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giovedì 2 luglio 2015

Referendum in Grecia

Perché il referendum 'eccezionale' di Tsipras ha impresso una svolta nelle trattative

di Nadia Urbinati   01 Luglio 2015
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«Il desiderio del governo greco, espresso fin dall'inizio, è stato quello di alterare la politica di austerità, non di rinnegare l'Europa. Forse questo desiderio era utopistico ma non illegittimo; forse ha fallito nell'efficacia, ma la visione non era sbagliata». Huffington post, 30 giugno 2015

Ogni referendum ha una storia sua propria. Quello greco è politico nei suoi fondamenti ed eccezionale. Non nasce dalla volontà del governo di Atene di scaricare la responsabilità di una decisione ardua sui suoi cittadini. Nasce da un coacervo di circostanze che hanno creato un'oggettiva situazione di stallo nella trattativa tra il governo greco, i partner europei e i rappresentanti del FMI volta ad approntare un iter realistico verso il ripiano del debito che non uccida i debitori o non li renda così impotenti da annullare la loro capacità di darsi una vita dignitosa. Si tratta di un referendum in ultima istanza; per superare la situazione di stallo o uscire dal binario morto nel quale le parti di questa lunga trattativa si sono cacciate.

Per un governo rappresentativo si tratta di una decisione determinante, una di quelle gravide di conseguenze non rivedibili per questa generazione e quelle a venire. La consultazione dei diretti interessati sul Memorandum politico dell'austerità è per questo legittima. Ma è anche ragionevole in vista proprio della continuazione della trattativa. Segno di un governo che rischia e ha il senso della gravità del momento. Del resto, nonostante sia identificato come un governo di sinistra radicale, la maggioranza dei greci che lo hanno votato, ha scritto Stathis Gourgouris, non é composta di persone ideologiche, ma di cittadini stanchi delle impotenze dei governi precedenti, della mancanza di coraggio delle leadership tradizionali. Il voto a Syriza ha espresso una richiesta di coraggio, di mutamento di percorso. E la sua classe politica giovane e nuova ha anche per questo avuto il sostegno di persone politicamente distanti.

Un fatto va sottolineato, e che non appare nei resoconti catastrofisti di questi giorni: Syriza ha pensato che per uscire dallo stallo della trattativa a Bruxelles solo l'appello al popolo poteva rimettere in moto le cose. Gli scienziati politici hanno in varie occasioni messo in evidenza come la scelta radicale, per esempio il ricorso diretto alla voce del popolo, ha precisamente la funzione di imprimere una svolta che dia nuovo vigore e immaginazione alle forze in campo. Non è il referendum che le erode, del resto.

L'erosione deriva semmai dal far trascinare la trattativa troppo a lungo perché questo rischia di generare una crescente incomprensione nei partner in quanto mette in moto emozioni ostruttive, come la diffidenza e perfino il disprezzo personale tra i contraenti. Le trattative faccia-a-faccia sono cruciali quando vi é la volontà di risolvere il contenzioso in modo che tutti abbiano covenienza. Ma la lunghezza dei tempi gioca contro perché apre lo spazio alla guerra psicologia, che mira non a trovare una soluzione equa o non a somma zero, ma ad annientare l'avversario.

In questo senso, il referendum puó avere la funzione di stemperare gli umori psicologici spostando il problema sul terreno della procedura e dell'aspettativa assolutamente impersonale, quale é l'esito di un voto segreto. Sappiamo del resto che in molti casi, forme di democrazia diretta hanno il merito di stabilizzare le relazioni pubbliche perché orientano chi deve subire le conseguenza di una decisione all'accettazione delle scelte, anche le più ostiche (il caso esemplare é quello della Svizzera, che si é consolidata con i referendum). A giudicare dai movimenti della diplomazia mai interrotta a Bruxelles, è probabile che il referendum greco abbia il merito di rianimare la scena e mettere in campo proposte nuove e intenzioni meno macchinose e fatali. Sia che Syriza perda o vinca, il referendum potrà forse stabilizzare anziché destabilizzare le relazioni tra Grecia e Europa, poiché il popolo greco si fa direttamente responsabile.

Sarebbe desiderabile valutare positivamente l'onestà e il coraggio di questo governo, virtù determinanti in una fase di grande difficoltà come l'attuale. Virtù politiche che hanno il potere di tenere insieme una situazione difficilissima e aprire vie d'uscita.

Il desiderio del governo greco, espresso fin dall'inizio, è stato quello di alterare la politica di austerità, non di rinnegare l'Europa. Forse questo desiderio era utopistico ma non illegittimo; forse ha fallito nell'efficacia, ma la visione non era sbagliata come ha commentato Paul Krugman. Il referendum é a ben guardare il gesto di una politica europeista non anti-europeista. Solleva direttamente una questione che vale per tutti gli europei: che Europa é questa che tratta il debito secondo una logica contrattualistica privata e non sa comprendere la legittimità democratica che un popolo ha di tentare strade meno dolorose e ingiuste? Su quali basi e con quale logica la dirigenza europea pensa di poter evadere una richiesta democratica di mutare rotta per avviare una diversa strategia di risoluzione del debito che faccia perno sulla crescita e non sui tagli?

Il referendum greco ha posto un problema all'Europa, un problema che deve essere risolto in e con l'Europa: quello di un modo diverso di affrontare le politiche del debito - cioé come politiche di risanamento e di crescita, non di punizione. Così è stato in Europa dopo la distruzione lasciata dalla guerra, così dovrebbe essere oggi dopo la distruzione lasciata da questa crisi economica. E la scossa del referendum, nella sua tragicità può aiutare a intraprendere questo percorso.
Del resto la democrazia è un governo del rischio e della crisi. Da onorare sia quando la fortuna arride sia in tempi duri che richiedono un surplus di saggezza e di coraggio. Nel linguaggio di Aristotele, ai cui scritti la scienza e la pratica politica europee sono debitrici, la democrazia é modo politico di vivere insieme nel quale tutti hanno un egual condivisione di potere. Senza di che ci sono relazioni di dominio; senza di che non c'è posto per alcuna trattativa, ma solo per la non-scelta del prendere o lasciare.

lunedì 29 giugno 2015

EUROPA 1

29 GIUGNO 2015 - TSIPRAS REFERENDUM PER IL POPOLO GRECO SULLE PROPOSTE DELLA TROJKA

Piketty: “Europa in agonia sono i conservatori ad averla devastata”

i Roberto Brunelli, da Repubblica, 29 giugno 2015
L’Europa sta per essere distrutta. Ma non dai greci e dall’ostinazione di Tsipras e Varoufakis, ma dai “conservatori” del Vecchio Continente, in particolare quelli tedeschi. E’ un Thomas Piketty furente a dire la sua, in un’intervista alla Zeit che il settimanale tedesco pubblica non a caso con grandissimo rilievo. Perché è un j’accuse — quello dell’economista divenuto una star internazionale con il suo “Il capitale del XXI secolo” — che cade come un meteorite in fiamme sulla cronaca greca di questi giorni.

“I conservatori stanno ad un passo dal devastare definitivamente l’idea europea, e lo fanno per colpa di uno spaventoso deficit di memoria storica. In particolare per quello che riguarda i debiti. Proprio la Germania di oggi dovrebbe capire il significato di quello che sta accadendo: dopo la guerra Gran Bretagna, Germania e Francia soffrirono di una situazione debitoria peggiore di quella della Grecia di oggi. La prima lezione che dovremmo trarne è che ci sono molti modi per saldare dei debiti: e non uno solo, come Berlino vorrebbe far intendere ai greci”.

Sul banco degli imputati, non è difficile immaginarlo, soprattutto Angela Merkel e Wolfgang Schaeuble. “Quando sento i tedeschi dire che sono mossi solo dall’etica e che sono fermamente convinti che i debiti debbano essere pagati, penso: ma questa è una barzelletta! La Germania è esattamente il paese che non ha mai onorato i suoi debiti, né dopo la prima né dopo la seconda guerra mondiale”. Niente a che vedere con “l’accezione comune di ordine e giustizia: perché se la Germania nel secondo dopoguerra realizzò il boom, fu proprio grazie del fatto che i suoi debiti furono abbattuti, cosa che oggi neghiamo con ferocia ai greci”.

Quello che propone Piketty è chiaro: una grande conferenza europea sul tema dei debiti. Qualcosa di paragonabile, come dimensione strategica, al Piano Marshall. Ma niente del genere è all’orizzonte, anzi. “La verità è che una ristrutturazione dei debiti è inevitabile in molti paesi europei, non soltanto in Grecia. E invece abbiamo appena perso inutilmente sei mesi di tempo a causa di trattative tutt’altro che trasparenti con Atene”.

Non solo. A Schaeuble, che sostiene che una eventuale Grexit addirittura favorirebbe una rinnovata compattazione europea, Piketty risponde con uno scenario opposto: se non cambia passo, l’Unione europea affronterà una crisi di fiducia ancora più grave. “Sarà l’inizio di una lenta agonia, nella quale sacrificheremo all’altare di una politica debitoria irrazionale il modello sociale europeo, persino in termini di democrazia e civilizzazione”. L’ultimo pensiero, e non poteva essere altrimenti, è per la cancellera tedesca Angela Merkel: “Se vuole assicurarsi un posto nella storia, come Kohl con la riunificazione tedesca, deve avere il coraggio di un nuovo inizio. Chi invece oggi insiste nel voler cacciare la Grecia dall’eurozona finirà nella pattumiera della storia”.

(29 giugno 2015)

martedì 4 marzo 2014

Gli invisibili d’Europa di Barbara Spinelli

"Il dolore sta producendo risultati"

 



Il neoministro dell’Economia, Padoan


Lo scorso anno il neoministro dell’Economia, Padoan, giustificava le politiche di austerity: "Il dolore sta producendo risultati". Per tali parole dovrebbe ora scusarsi. La rivista scientifica Lancet racconta nell’ultimo numero come le politiche della troika abbiano distrutto la sanità pubblica in Grecia, usata come cavia dall’Ue: il risanamento, così inteso, riduce malthusianamente le popolazioni, cominciando da bambini e anziani. 

di Barbara Spinelli, da Repubblica, 26 febbraio 2014

"Il dolore sta producendo risultati": fa impressione, proprio ora che è divenuto ministro dell’Economia, rileggere quel che Pier Carlo Padoan disse il 29 aprile 2013 al Wall Street Journal, quando era vice segretario generale dell’Ocse.

Già allora i dati sull’economia reale smentivano una così impudente glorificazione dell’austerità - e addirittura dei patimenti sociali che infliggeva - ma l’ultimo numero di Lancet, dedicato alla sanità pubblica in Grecia dopo sei anni di Grande Depressione, va oltre la semplice smentita

Più che correggersi, il ministro farebbe bene a scusarsi di una frase atroce che irresistibilmente ricorda Pangloss, quando imperterrito rassicura Candide mentre Lisbona è inghiottita dal terremoto raccontato da Voltaire: "Queste cose sono il meglio che possa accadere. La caduta dell’uomo e la maledizione entrano necessariamente nel migliore dei mondi possibili".

Lancet non è un giornale di parte: è tra le prime cinque riviste mediche mondiali. Il suo giudizio sulla situazione ellenica, pubblicato sabato in un ampio dossier (lo ha ripreso Andrea Tarquini sul sito di Repubblica), è funesto: la smisurata contrazione dei redditi e i tagli ai servizi pubblici hanno squassato la salute dei cittadini greci, incrementando il numero di morti specialmente tra i bambini, tra gli anziani, nelle zone rurali. Nella provincia di Acaia, il 70 per cento degli abitanti non ha soldi per comprare le medicine prescritte. Emergency denuncia la catastrofe dal giugno 2012. Numerose le famiglie che vivono senza luce e acqua: perché o mangi, o paghi le bollette. Nel cuore d’Europa e della sua cultura, s’aggira la morte e la chiamano dolore produttivo.

"Siamo di fronte a una tragedia della sanità pubblica", constata la rivista, "ma nonostante l’evidenza dei fatti le autorità responsabili insistono nella strategia negazionista". Qualcuno deve spiegare a chi agonizza come sia possibile che il dolore e la morte siano "efficaci", e salvifiche per questo le riforme strutturali fin qui adottate.

Né è solo "questione di comunicazione" sbagliata, come sosteneva nell’intervista Padoan: sottolineare gli esiti promettenti del consolidamento fiscale, ammorbidendo magari qualche dettaglio tecnico, non toglie la vittoria al pungiglione della morte. Trasforma solo un’improvvida teoria economica in legge naturale, perfino divina. Moriremo, certo, ma in cambio il Paradiso ci aspetta. Soprattutto ci aspetta se non cadremo nel vizio disinvoltamente rinfacciato agli indebitati-impoveriti: la "fatica delle riforme" (reform fatigue), peccato sempre in agguato quando i governi "sono alle prese con resistenze sociali molto forti". Quando siamo ingrati, come Atene, alle iniezioni di liquidità che l’Unione offre a chi fa bancarotta: nel caso greco, due bailout tardivi, legati a pacchetti deflazionistici monitorati dalla trojka. I contribuenti tedeschi hanno già dato troppo, dicono in Germania. Non è vero, i contribuenti non hanno pagato alcunché perché di prestiti si tratta, anche se a tassi agevolati e destinati in primis alle banche.

Difficile dar torto alle "forti resistenze sociali", se solo guardiamo le cifre fornite su Lancet dai ricercatori delle università britanniche di Cambridge, Oxford e Londra. A causa della malnutrizione, della riduzione dei redditi, della disoccupazione, della scarsità di medicine negli ospedali, dell’accesso sempre più arduo ai servizi sanitari (specie per le madri prima del parto) le morti bianche dei lattanti sono aumentate fra il 2008 e il 2010 del 43%. Il numero di bambini nati sottopeso è cresciuto del 19 %, quello dei nati morti del 20. 

Al tempo stesso muoiono i vecchi, più frequentemente. Fra il 2008 e il 2012, l’incremento è del 12,5 fra gli 80-84 anni e del 24,3 dopo gli 85. E s’estende l’Aids, perché la distribuzione di siringhe monouso e profilattici è bloccata. Malattie rare o estinte ricompaiono, come la Tbc e la malaria (quest’ultima assente da 40 anni. Mancano soldi per debellare le zanzare infette).

La rivista inglese accusa governi e autorità europee, ed elogia i paesi, come Islanda e Finlandia, che hanno respinto i diktat del Fondo Monetario o dell’Unione. Dopo la crisi acuta del 2008, Reykjavik disse no alle misure che insidiavano sanità pubblica e servizi sociali, tagliando altre spese scelte col consenso popolare. Non solo: capì che la crisi minacciava la sovranità del popolo, e nel 2010-2011 ridiscusse la propria Costituzione mescolando alla democrazia rappresentativa una vasta sperimentazione di democrazia diretta.

Non così in Grecia. L’Unione l’ha usata come cavia: sviluppi islandesi non li avrebbe tollerati. Proprio nel paese dove Europa nacque come mito, assistiamo a un’ecatombe senza pari: una macchia che resterà, se non cambiano radicalmente politiche e filosofie ma solo questo o quel parametro. Il popolo sopravvive grazie all’eroismo di Ong e medici volontari (tra cui Médecins du Monde, fin qui attivi tra gli immigrati): i greci che cercano soccorso negli ospedali "di strada" son passati dal 3-4% al 30%. S’aggiungono poi i suicidi, in crescita come in Italia: fra il 2007 e il 2011 l’aumento è del 45%. In principio s’ammazzavano gli uomini. Dal 2011 anche le donne.

Lancet non è ottimista sugli altri paesi in crisi. La Spagna, cui andrebbe assommata l’Italia, è vicina all’inferno greco. Alexander Kentikelenis, sociologo dell’università di Cambridge che con cinque esperti scrive per la rivista il rapporto più duro, spiega come il negazionismo sia diffuso, e non esiti a screditare le più serie ricerche scientifiche (un po’ come avviene per il clima). L’unica istituzione che si salva è il Centro europeo di prevenzione e controllo delle malattie, operativo dal 2005 a Stoccolma.

La Grecia prefigura il nostro futuro prossimo, se le politiche del debito non mutano; se scende ancora la spesa per i servizi sociali. Anche in Italia esistono ospedali di volontari, come Emergency. La luce in fondo al tunnel è menzogna impudente. Senza denunciarla, Renzi ha intronizzato ieri la banalità: "L’Europa non dà speranza se fatta solo di virgole e percentuali" - "l’Italia non va a prendere la linea per sapere che fare, ma dà un contributo fondamentale". Nessuno sa quale contributo.

Scrive l’economista Emiliano Brancaccio che i nostri governi "interpretano il risanamento come fattore di disciplinamento sociale". Ma forse le cose stanno messe peggio: il risanamento riduce malthusianamente le popolazioni, cominciando da bambini e anziani.  

Regna l’oblio storico di quel che è stata l’Europa, del perché s’è unita. Dimentica anche la Germania, che pure vive di memoria. Dopo il ‘14-18 fu trattata come oggi la Grecia: sconfitto, il paese doveva soffrire per redimersi. Solo Keynes insorse, indignato. Nel 1919 scrisse: "Se diamo per scontata la convinzione che la Germania debba esser tenuta in miseria, i suoi figli rimanere nella fame e nell’indigenza [...], se miriamo deliberatamente all’umiliazione dell’Europa centrale, oso farmi profeta, la vendetta non tarderà".

La vendetta non tardò a farsi viva, ed è il motivo per cui ben diversa e più saggia fu la risposta nel secondo dopoguerra. Quella via andrebbe ripercorsa e potrebbe sfociare in una Conferenza europea sul debito, che condoni ai paesi in difficoltà parte dei debiti, connetta i rimborsi alla crescita, dia all’Unione poteri politici e risorse per lanciare un New Deal di ripresa collettiva e ecosostenibile. È già accaduto, in una conferenza a Londra che nel 1953 ridusse quasi a zero i debiti di guerra della Germania. I risultati non produssero morte, ma vita. Fecero rinascere la democrazia tedesca. Non c’era spazio, a quei tempi, per i Pangloss che oggi tornano ad affollare le scene.

da Micromega. (26 febbraio 2014)



mercoledì 10 ottobre 2012

PAURE STORICHE

 
 
E' di nuovo una questione di egemonie teutoniche? Cambiano i modi e gli strumenti ma non le ideologie di potenza? L'incomprensione dei fatti presenti, la volontà di dimenticare i fatti del passato continueranno come sempre? Quando finirà il buio della democrazia sopraffatta dai "mercati"? Chi farà nuove leggi attuative in difesa della democrazia e dei diritti umani, dopo la cancellazione dell'ultimo baluardo, lo Glass-Steagall Act, nel lontanissimo 1999?
 
 
Forse si muove qualcosa, nella mente della potenza tedesca che da anni comanda in Europa sapendola solo dividere, non guidarla e federarla?

Ancora non è chiaro, ma se
Angela Merkel ieri è corsa a Atene 1 - dove la sua politica e il suo Paese sono esecrati, dove è stato necessario militarizzare la capitale per domarne la collera - vuol dire che vi sono elementi nuovi, che destano spavento a Berlino.
 
Uno spavento che si è dilatato, dopo l'intervista di Antonis Samaras al quotidiano Handelsblatt di venerdì. Sono parole diverse dal solito: il Premier greco non si sofferma sui debiti, né sul Fiscal Compact, né sul Fondo salva-Stati approvato lunedì a Lussemburgo.
 
La prima visita del Cancelliere, invocata da Samaras, avviene perché si comincia a parlare dell'essenziale: di storia, di memorie rimosse e vendicative, di democrazia minacciata. Estromessa, la politica prende la sua rivincita e fa rientro. Caos è il vocabolo usato nell'intervista, e il caos impaura la Germania da sempre. Anche perché quel che le tocca vedere è una replica: più precisamente, la replica di una storia che Berlino finge di dimenticare, ma che è gemella della sua.

Il caos, i tedeschi sanno cos'è: specie quello di Weimar, quando la democrazia, stremata dai debiti di guerra e dalla disoccupazione, cadde preda di Hitler. È lo scenario descritto da Samaras: anche qui incombe una formazione nazista, che si ciba di caos e povertà. Alba dorata ha ottenuto alle elezioni il 6,9 per cento, ma oggi nei sondaggi è il terzo partito. I suoi principali nemici sono l'Unione, e tutto quel che l'Europa ha voluto essere dal dopoguerra: luogo di tolleranza democratica, di assistenza ai deboli attraverso il Welfare.

Lo straripare della disoccupazione, spiega Samaras, dà le ali a un partito che non ha eguali in Europa, tanto esplicita è la sua parentela con il nazismo e perfino con i suoi simboli (una variazione della svastica). L'odio dell'immigrante, del gay, del disabile, è la sua ragion d'essere.
 
Se l'Europa non aiuta la Grecia dandole più tempo, a novembre le casse statali saranno vuote e può succedere di tutto. In parlamento i deputati nazisti si fanno sempre più insolenti, sicuri. L'ex Premier George Papandreou è bollato come "greco al 25 per cento": la madre è americana. Ogni nuovo emigrato va tenuto lontano, con mine anti-uomo lungo le frontiere.

Non è male che infine si cominci a dire come stanno davvero le cose, e quel che rischiamo: non tanto lo sfaldarsi dell'euro, quanto il tracollo delle mura che l'Europa si diede quando nacque. Mura contro le guerre, contro le diffidenze nazionaliste, contro la logica delle punizioni. Fare l'Europa significava dire No a questo passato mortifero, ed ecco che esso si ripresenta nelle stesse vesti. Per la coscienza tedesca, uno scacco immenso: la storia le si accampa davanti come memento e come Golem, da lei stessa resuscitato.

Oltrepassare i calcoli sull'euro e sondare verità sin qui nascoste aiuta a scoprire quel che Atene sta divenendo: un capro espiatorio. Un laboratorio dove si sperimentano ricette costruttiviste e al tempo stesso si collauda la storia che si ripete: non come tragedia, non come farsa, ma come memoria stordita, morta.

Come possono i tedeschi scordare il muro portante del dopoguerra, e cioè la coscienza che la punizione nei rapporti tra Stati è veleno, e che i debiti bellici della Germania andavano perciò condonati? Nell'accordo di Londra sul debito estero, nel '53, fu deciso di prorogare di 30 anni il rimborso, e di esigerlo solo qualora non avesse impoverito la Repubblica federale. I greci non l'hanno dimenticato: un comitato di esperti sta calcolando quel che Berlino deve a Atene per i disastri dell'occupazione hitleriana (circa 7,5 miliardi di euro). "Le riparazioni non sono più un problema", replica il governo tedesco. Lo saranno di nuovo, se il castigo ridiventa criterio europeo come nel 1918 verso la Germania.

La Grecia certo non è senza colpe. All'indisciplina di bilancio s'accoppiano la corruzione politica, l'enorme evasione fiscale. Il caos è in buona parte endogeno, come sostenne Alexis Tsipras del partito Syriza quando mise al primo punto del programma la lotta ai corrotti. Ma è un caos non più grave dell'italiano, e anche se Syriza ha manifestato ieri contro la Merkel, assieme ai sindacati, è scandaloso che il Cancelliere si rifiuti di incontrare il primo partito d'opposizione, solo perché le ricette anti-crisi sono ritenute fallimentari.

In fondo non c'è bisogno di Samaras, per penetrare la realtà greca ed europea, e ammettere che nessuno può sopportare una recessione quinquennale. Basta leggere blog e libri indipendenti. Bastano i testi di storia, che raccontano di un paese dove la resistenza antinazista non fu artefice della democrazia postbellica come in Italia, ma venne perseguitata ed esiliata dagli anglosassoni: il potere militare fu da loro favorito per decenni (colonnelli compresi).

I romanzi di Petros Markaris sul commissario Kostas Charitos - una specie di Montalbano greco - sono conosciuti in Italia. L'ultimo, pubblicato da Bompiani nel 2012, s'intitola L'Esattore, e narra di un assassino seriale che elimina uno dopo l'altro grandi evasori e politici corrotti, visto che lo Stato non sa né vuole agire. L'assassino assurge a eroe nazionale, gli indignados di Piazza Sìntagma vogliono candidarlo: "L'Esattore nazionale è un Dio!", gridano. Oggi esce in Francia un film di Ana Dumitrescu, Khaos, che raffigura il pandemonio ellenico. Dicono nel film: "Il pericolo è che la collera del popolo si trasformi in terribile bagno di sangue, sostituendosi all'azione politica".
Il sottotitolo di Khaos è "i volti umani della crisi": volti che la trojka non vede, né la Merkel, né i governi del Sud Europa che trattano Atene come paria, per paura d'esser confusi con essa. Ma il paria parla di noi, e dell'Europa tutta. Habermas probabilmente pensava alla Grecia, nel discorso tenuto il 5 settembre davanti al partito socialdemocratico: i piani di austerità delineano, ovunque, un percorso post-democratico. Quel che assottigliano non è tanto la sovranità assoluta degli Stati nazione - oggi anacronistica - quando la sovranità del popolo, che è costitutiva della democrazia e non è affatto obsoleta. I diritti sovrani sottratti tramite Patto fiscale e Fondo salva-stati semplicemente evaporano, "perché non trasferiti verso un autentico, democratico legislatore europeo".
 
Il potere resta nelle mani di trojke e Consigli dei ministri non eletti dai cittadini europei, o di tecnici che possedendo la scienza infusa pretendono di superare gli Stati nazione da soli, e surrettiziamente.

"Credo che questo sia il prezzo che paghiamo alla soluzione tecnocratica della crisi", conclude il filosofo: "In tale configurazione, imbocchiamo un percorso postdemocratico che approderà a un federalismo esecutivo. La democrazia si perde per strada, e tutti mancheremo l'occasione di regolare i mercati finanziari (...). Un esecutivo europeo del tutto indipendente da elettorati che possano essere democraticamente mobilitati smarrirà ogni motivazione e ogni forza per azioni di contrasto".

L'ora della verità è quella in cui i numeri non occupano l'intero spazio mentale, e in scena fanno irruzione la storia, le memorie scomode delle guerre europee e dei dopoguerra. Per questo sono importanti l'allarme di Samaras, il disagio che ha suscitato in Germania, l'impervia corsa della Merkel a Atene.
 
Qualcosa si muove: non necessariamente in meglio, ma almeno si è più vicini al vero. Si chiama Alba dorata il pericolo greco, ed è alba tragica. All'orizzonte si staglia la figura dell'Esattore Nazionale, salutato come Apollo vendicatore: che viene e uccide i traditori della democrazia. È così, dai tempi dell'Iliade, che dalle nostre parti iniziano le guerre.
 
 
LA REPUBBLICA, 10 ottobre 2012   -   © Riproduzione riservata