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martedì 11 marzo 2008

Volti della politica



Il Primo Ministro Zapatero - Il candidato Veltroni


Il laico Zapatero.GIAN ENRICO RUSCONI.  Una serena, ferma e dignitosa difesa dello Stato laico vince elettoralmente in una democrazia matura. Questa è la semplice lezione del successo di José Luis Zapatero.

Sappiamo che le varianti in gioco nelle elezioni spagnole erano e sono molte. Sappiamo che le differenze tra l’Italia e la Spagna sono grandi. Ce ne siamo dimenticati, anche per una certa provinciale supponenza che per decenni ci ha illuso di «essere più avanti» degli spagnoli. Adesso ci stanno dando molte lezioni: dal dinamismo economico all’impegno nelle istituzioni europee. Da qualche tempo ci offrono pure l’esempio di uno Stato che ha riscoperto il gusto della propria autonomia e dignità nel dimostrare con i fatti di essere l’unico depositario dei criteri dell’etica pubblica.

Il plusvalore della laicità ha certamente rafforzato la prospettiva «socialista» della politica zapateriana, che punta sulla valorizzazione della «cittadinanza sociale». Solo l’eutanasia del socialismo nel nostro Paese impedisce di cogliere il nesso fecondo tra socialismo della cittadinanza e diritti civili. [La Stampa, 11 marzo, 2008. continua...QUI]


Walter Veltroni. Fa la sua bella figura accanto a Zapatero. Voterò per il Partito Democratico.


Il candidato Berlusconi - L'alleato candidato (fascista) Ciarrapico


L'uno in preda a parossismo distruttivo, l'altro orgoglioso di essere fascista (poi rettifica).


Il fascismo che rivive nel PDL è intollerabile, ma c'è un'altra cosa tremenda nel curriculum del monarca di Arcore e dei suoi seguaci, una cosa imperdonabile in una democrazia: la limitazione del diritto di voto. Qui sotto un articolo sui guasti provocati dalla legge elettorale di Berlusconi, uno dei veri motivi della caduta del governo Prodi.


Italiani, elettori a sovranità limitata


di Adriano Prosperi 


Certe volte basta una parola, una frase: come quella del cavalier Berlusconi che sabato 8 marzo, parlando della formazione delle liste dei candidati, ha detto sorridendo che era stata una fatica terribile «decidere del destino degli altri». La frase entrerà forse stabilmente nel lessico politico. Ma già da oggi indica una realtà di fatto e dà voce ad una convinzione diffusa: quella che affida sempre più al solo leader, senza impacci o intralci di alcun genere, il compito di dimostrarsi padrone dei destini degli altri. Badiamo bene: il sorriso compiaciuto e un po’ autoironico con cui quella frase è stata pronunziata significa che non siamo davanti al ritorno sulla scena italiana della tragedia del fascismo e di un tardivo replicante dell’Uomo del destino (detto anche della Provvidenza). È vero che tante cose ritornano, ma sono tante anche le cose cambiate. E poi i destini del popolo come si diceva una volta, o della gente come si dice oggi, qui entrano in gioco solo indirettamente. Quelli di cui si tratta per il momento sono i destini di chi aspira a entrare in Parlamento. Pochi, in ogni caso; e i poteri del leader, per quanto miracolosi, non sono assoluti. Nemmeno gli dèi antichi erano capaci di salvare Ettore o Achille, figuriamoci cosa avrebbero potuto fare con un Mastella.

Ma quelle parole corrispondono alla realtà dei fatti, almeno di quelli della politica italiana. La stesura delle liste dei candidati è il momento decisivo della prefigurazione del futuro Parlamento; e la decisione tra chi salvare e chi sommergere non è più nelle mani degli elettori. Alle loro idiosincrasie, agli scatti residuali ed estremi non prevedibili dai sondaggi, resta appena la possibilità di spedire qualche candidato dal purgatorio di una collocazione nella zona a rischio della lista al paradiso del Parlamento o all’inferno dell’anonimato. Ma le figure che abiteranno il Palazzo sono scelte da altri. Lo dimostrerà la conta degli eletti e degli esclusi che faremo alla fine del gioco.

Tutto questo lo sappiamo: ma forse bisognerebbe riflettere in questa occasione alla svolta storica che si viene compiendo sotto i nostri occhi. Da quando gli antichi greci scrivevano un nome su di un coccio di ceramica – e per gli italiani a partire dall’introduzione del suffragio universale e da quel giorno del 1946 in cui perfino le donne per la primissima volta nel nostro Paese si ritrovarono tra le mani le schede elettorali – il senso di appartenenza a una società si è legato al potere di scegliere un nome e di rifiutarne un altro. È stato decidendo sui nomi che abbiamo pensato di essere dei sovrani, come ci assicurava la Costituzione repubblicana. Sovrani parziali, in collaborazione e in conflitto con tante altre teste coronate quanti erano gli abitanti del Paese: ma sempre sovrani. Un principe senza scettro, come si intitolò un bel libro di Lelio Basso sulla Costituzione, ma almeno senza più uomini della Provvidenza a decidere per noi e su di noi. Niente più finestre illuminate e notti insonni a Palazzo Venezia dove un solo uomo, il cavalier Mussolini, pensava al destino di tutti.

Dopo di allora sono seguiti anni lunghi, di contrasti e di pensieri diversi. Altri poteri, interni ed esterni all’Italia, hanno fatto sentire il loro peso, con le buone – aiuti economici, propaganda e altro – o con le cattive (gli attentati, le bombe, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro). È rimasto però nel nostro Paese un attaccamento forte, di cuore e di testa, a quel rito elettorale: e questo è un fatto che riguarda la grande maggioranza del popolo italiano. Non per niente, mentre altri e più "moderni" Paesi hanno registrato un diffuso assenteismo elettorale, le percentuali italiane sono rimaste alte, spesso altissime. Elettori mai soddisfatti, sempre più diffidenti, costretti sulla difensiva, gli italiani hanno continuato a fare croci su nomi e simboli.

Ma intanto c’era chi giocava a truccare le carte, a modificare le regole del gioco. Così è cambiata la legge elettorale. Chi l’ha scritta per conto dell’ultimo governo Berlusconi l’ha definita una porcata. Chi l’ha varata ha mirato a intorbidare oltre ogni limite il rapporto tra il voto dei cittadini e la formazione delle maggioranze di governo. Dei suoi nefasti effetti ha fatto le spese un governo Prodi prigioniero di infiniti ricatti, praticamente impossibilitato a governare. E quando ha dimostrato di volerla cambiare il governo Prodi è stato fatto cadere.

È in questo quadro che si iscrive la frase che abbiamo citato: decidere il destino degli altri. Nella notte del leader è stato deciso il destino dei candidati: gli eletti da un lato, gli scartati dall’altro. Ai votanti con le regole attuali resta una scelta elementare: prendere o lasciare. Non c’è più nemmeno il voto di preferenza, residuo dell’antica sovranità. La lista degli eletti era già diventata cosa di apparati, alla ricerca di una difficile sintonia col popolo degli elettori. Oggi il traguardo finale è in vista: e, come nelle tappe di montagna del giro d’Italia al tempo di Coppi e Bartali, mentre gli apparati arrancano si annuncia un uomo solo al comando.

Chi pronunziava quella piccola frase voleva piacere: quelle parole erano cariche di una volontà di seduzione. Così l’avranno sicuramente intesa molti cittadini italiani frastornati dalla propaganda e impauriti dalle ombre di un presente non facile. Che cosa c’è di più riposante che mettere tutto nelle mani di un generoso e grande fratello? Ma a qualcuno quella stessa frase avrà forse ricordato come e perché e per colpa di chi il popolo degli elettori che si presenta a questo appuntamento è diventato un popolo a sovranità limitata. [ La Repubblica, 11 marzo 2008 ]
 


giovedì 21 febbraio 2008

LAICITA'  [6]


En Italie, la science humilie le pape

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Robert Maggiori professeur de philosophie, journaliste à Libération.


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Il y a mille raisons, ... ci sono mille ragioni, politiche, morali, perfino psicologiche, per stabilire un legame tra Silvio Berlusconi et Nicolas Sarkozy. Stesso populismo, stesso "autocratismo", stesso istrionismo, stesso gusto immoderato per la scena, stesso modo di trattare in piccolo personale collaboratori e alleati, stessa incultura letteraria e filosofica - lo si immagina con un libro in mano? -, stessa abilità retorica, stesso modo di esibire la ricchezza... Ma un punto in comune merita di essere sottolineato in special modo: entrambi divorziati e padri di bambini nati da madri diverse - situazione che la Santa Chiesa romana approva pochissimo -, mettono il medesimo ardore nell’affermare le virtù della religione e nello squalificare la laicità.



In Francia - «République indivisible, laïque, démocratique et sociale»,  non si sono avuti milioni di persone nelle strade dopo che il loro presidente ha dichiarato che l'educatore non potrà mai sostituire il pastore o il curato, indicando con ciò che non c'è morale se non religiosa. In Italia, si sono avuti dei manifestanti, un vero baccano, con petizioni, dibattiti burrascosi in televisione, interventi in Parlamento, centinaia di articoli, migliaia di post sui blog... Per difendere la licità? No. Per garantire la libertà di parola del... papa, terribilmente minacciato! In Francia, ci sono ragioni per preoccuparsi delle parole del Presidente. In Italia, ci si domanda se dichiararsi atei o laici non sarà piuttosto passibile di sanzioni penali. [ ... continua QUI ]

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Avevo voglia di parlare di Sarkozy da un po' di tempo. Non mi piace il suo modo di fare politica. La Francia non è l'Italia, certo, ma è legittimo che i cittadini/e dell'Unione Europea si interessino alle diverse politiche nazionali. In particolar modo di Sarkozy non mi è piaciuto il discorso tenuto a San Giovanni in Laterano in occasione della sua visita al Papa di Roma nel lontano dicembre 2007. Il testo integrale lo offre, meritoriamente, Papa Ratzinger blog:

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Dalla lettura diretta ognuno/a potrà farsi un'idea personale. Io sono preoccupata, perché non vorrei che la chiarissima iperbole del giornalista di Libération diventase meno iperbole e più realtà. Tempi duri per la separazione tra Stato e Chiesa, ahimè!


Aggiornamento 22 febbraio 2008. Ma c'è dell'altro sul novello Enrico IV, o Napoleone (a scelta), e sul suo modo di fare le leggi, peraltro sottoscritte dal Parlamento francese. Non so, giudichi ognuno, dopo attenta lettura.

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Parigi. Una legge copiata dalla Germania di Hitler prolunga le pene all'infinito e retroattivamente. Oggi il Consiglio costituzionale decide


Anna Maria Merlo - Il Manifesto, 21 febbraio 2008


Il Consiglio costituzionale bloccherà la promulgazione, nella Francia di Sarkozy, di una legge copiata dalla Germania di Hitler? Oggi, il Consiglio costituzionale esamina la nuova legge - votata dal parlamento il 6 febbraio scorso - sulla «pena dopo la pena».
I condannati ad almeno quindici anni di carcere per reati considerati particolarmente feroci, come la pedofilia, dopo aver scontato la pena non saranno più rimessi in libertà, ma «per ragioni di sicurezza» rinchiusi in centri «socio-medico-giudiziari». La ministra della giustizia, Rachida Dati, vuole che questa legge sia reatroattiva, cioè venga applicata a persone che stanno scontando adesso pene di più di quindici anni. Sarà questo aspetto della legge di cui l'alta corte esaminerà la costituzionalità. [...]

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Le Conseil constitutionnel a partiellement validé la loi sur la rétention de sûreté [La Corte Costituzionale ha parzialmente convalidato la legge sulla ritenzione di sicurezza]


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Les "Sages" ont validé le principe de l'enfermement pour une durée indéterminée de criminels dangereux après l'exécution de leur peine. Il ont aussi écarté le principe de non rétroactivité. Néanmoins, il ont réduit le champ d'application de la loi. 22.02 à 08h51 - Nouvel Observateur


La décision du Conseil constitutionnel (format pdf) Le texte de loi (pdf) Une référence hasardeuse du député Fenech Edition spéciale "La justice sous pression(s)"


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Rétention de sûreté : une référence hasardeuse [Ritenzione di sicurezza: una referenza azzardata]


Extrait du Journal Officiel allemand daté du 27 novembre 1933. La loi "contre les récidivistes dangereux, et sur les mesures disciplinaires pour améliorer la sécurisation" est paraphée par Adolf Hitler

Le Canard Enchaîné égratigne le député UMP et rapporteur de la commission des lois, Georges Fenech, à propos du texte adopté le 6 février au Parlement. Fenech avait évoqué une loi allemande comparable, paraphée en 1933 par... Adolf Hitler. 20.02 à 17:16


3 questions à... Georges Fenech : "Pourquoi devrais-je regretter ?" Le texte de loi (pdf) Les socialistes saisissent le Conseil constitutionnel


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La psychiatrisation de la justice une bonne chose ? [La psichiatrizzazione della giustizia è una buona cosa?]


(AFP)<br/>

De la loi sur la rétention de sûreté à la volonté de Rachida Dati qu'il y ait un psychologue dans le jury de sélection au concours d'entrée de l'Ecole nationale de la magistrature, la psychiatrie prend une place de plus en plus grande dans le domaine judiciaire. Est-ce une bonne chose ? Nouvelobs.com a interrogé des personnalités de tous bords sur le sujet. 17.02 à 11:12



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Clericalismo in Spagna


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Spagna L'offensiva della destra clericale in vista del voto del 9 marzo



Madrid. La chiesa all'attacco di tutto quello che il governo socialista ha fatto in quattro anni. È una crociata dai toni tardo-franchisti, un assordante «frusciare di sottane» che invade la scena politica


Maurizio Matteuzzi - Il Manifesto, 21 febbraio 2008




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Madrid. L'emittente radiofonica della Conferenza episcopale spagnola, la seconda del paese per ascolti, guida la strategia dei cattolici oltranzisti contro gay e «rossi». E Zapatero? È il diavolo in persona. Ora le intemperanze verbali di Jiménez de Losantos, star dell'etere, fanno arrabbiare anche il re Juan Carlos

Oscar Guisoni - Il Manifesto, 21 febbraio 2008

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Ci sono campagne elettorali più o meno odiose di altre. Non penso che i toni violenti e ingiuriosi diventino accettabili in virtù della libertà di parola, che non è ipso facto libertà di offendere e vilipendere chicchessia, ancor meno sotto l'ombrello protettivo di una religione (che in casi del genere, ovviamente, è usata come strumento improprio di battaglia politica).

mercoledì 23 gennaio 2008

La fuga in Egitto




Un popolo in fuga dalla politica di annichilimento.


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Prodi in Senato


Come cittadina esulto. Pensiamoci: la crisi viene affrontata in Parlamento e non a "Porta a porta" e nemmeno in una conferenza stampa dell'uomo di Ceppaloni. Comunque vada, solo dopo il voto dei senatori (tutti i presenti, senza discriminazioni) sarà giusto che il Presidente Napolitano prenda le sue decisioni. Non vedo la differenza tra una fiducia negata dal Senato nella trasparenza istituzionale e una sfiducia accettata in anticipo dalle mani di Mastella e dei suoi sostenitori, secolari e no. Anzi, sì, la vedo.

domenica 25 novembre 2007


Cara Amica, caro Amico del Tibet

Il 12-14 dicembre prossimo, il Dalai Lama parteciperà a Roma all’ottavo Summit dei Premi Nobel per la Pace. Sarebbe di grande significato politico e morale se, in tale occasione, il Presidente della Repubblica e/o il Presidente del Consiglio ricevessero il Dalai Lama. Invitiamo i soci e tutti coloro che condividono il messaggio di pace del Dalai Lama a unirsi all’Associazione Italia-Tibet e sottoporre la richiesta sia al Capo dello Stato sia al Presidente del Consiglio.
Cliccando sui link sottostanti

http://www.italiatibet.org/download/Lettera_Napolitano2007.pdf

http://www.italiatibet.org/download/Lettera_Prodi2007.pdf

si apriranno le lettere da inviare al Presidente Napolitano e al Presidente Prodi. Ti chiediamo di stamparle (se vuoi anche su carta personalizzata), firmarle e spedirle per raccomandata ai rispettivi indirizzi:

Al Presidente della Repubblica
On. Giorgio Napolitano
Palazzo del Quirinale
00187 Roma

Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Romano Prodi
Palazzo Chigi
Piazza Colonna 370
00187 Roma


Ti chiederemmo inoltre, se sei d'accordo, di inoltrare questo appello insieme al link alla nostra home page (
www.italiatibet.org) a chi ritieni della tua mailing list. Più persone scriveranno e più peso avrà la nostra richiesta!

A tutti un grazie per la collaborazione e molti cordiali saluti,

Associazione Italia-Tibet


Un problema di politica estera, anzi economica. La Cina si arrabbia ogni volta che uno Stato accoglie il Dalai Lama ufficialmente. Le nazioni mettono in atto le loro politiche in ordine sparso, spesso piegando la schiena sotto la pressione degli interessi economici, ed è questa la loro debolezza. A questo dovrebbe servire una politica estera unitaria e coerente della nostra Unione Europea, per questo io continuerò a sperare sull'evoluzione dell'Unione Europea.

mercoledì 26 settembre 2007


  


Protests are visible via pictures posted by bloggers like Ko Htike

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Burma blogger Ko Htike - Ko Htike's blog

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27 settembre 2007. L'informazione da un punto di vista birmano è offerta dalla pubblicazione indipendente   "The Irrawaddy News Magazine [Covering Burma and Southeast Asia]

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COMPLICITA'


Ci si chiede sempre come facciano questi regimi dittatoriali ad andare avanti per così lunghi periodi storici e come mai la comunità internazionale non intervenga, magari con le famose sanzioni, che generalmente si ritorcono contro le popolazioni. La risposta quasi sempre la si trova cercando i "complici". In questo caso, secondo varie agenzie d'informazione, sono tre: CINA, RUSSIA e INDIA. I monaci buddhisti e il popolo birmano non hanno solo la giunta militare di fronte, quindi, ma ben alri giganti, forti della loro potenza e della loro posizione in quei famosi organi internazionali.





 

lunedì 24 settembre 2007

Il Dalai Lama e Angela Merkel



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I Monaci Buddhisti del Myanmar



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Aung San Suu Kyi sulla soglia della sua casa, sabato, e poi in fotografia durante le proteste a Roma oggi.



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Quattro fotografie per ricordare queste giornate eccezionali. Il destino del Tibet e della cultura tibetana sembra segnato, la Cina ha i mezzi per mantenere l'invasione ma non ha i mezzi per capire che è fuori di ogni diritto umano e internazionale. Rifulgono nella loro tragedia il popolo del Tibet e il Dalai Lama. Per il Myanmar so solo sperare.

mercoledì 18 aprile 2007

Levare la mano per uccidere


C'e' un senso di stordimento fra gli americani con cui parlo dopo la strage del Virginia Tech. Alcuni deprecano l'incontrollata circolazione delle armi, ma il diritto individuale di possedere delle armi e' ben lontano dall'essere messo in discussione. Sono in pieno corso nei dibattiti e nelle dichiarazioni i tentativi di dare un senso a questo orribile massacro, con la consueta teoria di analisi psicologiche, di interviste ad autorita' e sopravvissuti, di richiami alla necessita' di servizi per la salute mentale, non molto diversamente da cio' che avviene nei media italiani. Il silenzio non e' previsto, non e' nemmeno immaginabile. D'altra parte anch'io ho bisogno di parlare, ma so che non potrei che dire cose sentite ma vane. Non ha parlato banalmente, invece, Furio Colombo oggi su L'Unita'.


Usa, moratoria per le stragi


Da molti anni, ormai, dagli anni di Reagan, la vita interna americana è stretta in una morsa che blocca l’immagine democratica di quel Paese e ne limita il valore di modello nel mondo. Sto descrivendo il corrispondersi, simmetrico e tragico, della pena di morte, ovvero della morte data «per ragioni giuste» dallo Stato, e della libera e impetuosa circolazione della armi.

Armi (personali, semiautomatiche e automatiche) che rendono possibile a singoli individui - non importa per quali ragioni - di eseguire, anche in dimensioni impressionanti, una propria “giusta” sentenza, legittimata dall’orgoglioso possesso dell’arma e dal sentirsi parte di uno Stato che ha l’autorità di uccidere. Occorre cominciare di qui, dalla pena di morte e dalla morte di Stato, che purtroppo segna ancora la vita americana, per provare a riflettere sulla spaventosa carneficina nel Campus del Virginia Technological Institute, uno dei più avanzati centri di formazione tecnico-scientifica negli Stati Uniti e forse nel mondo.

Come si vede il livello altissimo della migliore cultura scientifica sfiora, senza vederlo, il problema del pericolo che incombe sempre sulla protezione della vita. L’esempio allarmante è in quella fotografia mostrata la sera del 16 aprile nel programma «Controcorrente» di Corrado Formigli. Si vede il preside di una facoltà del Technological Institute della Virginia che riceve un vistoso premio in danaro per la sua scuola dalla National Rifle Association, la potente lobby americana delle armi. Che cosa ha fatto il preside per meritare quel premio? Ha creato o aiutato a creare nel suo Stato (ed evidentemente impiegando risorse e personale della Università colpita dalla strage) una serie di club o centri per i ragazzi e adolescenti. Hanno il macabro nome di «Shooting Educational Centers» luoghi in cui - tra i dodici e i quattordici anni - ragazzi e bambine imparano a usare “correttamente” le armi da fuoco. “Correttamente” - ti dicono - vuol dire imparare a non usare le armi a sproposito. Ma il senso vero, specialmente se impersonato da un educatore-tiratore traspare facilmente: “corretto” è il tiro che centra il bersaglio. Lo sparatore del Virginia Tech ne ha centrati trentatré, senza contare i feriti.

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Spostiamoci ora sull’altro lato della tenaglia, la pena di morte che continua ad essere eseguita in trentasei Stati americani, nonostante vistose prove e documentazioni di errori giudiziari, di condannati innocenti e di esecuzioni lunghe e terribili dovute a macabri errori.

Viene dall’Italia il messaggio che potrebbe interrompere la sequenza senza sfidare l’orgoglio e la legittima rivendicazione del diritto di decidere degli Stati che - come l’America - continuano a credere nella pena capitale. Il messaggio - è necessario ricordarlo - è di Marco Pannella. Da 25 giorni digiuna per dire: «fermatevi. Non occorre rivedere alcuna legge, aprire alcuna disputa, discutere principi che alcuni ripugnano e ad altri appaiono sacri. Fermarsi vuol dire solo smettere di eseguire le condanne. Il termine è “moratoria”». Moratoria universale per la pena di morte nel mondo.

Il senso è «Io non pretendo di essere più giusto di te. Ti chiedo solo di fermarti e dare spazio e tempo al confronto di idee». A chi lo sta dicendo Pannella con la sua testarda manifestazione che sembra locale e riguarda il mondo e stranamente provoca meno attenzione del premio di maggioranza alla tedesca? Lo sta dicendo al governo italiano affinché presenti - insieme a molti altri governi che condividono la civiltà della proposta - una risoluzione che la Assemblea generale delle Nazioni Unite potrebbe votare (ci si è quasi riusciti in passato) in questa sessione. Cioè subito. È ovvio che non stiamo parlando di un simbolo. La moratoria che dice “Basta morte di Stato” è un messaggio che si estende all’impegno di far prevalere la politica sulla guerra, la trattativa sull’ultimatum, la forza del diritto sulla forza delle armi. E qui, all’altro capo della grande questione troviamo l’enorme fenomeno della libera circolazione delle armi. E noi, che in Italia ne fabbrichiamo di ottime e ci vantiamo che vadano forte sui mercati di Stato di Usa e Cina, non possiamo chiuderci in un comodo giudizio di condanna della “solita violenza americana”.

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Un argomento è che la moratoria o riguarda il mondo o non riguarda nessuno e dunque ci collega in modo attivo e intelligentemente interventista all’orrore delle stragi, che sono esecuzioni informali.

Un altro argomento - e qui so di forzare le motivazioni assai più ecumeniche e rispettose della moratoria sulle esecuzioni delle condanne a morte invocata da Pannella - è che è urgente spezzare una cultura della destra che salda l’uomo “giusto” che distribuisce pene eque (la vita si paga con la vita) con l’uomo “giusto” che viene avanti dalla prateria dotato di armi adeguate, fiero del diritto di portare quelle armi, implicitamente consapevole del diritto a usarle.

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Cominciano insieme, nella recente storia politica americana, il ritorno (dopo un lungo intervallo senza esecuzioni) della pena di morte, principio e pratica, e il riaffermare intenso, continuo, fanatico del diritto di portare le armi, che risponde alle esigenze di una vasta e moderna produzione di pistole e fucili molto più che al principio costituzionale vecchio di secoli e tutt’altro che invocato da gran parte degli americani. Il debutto avviene nel 1988 quando, nel corso della campagna elettorale del democratico Dukakis, allora governatore del Massachusetts contro George Bush padre, un detenuto nero condannato per stupro ha stuprato e ucciso mentre era in permesso fuori dal carcere. L’evento ha stroncato Dukakis, riaperto la strada alla pena di morte e - nel corso della stessa campagna elettorale - rilanciato il diritto dei cittadini liberi e “giusti” di portare armi. Si tratta di armi leggere dell’ultima generazione. Ma tutto è avvenuto lungo un percorso promozionale in quattro tappe: prima la pistola per difesa, poi il fucile per la caccia, quindi il semiautomatico che, con lievi modifiche artigianali diventa arma automatica da guerra. Infine il diritto di portare “concealed weapons”, armi nascoste sulla propria persona. Ovvero il diritto di girare armati. Anche questo ritorno di fiamma della libera circolazione delle armi ha il suo momento di triste celebrazione: il capo di una setta cristiana detta “davidica” , David Koresh, che era ricercato dallo Fbi perché aveva fatto apertamente incetta di armi automatiche nella sua chiesa-fortino di Waco, Texas, è sfuggito all’assedio della polizia facendosi saltare in aria con più di 80 fedeli fra cui 19 bambini. Era il 19 aprile 1993. L’evento è stato visto e denunciato come un tentativo del governo federale di impedire agli “uomini giusti” di armarsi. Ed è stato brutalmente vendicato.


Lo stesso giorno, nel 1995, il soldato McVeigh (non si sa con quali complicità) ha fatto saltare in aria l’edificio federale di Oklahoma City: centosessantotto morti fra cui 19 bambini, lo stesso numero delle piccole vittime di Waco. Contro le richieste dell’intero mondo giuridico americano, McVeigh è stato condannato a morte. Neppure l’esecuzione della condanna ha chiuso il caso. La memoria di Oklahoma a destra è cancellata, ma non l’episodio di Waco che è ancora citato come esempio del delitto di perseguitare chi “legittimamente” vive armato. Come si è detto, la parte sanguinosa di questa storia è coperta dalla parte promozionale, “Educational Shooting”, avviare i ragazzi a sparare. I parlamentari americani per ora non si oppongono perché la lobby delle armi non scherza nel diffamare chi vuole porre un freno al loro mercato, come è accaduto nelle ultime elezioni al candidato democratico ed eroe di guerra John Kerry, come è accaduto negli otto anni della sua presidenza a Bill Clinton, ostinato avversario della libera circolazione delle armi. La strage di Virginia Tech provocherà una rivolta dell’America che si oppone? Lo abbiamo detto: molto, forse tutto, dipende dalla moratoria universale sulla pena di morte, il congelamento del simbolo, della bandiera, della cultura delle armi. Sarebbe immensamente importante per tutta la cultura democratica nel mondo. E molto più efficace della ricorrente esecrazione, dopo ogni vittima della morte di Stato e della morte di mercato. Sarebbe il segnale di una vera campagna popolare contro la circolazione delle armi e il presunto e folle diritto di uccidere.
furiocolombo@unita.it


L'Unita', Pubblicato il: 18.04.07 - Modificato il: 18.04.07 alle ore 9.17 - >>>QUI<<<

lunedì 16 aprile 2007


Teocrazie


(come farsene una)


Mi serve l’asettica definizione di un dizionario, perche’ di asettico c’e’ ben poco nelle teocrazie e nei loro fondatori e sostenitori, in quanto si tratta di sistemi in cui la forza di una religione supporta il potere politico rendendolo quasi inattaccabile. Se si accetta che il potere discende dalla divinita’, infatti, chi sara’ il reprobo che si levera’ contro di esso?Il potere teocratico e’ meraviglioso per chi lo detiene in quanto indiscutibile.


Vediamo che cosa sta accadendo negli Stati Uniti d’America da un po’ di anni e lasciamolo dire a Paul Krugman, editorialista del New York Times.


FOR GOD'S SAKE   [In nome di Dio]


Nel 1981, Gary North, un leader del movimento Christian Reconstructionist - l’ala apertamente teocratica della destra Cristiana - ha sostenuto che il movimento avrebbe potuto conseguire potere di soppiatto. "I Cristiani devono cominciare a organizzarsi politicamente nell’attuale struttura di partito," ha scritto, "e devono infiltrarsi nell’ordine istituzionale esistente."


Oggi, la Regent University, fondata dal tele-evangelista Pat Robertson per fornire "una leadership Cristiana per cambiare il mondo," si vanta di avere 150 laureati che lavorano nell’amministrazione Bush. 


Sfortunatamente per l'immagine della scuola, dove Mr. Robertson e’ rettore e presidente, la piu’ famosa di quei laureati e’ Monica Goddling, un prodotto della facolta’ di Giurisprudenza dell’universita’. Lei e’ l’ex aiutante capo (?) di Alberto Gonzales che appare centrale nello scandalo dei procuratori U.S. licenziati e ha dichiarato che si avvarra’ del Quinto emendamento piuttosto che testimoniare sull’argomento.   L’infiltrazione nel governo federale da parte di un largo numero di persone che cercano di imporre un’agenda religiosa - che e’ molto differente dall’essere semplicemente gente di fede - e’ una delle storie piu’ importanti degli ultimi sei anni. E’ anche una storia che tende a essere non riportata, forse perche’ i giornalisti hanno paura di apparire come teorici di cospirazioni.


Ma questa cospirazione non e’ una teoria. E’ la piattaforma ufficiale degli impegni del Partito Repubblicano del Texas per " dissipare il mito della separazione fra chiesa e stato." E I Repubblicani del Texas che ora si candidano (?) nel paese stanno facendo del loro meglio per mantenere questo impegno.


Kay Cole James, che aveva estese connessioni con la destra religiosa ed era decano dell’amministrazione della scuola del Regent, e’ stato il funzionario capo del personale del governo federale dal 2001 al 2005. (Fatto curioso: lei allora lavorava con Mitchell Wade, l’uomo d’affari che corruppe il deputato Randy "Duke" Cunninghsam.) Ed e’ chiaro che gente non qualificata veniva assunta dall’amministrazione grazie alle sue connessioni religiose.


Per esempio, The Boston Globe riporta che un laureato in Giurisprudenza della Regent era stato intervistato dal Dipartimento di Giustizia dei diritti civili e, interrogato su quale decisione degli ultimi 20 anni della Corte Suprema dissentisse maggiormente, egli nomino’ la decisione di eliminare una legge del Texas anti-sodomia. 


O consideriamo George Deutsch, incaricato presidenziale alla NASA, che ha detto a un designer di Web siti di aggiungere la parola "teoria" dopo ogni menzione del Big Bang, per lasciare aperta la possibilita’ di "un disegno intelligente del creatore.." Egli turned out not to have (?), come ha dichiarato un grado da Texas A&M. (?)


Una misura di come appunto molti Bushies siano stati nominati per promuovere un’agenda religiosa e’ quanto spesso emerga una connessione con la destra religiosa quando veniamo a sapere di uno scandalo nell’amministrazione Bush.


C’e’ Ms Goodling, senza dubbio. Ma avete saputo che Rachel Paulose, il procuratore federale U.S. in Minnesota - tre deputati del quale si sono dimessi recentemente per protesta contro il suo stile di management - secondo una notizia locale, ha l’abitudine di citare versetti della Bibbia in ufficio? Oppure c’e’ il caso di Claude Allen, … (un altro esempio)


E c’e’ un’altra cosa most reporting fails (?)da comunicare : l’estremismo vero e proprio di queste persone.


Vedete, La Regent non e’ una universita’ religiosa come (?) sono universita’ religiose Loyola o Yeshiva. It’ run…………………….. ?


Due giorni dopogli attacchi terroristi, Mr. Robertson tenne una conversazione con Jerry Falwell nello show TV di MR. Robertson "The 700 Club." Mr. Falwell diede la colpa dell’attacco at the feet "dei pagani, e degli abortisti, e delle femministe, e dei gay e delle lesbiche," …… "Bene", io sono completamente d’accordo," disse Mr. Robertson.


L’implosione dell’amministrazione Bush rappresenta chiaramente una battuta d’arresto per la strategia d’infiltrazione della destra Cristiana. Ma sarebbe prematuro dichiarare che il pericolo e’ passato. Questo e’ un movimento che ha mostrato una grande resilienza (elasticita’) nel corso degli anni. Cerchera’ sicuramente nuovi campioni.


La prossima settimana Rudy Giuliani parlera’ al Regent’s Executive Leadership Series.


Nota: la traduzione e' mia. "?" per le cose incerte; "...." piccoli salti. Le sottolineature in grassetto e rosso sono mie e indicano le mie reazioni di lettrice. L'articolo di Paul Krugman, che ho letto nell'edizione cartacea, e' stato pubblicato dal New York Times del 13 aprile 2007. - >>>QUI<<<


lunedì 18 dicembre 2006

Studenti Iraniani


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«le stelle si vedono quando fa buio»


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Iran studente manifesta per libertà di pensiero


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Gli studenti iraniani hanno protestato con vigore e determinazione, a viso scoperto, contro il tiranno di turno. Chiunque conosca la terribile dittatura clericale iraniana non può che stupirsi per tanta coraggiosa audacia, perché la sorte di quei giovani è in balia della polizia e dei seguaci del tiranno contestato. Credo che non vadano lasciati soli. E la prima cosa da fare è cercare di capire che cosa sta succedendo, cercando informazioni tra le strettissime maglie della gabbia costruita dal regime degli ayatollah. Il primo articolo ampio sull'argomento l'ho trovato nel Guardian. Eccolo qui di segutito.





Iranian students hide in fear for lives after venting fury at Ahmadinejad


· President's supporters vow revenge on protesters
· Activists forecast harsher crackdown on dissent


Iranian student activists who staged an angry protest against President Mahmoud Ahmadinejad last week have gone into hiding in fear for their lives after his supporters threatened them with revenge.


One student fled after being photographed holding a banner reading, "Fascist president, the polytechnic is not for you", during Mr Ahmadinejad's visit to Tehran's Amir Kabir university. At least three others have gone underground after being seen burning his picture. Vigilantes from the militant Ansar-e Hezbollah group have been searching for them.


In a startling contrast to the acclaim Mr Ahmadinejad has received in numerous recent appearances around Iran, he faced chants of "Death to the dictator" as he addressed a gathering in the university's sports hall last week. Several hundred students forced their way in to voice anger over a clampdown on universities since he became president last year.


While his aides played down the incident, the Guardian has learned details of the violent and chaotic events.


The disclosures came yesterday as early returns from Friday's council elections indicated that Mr Ahmadinejad's hardline supporters had failed in their attempt to take control of several key local authorities. Turnout was estimated at about 60% after reformers urged liberal-minded electors to vote in large numbers to protest against the government's policies.


Last Monday's university demonstration triggered violent clashes between student activists and crowds of Basij militia, who were there to support the president. A shoe was thrown at Mr Ahmadinejad while a student had his nose broken by an aide to a cabinet minister.


Protesters later surrounded the president's car, prompting a security guard to fire a stun grenade to warn them off. Four cars in the presidential convoy collided in their haste to leave. Mr Ahmadinejad's staff later insisted he had remained calm and ordered that the students should go unpunished. But some of those present say he accused them of being paid United States agents who would be confronted.


"He threatened us directly, saying that what we were doing was against the wishes of the nation," said Babak Zamanian, a spokesman for Amir Kabir university's Islamic students' committee. "After that, the students protested even more sharply, calling him a lying religious dictator and shouting, 'Forget America and start thinking about us!'


"We were chanting, 'Get lost Ahmadinejad!' and 'Ahmadinejad - element of discrimination and corruption.' You could see from his face that he was really shocked. He wasn't flashing his usual smile, and at one stage I thought he was going to cry. He told his supporters to respond with a religious chant hailing Ahmadinejad, but he was so shaken he was actually chanting it himself."


Another student said: "He was trying to keep control of himself, but you could see he was angry and upset."


Witnesses say Mr Ahmadinejad also tried to ridicule the students by referring to the university disciplinary code, under which those with three penalty points are suspended from studies. "He joked that he was going to issue a presidential order for those with three stars to be enlisted as sergeants in the army. That made the students really angry," said Mr Zamanian.


The university authorities' contentious use of the disciplinary code was said to be a trigger for last week's protest. About 70 students have been suspended and threatened with expulsion for various political activities, including writing articles critical of the government.


Last month, the authorities demolished two building belonging to the Islamic students' committee - a moderate grouping representing diverse opinions. An elected student body was also disbanded. Women students have been told to wear conservative dress and remove any makeup.


In this atmosphere, activists at Amir Kabir university - a traditional hotbed of political activism - regarded Mr Ahmadinejad's visit as a deliberate provocation and decided to protest. While many chanted, a hard core waved banners and burned his portrait, some ignoring instructions to cover their faces.


The 21-year-old student holding the "fascist president" banner was among those threatened with expulsion. He is said to be in grave danger after foreign news outlets, including the Guardian, published a picture of his gesture. Friends say he went into hiding after being confronted by two vigilantes.


"They said they would pull his father out of the grave [an ancient Persian threat]," said one student. "He is in real danger. Vigilantes have been standing at the dormitory doors asking for him."


Students now fear an even fiercer crackdown. "We believe [the authorities] will react much worse than before," said Armin Salmasi, 26, a leading activist. "We are already under constant surveillance. The student movement in Iran is going to be driven underground - just like it was before the revolution."


Fonte: The Guardian -  http://www.guardian.co.uk/frontpage/story/0,,1974503,00.html


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Ho appena visto un articolo raccapricciante nel sito del Corriere della Sera. Lo conservo qui, perché non si perda l'inizio di questa nuova vicenda in Iran.


Stelle-distintivi da indossare sugli abiti nel prestigioso ateneo Amir Kabir


Teheran, studenti ribelli «marchiati»



Nell'università dove il presidente fondamentalista Ahmadinejad è stato contestato pubblicamente per la prima volta dalla sua nomina














Un «rating» di inaffidabilità, come quello delle agenzie Moody e Standard & Poor per il debito internazionale. Stelle-distintivi da indossare sugli abiti, come quelle che i nazisti imponevano agli ebrei. Il tutto in un luogo che ben poco ha in comune con Wall Street e le comunità ebraiche ai tempi di Hitler. Le stelle (il loro numero significa un voto negativo, da uno a tre) sono imposte agli studenti «ribelli» della prestigiosa università Amir Kabir di Teheran. Una scuola d'élite, versione iraniana della London School of Economics e della californiana Berkley, fucina dei leader della rivoluzione islamica che rovesciò lo Shah nel 1979.

La settimana scorsa è stato qui che per la prima volta dalla sua nomina, nel giugno 2005, il presidente fondamentalista Mahmoud Ahmadinejad è stato contestato pubblicamente. Una sessantina di studenti l'ha accolto bruciandone i ritratti, gridando «morte al tiranno» e «fascista», mostrando cartelli che chiedevano libertà — qualcuno gli ha tirato anche una scarpa — prima di essere zittiti e fermati, perfino con una granata. Ricercati da varie bande filogovernative (anche se il presidente in persona avrebbe ordinato di non arrestare nessuno), almeno quattro degli studenti filmati durante la protesta ora vivono nascosti. «I miliziani hanno promesso a uno di loro di "tirar fuori suo padre dalla tomba", un'antica minaccia persiana. È in pericolo», ha detto un amico.

Erano state proprio quelle stelle a far incendiare la protesta: ultima, simbolica (ma non solo) decisione del nuovo rettore- Ayatollah imposto dal governo nell'università ribelle, dopo il divieto di ogni riunione tra studenti (anche non politica), la distruzione di loro sedi, l'allontanamento dei professori «filoccidentali», il giro di vite sull'abbigliamento delle ragazze. Le stelle, introdotte recentemente, vanno indossate dagli studenti sospettati di minacciare l'ordine. «Chi ne ha ricevuta una ha dovuto firmare una lettera prima di essere ammesso, impegnandosi a non partecipare a nessuna attività politica — racconta Ali Nikou Nesbati, uno dei contestatori dell'11 dicembre — Con due stelle, l'iscrizione viene ritardata e si devono firmare documenti ancora più duri, con tre non ci si può nemmeno iscrivere». In tutto, i «marchiati» sono una settantina, che ora ostentano i distintivi come se fossero onorificenze e ne sottolineano l'analogia con le stelle dei nazisti. Un regime e un periodo storico di cui si è parlato tanto nei scorsi giorni a Teheran, per l'incredibile e controversa conferenza negazionista dell'Olocausto, voluta proprio da Ahmadinejad.

Non è quindi un caso che tra i cartelli anti- presidente comparsi all'università quell' 11 dicembre ce ne fosse uno che diceva «le stelle si vedono quando fa buio». Né è un caso che nel suo discorso Ahmadinejad ne abbia fatto menzione. «Ha scherzato, ha detto che voleva emettere un decreto presidenziale per obbligare tutti i ragazzi con tre stelle a diventare sergenti dell'esercito. Ma questo ha fatto davvero infuriare gli studenti», rivela Babak Zamanian, portavoce del comitato studentesco islamico.

Ahmadinejad avrà anche scherzato e bloccato (per ora) gli arresti dei contestatori, ma nessuno nel campus di Amir Kabir pensa che la calma durerà a lungo. «Le autorità reagiranno ancor peggio che in passato — dice Armin Salmasi, uno dei leader del movimento, pensando alla rivolta universitaria del 1999, la più cruenta, e a quelle minori degli ultimi anni — Siamo già sotto continua sorveglianza. Presto dovremo entrare in clandestinità: com'era prima della rivoluzione».







18 dicembre 2006



Fonte: Il Corriere della Sera - http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2006/12_Dicembre/18/teheran.shtml


mercoledì 8 novembre 2006

GOOD MORNING, AMERICA!  AND GOOD LUCK!


In Minnesota sono le 9 post meridiem di questo lunghissimo 8 Novembre. Prima e' arrivata la notizia del seggio al Senato conquistato dai democratici in Vermont: 50 a 49. Poi le dimissioni di Rumsfeld. E infine poco fa la notizia della vittoria dei democratici anche in Virginia: 51 a 49.


Cosi' Bush ha perso su tutta la linea: Senato, Camera, Governatori. Sono contenta perche' spero in un cambiamento, magari a valanga. Eppure non posso non notare la fatica di questo cambiamento. Mi sembra impossibile che tanti abbiano ancora dato fiducia a Bush. Vorrei poter gridare anche "Good morning, World! And good Luck!". Un potere sempre piu' assoluto, sostenuto da una maggioranza che non garantiva piu' la democrazia, ha trovato un ostacolo finalmente. Mi aspetto molto dal nuovo Congresso americano e dai democratici che dopo 12 anni ne hanno ripreso il controllo. Riusciranno a far ragionare il cristiano rinato? Cancelleranno le sue leggi contro i diritti umani? Cambieranno la tragica politica estera di questa amministrazione? Non lo si puo' sapere ora. Ma, senza questo cambio di maggioranza, nessuna speranza sarebbe stata concepibile.

Non e' ancora finita...


Oggi e' mercoledi' e qui, a Minneapolis, sono le 10:16 ante meridiem. E la Virginia e il Montana ancora se la contano, perche' i repubblicani vogliono tenersi almeno il Senato, che poi e' importantissimo. Ho gli occhi a palla dopo una serata e mezza nottata passata davanti al televisore, come una sciocca integrale, a sentire discorsi di cui non capivo nulla e a guardare la grafica della CNN, almeno quella comprensibile. Non staro' a ripetere cio' che con dovizia di particolari hanno riportato i giornali italiani. Se non altro la giornata e' bellissima, il Minnesota ha mandato una candidata democratica democratica al Senato (prima volta nella storia), Nancy Peloso e'speaker alla House (prima donna nella storia), e Hillary Clinton e' energica al massimo e parla molto bene. Il dubbio sul Senato e' lacerante, ma anche il pensiero di altri due anni di cristiano rinato non allieta la vita. Vediamo se l'incubo comincia a finire?


PS. Il Minnesota e' uno stato blu. (Blu e' il colore dei democratici e rosso quello dei repubblicani).

martedì 7 novembre 2006

Il giorno delle elezioni in USA


Oggi e' martedi' e qui sono le 7:05 ante meridiem. Sulla costa Est avranno gia' cominciato a votare. Non so a che ora si cominci qui. Le notizie sono le piu' disparate, ma e' chiaro che i democratici devono conquistare obbligatoriamente 15 seggi alla Camera e 6 al Senato. I repubblicani sono in ripresa, secondo i sondaggi, e poi solo due giorni fa, con un tempismo miracoloso, Saddam e' stato condannato a morte. E, ironia massima, questo aiuta.


«Queste elezioni sono un referendum su George W. Bush e sulla maggioranza repubblicana al Congresso che insiste a proteggerlo dalle conseguenze dei suoi misfatti. Bush ha perso il voto popolare nel 2000 e governato come se avesse un enorme mandato. Nel 2004 annunciò di avere un capitale politico e abbiamo visto i risultati. È spaventoso immaginare i nuovi eccessi che potrebbe architettare se mercoledì dovesse scoprire che il suo partito ha mantenuto il controllo di Camera e Senato».
New York Times, editoriale 5 novembre [La striscia rossa de l'Unita', 7 Novembre 2006]


domenica 5 novembre 2006

ELEZIONI DI MIDTERM IN USA
Rivoluzione conservatrice alla prova
5/11/2006
di Barbara Spinelli


DICONO i sondaggi negli Stati Uniti che l'elettore americano, questa volta, concentrerà tutta la propria malcontenta attenzione su Bush, sulla fallita missione in Iraq, e sulle migliaia di soldati fatti morire in una guerra sbagliata, mal preparata, condotta al tempo stesso con enorme passione e ancor più enorme sciatteria. Dicono che non è l'economia a preoccupare i votanti, ma lo stato di guerra permanente e inane in cui il Paese si trova a dover vivere da quando Bush è diventato capo dello Stato. Questo stato di guerra ha trovato il suo simbolico battesimo politico il giorno in cui il terrorismo colpì le Torri di New York, seminando morte e terrore in un popolo dichiarato nemico da Al Qaeda.

Ma se Bush colse subito quell'occasione per lanciare non una sola guerra di rappresaglia ma più guerre inutili e deleterie, è perché già prima dell'11 settembre l'arte della politica era stata contraffatta, divenendo arte non fondata sulla mediazione ma su insanabili conflitti e divisioni. Più precisamente, era diventata un'arte dove la cultura e la religione tornavano a coincidere con la politica e a monopolizzarla, mettendo fine all'autonomia laica che quest'ultima possiede in democrazia, quando le sue istituzioni sono forti. Finita la guerra fredda, si trattava di ricreare il nemico di cui le democrazie hanno esistenzialmente bisogno per far fronte alle avversità, e il nemico fu trovato dividendo il Paese tra chi era pronto a dar battaglia sui presunti valori smarriti e chi no, tra chi voleva anteporre la cultura e la religione alla politica e chi voleva tenerle da essa separate, così come son separate in Occidente e nella Costituzione Usa le Chiese.

La trasformazione dell'arte politica in guerra culturale era cominciata nel 1994, cinque anni dopo la sconfitta del comunismo, quando i repubblicani riconquistarono la Camera dei Rappresentanti e il Senato (da 40 anni i democratici dominavano la Camera, da 8 il Senato). Clinton era Presidente, a quel tempo, ma i repubblicani vinsero le elezioni di medio termine annunciando quella che doveva essere un'autentica rivoluzione, prolungatasi poi nella presidenza Bush. Il loro dominio sul Congresso è durato 12 anni, e in quest'intervallo molte cose sono cambiate negli Stati Uniti. È cambiata l'idea della guerra: non più fredda ma calda; non più limitata nel tempo ma dipinta come sterminata. È cambiato il rapporto tra esecutivo e legislativo,
con l'esecutivo che ha accumulato immensi poteri mortificando il Congresso e le regole di diritto.


Fonte: La Stampa - domenica 5 novembre 2006


Barbara Spinelli ha toccato diversi punti dolenti di questo periodo storico che certo non ciaspettavamo di vivere in questo modo. Alla sua ultima frase aggiungerei una cosa che ho gia' detto ieri: "l'esecutivo ha accumulato immensi poteri mortificando il Congresso e le regole di diritto"...non solo le regole nazionali, ma anche quelle internazionali, abbattendo quei pilastri planetari del diritto che sembravano ormai intoccabili.


Di questo io ritengo responsabile l'Unione Europea per non aver contrastato con tutto il suo peso politico la nuova legislazione USA, di cui forse a molti e' sfuggita l'enorme gravita'.




  • abolizione dello "habeas corpus" ( Magna Charta Libertatum 1215) per ora per i non residenti, ma il passo per estenderlaa tutti e' pericolosamente breve.



  • conferimento al presidente della facolta' di dichiarare chicchessia " nemico dello stato" senza bisogno di giustificazioni e prove, ma secondo il suo arbitrio. 



L'altro punto fondamentale dell'articolo di Spinelli e' il richiamo alla commistione tra religione e politica e 'culture', una miscela che mette in pericolo le liberta' democratiche conquistate nel lungo corso della storia, ma soprattutto negli ultimi secoli, in particolare gli ultimi due o tre. Su questo mi soffermero', se mai ne avro' la capacita', nei prossimi post. Ho letto e riletto i discorsi di Benedetto 16: abilissimo, ma non abbastanza da non rendere evidente il gioco di volersi impadronire anche della ragione appiccicandoci la fede, in modo da superare il "credo quia absurdum" e rendere fittiziamente razionali e ragionevoli argomenti che sono esclusivamente fideistici.

sabato 4 novembre 2006

Elezioni negli Stati Uniti


E' una occasione eccezionale per me: sono negli Stati Uniti per la prima volta e posso seguire da vicino un evento che questa volta e' di vitale importanza. Questo significa che mi aspetto grandi e sostanziali differenze nel caso dovesse vincere il partito democratico. Ma accadra' questo primo cambiamento? In realta' la campagna elettorale in televisione la seguo per disperazione, perche' l'angloamericano mi e' incomprensibile. Leggo i giornali e le riviste (liberal), e tutti sono un po' col fiato sospeso. Karl Rove, autore delle due elezioni Bush junior, conta sulle ultime 72 ore e certo ha molte carte da giocare. Uno dei programmi e' di scatenare orde di teenagers che vadano, porta a porta o al telefono, a spingere i relgiosi ad andare a votare. Sono quelli che in genere non vanno a votare, ma, se votano, votano repubblicano. D'altra parte e' gia' accaduto per la rielezione di due anni fa.


Molte cose terribili ha fatto questa amministrazione, il cui capo si fregia di un'amicizia personale e colloqui quotidiani con Dio (il suo). Ne ho parlato piu' volte e ora sono proprio senza fiato.Tuttavia vorrei indicare un articolo di Immanuel Wallerstein (QUI il LINK)  , che si chiede appunto:


Che differenza farà un Congresso democratico?
Sulle prossime elezioni per il rinnovo del Congresso in Usa.


Ma non voglio limitarmi a criticare i soliti USA. L'Unione Europea che fa? Quando Bush W. ha firmato in pompa magna la legge sulla 'licenza di torturare' e sul potere praticamente assoluto del presidente di stabilire chi e' nemico della nazione, come mai non ci siamo sollevati come un solo stato unitario contro un vulnus estremo alle leggi internazionali. Ero ancora in Italia allora, non molti giorni fa, e ho visto con orrore la trasmissione di quella cerimonia, nonche', con maggiore orrore, ho constatato che non ci sono state reazioni di livello planetario. Se mi sono sfuggite, ringrazio in anticipo chi me le fara' notare.


Intanto continuo a trattenere il fiato, perche' sono abbastanza convinta che un Congresso democratico fara' una buona differenza.


 

domenica 1 ottobre 2006

Il Congresso approva i tribunali di Bush


senatori danno il via libera al Terror Act del presidente:




  • cancellato l'habeas corpus,



  • estesa all'infinito la detenzione preventiva e la competenza delle Commissioni militari
    Franco Pantarelli - New York - Il Manifesto, 29 settembre 2006



I senatori americani erano ieri sulla dirittura finale per far passare alla storia il 28 settembre 2006 come una giornata nerissima per la democrazia americana.






Nel primo pomeriggio, l'ultimo tentativo di dare al terror bill di George W. Bush un piccolissimo elemento di decenza era fallito quando un emendamento presentato in un estremo sussulto dal repubblicano Arlen Specter, presidente della commissione Giustizia, era stato respinto. Lo scopo della sua mossa era di salvaguardare l'istituto dell' habeas corpus, cioè la norma che consente a chi viene arrestato il diritto di contestare per l'appunto il suo arresto. Non è che fosse un granché, in una legge che consente al presidente di interpretare a suo comodo la Convenzione di Ginevra, che prevede la detenzione indeterminata di chiunque, il processo di fronte alle «commissioni militari» che possono usare prove sconosciute all'imputato e accettare confessioni o testimonianze avvenute sotto tortura e tutte le altre brutture di cui si è ampiamente parlato.


Ma almeno l'emendamento di Specter salvaguardava i disgraziati che possono finire in galera per un errore di persona o magari per la denuncia di un vicino cui sono antipatici. Niente da fare, l'emendamento di Specter «rende difficile la guerra al terrore ed è irresponsabile», aveva sostenuto il suo collega Lindsay Graham (uno dei «repubblicani ribelli» di pochi giorni fa) ed è stato bocciato con 51 voti contro 48.


A quel punto, nulla più ostava al passaggio della legge nel corso della giornata di ieri, tanto che la Casa bianca stava già allestendo la cerimonia con cui Bush l'avrebbe solennemente firmata, come al solito attorniato da deputati e senatori plaudenti. Lui del resto proprio ieri mattina era andato ancora una volta al Capitol in veste di lobbyst in chief, per invitare i senatori a «seguire l'esempio» della Camera, che mercoledì aveva approvato la legge con 253 voti contro 168 al termine di un dibattito aspro ma «non troppo».


Il problema di questa legge, infatti, oltre che nel suo orrendo contenuto sta nel modo in cui si è arrivati alla sua approvazione e cioè in gran fretta e senza una discussione approfondita affinché il presidente possa firmarla oggi e tutti possano partire per i rispettivi collegi e sperare di essere confermati al loro posto raccontando agli elettori poco informati di aver posto una pietra miliare per difenderli dai terroristi e tuonando contro i democratici che hanno votato contro.


Una prospettiva cui i democratici guardano con paura, tanto che non se la sono sentita di battersi a fondo contro questa legge sfruttando le pieghe del regolamento del Senato. «Se c'è un momento in cui bisogna adottare l'ostruzionismo è questo», li aveva esortati ieri mattina il New York Times in un violentissimo editoriale, ma loro hanno preferito evitare lo scontro nella speranza (l'illusione?) di conservare la possibilità di rovesciare la maggioranza e poter sistemare le cose dopo.


Così, con i repubblicani rientrati rapidamente sotto l'ala di Bush e i democratici che li hanno lasciati fare, a denunciare l'aspetto odioso di questa legge sono rimaste le solite «anime belle», come gli scandalizzati docenti di diritto o quei 33 diplomatici che in una lettera al Congresso avevano avvertito che questa legge può essere vista all'estero come un'autorizzazione a «trattare allo stesso modo i nostri militari, diplomatici o membri delle organizzazioni non governative».


Infine l'ho trovato un articolo italiano sull'argomento. La tortura in sé è un male assoluto, ma la sua legalizzazione nella più grande democrazia del mondo supera per orrore anche la pratica stessa rendendola lecita. Sono desolata per gli americani. Spero che si salvino con una sana ripresa di consapevolezza e con una ribellione che altre volte hanno messo in atto. (Nel post precedente un articolo del new York Times).


Cara Pucci, il tuo commento era purtroppo ottimistico: disgraziatamente, come vedi, c'è qualcosa di nuovo da aggiungere, qualcosa di ancora più orribile, qualcosa che mai avremmo voluto dover registrare. Caro Mel, conosco la tua sensibilità e la tua stupenda professionalità. L'educazione su argomenti come questo non è mai abbastanza precoce né eccessiva. Sono lieta che i documenti che evidenzio ti siano utili. Questa ultima prestazione del cristiano rinato e dei suoi seguaci spero che venga giustamente condannata, quanto prima possibile. Continuo a sperare nell'impeachment, altrimenti bisognerà aspettare i tempi lunghi della Storia.