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martedì 22 febbraio 2005








Non accade spesso di leggere un'analisi politica ed economica della situazione in Iraq fatta da un cittadino di quel paese, che in quel paese vive e lavora. In Peacelink ho trovato questo articolo di Hassam Juma'a Awad, che è il segretario generale dell'Iraq's Southern Oil Company Union e presidente della Basra Oil Workers' Union, e quindi suppongo abbia notizie di prima mano ma soprattutto possa darci finalmente un punto di vista iracheno.


Iraq, gli operai petroliferi: "Lasciate il nostro paese"










di Hassam Juma'a Awad da The Guardian


Dal primo giorno dell'invasione, gli operai hanno resistito all'occupazione. "Siamo iracheni, conosciamo il nostro paese, possiamo prenderci cura di noi stessi e ricostruire una nostra società democratica".










Abbiamo vissuto giorni bui sotto la dittatura di Saddam Hussein. Quando il regime è caduto, la gente voleva una nuova vita: una vita senza manette e terrore, una nuova vita dove noi avremmo potuto ricostruire il nostro paese e godere delle nostre ricchezze. Invece le nostre comunità sono state attaccate con agenti chimici e bombe a grappolo e la nostra gente torturata, rapita e uccisa nelle proprie case.

La polizia segreta di Saddam sollevava i pavimenti delle nostre case di notte, le truppe di occupazione irrompono nelle nostre case alla luce del sole. I mass media non fanno vedere nessuna immagine delle devastazioni che hanno ingolfato l'Iraq. I giornalisti che hanno il compito di dire la verità su quello che sta succedendo in Iraq vengono rapiti dai terroristi. Tutto questo al servizio delle forze di occupazione che desiderano eliminare tutti i testimoni dei loro crimini.

I lavoratori dei pozzi petroliferi situati nel sud dell'Iraq si sono organizzati subito dopo che le forze inglesi hanno occupato Bassora. Abbiamo fondato il nostro sindacato Southern Oil Company Union 11 giorni dopo la caduta di Baghdad nell'aprile 2003. Quando le truppe di occupazione si sono ritirate e hanno permesso che l'ospedale, l'università e gli edifici pubblici venissero incendiati e saccheggiati, e loro si sono tenuti il ministero e i campi petroliferi, noi ci siamo resi conto che avevamo a che fare con una forza brutale pronta ad imporre le sue volontà senza nessun riguardo per le sofferenze umane. Dall'inizio non avevamo alcun dubbio sul fatto che gli Stati Uniti e gli alleati fossero venuti per prendere il controllo delle nostre risorse.

Le autorità di occupazione hanno mantenuto le leggi repressive di Saddam inclusa quella del 1987 che ci priva dei diritti basilari dei sindacati, incluso il diritto di sciopero. Oggi non abbiamo nessun riconoscimento ufficiale come sindacato, sebbene abbiamo più di 23.000 membri in 10 diversi impianti di estrazione del petrolio e del gas a Bassora, Amara, Nassiriya e fino la provincia di Anbar. Comunque noi abbiamo la nostra legittimazione dai lavoratori, non dal governo. Noi crediamo che i sindacati devono operare secondo i desideri del governo fino a che la gente sia in grado finalmente di eleggere un governo iracheno indipendente che rappresenti i nostri interessi e non quelli dell'imperialismo americano.

Il nostro sindacato è indipendente da ogni partito politico iracheno. Molti sindacati britannici sembrano essere informati dell'esistenza di un solo sindacato in Iraq, la Federazione Unitaria dei Sindacati Iracheni (IFTU) autorizzata dal regime, il cui presidente Rassim Awadi è deputato del partito del primo ministro iracheno imposto dagli USA Ayad Allawi. La leadership dell'IFTU è divisa tra il partito comunista iracheno, l'intesa nazionale irachena di Allawi ed i suoi satelliti. Infatti ci sono altre due organizzazioni sindacali legate a partiti politici oltre la nostra organizzazione.

Il nostro sindacato ha già dimostrato che può stare contro una delle più potenti compagnie statunitensi, la KBR di Dick Cheney, che ha tentato di togliere posti ai nostri lavoratori con la protezione delle forze di occupazione.

Noi li abbiamo costretti e forzato il loro subappaltatore kuwaitiano, Al Khourafi, a rimpiazzare 1.000 dei 1.200 impiegati che aveva portato con sé con lavoratori iracheni, 70% dei quali oggi sono disoccupati. Noi abbiamo lottato anche contro i salari imposti dal governatore Paul Bremer, che ha imposto che i lavoratori pubblici iracheni devono guadagnare 69.000 ID ($35) al mese, mentre pagano più di 1.000 dollari al giorno a migliaia di mercenari iracheni. Nell'agosto 2003 abbiamo scioperato e fermato l'estrazione del petrolio per tre giorni. Come risultato le autorità di occupazione hanno aumentato i salari ad un minimo di 150.000 ID.

Difendere le risorse del nostro paese l'abbiamo visto come un nostro dovere. Noi rifiutiamo e ci opponeremo a tutti i tentativi di privatizzare la nostra industria estrattiva e le nostre risorse nazionali. Noi consideriamo questa privatizzazione come una forma di neo-colonialismo, un tentativo per imporre un'occupazione economica permanente a seguito dell'occupazione militare.

L'occupazione ha fomentato deliberatamente una divisione settaria tra sunniti e sciiti. Noi non abbiamo mai conosciuto questo tipo di divisione prima d'ora. I nostri matrimoni sono misti e abbiamo vissuto e lavorato insieme. E oggi abbiamo lottato assieme contro questa brutale invasione. Da Falluja a Najaf fino a Sadr City. La resistenza contro le forze di occupazione è un diritto divino degli iracheni e noi come sindacato ci vediamo come parte necessaria di questa resistenza - sebbene vogliamo lottare usando il nostro potere industriale, la nostra forza collettiva come unione e come parte della società civile che ha bisogno di crescere per difendersi sia dalle elitè saddamiste ancora al potere che dall'occupazione straniera del nostro paese.

Bush e Blair devono ricordarsi che coloro i quali hanno votato nelle scorse elezioni irachene sono tanto ostili all'occupazione quanto coloro che l'hanno boicottata. Coloro che affermano di rappresentare la classe lavoratrice irachena, chiedendo alle forze di occupazione di rimanere un po' più a lungo per lottare contro la guerra civile, parlano in realtà solo per se stessi e per la minoranza degli iracheni i cui interessi sono dipendenti dall'occupazione.

Noi come sindacato chiediamo unitariamente il ritiro delle forze di occupazione straniere e delle loro basi militari. Noi non vogliamo un orario preciso, questa è una tattica evasiva. Noi vogliamo risolvere i nostri problemi. Noi siamo iracheni, conosciamo il nostro paese e possiamo prenderci cura di noi stessi. Abbiamo i mezzi, le capacità e le risorse per ricostruire e creare una nostra società democratica.


Fonte: http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,,1417222,00.html (18 febbraio 2005)
Tradotto da Chiara Panzera per l'associazione www.peacelink.it



 

lunedì 21 febbraio 2005

A proposito di Giuliana Sgrena:


Lettera aperta a Renato Farina e alla redazione di “Libero”


di  Gianluigi Corbani - 19 Feb 2005


 Cardiff, 19 Febbraio 2005.
Egregio Renato Farina, spettabile Redazione di “Libero”,
"
Faccio riferimento ad un articolo apparso ieri sul vostro giornale riguardo la figura del padre della collega Giuliana Sgrena in stato di sequestro a Baghdad. Il mio nome è Gianluigi Corbani, sono un italiano residente in Gran Bretagna dove lavoro con fatica muovendo i primi passi come freelance nell'ambito televisivo e radiofonico. Normalmente non leggo il vostro giornale perchè le mie opinioni sono molto diverse dalle vostre, il che, mi auguro concordiate, non fa altro che contribuire alla ricchezza di una democrazia".


 


"Tuttavia mi è capitato di leggere il pezzo "Quando sono nei guai si aggrappano al cavaliere" a firma Renato Farina, al quale mi riferisco, in quanto mi è stato inviato tramite la mailing list della redazione di Reporter Associati, una testata on-line con la quale collaboro".


"Volevo sottolinerare brevemente alcuni punti che, indipendentemente dalle diverse opinioni di ognuno, rendono l'articolo indifendibile da un punto di vista giornalistico".


1. "Giuliana Sgrena, come tutti noi, è un essere umano. Una donna che si trova in una situazione obiettivamente tragica. Il padre, mi auguro converrete, a parte affiliazioni politiche che chiunque è libero di ritenere discutibili, si trova in una analoga situazione di angoscia che nessuno si augura di affrontare. Come tali, entrambi meritano il rispetto e il sostegno di ogni altro essere umano".


2. "Oltre a ciò, Giuliana è una giornalista. Esiste una cosa come la solidarietà tra colleghi. Ciò non è solamente un atto formale dovuto, ma un valore assoluto riconosciuto da tutti i giornalisti, specialmente coloro i quali si trovano a lavorare in condizioni difficili e pericolose, come Giuliana. A differenza di altri, questa nozione non è giunta alle mie orecchie solo per sentito dire, ma l'ho sperimentata in prima persona attraverso il mio lavoro".


3. "Indipendentemente dalla parte politica momentaneamente al potere in un Paese, è un obbligo istituzionale, legale e morale di un governo, riconosciuto e sancito dalla legislazione internazionale, quello di occuparsi della sicurezza e della sorte di ogni concittadino, ovunque esso si trovi. E' per questo che giustamente, in occasione del recente maremoto nel Sud-Est Asiatico, la nostra Farnesina si è adoperata con un grande dispiego di mezzi e uomini per assicurarsi della sorte e del ritorno in patria di tutti i nostri connazionali".


4. "La coerenza e onestà di una persona, come di un giornalista, si afferma nel dichiarare a viso aperto le proprie opinioni e posizioni. Questa onestà intellettuale ha un'importanza altrettanto grande di quella, per un giornalista, di raccontare i fatti come avvengono e non come vorremmo che avvenissero".


"Per questa ragione, trovo più apprezzabile un giornale come il Manifesto che dichiari apertamente di essere comunista rispetto ad altre testate che si presentino come imparziali di fronte ai lettori quando tutto, fuorchè imparziali, sono".


"A differenza di molti commenti, spesso espressi a sproposito, questi sono fatti incontrovertibili".


"Vi ringrazio per la vostra attenzione. Non mi aspetto che la mia lettera venga apprezzata, spero solo che la leggiate e mi auguro che il suo contenuto contribuisca a una discussione all'interno della vostra redazione".


Distinti saluti,


Gianluigi Corbani
redazione@reporterassociati.org  


Non avrei voluto parlare degli articoli e delle opinioni di Renato Farina o Vittorio Feltri, non per l'assoluta discordanza con le mie, ma per la mancanza di quella irrinunciabile "pietas" che in essi vi trovo (leggo il loro giornale nell'emeroteca della mia città).


Me ne occupai in un altro periodo tragico, quello del rapimento e poi dell'assassinio di Enzo Baldoni. La campagna del quotidiano 'Libero' in quell'occasione fu talmente impietosa e martellante contro la vittima che mi fu impossibile tacere (post di venerdì 27 agosto 2004).


Per questo oggi voglio registrare nel mio diario la lettera di Gianluigi Corbani, perché non ha taciuto e perché ha detto parole che condivido completamente.  Ma c'è un altro motivo ben più importante e fondamentale: il lavoro senza prezzo dei giornalisti e delle giornaliste libere, non embedded, e dei loro collaboratori. Quel lavoro serve a sollevare qualche velo su verità tenacemente oscurate e su menzogne propalate senza ritegno alcuno. Quel lavoro è per noi, la famosa "gente comune, semplice", quella 'ggente' lontana dai centri del potere nelle mani di "gente speciale, superiore", gente che ha ottenuto il potere attraverso libere e democratiche elezioni, ma poi non tiene fede ai giuramenti.  

sabato 19 febbraio 2005

sgrena_aubenas
Florence Aubenas, Giuliana Sgrena e Hussein Hanoun 


"Liberiamo la pace"



A chi dice che non è possibile accettare il ricatto dei terroristi che chiedono il ritiro delle truppe italiane, rispondo che chi non voleva questa guerra ingiusta il ritiro delle truppe italiane lo sta chiedendo da "sempre", senza bisogno di sollecitazioni terroristiche di 'persone' che non sembrano avere come massimo obiettivo la liberazione dell'Iraq.


Il nostro governo e la prona maggioranza non hanno voluto nemmeno riconsiderare i termini della vicenda, appunto dopo il coraggioso risultato delle elezioni in Iraq. Anche volendo mantenere i nostri soldati in Iraq, attualmente sotto il comando USA, avrebbero potuto almeno riflettere e discutere su una ridefinizione della nostra 'missione di pace'.


Ho sentito con sollievo dalla voce di Pier Scolari che tuttavia il governo si sta muovendo bene  per arrivare alla liberazione di Giuliana. E questa al momento è la questione fondamentale, senza dimenticare gli altri ostaggi e la popolazione irachena. Ogni vittima è una vittima innocente, e "il mondo muore ad ogni morte di un uomo", come diceva Fulvio Tomizza.


A still from the video allegedly showing two missing Indonesian journalists and their captors


I due indonesiani appena rapiti (da BBCNEWS)



Perché l' Iraq è ora il posto più pericoloso per i giornalisti...non embedded, quelli liberi insomma?

venerdì 18 febbraio 2005

 


Release Voices of freedom kept prisoner in Baghdad.

Created by Release Voices on February 9th, 2005 at 12:34 pm AST





  • Voices of freedom are kept prisoner in Baghdad.

  • Voix libres prisonnières à Baghdad.

  • Voci libere prigioniere a Baghdad.

  • Voces libres presas en Baghdad

    Fermiamo la guerra


    Dal DIARIO di questa settimana: http://www.diario.it/index.php



    Nella sezione "Documenti di adesione" l'appello dei giornalisti


    Vi invitiamo a firmare e linkare ai vostri siti l’appello per la liberazione di Giuliana Sgrena e Florence Aubenas. 




  •  L’appello è tradotto in inglese, francese e spagnolo. http://www.petitionspot.com/petitions/freevoicesfreedom  



  • giovedì 17 febbraio 2005

    Sottoscrivi l'appello


    L'appello dei giornalisti per la liberazione di Giuliana Sgrena


    Chiediamo a tutti i giornalisti di sottoscrivere il seguente appello per la liberazione di Giuliana Sgrena e per la partecipazione alla manifestazione nazionale del 19 febbraio a Roma:


    Non avrebbe voluto essere un simbolo, e invece lo è diventata. Non avrebbe voluto mai più vedere una guerra, e invece la guerra le è piombata addosso.
    Giuliana Sgrena, “inviata di pace” per scelta e per cultura mostra, con la qualità del suo impegno, come è possibile capire e interpretare, raccontare con onestà ma al tempo stesso lottare con convinzione, attraverso la parola scritta, contro un insopportabile orrore.
    Per questo salvare Giuliana, salvare la collega di Libération, Florence Aubenas, scomparsa a Baghdad deve riguardare tutti. Non è questo il momento delle divisioni e delle polemiche. Anche avendo idee diverse da Giuliana, dobbiamo tutti partecipare alla mobilitazione per salvarla.
    Rifiutiamo la logica della paura, dell'intimidazione, della censura, dell'autocensura, della propaganda. I giornalisti “embedded”, arruolati, raccontano inevitabilmente solo una parte della verità.
    Giuliana non lo è, e ha rischiato. Giuliana è una giornalista attenta e consapevole ed è una donna coraggiosa. Come tante colleghe e tanti colleghi.
    Giuliana ci manda un messaggio: l'informazione resti in Iraq, per raccontare e capire. Ne vale la pena, i cittadini vogliono conoscere.
    La libertà di fare informazione dalle zone di crisi, di guerra, sarebbe negata se venisse approvata anche dalla Camera, dopo il Senato, la riforma del Codice militare di pace, legge che prevede sanzioni penali e anche il carcere per i giornalisti che fanno informazione sulle missioni cosiddette “di pace” rivelando notizie non approvate dai comandi militari.
    Sono queste le buone ragioni per le quali è importante esserci tutti, il 19 a Roma, alla manifestazione indetta dal Manifesto.


    Primi firmatari:


    Gabriele Polo, Paolo Serventi Longhi, Franco Siddi, Pierluigi Sullo, Roberto Natale, Silvia Garambois, Davide Sassoli, Furio Colombo, Antonio Padellaro


    Articolo 21 - http://www.articolo21.com/appelli_form.php?id=29


    SOLIDARIETA' E TESTIMONIANZE


    APPELLO DEI GIORNALISTI
    PER LA LIBERAZIONE
    DI GIULIANA SGRENA
    Il 19 febbraio manifestazione indetta
    da Il Manifesto


    Mi pare che sia lo stesso appello ma con possibilità diverse di invio.

    mercoledì 16 febbraio 2005


     




    Giuliana Sgrena piange in un video: «Ritirate le truppe»
    di 
    red.

    Piange un po', porta le mani giunte alla bocca. «Questo popolo non vuole occupanti, questo popolo non deve più soffrire così, migliaia di persone sono in prigione, la gente muore ovunque...Pierre aiutami fai vedere i bambini colpiti con le claster bomb (le micidiali bombe a grappolo ndr)...non devono più venire occidentali, anche gli italiani qui sono visti solo come invasori».


    Sono questi i passaggi nodali di ciò che dice Giuliana Sgrena nel video che i suoi sequestratori hanno diffuso tramite l'Associated Press Television e che è stato trasmesso attorno a mezzogiorno. Il messaggio è accorato e chiaro. «Aiutatemi a chiedere il ritiro delle truppe» dall'Iraq, chiede a più riprese, mentre si avverte una voce di fondo forse femminile. È sola nel video. Sembra provata «smagrita ma lucida», è il commento del suo compagno Pierre Scolari. Indossa una casacca verde e parla con le mani giunte. Sullo sfondo si vede un lenzuolo bianco e una scritta rossa in arabo, «Mujaheddin senza confini», una sigla finora sconosciuta.

     



     



    «Chiedo al governo italiano, al popolo italiano contrario all'occupazione, chiedo a mio marito, vi prego, aiutatemi - dice la Sgrena, parlando ora in italiano ora in francese - Dovete fare tutto quello che potete per mettere fine all'occupazione. Conto su di voi, potete aiutarmi». «Ritiratevi dall'Iraq, perché nessuno deve più venire in Iraq... per favore, fate qualcosa per me», ha detto Sgrena nel video, piangendo. «Pierre, aiutami tu, sei stato con me in tutte le battaglie, ti prego aiutami... aiutami a salvarmi... Chiedo alla mia famiglia di aiutarmi... Questo popolo non deve più soffrire... Questo popolo non vuole occupazione, non vuole truppe, non vuole stranieri». ...


    Il compagno di Giuliana, Pierre Scolari si rivolge direttamente al governo, alle forze politiche e al Parlamento, impegnato in queste ore proprio a decidere il rifinanziamento della missione militare in Iraq. «Chiedo di ritirare le truppe ma non per Giuliana - dice orgoglioso - lo chiedo per il popolo iracheno. Kofi Annan lo ha detto chiaramente - aggiunge - in questa situazione l'Onu non può andare (cioè sostituirsi alle truppe della coalizione ad esempio con caschi blundr) bisogna prima cambiare le condizioni...». ... continua: http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=40910 


    Oggi il voto in Senato, voto scontato per la maggioranza. Mi unisco all'appello a ritirare i nostri soldati dell'Iraq, non sotto il ricatto per Giuliana Sgrena, per quanto sia cara e preziosa. Sono sempre stata contraria a questa guerra falsa e criminale, ho sempre provato sdegno per la nostra partecipazione attiva e subalterna, avrei sempre votato a favore del nostro ritiro, in nome della Costituzione e della giustizia e dell'etica che vieta l'assassinio. Provo dolore per la posizione del solito Rutelli et similes, per il fatto in sé certo, ma soprattutto perché sono ragionevolmente convinta che le cittadine e i cittadini che si riconoscono ne L'Unione siano favorevoli a far cessare l'occupazione dell'Iraq.


    Il post che segue è di stamattina.


    Mi è sempre stato incomprensibile come una maggioranza parlamentare abbia dedicato e dedichi tali e così prolungati sforzi a legiferare con chiari intenti ad personam o ad personas. I processi durano troppo, è evidente, ma allora perché non macerarsi nella ricerca di tutti i possibili strumenti per sanare questo problema? D'ora in poi possiamo essere certi che i processi si allungheranno, perché la difesa di imputati vari avrà tutto l'interesse ad assicurarsi un così semplice salvacondotto. Cosa questa già ampiamente sperimentata e tristemente nota.


    Csm: la salvaPreviti cancellerà 4.500 processi
    15/02/05


    La legge salvaPreviti avrà "effetti devastanti", farà quadruplicare i reati prescritti. La Sesta Commissione del Csm lanciare l'allarme con un documento che sarà discusso dal plenum giovedì prossimo, assieme al testo alternativo presentato dal laico della Cdl Giorgio Spangher.
    L'analisi della Commissione è spietata. "L'applicazione del nuovo regime ai processi in corso comporterà un vero e proprio cataclisma organizzativo all'interno di un sistema di giustizia penale che già oggi riesce con assoluta difficoltà a fronteggiare il numero elevatissimo di procedimenti". E provocherà "la vanificazione di gran parte del lavoro svolto dall'intero sistema giudiziario nel corso di alcuni anni". I consiglieri di Palazzo dei marescialli indicano con precisione i processi destinati ad essere spazzati via: "Quasi tutti i processi per reati puniti con la pena della reclusione compresa nel massimo tra i cinque e i sei anni e la grande maggioranza di quelli per reati puniti con la pena della reclusione massima di otto anni sono destinati a sicura prescrizione". Reati come la corruzione, la violenza o minaccia a pubblica ufficiale, la truffa, l'usura, la rivelazione di segreto di Stato. La previsione della Commissione è fondata sui numeri, innanzitutto su un'analisi compiuta dalla Corte di appello di Bologna che "ha stimato che per tale fascia di delitti sul totale dei processi iniziati davanti al giudice la quota destinata a prescriversi dall'attuale livello del 9,60% passerebbe a circa il 47%, il che, in termini assoluti, equivarrebbe ad una grandezza dell'ordine di 4.500 processi". Ma non solo: i consiglieri fanno riferimento anche a una ricognizione effettuata recentemente dalla Corte di cassazione che ha individuato in nove anni il tempo medio di durata dei processi per reati puniti con pena compresa fra cinque e otto anni che giungono al vaglio della stessa Corte. Ne consegue che "per la massima parte dei processi il termine prescrizionale maturerebbe prima della sentenza definitiva, ma dopo la decisione di appello, e cioé in un contesto che comporta per il sistema giustizia il massimo spreco di energie". E non è ancora tutto: i processi diventeranno ingovernabili, avverte Palazzo dei marescialli. Il nuovo regime "impedirà al giudice di controllare lo sviluppo dell'istruttoria dibattimentale e di gestire i tempi di lavoro", visto che la nuova disciplina renderà "del tutto naturale per i difensori fare ricorso agli istituti che comportano la sospensione del processo, non tanto per ottenere una pronuncia del giudice, ma anche solo al fine di far maturare il limite di prescrizione". Di tutt'altro tenore la relazione di Spangher: oltre a sottolineare la "legittimità" dell'intervento legislativo, il laico della Cdl segnala come "dato indiscutibilmente positivo della riforma" aver eliminato i poteri discrezionale del giudice nel riconoscimento della prescrizione dei reati; un elemento di "trasparenza con tendenziale attuazione del principio di uguaglianza".


    L'appello contro la salvaPreviti


    Fonte: http://www.libertaegiustizia.it/giustizia/giust01.htm


    Immagine: Bernini, Giustizia, Galleria Borghese, Roma (dal sito: http://keptar.demasz.hu/arthp/html/b/bernini/sculptur/1640/)



    domenica 13 febbraio 2005

     


    Appello
    Da Venezia il giornalismo internazionale per la liberazione delle giornaliste ostaggio in Iraq


    di Redazione
    I rappresentanti dei principali canali satellitari all news occidentali ed arabi, assieme ai rappresentanti di televisioni di servizio pubblico, dei maggiori quotidiani nazionali e agenzie di stampa internazionali, di organizzazioni internazionali dei Media, riuniti a Venezia  in un incontro sull’informazione di guerra in Iraq, raccolgono l’appello di Articolo 21 e della Federazione Italiana della stampa e, a loro volta, rivolgono un appello per la liberazione senza condizioni delle colleghe giornaliste Giuliana Sgrena e Florence Aubenas e del collaboratore di quest’ultima Hussein Hanoun Al Saadi.


    Il loro sequestro è la prova del rischio che l’intera informazione cada, essa stessa, in ostaggio. 


    La situazione in Iraq e la difficoltà crescente nello svolgere la professione giornalistica pongono il mondo dell’informazione davanti alla drammatica scelta di rinunciare al diritto/dovere di informare.


    La possibilità di operare in sicurezza direttamente sul territorio iracheno deve essere garantita a tutti i giornalisti occidentali e del mondo arabo.


    Fonte: http://www.articolo21.com/notizia.php?id=1626


    Mi sono formata l'opinione (spero sbagliata) che buona parte dell'informazione nel mondo intero sia già "in ostaggio" e che i giornalisti, anche i più integri ed eroici, riescano a sapere qualche verità solo affrontando enormi difficoltà.


    Quello che accade in casa nostra è verificabile di giorno in giorno, di telegiornale in telegiornale, di censura in censura. Ed è ancor meglio verificabile se ci si dedica alla lettura di giornali stranieri o di fonti alternative d'informazine. Non pretendo di leggere tutti i nostri quotidiani, ma ne scorro un certo numero online, e mi sottopongo al tormento dei nostri telegiornali. Ogni giorno mi fa specie vedere che sono quasi del tutto uguali, nella scelta degli argomenti, nell'ordine della scaletta e nei mezzucci manipolatori. Ma, soprattutto, ci sono notizie importanti, a volte di vitale importanza, che non vengono date, tout court. In Occidente i giornalisti generalmente, non sempre, non vengono rapiti o uccisi, ma alcuni di loro, molti o pochi?, incorrono in incidenti di percorso di vario genere quando si spingono oltre certi limiti. Mi spiego con l'ultimo caso, quello di Eason Jordan, direttore delle news e vicepresidente esecutivo della Cnn, che si è dimesso per evitare che il network venisse "ingiustamente macchiato dalla controversia creata dai resoconti delle mie osservazioni sull'allarmante numero di giornalisti uccisi in Iraq". E' una storia lunga pubblicata da Il Manifesto. L'articolo s'intitola "Cnn, dimissioni di guerra" e da domani sarà possibile leggerlo online all'indirizzo:


    http://www.ilmanifesto.it/oggi/art8.html

    mercoledì 9 febbraio 2005

     Una buona notizia



    I quattro elicotteristi non vollero guidare i Ch47
    perché li consideravano non abbastanza sicuri
    Si rifiutarono di volare in Iraq
    assolti: non fu per "codardia"
    "Non fu per paura: quei velivoli presentavano carenze tecniche"


    "La notizia giunge ad un mese esatto dalla morte del maresciallo dell'Esercito Simone Cola, ucciso da una raffica di khalashnikov in Iraq mentre era in volo su un elicottero AB-412 da più parti giudicato un velivolo non del tutto sicuro per missioni di guerra."


    Articolo: La Repubblica, 9 febbraio 2005-http://www.repubblica.it/2005/b/sezioni/politica/iraqeli/iraqeli/iraqeli.html;  Foto: Il Corriere della Sera


    Ho sempre ammirato quegli elicotteristi per il loro coraggio, la loro dignità e il loro amore per la vita. Il loro rifiuto mi sembrò anche un segno di fedeltà ai compiti che si erano assunti. Oggi, caro diario, sono felice per come si è conclusa una vicenda penosa, molto penosa nella storia controversa della nostra partecipazione alla guerra contro l'Iraq.

    lunedì 7 febbraio 2005

     senza titolo
    EDUARDO GALEANO
    L'abbiamo visto che
    il terrore genera altro
    terrore e le cecità altra
    cecità. L'Iraq, un paese
    invaso, occupato, smembrato,
    si è trasformato
    in un tragico manicomio
    condannato all'oscurità.
    Ci sarà un'ultima scintilla
    di umanità e di saggezza?
    Che arde nella notte, come
    la fiamma di un fiammifero
    nella mano di qualcuno?
    Che illumina il volto di
    Giuliana, dicendole: non sei
    sola, dicendole: l'incubo
    finirà, scongiurandola:
    non crollare!




    Caro diario, ho rubato a man bassa le vignette di Vauro e la poesia di Galeano dal Manifesto, toccato in prima persona dal rapimento della nostra Giuliana Sgrena. Non dimenticano, però, quelli del Manifesto Florence Aubenas e gli altri giornalisti sia i rapiti e rilasciati che gli assassinati, come Enzo Baldoni e Maria Grazia Cutuli e ...



    "Vai, dolce sognata agognata pace, e riportacele, riportaceli, tutti gli infelici oppressi e straziati, tutti gli ostaggi della guerra", vorrei gridare a imitazione di Vauro e di Galeano, a riecheggiare i pensieri liberi di Giuliana e delle persone come lei.


    Ma la guerra non è una entità astratta, è la condizione in cui tutti siamo coinvolti, come carnefici o come vittime. E le vittime, che sono la stragrande maggioranza, devono ribellarsi, sottrarsi al silenzio e all'acquiescenza, gridare la propria sdegnata radicale opposizione.


    Mentre penso a Giuliana e a Florence, ai vivi e ai morti e ai torturati, sento risuonare con orrore i discorsi di Bush e gli applausi dei suoi accoliti, primi fra tutti Blair e Berlusconi. Sono discorsi terribili per me, e non lo dico da romantica inutile stupida pacifista. Sono discorsi terribili perché li ho già sentiti altre volte leggendoli nei libri di Storia, la famosa magistra vitae. Le situazioni storiche sono diverse e si presentano con molte variazioni, ma nella sostanza teorizzare la soluzione di qualsiasi problema politico con la guerra fa parte di quello che Umberto Eco chiama l' 'ur-fascismo', il fascismo eterno.

    giovedì 3 febbraio 2005

    Oggi nel mio diario fatto di tante cose, diverse e scelte senza criteri precostituiti, voglio inserire un articolo di George Monbiot, apparso sul Guardian del 18 gennaio 2005 e di cui ho trovato una provvidenziale traduzione in ZNET.


    E' evidente che il tema della libertà di informazione e che i problemi delle manipolazioni mi stanno particolarmente a cuore, ed è questo che ha attirato la mia attenzione sull'articolo di Monbiot. Mi sembra che nel campo del giornalismo televisivo, molto più che in quello stampato, tutto il mondo si stia omologando sulla volontà dei detentori del potere.


    Il magico paese dei media: i mezzi di informazione statunitensi


    stanno creando un mondo immaginario


          di George Monbiot



    Mercoledì il magico re della terra fantastica verrà nuovamente incoronato. E' stato eletto su una piattaforma sospesa a mezz'aria dal potere dell'immaginazione. E' il capo di una banda di uomini che si muovono in un reame abitato dai fantasmi e mai toccato dalla realtà. E rimane la persona più potente al mondo.


    Come è successo? Come è potuto accadere che un presidente fantastico di


    un mondo di false apparenze sia riuscito a governare un paese il cui potere è stato fondato sul più ostinato materialismo? Per scoprirlo date un'occhiata a due squallide vicende che si sono verificate negli ultimi 10 giorni. La prima riguarda la rete televisiva CBS. A Settembre, il suo programma "60 minutes" ha mandato in onda un'inchiesta sul modo in cui George Bush era riuscito a evitare la chiamata in Vietnam. Il servizio in questione si avvaleva di alcuni memorandum. In essi, apparentemente, veniva dimostrato che il capo-squadriglia nella Guardia Nazionale del Texas era stato persuaso a contraffare le registrazioni del suo servizio. I documenti allegati al programma vennero immediatamente e sostanzialmente confutati: i Repubblicani


    furono abili a screditare la bontà delle prove ipotizzando che i memorandum fossero stati falsificati. La scorsa settimana, in seguito a un'inchiesta sul programma, il produttore è stato licenziato, e tre resposabili CBS sono stati costretti a dare le dimissioni.


    L'incidente non sarebbe potuto risultare più utile a Bush. Nonostante non vi sia alcun dubbio sul fatto che abbia tramato per evitare di essere chiamato in Vietnam, il crollo della storia diffusa dalla CBS suggerisce che tutta la documentazione


    mostrata sul suo passato militare fosse falsa, e la questione ha cessato di essere d'interesse per i media.


    La CBS è stata pesantemente denunciata dai guru di destra con il risultato che da allora fino al momento elezioni praticamente nessuna rete televisiva ha osato criticare George Bush. Mary Mapes, la produttrice licenziata dalla CBS, era la più attiva giornalista investigativa della rete: è stata lei a portare all'attenzione pubblica le foto di Abu Ghraib. Se i memorandum erano contraffatti, il falsario doveva essere molto abile o un autentico imbecille.


    E' vero naturalmente che la CBS avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione. Ma credo sia legittimo supporre che se la rete avesse mandato in onda documentazioni non dimostrabili su John Kerry, nessuno dei responsabili adesso sarebbe in cerca di lavoro. Quante persone hanno perso il posto, alla CBS o altrove, ripetendo storie falsificate diffuse dallo Swift Boat Veterans for Truth riguardo al passato militare di Kerry in Vietnam? Quanti sono stati cacciati per aver riportato in maniera distorta la storia su Jessica Lynch? O per aver affermato che Saddam Hussein, nel 2003, stava attuando un programma nucleare di armamento? O che stava comprando uranio dalla Nigeria, che utilizzava laboratori mobili per armi biologiche, o che era coinvolto nell'attentato dell'11 settembre? Quante persone sono state licenziate, durante la presidenza Clinton, per aver madato in onda menzogne sull'affare Whitewater? La risposta, in tutti casi, è nessuna.


    Puoi affermare ciò che vuoi sui media statunitensi, fintanto che è utile al presidente repubblicano. Ma commetti un solo errore mentre lo intervisti e verrai fatto a pezzi. Anche le più umilianti dichiarazioni di lealtà non saranno sufficienti. Il presentatore di "60 Minutes", Dan Rather, è l'uomo che un giorno disse ai suoi spettatori: "George Bush è il presidente, prende le decisioni e, vedete, come qualunque americano, vuole che anch'io mi schieri, solo... ditemi da che parte".(1) La CBS è di proprietà del conglomerato Viacom, il cui presidente ha detto ai giornalisti: "crediamo che l'elezione di un'amministrazione repubblicana sia meglio per la nostra società"(2) Ma per la Fox News e per i programmi locali della Clear Channel, l'incerto tentativo di Rather nel campo del giornalismo investigativo è un'ulteriore prova della 'cospirazione dei media liberali".


    Non è la prima volta che accade una cosa simile. ... L'altra squallida storiella ... Queste storie, in altre parole, sono indicative del modo in cui i media statunitensi vengono disciplinati dall'America corporativa. ...


    Il ruolo delle corporation dei media negli Stati Uniti è simile a quello degli stati guidati da regimi repressivi: decidono ciò che il pubblico potrà o non potrà ascoltare, puniscono o reclutano le mine vaganti che insistono a raccontare una storia diversa. I giornalisti che assumono lavorano praticamente come lavorano i giornalisti sotto un regime repressivo: interiorizzano la richiesta del censore, e comprendono, prima che venga detto loro, cosa sia accettabile e cosa non lo sia.


    Così, quando devono compiere una scelta tra una favola che aiuti i repubblicani e una realtà che li ferisca, scelgono la favola. A mano a mano che le fantasie si accumulano, la storia che raccontano si discosta sempre più dalla realtà. Chiunque provi a riportare la gente sulla terra viene denunciato come traditore  e millantatore.


    E chiunque voglia diventare presidente deve prima imparare a vivere nel paese delle favole.



    Articolo in inglese: A televisual fairyland - The US media is disciplined by corporate America into promoting the Republican cause - George Monbiot - Tuesday January 18, 2005 - The Guardian - http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,,1392770,00.html 


    lunedì 31 gennaio 2005

    Elezioni in Iraq



    Voglio sperare in qualcosa di buono, o di meno peggio, per gli Iracheni.