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mercoledì 11 gennaio 2012

Lungimiranza e "brevimiranza"

PRUDENZA come LUNGIMIRANZA




«Conviensi adunque essere prudente, cioè savio: e a ciò essere si richiede buona memoria delle vedute cose, e buona conoscenza delle presenti, e buona provvedenza delle future».
Dante Alighieri

La lungimiranza è "la capacità di prevedere per tempo ciò che potrebbe accadere in futuro e di adeguarvi con saggezza l'agire" *

Nel dizionario dei sinonimi del Gabrielli la parola "lungimiranza" è citata fra i numerosi sinonimi della "prudenza", considerata evidentemente lemma principale. Ne cito alcuni scelti per la maggiore affinità con la lungimiranza:

"accortezza, assennatezza attenzione, buonsenso, giudizio, moderazione, previdenza, ragionevolezza, saggezza, scrupolo, tattica, tempestività, vigilanza, rispetto". **

continua


 *  [DISC]
** [Gabrielli, Dizionario dei sinonimi e dei contrari, 1981]
Dante Alighieri, Convivio, IV, 27
Piero del Pollaiolo, Prudenza, 1469-70_Firenze_Uffizi_da Wikipedia

domenica 1 gennaio 2012

Festeggio la speranza









"Fede, Speranza, Carità" sono le tre virtù teologali: questo imparai, bambina, dal mio Catechismo cattolico, religiosamente, a memoria, come si doveva a quei tempi. Oggi non credo più che la "speranza" sia "la virtù teologale per la quale desideriamo il regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità", tuttavia penso che figurarsi una prospettiva favorevole sia fonte di energia mentale, emotiva, morale.  

La speranza è connaturata all'essere umano e ha qualcosa di eroico nei momenti difficili della vita degli individui e delle Nazioni. E' attesa, è fiducia, ed è la volontà di vivere a sorreggerla. Quasi un dovere quando la disperazione può diventare annichilimento. 






Allegoria della Speranza_Piero del Pollaiolo_La Speranza_1469-70_Uffizi_Firenze_da Wikipedia
Catechismo della Chiesa Cattolica_1817

martedì 19 maggio 2009

VIRTU' (4)


LA CORTESIA
"parvenza di una virtù, forse inizio di ogni virtù"


Immagine 059



"La cortesia è la prima virtù, e forse l'origine di tutte. E' anche la più povera, la più superficiale, la più discutibile: è, almeno, una virtù? [...] La cortesia si fa beffe della morale, e la morale della cortesia. Un nazista cortese cambia qualcosa la nazismo? Che cosa cambia all'orrore? Nulla, naturalmente, e la cortesia è caratterizzata proprio da questo nulla. Virtù di pure forma, virtù di etichetta, virtù di apparato! La parvenza, dunque, di una virtù, e parvenza soltanto.


Se la cortesia è un valore, cosa che non si può negare, è un valore ambiguo, insufficiente in sé - può nascondere il meglio come il peggio - e a questo titolo quasi sospetto. Questo lavoro sulla forma dovrà pur nascondere qualcosa, ma che cosa? E' un artificio, e degli artifici si diffida. E' un orpello, e degli orpelli si diffida. Diderot parla, da qualche parte, della 'cortesia insolente' dei grandi, e bisognerebbe ricordare anche quella, ossequiosa e servile, di molti piccoli. Sarebbero preferibili il muto disprezzo e l'obbedienza senza smancerie. [...]


La cortesia non è una virtù, e non potrebbe sostituirne alcuna. Ma Perché, allora, dire che è la prima, e forse l'origine di tutte? E' meno contraddittorio di quanto sembri. L'origine delle virtù non può essere una virtù (perché allora implicherebbe essa stessa un'origine, e non potrebbe essere tale); ed è forse essenza delle virtù che la prima non sia virtuosa. [...] 'La cortesia', osservava La Bruyère, 'non ispira sempre bontà, equità, compiacenza, gratitudine; ne dà però almeno le parvenze, e fa sembrare l'uomo, fuori, come dovrebbe essere interiormente.' Ecco perché essa è insufficiente nell'adulto, e necessaria nel bambino. E' soltanto - ma pur sempre - un inizio. Dire 'per piacere' o 'scusa' è fingere di rispettare; dire 'grazie' è fingere di di essere riconoscenti. E' dove cominciano il rispetto e la riconoscenza. [...]


La cortesia è questa similarità o parvenza di virtù, da cui le virtù hanno origine.


*


 


da: André Comte-Sponville, Piccolo trattato delle grandi virtù, Corbaccio, pagg.  13-18


 


VIRTU' (3)  .  Pazienza _ VIRTU'(2) _ VIRTU'


domenica 24 febbraio 2008


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VALORI E DIRITTI [2]


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     Valori e diritti di Norberto Bobbio


 


Presso gli antichi gran parte dell’etica si risolveva in una trattazione delle virtù. Basti ricordare l’Etica nicomachea di Aristotele, che ha fatto testo per secoli. Nel nostro tempo un simile tipo di trattazione è quasi del tutto scomparso. I filosofi morali oggi discutono, sia sul piano analitico sia su quello propositivo, di valori e di scelte, e della loro maggiore o minore razionalità, nonché di regole o norme, e, conseguentemente, di diritti e doveri


Il tema delle virtù e quello delle leggi sono continuamente intrecciati, anche nell’etica antica. Alle radici della nostra tradizione morale, e come fondamento della nostra educazione civile, ci sono tanto l’ostensione delle virtù come tipi o modelli di azioni buone, quanto la predicazione dei Dieci Comandamenti, in cui l’azione buona non è additata ma prescritta


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È destino dell’epoca nostra che proprio i valori supremi e sublimi sian divenuti estranei al grande pubblico per rifugiarsi nel regno extramondano della vita mistica.  Max Weber. Il lavoro intellettuale come professione 1919



Chi dice valore, vuole far valere e imporre. Le virtù vengono praticate; le norme applicate; i comandi eseguiti; ma i valori vengono posti e imposti. Carl Schmitt. La tirannia dei valori 1967



Trasformare i diritti fondamentali in valori fondamentali significa mascherare teleologicamente i diritti, fino al punto di mistificare il ruolo diverso. Jurgen Habermas. Fatti e norme 1992



La dignità umana e i diritti umani devono essere presentati come valori che precedono qualsiasi giurisdizione statale. Joseph Ratzinger. Senza radici 2004



[ La Repubblica, venerdì 22 febbraio 2008 ]


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Continuo a postare parti della sezione dedicata dalla Repubblica alla distinzione tra valori, principi e diritti, e virtù. Bobbio dice il vero quando afferma che la trattazione delle virtù, oggi, è quasi scomparsa. Non del tutto, appunto. Nella sezione "virtù" di questo blog ho indicato due trattati sulle virtù, secondo me pregevoli: qui .

mercoledì 14 novembre 2007

VIRTU' (3)  .  Pazienza


      L'etica della virtù


Per trasformare noi stessi, e quindi le nostre abitudini e inclinazioni, per poter agire in modo compassionevole, è necessario che ci impegniamo in ciò che potremmo chiamare un'etica della virtù. Oltre che astenerci dai pensieri e dalle emozioni negative, dobbiamo coltivare e rinforzare le nostre qualità positive. Quali sono? Sono le qualità umane, o spirituali fondamentali.


Dopo la compassione (nying je), la qualità più importante è quella che in tibetano chiamiamo so pa. Ancora una volta, abbiamo un termine che non ha un equivalente in altre lingue, anche se i concetti a cui si riferisce sono universali. Spesso so pa è tradotto semplicemente con il termine "pazienza" sebbene il suo significato letterale sia "capace di sopportare" o "capace di resistere". Esso implica anche una nozione di risolutezza e denota quindi una risposta ponderata (l'opposto di una reazione impulsiva) ai pensieri e alle emozioni fortemente negative quando ci troviamo di fronte al  male. So pa ci dà la forza di resistere alla sofferenza e ci consente un atteggiamento compassionevole anche nei confronti di coloro che vorrebbero nuocerci. ... So pa è quindi il mezzo che ci consente di praticare la vera non violenza. ... So pa non deve essere confuso con passività. Anche l'adozione di contromisure vigorose può essere compatibile con la pratica di so pa. ...


La paziente sopportazione è la qualità grazie alla quale riusciamo a impedire che i pensieri e le emozioni negative facciano presa su di noi. Essa preserva la pace della mente nelle avversità. Se praticheremo la pazienza in questo modo, la nostra condotta sarà corretta dal punto di vista etico. [continua]


Soltanto guardare il volto del Dalai Lama mi rasserena. Così il suo pensiero.


 



da Una rivoluzione per la pace, Sperling & Kupfer, pagg. 89-91

domenica 4 novembre 2007

   Serenità Raziocinio Giustizia


Aveva una rosa rossa in mano Giovanni Gumiero mentre assisteva al funerale al funerale della moglie Giovanna Reggiani, la signora trucidata a Roma. Solo pallidamente si può immaginare il suo dolore, forse misto a una giusta umanissima rabbia. Eppure Giovanni Gumiero ha potuto dire queste parole:


"Sappiamo e dobbiamo distinguere le persone, un rom da un rom, un romeno da un romeno, un italiano da un altro italiano".


Il fratello della signora Giovanna, Luca Reggiani, si era poco prima rivolto alla sorella morta dicendo:


 "Cara Giovanna, il babbo e la mamma ci hanno insegnato la tolleranza e l'importanza dell'amore. Noi fratelli abbiamo sempre avuto uno spirito libero, grazie ai nostri genitori. Ricordiamoci che il silenzio non è sempre muto. Ciao sorella".


Ma vorrei offrire una rosa anche a Emilia, la "zingara" che ha tentato di salvare la signora e ha denunciato l'aggressore, esponendosi al pericolo mortale della ritorsione. Una rom anche lei. Per distinguere "un rom da un rom", come ha detto il marito della vittima, alla quale abbiamo il dovere di offrire amore e giustizia, accogliendo l'insegnamento delle persone a lei più care.



Copio e incollo qui di seguito l'articolo di Barbara Spinelli per conservare un'analisi politica straordinaria.


L'Europa e il tabù dei Rom di Barbara Spinelli


La risposta delle autorità pubbliche al massacro di Giovanna Reggiani è stata ferma, netta: non c’è spazio in Italia per chi vive derubando, violando, uccidendo. C’è qualcosa di sacro nel bisogno di sicurezza sempre più acutamente sentito dagli italiani, così come c’è qualcosa di sacro nell’ospitalità, nell’apertura al diverso, nella circolazione libera dentro l’Unione.

Quest’antinomia permane ma comincia a esser vissuta come un ostacolo, anziché come una convivenza di norme contrastanti (di nòmos) che vivifica l’Europa pur essendo ardua. È un’antinomia che educa a vivere con due imperativi: l’apertura delle porte ma anche la loro chiusura se necessario. Molti chiedono negli ultimi giorni di «interrompere i flussi migratori»: la collera suscitata dal crimine di Tor di Quinto ha rotto un argine, anche nel nuovo Partito democratico, e d’un tratto sembra che solo un imperativo conti: le porte chiuse.

Su un quotidiano di sinistra, l’Unità, sono apparse parole strane. Si è parlato, a proposito del quartiere del delitto, di «tutta un’umanità brutta sporca e cattiva»; si è parlato di «città italiane che funzionano come miele per le mosche di uno sciame incontrollato che viene dall’Est Europa». L’umanità sporca, lo sciame di mosche: è vero, un tabù cade a sinistra e tanti se ne felicitano, constatando che finalmente il buonismo è stato smesso e che la sinistra non va più alla ricerca dei motivi sociali della delinquenza ma si concentra sulla repressione e le vittime.

Gli imperativi dell’apertura s’appannano, la tensione vivificante fra norme diverse svanisce, entriamo in un mondo che promette certezze monolitiche: basta interrompere i flussi, e il male scompare. Spesso il capro espiatorio nasce così, con questa riduzione a uno del molteplice, del complesso. Spesso nascono così i pogrom, come quello scatenato venerdì sera contro i romeni nel quartiere romano di Tor Bella Monaca: dall’Ottocento hanno questo nome, in Europa, le spedizioni punitive contro i diversi.

Anche le ideologie nascono così, fantasticando scorciatoie che risolvono tutto subito. Oggi è la destra a sognare utopie simili, e la sinistra riformatrice s’accoda sperando di ricavare guadagni elettorali. La distruzione dei campi rom è parte di quest’ideologia. Un’ideologia irrealistica perché l’immigrazione non sarà fermata e l’Europa ne ha bisogno. La Spagna sembra esserne consapevole e non a caso è diventata il Paese con il più alto numero di immigrati e progetti d’integrazione. La ripresa della natalità iberica è dovuta a questo. Chi parla dell’immigrazione come di male evitabile sbaglia due volte: perché non è evitabile, e perché in sé non è un male.

Se non si vuole che sia un male occorre governarlo bene, il che vuol dire: non solo reprimendo, ma reinventando politiche in Italia e nell’Unione. Perché europei sono i dilemmi ed europeo sarà l’inizio della soluzione. Perché il tabù di cui tanto si discute non è quello indicato (buonismo, tolleranza). Il vero tabù, che impedisce con i suoi interdetti di vedere e dire la realtà, è un altro: è la questione Rom ed è l’inerzia con cui la si affronta nel dialogo con l’Est da dove vengono i cosiddetti nomadi. Fuggiti dall’India nell’anno 1000, giunti in Europa nel Trecento, i Rom assieme ai Sinti sono chiamati spregiativamente zingari, parlano una lingua derivata dal sanscrito, in genere sono cristiani (la parola Rom, come Adamo, significa «persona». I più vivono in Romania). Siamo in emergenza, è vero. Ma non è solo emergenza sicurezza. C’è emergenza europea sui diritti dell’uomo e delle minoranze. C’è una doppia inerzia: nelle strategie d’integrazione e nei rapporti tra Stati europei.

Quest’emergenza è acuta a Est, da quando è finito il comunismo: in Romania è specialmente vistosa ma la malattia s’estende a Slovacchia, Ungheria, Repubblica ceca, Kosovo. Al concetto unificatore di classe è succeduto dopo l’89 il senso d’appartenenza alle etnie, e vecchie passioni come xenofobia e razzismo, non superate ma addormentate durante il comunismo, sono riapparse: i più invisi sono i Rom - oltre agli ungheresi che non vivono in Ungheria - e il loro migrare a Ovest è intrecciato a questa ostilità dentro i Paesi dell’Est e fra diversi emigrati dell’Est.

È quello che i rappresentanti Rom in Europa denunciano ultimamente con forza (sono circa 8 milioni, su 15 nel mondo). La Romania, in particolare, è accusata di attuare un politica sistematica di espulsione di Rom, da quando è entrata nell’Unione all’inizio del 2007. Il ministro dell’Interno, Amato ha evocato a settembre un «vero e proprio esodo di nomadi dalla Romania», e di esodo in effetti si tratta: ma esodo forzato, nell’indifferenza europea. Dicono i rappresentanti Rom che i membri della comunità in Romania son cacciati dagli alloggi, dai lavori, dalle scuole, e per questo preferiscono le topaie italiane. Il ministro Ferrero, responsabile della Solidarietà sociale, dice il vero quando nega che l’esodo sia essenzialmente economico: la Romania non è più così povera, sono xenofobia e razzismo a colpire oggi i Rom.

Queste cose andrebbero ricordate a Bucarest, cosa che hanno tentato di fare Amato e Ferrero in un recente incontro con il ministro romeno dell’Interno, David. Ferrero ha cercato lumi presso il Forum europeo dei Rom e tentato di mettere alle strette David. Dall’incontro è nata la convocazione di un tavolo permanente di negoziato: presto si riunirà a Bucarest. Proprio perché è nell’Unione, la Romania deve rispondere di quel che fa con i propri Rom (2 milioni, secondo stime ufficiose).

Discutere di queste cose con Bucarest e altri governi dell’Est è urgente. Un patto è stato infatti rotto, che pure era assai chiaro. Ai tempi dei negoziati d’adesione, i candidati si erano impegnati a rispettare i criteri di Copenhagen, che non riguardano solo l’economia ma le «istituzioni capaci di garantire democrazia, primato del diritto, diritti dell’uomo, rispetto delle minoranze e loro protezione». Ingenti fondi son devoluti da anni a tale scopo (il programma europeo Phare, cui si aggiungono finanziamenti della Fondazione Soros, della Banca Mondiale) intesi a frenare la «discriminazione fondata sulla razza e l’origine etnica».

È accaduto tuttavia che una volta entrati, numerosi governi dell’Est hanno fatto marcia indietro (il regime Kaczynski in Polonia è stato un esempio). Ed è così che si è riaccesa l’ostilità verso i Rom: questa etnia perseguitata da un millennio e decimata nei campi nazisti. Paragonarli a uno sciame di mosche non è anodino. Significa che l’Italia (per come parla o chiede azioni) comincia ad assomigliare a quegli europei dell’Est che stanno arretrando e riproponendo, ancora una volta nel continente, il dramma Rom. Certo urge controllare meglio i flussi migratori: ma non si può farlo accusando intere etnie (Rom, Romeni, Albanesi) per il delitto di alcuni. Non si può governare alcunché se non si prende distanza dalla strategia di cui Bucarest è oggi sospettata.

La caduta dei tabù comporta anche il formarsi di idee completamente false. Con disinvoltura i Rom son descritti come non integrabili, nomadi, dediti al furto. I dati smentiscono queste nozioni. In Italia la comunità Rom è composta in stragrande maggioranza di sedentari, non di nomadi. E tentativi molto validi di integrazione hanno dimostrato che quest’ultima può riuscire.

Ci sono iniziative della Chiesa: le ha spiegate sul Corriere don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità a Milano. E ci sono iniziative pubbliche preziose: a Pisa, Napoli, Venezia. Pisa è esemplare perché i risultati sono eccezionali: nei campi vivevano 700 Rom, dieci-dodici anni fa. Solo due bambini erano scolarizzati. Il Comune si è incaricato di trovar loro lavoro e alloggi, scegliendo un mediatore per negoziare con i vicini. Appena emancipati, i Rom uscivano dal programma d’assistenza e i fondi servivano a integrare altri loro connazionali. Nel frattempo, si spingevano le famiglie a scolarizzare i figli. In dieci anni, 670 Rom su 700 sono stati inseriti, e tutti i bambini vanno a scuola. Certo la comunità in Italia è divisa: alcuni chiedono più campi, mentre i più vogliono superarli proprio perché il nomadismo è meno diffuso di quel che si dice: il 90 per cento dei Rom (140 mila nel 2005, in parte italiani) non sono camminanti bensì - da decenni - sedentari.

Per riuscire in simili operazioni bisogna abbandonare l’utopia, privilegiando fatti ed esperienze. Ambedue confermano che l’integrazione resta indispensabile, che chiuder le porte non basta, che è necessario far luce sui pericoli che corre non solo la sicurezza ma la democrazia. Dice Franz Kafka: «Bisognerà pure che nel campo dei dormienti qualcuno attizzi il fuoco nella notte». Questo invito a far luce sui veri tabù vale per i dormienti dell’Est e per l’Europa. Vale per i Rom (il loro faro non dovrebbe esser la figura della vittima ma la donna Rom che s’è sdraiata sull’asfalto davanti a un autobus per denunciare il Rom assassino di Giovanna Reggiani) e vale per la destra come per la sinistra italiana. [ La Stampa, 4 novembre 2007. QUI ]

domenica 7 ottobre 2007

     


Tutti i Diritti Umani per Tutti



Marcia della pace da Perugia ad Assisi col pensiero alla Birmania, al Darfur, al Tibet e a tutti i luoghi senza giustizia e senza libertà, dove i diritti umani sono violati ogni giorno. E nel ricordo di Anna Politkovskaja, e di tutti i giornalisti e le giornaliste vittime come lei. E con l'angoscia infinita delle guerre in Afghanistan, in Palestina, in Iraq, e di tutte le guerre.



Affari (&) generali è un post dell'amico Tuareg sulle possibili azioni concrete per la liberazione dei birmani. Ogni gesto preso signolarmente si imprime nell'intera vicenda umana, per quanto rimanga ininfluente nelle situazioni immediate. Ma molti gesti singoli possono sviluppare la potenza di una valanga e determinare un cambiamento. Io credo fermamente nel valore di ogni singolo gesto non violento volto a diffondere l'attuazione dei diritti umani.


Le virtù nella Bhagavad Gita, virtù hinduiste e buddhiste fissate molti secoli prima della nostra era, in Convivium.

giovedì 27 settembre 2007


Una maglietta rossa per la Birmania
"In tutto il mondo, venerdì 28"


Un messaggio sta circolando in queste ore per sms e sui blog per chiedere a tutti un segno di solidarietà per i monaci buddisti e per il popolo birmano. (La Repubblica)


Ricordiamoci di collegarci con i blogger birmani (i link sono un po' su tutti i giornali online). Nel sito BBCNews ho trovato questo: Ko Htike's blog .


Il sito di notizie dal punto di vista dei birmani:  "The Irrawaddy News Magazine [Covering Burma and Southeast Asia] . Un altro sito suggerito da Linodigianni : http://www.mizzima.com/





"L'intera popolazione guidata dai monaci attua una protesta pacifica per la liberazione dalle generali crisi politiche economiche e sociali recitando la Metta Sutta". Questa è la frase con cui si apre la dichiarazione dell'Alleanza dei Monaci Birmani e degli Studenti della generazione del 1988.


Metta Sutta



Parole del Buddha sulla gentilezza amorevole



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Questo dovrebbe fare
chi pratica il bene
e conosce il sentiero della pace:
essere abile e retto,
chiaro nel parlare,
gentile e non vanitoso,
contento e facilmente appagato;
non oppresso da impegni e di modi frugali,
calmo e discreto, non altero o esigente;
incapace di fare
ciò che il saggio poi disapprova
ciò che il saggio poi disapprova.
continua qui



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Sulla Metta Sutta: La pratica di "Metta" nella meditazione di visione profonda [ ivi ] nel sito Santacittarama . La maglietta dal blog di Rosalba.


martedì 21 agosto 2007

VIRTU'


(2)



"Ogni virtù è un culmine fra due vizi, un crinale fra due abissi: così il coraggio, fra viltà e temerità,la dignità fra compiacenza ed egoismo, o la mitezza fra collera e apatia...[*]Ma chi può vivere sempre in vetta? Riflettere sulle virtù è commisurare la distanza che ce ne separa. Riflettere sulla loro eccellenza è pensare alle nostre carenze o alla nostra miseria."


"La riflessione sulle virtù non rende più virtuosi, e in ogni caso non può evidentemente bastare. Una virtù, tuttavia la si sviluppa: l'umiltà, sia intellettuale, di fronte alla ricchezza della materia e della tradizione, sia propriamente morale, di fronte all'evidenza che queste virtù ci fanno difetto, quasi tutte, quasi sempre, e che nondimeno non ci si può rassegnare alla loro assenza o esentare dalla loro debolezza, che è la nostra." 


[*] Qui l'autore rimanda a una nota: Cfr. naturalmente Aristotele, Etica Nicomachea ed Etica Eudemia. E' ciò che si chiama talora il giusto mezzo o la medietà, che non è una mediocrità ma il suo contrario: "Perciò secondo la sua sostanza e la definizione che ne esprime l'essenza la virtù è una medietà, ma secondo l'eccellenza e la perfezione è un estremo" (Etica Nicomachea)


Qualsiasi discorso sulle virtù può essere scivoloso, perché contiene in sé il rischio dell'assertività e anche di una dose più o meno letale di radicalismo. Penso, per esempio, agli orrori cui può indurre l'idea di imporre a qualcuno le virtù con la forza o con la paura. Per i comportamenti socialmente accettabili bastano le leggi dello Stato.


L'argomento mi attrae molto, è evidente, ma ancor di più mi sembra utile, almeno come antidoto alle molte tristezze che ci circondano. Il libro di Comte-Sponville lo ebbi in regalo dieci anni fa e da allora l'ho letto e consultato più volte. Mi è ricapitato in mano in questi giorni e ora penso che farò spesso riferimento alle virtù elencate ed esaminate dall'autore. Ma vorrei citare anche un filosofo italiano, Salvatore Natoli, che alla fine della prefazione del suo "Dizionario dei vizi e delle virtù" ha scritto:


"Le voci qui raccolte parlano di vizi e virtù: è anche un modo per prendere distanza da sé, per perdere peso, per guardarsi da fuori, oggettivandosi nel mondo, per relativizzarsi. Vizi e virtù: è anche un modo per avere cura di sé, per prendersi a cuore, per dare elaganza, stile morale alla propria vita.Questo non basta per renderci liberi. Meno che mai è sufficiente per essere felici. Può essere, però, d'ausilio per vincere noi stessi, per sciogliere quel che più ci lega, per instaurare rapporti più giusti con gli altri. Per vivere meglio."



1.  da André Comte-Sponville, Piccolo trattato delle grandi virtù, Corbaccio, pagg.  11-12; 2. da Salvatore Natoli, Dizionario dei vizi e delle virtù, Universale Economica Feltrinelli, pag. 10

mercoledì 15 agosto 2007

 VIRTU'


Correggio, Allegoria delle Virtù, Paris, Louvre


 


"Come Spinoza, ritengo poco utile denunciare i vizi, il male, il peccato. Perché accusare sempre, denunciare sempre? E' la morale dei tristi, e una triste morale. Quanto al bene, esiste solo nella pluralità irriducibile delle buone azioni, che vanno al di là di tutti i libri, e delle buone disposizioni, anch'esse plurali ma senza dubbio meno numerose, designate dalla tradizione con il nome di virtù, vale a dire ( tale il senso, in greco, della parola aretè, tradotta dai Latini con virtus ) di eccellenze."


"La virtù, si continua a ripetere da Aristotele in poi, è una disposizione acquisita a fare il bene. Ma occorre dire di più: essa è il bene stesso, in spirito e verità. Non c'è Bene assoluto, non c'è Bene in sé che basti conoscere o applicare. Il bene non va contemplato; va fatto. Tale è la virtù: è lo sforzo di comportarsi bene, che definisce il bene in quello stesso sforzo."


"La virtù, o meglio le virtù ( poiché ce ne sono parecchie, poiché non si potrebbe ricondurle tutte a una sola, né ci si potrebbe accontentare di una soltanto di esse ) sono i nostri valori morali, se si vuole, ma incarnati, nei limiti del possibile, vissuti, in atto: sempre singolari, come ciascuno di noi, sempre plurali, come le debolezze che essi combattono o correggono."


 da André Comte-Sponville, Piccolo trattato delle grandi virtù, Corbaccio, pagg. 7, 9.


Faccio autocritica, da una parte, e buoni propositi, dall'altra, in questa giornata di mezzo agosto che mi ha regalato dolcezze, silenzio e musica, e bellezza. 

lunedì 10 febbraio 2003

   Onestà. Onestà ... buonafede.


Fedeltà al vero o, almeno, a ciò che si crede sia il vero. Essere in buonafede mentre si è immersi in un oceano di relativismo. Essere in buonafede senza volerne fare un valore assoluto. Necessità di discernere, analizzare, comprendere la buonafede dell’altro. Valutare in "buonafede" il rapporto "verità/buonafede" e "buonafede/errore". Nell’attuale dimensione di guerra "preventiva" combattuta con le armi, non meno forte e lacerante è lo scontro tra opposte opinioni. Prima ancora di entrare nel merito dei contenuti e delle argomentazioni di chi è convinto della necessità della guerra, colpisce il ricorso a ragionamenti che vengono presentati come veritieri ma vengono costruiti con elementi falsi, come i sillogismi che funzionano perfettamente, ma sono falsi perché false ne sono le premesse. E i ragionamenti di chi si dichiara pacifista? I pacifisti per primi dovranno essere sicuri di non sottrarsi all’obbligo morale dell’onestà intellettuale. Sto parlando per me stessa, innanzitutto. Non ho dubbi sulla necessità morale e politica della pace. Voglio soltanto poter sostenere questa mia idea onestamente…con  "innocenza".

sabato 1 febbraio 2003


Affinità, empatia, attrazione


Jan Brueghel il vecchio_Paradiso Terrestre_1606_Louvre  

 




 



Indispensabili per intrecciare relazioni d'amicizia. Eppure, per avvicinarci alla comprensione delle persone e dei loro pensieri tradotti in discorsi, dobbiamo saper attraversare o neutralizzare i filtri delle nostre esperienze. E questo richiede tempo, energie, desiderio di farlo. Io sono molto interessata alle cose spirituali, anche se non escludo la prospettiva materialistica della nostra condizione umana in generale e della nostra società in particolare. Sono anche profondamente interessata allo scambio di pensieri, sentimenti, emozioni, intuizioni. Riguardo alla nozione di "virtù", mi piacerebbe discutere sul suo significato e condividere le mie idee con chi avesse voglia di farlo. Mi pare che la parola "virtù" tenda a scomparire dal linguaggio corrente, ma mi piace molto perché mi sembra che possa signficare i valori morali messi in atto, nei limiti del possibile, senza strafare e senza fondamentalismi. Con la parola "virtù" non intendo riferirmi a qualcosa di assoluto, ma a una forza che può agire e interagire positivamente.