Serenità Raziocinio Giustizia
Aveva una rosa rossa in mano Giovanni Gumiero mentre assisteva al funerale al funerale della moglie Giovanna Reggiani, la signora trucidata a Roma. Solo pallidamente si può immaginare il suo dolore, forse misto a una giusta umanissima rabbia. Eppure Giovanni Gumiero ha potuto dire queste parole:
"Sappiamo e dobbiamo distinguere le persone, un rom da un rom, un romeno da un romeno, un italiano da un altro italiano".
Il fratello della signora Giovanna, Luca Reggiani, si era poco prima rivolto alla sorella morta dicendo:
"Cara Giovanna, il babbo e la mamma ci hanno insegnato la tolleranza e l'importanza dell'amore. Noi fratelli abbiamo sempre avuto uno spirito libero, grazie ai nostri genitori. Ricordiamoci che il silenzio non è sempre muto. Ciao sorella".
Ma vorrei offrire una rosa anche a Emilia, la "zingara" che ha tentato di salvare la signora e ha denunciato l'aggressore, esponendosi al pericolo mortale della ritorsione. Una rom anche lei. Per distinguere "un rom da un rom", come ha detto il marito della vittima, alla quale abbiamo il dovere di offrire amore e giustizia, accogliendo l'insegnamento delle persone a lei più care.
Copio e incollo qui di seguito l'articolo di Barbara Spinelli per conservare un'analisi politica straordinaria.
L'Europa e il tabù dei Rom di Barbara Spinelli
La risposta delle autorità pubbliche al massacro di Giovanna Reggiani è stata ferma, netta: non c’è spazio in Italia per chi vive derubando, violando, uccidendo. C’è qualcosa di sacro nel bisogno di sicurezza sempre più acutamente sentito dagli italiani, così come c’è qualcosa di sacro nell’ospitalità, nell’apertura al diverso, nella circolazione libera dentro l’Unione.
Quest’antinomia permane ma comincia a esser vissuta come un ostacolo, anziché come una convivenza di norme contrastanti (di nòmos) che vivifica l’Europa pur essendo ardua. È un’antinomia che educa a vivere con due imperativi: l’apertura delle porte ma anche la loro chiusura se necessario. Molti chiedono negli ultimi giorni di «interrompere i flussi migratori»: la collera suscitata dal crimine di Tor di Quinto ha rotto un argine, anche nel nuovo Partito democratico, e d’un tratto sembra che solo un imperativo conti: le porte chiuse.
Su un quotidiano di sinistra, l’Unità, sono apparse parole strane. Si è parlato, a proposito del quartiere del delitto, di «tutta un’umanità brutta sporca e cattiva»; si è parlato di «città italiane che funzionano come miele per le mosche di uno sciame incontrollato che viene dall’Est Europa». L’umanità sporca, lo sciame di mosche: è vero, un tabù cade a sinistra e tanti se ne felicitano, constatando che finalmente il buonismo è stato smesso e che la sinistra non va più alla ricerca dei motivi sociali della delinquenza ma si concentra sulla repressione e le vittime.
Gli imperativi dell’apertura s’appannano, la tensione vivificante fra norme diverse svanisce, entriamo in un mondo che promette certezze monolitiche: basta interrompere i flussi, e il male scompare. Spesso il capro espiatorio nasce così, con questa riduzione a uno del molteplice, del complesso. Spesso nascono così i pogrom, come quello scatenato venerdì sera contro i romeni nel quartiere romano di Tor Bella Monaca: dall’Ottocento hanno questo nome, in Europa, le spedizioni punitive contro i diversi.
Anche le ideologie nascono così, fantasticando scorciatoie che risolvono tutto subito. Oggi è la destra a sognare utopie simili, e la sinistra riformatrice s’accoda sperando di ricavare guadagni elettorali. La distruzione dei campi rom è parte di quest’ideologia. Un’ideologia irrealistica perché l’immigrazione non sarà fermata e l’Europa ne ha bisogno. La Spagna sembra esserne consapevole e non a caso è diventata il Paese con il più alto numero di immigrati e progetti d’integrazione. La ripresa della natalità iberica è dovuta a questo. Chi parla dell’immigrazione come di male evitabile sbaglia due volte: perché non è evitabile, e perché in sé non è un male.
Se non si vuole che sia un male occorre governarlo bene, il che vuol dire: non solo reprimendo, ma reinventando politiche in Italia e nell’Unione. Perché europei sono i dilemmi ed europeo sarà l’inizio della soluzione. Perché il tabù di cui tanto si discute non è quello indicato (buonismo, tolleranza). Il vero tabù, che impedisce con i suoi interdetti di vedere e dire la realtà, è un altro: è la questione Rom ed è l’inerzia con cui la si affronta nel dialogo con l’Est da dove vengono i cosiddetti nomadi. Fuggiti dall’India nell’anno 1000, giunti in Europa nel Trecento, i Rom assieme ai Sinti sono chiamati spregiativamente zingari, parlano una lingua derivata dal sanscrito, in genere sono cristiani (la parola Rom, come Adamo, significa «persona». I più vivono in Romania). Siamo in emergenza, è vero. Ma non è solo emergenza sicurezza. C’è emergenza europea sui diritti dell’uomo e delle minoranze. C’è una doppia inerzia: nelle strategie d’integrazione e nei rapporti tra Stati europei.
Quest’emergenza è acuta a Est, da quando è finito il comunismo: in Romania è specialmente vistosa ma la malattia s’estende a Slovacchia, Ungheria, Repubblica ceca, Kosovo. Al concetto unificatore di classe è succeduto dopo l’89 il senso d’appartenenza alle etnie, e vecchie passioni come xenofobia e razzismo, non superate ma addormentate durante il comunismo, sono riapparse: i più invisi sono i Rom - oltre agli ungheresi che non vivono in Ungheria - e il loro migrare a Ovest è intrecciato a questa ostilità dentro i Paesi dell’Est e fra diversi emigrati dell’Est.
È quello che i rappresentanti Rom in Europa denunciano ultimamente con forza (sono circa 8 milioni, su 15 nel mondo). La Romania, in particolare, è accusata di attuare un politica sistematica di espulsione di Rom, da quando è entrata nell’Unione all’inizio del 2007. Il ministro dell’Interno, Amato ha evocato a settembre un «vero e proprio esodo di nomadi dalla Romania», e di esodo in effetti si tratta: ma esodo forzato, nell’indifferenza europea. Dicono i rappresentanti Rom che i membri della comunità in Romania son cacciati dagli alloggi, dai lavori, dalle scuole, e per questo preferiscono le topaie italiane. Il ministro Ferrero, responsabile della Solidarietà sociale, dice il vero quando nega che l’esodo sia essenzialmente economico: la Romania non è più così povera, sono xenofobia e razzismo a colpire oggi i Rom.
Queste cose andrebbero ricordate a Bucarest, cosa che hanno tentato di fare Amato e Ferrero in un recente incontro con il ministro romeno dell’Interno, David. Ferrero ha cercato lumi presso il Forum europeo dei Rom e tentato di mettere alle strette David. Dall’incontro è nata la convocazione di un tavolo permanente di negoziato: presto si riunirà a Bucarest. Proprio perché è nell’Unione, la Romania deve rispondere di quel che fa con i propri Rom (2 milioni, secondo stime ufficiose).
Discutere di queste cose con Bucarest e altri governi dell’Est è urgente. Un patto è stato infatti rotto, che pure era assai chiaro. Ai tempi dei negoziati d’adesione, i candidati si erano impegnati a rispettare i criteri di Copenhagen, che non riguardano solo l’economia ma le «istituzioni capaci di garantire democrazia, primato del diritto, diritti dell’uomo, rispetto delle minoranze e loro protezione». Ingenti fondi son devoluti da anni a tale scopo (il programma europeo Phare, cui si aggiungono finanziamenti della Fondazione Soros, della Banca Mondiale) intesi a frenare la «discriminazione fondata sulla razza e l’origine etnica».
È accaduto tuttavia che una volta entrati, numerosi governi dell’Est hanno fatto marcia indietro (il regime Kaczynski in Polonia è stato un esempio). Ed è così che si è riaccesa l’ostilità verso i Rom: questa etnia perseguitata da un millennio e decimata nei campi nazisti. Paragonarli a uno sciame di mosche non è anodino. Significa che l’Italia (per come parla o chiede azioni) comincia ad assomigliare a quegli europei dell’Est che stanno arretrando e riproponendo, ancora una volta nel continente, il dramma Rom. Certo urge controllare meglio i flussi migratori: ma non si può farlo accusando intere etnie (Rom, Romeni, Albanesi) per il delitto di alcuni. Non si può governare alcunché se non si prende distanza dalla strategia di cui Bucarest è oggi sospettata.
La caduta dei tabù comporta anche il formarsi di idee completamente false. Con disinvoltura i Rom son descritti come non integrabili, nomadi, dediti al furto. I dati smentiscono queste nozioni. In Italia la comunità Rom è composta in stragrande maggioranza di sedentari, non di nomadi. E tentativi molto validi di integrazione hanno dimostrato che quest’ultima può riuscire.
Ci sono iniziative della Chiesa: le ha spiegate sul Corriere don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità a Milano. E ci sono iniziative pubbliche preziose: a Pisa, Napoli, Venezia. Pisa è esemplare perché i risultati sono eccezionali: nei campi vivevano 700 Rom, dieci-dodici anni fa. Solo due bambini erano scolarizzati. Il Comune si è incaricato di trovar loro lavoro e alloggi, scegliendo un mediatore per negoziare con i vicini. Appena emancipati, i Rom uscivano dal programma d’assistenza e i fondi servivano a integrare altri loro connazionali. Nel frattempo, si spingevano le famiglie a scolarizzare i figli. In dieci anni, 670 Rom su 700 sono stati inseriti, e tutti i bambini vanno a scuola. Certo la comunità in Italia è divisa: alcuni chiedono più campi, mentre i più vogliono superarli proprio perché il nomadismo è meno diffuso di quel che si dice: il 90 per cento dei Rom (140 mila nel 2005, in parte italiani) non sono camminanti bensì - da decenni - sedentari.
Per riuscire in simili operazioni bisogna abbandonare l’utopia, privilegiando fatti ed esperienze. Ambedue confermano che l’integrazione resta indispensabile, che chiuder le porte non basta, che è necessario far luce sui pericoli che corre non solo la sicurezza ma la democrazia. Dice Franz Kafka: «Bisognerà pure che nel campo dei dormienti qualcuno attizzi il fuoco nella notte». Questo invito a far luce sui veri tabù vale per i dormienti dell’Est e per l’Europa. Vale per i Rom (il loro faro non dovrebbe esser la figura della vittima ma la donna Rom che s’è sdraiata sull’asfalto davanti a un autobus per denunciare il Rom assassino di Giovanna Reggiani) e vale per la destra come per la sinistra italiana. [ La Stampa, 4 novembre 2007. QUI ]
a volte sembra spiazzante raccogliere intenti e parole per sciogliere un nodo cruciale che nessuno riesce a gestire. Eppure ne vale la pena, anche se il pacco ribolle fino a scoppiare ... sarebbe un peccato abbandonare allo sfascio una fortuna biunivoca perchè viene sprecata da una parte e dall'altra.
RispondiEliminaAnalitico e corretto sul piano politico l'articolo. Che dire? Nessuna crociata contro i Rom per partito preso, ma nessuna accoglienza a tutti i costi. A mio parere occorre una legislazione che regoli i flussi migratori; essa dovrebbe curare la possibilità di un inserimento nel paese d'accoglienza a tutti i livelli, dalla scuola al mondo del lavoro. L'entrata indiscriminata si somma al già debole tessuto socio-culturale del paese che accoglie, vedi possibilità di delinquere.
RispondiEliminaIn sintesi nè accetto la xenofobia destrorsa, nè il "volemose bene" di estrema sx e in parte dei cattolici.
@Raymond
RispondiEliminaNon abbandonare tutto allo sfascio proprio quando la tentazione è grande. Sono d'accordo con te, Raymond.
@melchisedec
Credo che l'analisi della Spinelli vada nella direzione che indichi tu, Mel. Concordo sulla necessità di regolare i flussi migratori, in particolare questi dell'ultimo periodo, perché sono il risultato di tutta una serie di distorsioni che cominciano nei paesi d'origine. Non condivido certo la superficialità del "va tutto bene madama la marchesa" propria della sinistra sinistra, ma per la violenza fascista e la xenofobia irrazionale provo spavento e orrore. D'altra parte, sapere molti malintenzionati vengono da noi perché attirati dal nostro sistema di giudizio dei reati e di pena in molti casi solo nominale crea altre gravi preoccupazioni. Per questo è nevessario ragionare, ed è difficile mantenere il giusto equilibrio. Ricordi che cosa è successo a Cofferati a Bologna?
...mia adorata Harmonia, mi permetto di entrare nella disquisizione per lasciare un mio piccolo pensiero, gia' espresso in fondo. Naturalmente distinzioni vanno fatte, sempre e comunque. Concordo con Barbara Spinelli quando dice che "Se non si vuole che sia un male occorre governarlo bene"..e tutto quel che segue mi trova favorevole. Utopie, gia'.Una parola che sento pronunciare spesso ultimamente ...Continuo a seguire le vicende attraverso te...nel frattempo ti abbraccio con calore, mia cara...;-))*Angelika*
RispondiEliminaUn vecchio 'adagio' come "non fare di ogni erba un fascio"potrebbe suonare oggi quasi sinistramente ambiguo nella sua doppia valenza semantica d'acquisto...
RispondiEliminaC'è tanta confusione in giro (chi di noi ha idee assolutamente chiare in proposito e -soprattutto- sui suoi risvolti politici, alzi la mano).
Peccato tanta confusione: perché la saggezza popolare dava -invece, quasi sempre- indicazioni chiare e lineari di retto comportamento!
Una rosa anche da parte mia alla donna che ha saputo dimostrarlo col suo comportamento. (Anche se ciò non è bastato ad evitare la ritorsione presso una comunità incolpevole della sua gente)
Problema spinoso di difficile soluzione dove, come ti muovi, rischi di fare più danni che bene. Certo una legge adeguata alla situazione attuale ci vuole e speriamo che quella in itinere
RispondiEliminapermetta di risolvere per il meglio e alla bisogna.
Forse sarebbe opportuno un progetto europeo finalizzato a creare le infrastrutture nei paesi a forte emigrazione onde aiutare questi popoli a trovare uno sbocco a casa propria. Ma con i bilanci in forte deficit non sarà facile attuare questo tipo di politica estera che probabilmente darebbe dei frutti negli anni a venire consentendo
di limitare e frenare l'esodo giornaliero di disperati in cerca di un minimo di sostentamento per le loro famiglie.
Bel post, come sempre, cara Harmonia.
Namastè, Ubuntu.
Enzo
La ghettizzazione è sbagliata e cosi pure il razzismo!
RispondiEliminaBisognerebbe fare qualcosa per chi non ha un lavoro o una casa e comunque è giusto disciplinare chi delinque.
La fobia dei "rom" e prendersela con tutta la categoria è sbagliato.
E' anche vero che il brutto fatto di cronaca è stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo.
Forse sono tanti gli aspetti da analizzare per risolvere la questione.
In Italia ora, e soprattutto nelle città più grandi è scattata la "rom-fobia" ed anche questo non è giusto nei confronti di coloro che non hanno fatto niente.
Bisognerebbe cercare di risolvere in modo migliore il problema degli emarginati, dare loro dei villaggi vivibili e dei lavori adeguati, e rimandare in patria solo chi si occupa di micro-criminalità minando la vita e la tranquillità degli altri, ma sono solo una parte.
.
RispondiElimina@Lorenz
RispondiEliminaHai ragione quando assegni la loro parte di responsabilità ai media che spesso inaspriscono i conflitti sociali e politici, e non si preoccupano di conseguenze nefaste come certo razzismo latente che è sempre pronto a manifestarsi violentemenete. Diverso è il discorso dei contrasti tra le "sinistre" (diciamo così?), contrasti ormai drammatici che però si potrebbero evitare addirittura con un po' di semplice buon senso.
@Monyka
La Spinelli ha detto chiaramente che ghettizzare o, peggio, criminalizzare un gruppo umano è sia riprovevole che controproducente, ma evidentemente tutti devono accettare le regole minime della convivenza, anche i più svantaggiati economicamente. Il problema che si è creato con i romeni e i rom penso che sia il risultato di una serie di fattori, fra cui il numero di episodi di violenza e la politica del governo romeno stesso che sembra aver approfittato dell'ingresso in Europa per liberarsi dei "suoi" poco desiderati. E' appunto per questo che occorre armarsi di serenità e ragionevolezza e porsi come obiettivo la giustizia per tutti.
@letiziajaccheri
RispondiEliminaAiuto! Vedo solo un punto e nopn riesco a decodificarlo. Comunque grazie della visita che restituirò presto.