio,
   come ad una fanciulla, a loro innanzi
   pone. Deh, ch'io non sia del loro numero!
Euripide, Ippolito, 419-430 (Fedra)


'Parresia' è parola poco usata, introvabile nei dizionari della lingua italiana di cui dispongo, il cui significato è spiegato nel dizionario greco-italiano di Franco Montanari (Loescher): 'libertà di parola, il parlare liberamente, franchezza'. La parresia è attestata per la prima volta in Euripide (V secolo a. C.), nel discorso che Fedra rivolge alle donne di Trezene 


L'etmologia chiarisce il senso di questo termine composto: pas (πάς) 'tutto'retòs (ρητός) 'significato alla lettera di un discorso' (Montanari) oppure pas e resis (ρησις) 'discorso' (Nascimbeni) oppure pas e rema (ρημα) 'parola, detto' (Wikipedia). "Dire tutto", insomma. Tanto rara è la voce 'parresia' da non comparire nel Dizionario Etimologico di Cortelazzo e Zolli, quindi meglio abbondare nel riferire le ipotesi etimologiche.


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Lode e gratitudine, allora, a Barbara Spinelli che quest'anno, per ben due volte  in pochi mesi, ha ridato luce alla parresia. La prima volta in un articolo dell'aprile scorso:






Enzo Bianchi fenomeno cristiano
Mentre la Chiesa fatica a comunicare, c'è un cristiano che sa farsi ascoltare da tutti




... Ci sono parole-scintille in Bianchi, che l’accendono: la pólis, il políteuma, l’Ultimo, lo Straniero. E la profezia soprattutto: il parlare, come lui dice, «a nome di Dio». Alla Chiesa non spetta entrare nel mondo con un suo progetto politico, perché altro è il compito: immergersi nella comunità degli uomini, portando con sé - sale gratuito - l’agire di Gesù. E il suo dire: «Voi, invece, non così» (Luca 22,26). L’umanesimo della fratellanza, della solidarietà col povero, non è specialmente cristiano. La differenza cristiana s’esprime nel racconto del Cristo, e nello smuovere pensieri prima della politica: non dettando leggi, ma profetizzando. Il cristiano è vero quando si sente un nuovo venuto in terra, un égaré come dice Pascal, uno smarrito. Il suo essere spaesato, «di questo mondo e non di questo mondo» (1 Corinzi 7,29-31), si nutre di laicità e riconosce autonomia alla storia umana proprio per restare se stesso. Bianchi ha un modo lucente di dirlo. La nuova antropologia, il cristiano la propone «di tempo in tempo, di luogo in luogo»; non dimenticando che: «Si nasce uomini, e cristiani non si nasce ma lo si diventa». Bianchi è uomo solitario nella Chiesa, ma non conflittuale. Un altro vocabolo a lui caro è: parresia. La parresia, fin dalle tragedie di Euripide, è il coraggio di parlare che la pólis democratica suscita. È, letteralmente: libertà di dire tutte-le-parole. Qual è la gerarchia del dicibile? Fin dove spingersi? A voler dire tutte le parole, si rischia di dirne una sola, povera. Parresia non è cedere alla coercizione ma appunto: saper parlare di tempo in tempo, eventualmente tacendo. La Chiesa minoritaria è un’occasione: per la profezia, la parresia. Per imitare i silenzi di Gesù, nel chiasso mondano. ...  Barbara Spinelli ( La Stampa, 3 aprile 2009 )


La seconda volta in un articolo di ieri:


Chi rompe la tregua paga



... Quando ha chiesto una tregua, il 29 giugno, il presidente Napolitano non pensava certo a questo sacrificio della verità. Ma il rischio è grande che i governanti l’intendano in tal modo: usando il Colle, rompendo unilateralmente la tregua come ha subito fatto Berlusconi aggredendo oppositori e giornali. Il conflitto maggioranza-opposizione, le inchieste giornalistiche o della magistratura sul capo del governo, sono automaticamente bollate come poco patriottiche, fedifraghe, addirittura eversive. Questo in nome di uno stato di emergenza trasformato in condizione cronica anziché occasionale, necessitante la sospensione di quel che dalla Grecia antica distingue la democrazia: la parresia, il libero esprimersi, la contestazione del potere e dell’opinione dominante, il domandare dialogico.


Significativa è l’allergia del potente alle domande, non solo quelle di Repubblica ma ogni sorta di quesiti: netto è stato il rifiuto di Berlusconi di permettere domande ai giornalisti, il primo giorno del G8. Sulla scia dell’11 settembre 2001 Bush reclamò simile tregua, che non migliorò la reputazione dell’America ma la devastò. Washington si gettò in una guerra sbagliata, in Iraq, senza che opinione pubblica e giornali muovessero un dito. La recente storia Usa dimostra che la democrazia guadagna ben poco dalle tregue politiche, quando i governi possono tutto e l’equilibrio dei poteri è violato. Il vantaggio delle tregue è la coesione nazionale: falsa tuttavia, se passiva. Lo svantaggio è la libertà immolata. Tanto più grave lo svantaggio, se l’emergenza è un mero vertice internazionale


Ripensare la tregua e le sue condizioni può servire, perché la tendenza è forte, in chi governa, a prolungare emergenze e sospensioni della parresia, rendendole permanenti. Purtroppo la tendenza finisce con l’estendersi all’opposizione, alla stampa, e anche qui vale la descrizione di Clausewitz sul cessate il fuoco: che spesso interviene non perché la tregua sia necessaria, ma perché nell’uomo che rinvia decisioni c’è pavidità. Perché dilaga «l’imperfezione delle conoscenze, delle facoltà di giudizio». Perché, soprattutto, opposizione e giornali non hanno un «chiaro pensiero dello scopo» per cui si oppongono, analizzano, interrogano. Sono le occasioni in cui la tregua non è un patto di verità ma una variante dell’illusionismo e della menzogna. ... Barbara Spinelli ( La Stampa, 12 luglio 2009 )


Altre letture:


MICHEL FOUCAULT A LEZIONE DI GRECO di Umberto Galimberti, La Repubblica, 16 febbraio 1996


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domenica 21 giugno 2009

Citizen Berlusconi



55 min - 30 mar 2006 - Documentario della trasmissione americana "Wide Angle". Sottotitoli in italiano.
video.google.com/videoplay?docid=-7507586179468920585

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Citizen Berlusconi (il presidente e la stampa) è un documentario del 2003, diretto da Andrea Cairola e Susan Gray.


Questo documento è stato trasmesso per la prima volta il 21 agosto 2003 nel corso del programma Wide Angle di Thirteen/Wnet New York, la maggior emittente della TV pubblica americana PBS.


Come si nasconde una notizia


Come si nasconde una notizia : i TG italiani


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Ne ha fatta di strada il cittadino Berlusconi dal lontano 2003. Oggi ha il lodo Alfano e, fra poco, grandi limitazioni per le indagini della magistratura con la legge contro le intercettazioni e la libertà di stampa, legge non ancora approvata, ma non ci sono dubbi. Lui dice che il popolo italiano è tutto con lui, anzi no, il 72% (come da sondaggio su approvazione B.)?  anzi no, il 35% (voti ricevuti dal PdL alle europee intese come referendum per B.).


Come fa il 72% a essere uguale al 100% e come fa il 35%  del 61% (votanti europee) a essere uguale al 72%?


Corrono veloci questi giorni e ancor più veloci le vicende che andiamo scoprendo. Non tutti, però. I fruitori del TG1 e altri TG del genere come unico mezzo di informazione non hanno ancora scoperto niente. Beati loro e la loro innocenza. Lo dico con ironia bonaria nei loro confronti ma con rabbia nei confronti del neodirettore  del TG1 Minzolini. L'informazione ricavata dalla stampa a dalle rete mi ha dato un'idea precisa del lavoro di quest'ultimo e del diritto che si è arrogato di decidere che cosa i cittadini devono o non sapere, nonostante paghino la tassa denominata "canone". Io difendo le persone che non sanno nemmeno di essere defraudate del loro diritto a un'informazione completa. 


Per l'uomo Berlusconi provo compassione, penso che stia soffrendo, anche se il suo modo di reagire mi sembra sconveniente: silenzi, battute fuori luogo, aggressività incontrollata. Per la sua politica, le sue incoerenze, il suo essere di cattivo esempio e, in una parola, per la sua ybris provo avversione. La storia del cittadino Berlusconi, dal primo decreto Mammì in era caxiana (1984) a oggi, si è sviluppata soprattutto in spregio alla giustizia e a vari principi costituzionali. Ma mi sono sempre presenti le responsabilità di tutti coloro che hanno reso possibile la vicenda politica berlusconiana, le responsabilità di ogni elettrice ed elettore, le responsabiltà di uomini e donne di potere, le responsabilità di rappresentanti del popolo che si sono messi al suo servizio.


Furio Colombo parla dell'ultimo Parlamento italiano riferendosi alle votazioni sul decreto per l'Abruzzo. Ho seguito con crescente infelicità la discussione (?) alla Camera, emendamento dopo emendamento, bocciatura dopo bocciatura, così, inesorabilmente, come fosse un dovere indiscutibile, anche quando si travva di proposte minime e di assoluta ragionevolezza. Non c'era da aspettare il responso della votazione: gli emendamenti dell'opposizione dovevano essere bocciati, tutti (o quasi, non so, non sono stata attenta al 100%). Colombo riferisce con precisione lo svolgimento di quest'ultima (in ordine cronologico) vicenda parlamentare. Eppure nulla può sostituire l'esperienza diretta, sia pure per radio.



"La vergogna era questa: la legge in discussione era per “Gli interventi urgenti in Abruzzo” e mancava di tutto. Mancava di soldi, di progetti, di idee, aveva saltato interi settori di attività essenziale (le scuole) e interi blocchi di cittadini, i cosiddetti proprietari di “seconde case” che non saranno ricostruite benché siano al secondo e al quarto piano dell’edificio la cui ricostruzione è teoricamente prevista. Non fissava date e non garantiva scadenze.


Tutta l’opposizione (Pd, Italia dei valori, Udc) si è impegnata, emendamento dopo emendamento, a riempire le inaccettabili omissioni, le inspiegabili incompetenze, a correggere l’ovvia e offensiva inutilità della legge. Lo spettacolo triste, durato per tre giorni, è stato il silenzio disciplinato della maggioranza di governo, uomini e donne solitamente vivi e aggressivi ridotti a una assemblea ottusa che non ascolta, non vede, non decide. Ha già deciso il governo. E così, come se questo fosse l’ultimo Parlamento, come se nessuno di questi parlamentari avesse un dopo in cui rendere conto e un elettorato che vorrà sapere, ogni emendamento dell’opposizione, per quanto utile e necessario è stato respinto, anche se diceva che non c’è più università, che è urgente ricostruire la Casa dello studente, che l’ospedale va rimesso in grado di funzionare, che dopo un simile terremoto è assurdo e impossibile distinguere fra prime e seconde case, che i soldi non bastano per cominciare, che occorrono date certe della ricostruzione, fasi realistiche, dati veri, sia per buona organizzazione sia per dare speranza. Lo spettacolo di ciò che è accaduto dentro Montecitorio, mentre fuori una folla di cittadini normali e per bene, ècostretta a gridare la sua indignazione, era anche più desolante. Una parte sorda, cieca e muta del Parlamento taceva, evitava ogni confronto, si auto-proibiva qualunque discussione, respingeva in silenzio anche le proposte ispirate a esperienza, mitezza, buon senso. Il governo dello spettacolo aveva già fatto la sua tournée all’Aquila. Sta preparando, a carico dei disperati cittadini dell’Aquila il nuovo mega-spettacolo del G8. I parlamentari del partito di governo sono stati declassati a loggione. Tacciano, ignorino, lascino lavorare chi sa fare spettacolo. L’ultimo Parlamento ha abbassato la testa in segno di umile assenso. Per fortuna non tanti nell’opposizione pensano ancora che sia estremista dire «no». In tanti si rendono conto, finalmente, che «no» è l’unica risposta possibile."



Eugenio Scalfari, invece, parla della Suburra, appunto, ma non ha sottolineato abbastanza il ruolo dei comprimari, dei sostenitori, dei collaboratori, tutti volenterosi e tetragoni nel sottomettersi ed eseguire le volontà del capo, fino al ridicolo che segna il punto massimo di certe tragedie politiche. Cita la difesa messa in atto da Deborah Bergamini, la dirigente licenziata dalla RAI, poco leale ma anche poco informate dei fatti storici a cui con comica prosopopea si appoggia (Il Cavaliere, moderno Catilina e le persecuzioni dei riformatori. Pubblicato il 18 giugno 2009 - Corriere della Sera. Autore: Bergamini Deborah).


Un esempio la  Deborah Bergamini , quella che fa dire a ragione: " La vendetta di Deborah Bergamini che dalla Rai è finita in parlamento: è suo l'emendamento che prevede il carcere per i giornalisti che rivelino intercettazioni telefoniche da distruggere." QUI . Ed  è solo una tra tanti, molti, troppi.


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