
AHIMSA. Parola sanscrita che ho imparato da Gandhi. Vuol dire "innocenza" e "non violenza","impegno a non nuocere ad alcun essere vivente". AHIMSA. I miei obiettivi sono la ricerca, la conoscenza, la comunicazione e la condivisione di emozioni, idee, informazioni con altre "persone che cercano". L'altro mio blog è CONVIVIUM, il posto del banchetto.
martedì 13 ottobre 2015

giovedì 23 aprile 2015
Qualunque idea si abbia su Renzi, su Rodotà e sulle rispettive proposte, è bene chiarire i termini della vicenda ponendosi una domanda semplice: la riforma Renzi del 2014 è uguale, nella sostanza e negli effetti, a quella Rodotà del 1985? E quindi, il «capo dei parrucconi» si contraddice, rinnega se stesso, sacrifica l’onestà intellettuale all’ipocrita posizionamento politico?
Due sono le analogie tra il Rodotà del 1985 e il Renzi del 2014: superamento del bicameralismo puro previsto dalla Costituzione del 1948 e riduzione del numero dei parlamentari eletti. Analogie, non identità perché Rodotà è più renziano di Renzi: abolisce il Senato tout court (il premier delinea invece una soluzione spuria, trasformandolo in assise di sindaci, governatori ed esponenti civici nominati dal presidente della Repubblica) e riduce, a differenza di Renzi, anche il numero di deputati della residua Camera elettiva da 630 a 500.
Radicale la critica alle disfunzioni del bicameralismo puro. Spiegava allora il professore che due Camere gemelle riducono l’efficienza della produzione normativa, diventando solo casse di risonanza di «microinteressi» capaci per lo più di «reiterazione defatigante e distorcente del procedimento legislativo» per frenare le riforme con «tendenze conservatrici». Pare di sentire il premier rottamatore. Del resto, sia nell’appello di Libertà e Giustizia che nell’intervista al Fatto Quotidiano, il Rodotà del 2014 non contesta l’abolizione del Senato in sé (del resto già nell’assemblea costituente erano per il monocameralismo comunisti e socialisti), ma nell’attuale contesto politico e istituzionale. E qui emergono le differenze.
Prima differenza. Una lettura meno superficiale del testo del 1985 fa capire che quei parlamentari della Sinistra Indipendente (Ferrara, Rodotà, Bassanini...) vogliono il monocameralismo innanzitutto per rafforzare il Parlamento («un’unica istanza rilegittimata») nel rapporto dialettico del governo (di cui si intendeva limitare il potere di decretazione d’urgenza), mentre la riforma Renzi combinata con l’Italicum rafforza il governo contro il Parlamento (già abbondantemente indebolito: i regolamenti parlamentari sono molto più favorevoli di un tempo all’esecutivo e ormai da anni si legifera quasi solo con decreto).
Seconda. Come contrappeso alla eliminazione di un ramo del Parlamento, Rodotà nel 1985 propone l’introduzione del referendum propositivo. Di questo nel progetto Renzi non si parla.
Terza. Il Rodotà del 1985 vuole modificare l’articolo 138 sulle procedure di revisione costituzionale «con motivazioni e finalità garantistiche», per rendere più difficile alla maggioranza dell’unica Camera disporre della Carta fondamentale. Nessuna preoccupazione di questo tipo nel testo di Renzi.
Quarta. La proposta Rodotà del 1985 introduce sull’esempio francese e spagnolo una nuova categoria di leggi, dette «organiche» perché incidono su principi e diritti fondamentali (il catalogo è ampio: dalle libertà fondamentali ai sistemi elettorali, dalle confessioni religiose alla giustizia...). Per queste leggi, collocate a un rango «quasi costituzionale», viene prevista una procedura di approvazione rafforzata, per garantire il Parlamento dall’egemonia del governo e i cittadini dallo strapotere della maggioranza parlamentare. Niente decreti legge, niente leggi delega. Obbligo di maggioranza assoluta dei componenti della Camera per l’approvazione. Ancora un’esplicita previsione per limitare il governo. Tutto ciò manca nella riforma Renzi, che rimette tutta la legislazione alla maggioranza parlamentare, senza alcun contrappeso. La logica è opposta.
Quarta bis. E che maggioranza! Il Rodotà del 1985 si muove all’interno di un impianto costituzionale fondato sulla rappresentanza proporzionale (tanti voti, tanti seggi) e su parlamentari prima selezionati da solidi partiti pluralisti, poi scelti dal corpo elettorale con le preferenze, il che li dotava di un certo tasso di autonomia. Un partito del 49 per cento non poteva approvare da solo le leggi, scegliere i presidenti delle Camere e della Repubblica, istituire commissioni d’inchiesta, designare gli organi di garanzia... Inoltre la forma di governo era rigorosamente parlamentare: il governo nasceva in Parlamento e dal voto di fiducia traeva la sua unica legittimazione. Oggi i sistemi elettorali (Porcellum o Italicum, da questo punto di vista, pari sono) garantiscono a partiti con la metà dei voti della Dc o del Pci una maggioranza assoluta in Parlamento e hanno modificato sostanzialmente la forma di governo: il premier ha una legittimazione elettorale sostanzialmente diretta dal popolo, il voto di fiducia del Parlamento è un atto dovuto. Inoltre è cambiato lo status dei parlamentari: non sono legittimati dal consenso personale, ma dalla nomina del capopartito (anche i partiti sono meno democratici di trent’anni fa: alcuni a guida personale, altri come il Pd comunque a connotazione leaderistica, basti pensare al sistema con cui si eleggono gli organi direttivi). I deputati sono meno autonomi nei confronti del governo e del partito: dalla disciplina dipende la ricandidatura. L’importanza di questa differenza di impostazione culturale è testimoniata dal fatto che il testo Rodotà del 1985, pur in un contesto proporzionalista e fondato sulla centralità del Parlamento, vuole «costituzionalizzare» (oggi diremmo «blindare») il principio proporzionale, scelta «imposta dal monocameralismo e dalla riduzione dei parlamentari» proprio per evitare dittature della maggioranza.
Quinta differenza. Rodotà ha posto con Zagrebelsky e gli altri «parrucconi» una questione che è insieme giuridica e politica. Il Parlamento del 1985, eletto con una legge proporzionale con le preferenze conforme a Costituzione, era legittimato a cambiare la Carta fondamentale: rappresentava fedelmente «la nazione». Il Parlamento del 2014 è stato eletto con una legge elettorale anticostituzionale sia per l'abnorme premio di seggi (la maggioranza parlamentare è una minoranza tra i cittadini) che per l’inconoscibilità dei candidati agli occhi degli elettori, causata dalle liste bloccate. I partiti che hanno nominato gli attuali «padri ricostituenti» sono in gran parte fuori dal «metodo democratico» previsto dall’articolo 49 della Carta. Siffatto Parlamento è legittimato a prefigurare un nuovo sistema costituzionale in cui minoranze popolari trasformate artificialmente in maggioranze parlamentari siano dotate di poteri largamente superiori a quelli che la Costituzione (e il Rodotà del 1985) riconoscevano a solide maggioranze popolari?
http://www.lastampa.it/2014/04/03/italia/politica/voleva-abolire-il-senato-e-critica-renzi-verit-e-bugie-sugli-attacchi-a-rodot-jLlUJviezRzN3o3IEcmqNN/pagina.html
mercoledì 4 novembre 2009
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Intorno all'ostensione del Crocifisso nei luoghi pubbici in Italia
La sentenza del Consiglio d'Europa e le reazioni italiane
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La sentenza integrale in italiano. (Parte essenziale: QUI)
Memoria del Consiglio di Stato sul Crocefisso: QUI .
AINIS Nessuna legge lo prevede
Crocifissi a "La vita in diretta" Rai 1, parte 1/4...
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Nella prima parte le opinioni e le argomentazioni che concordano con la sentenza o che NON concordano ma con argomentazioni che in parte condivido, nella seconda quelle contrarie dai toni scortesi o violenti o sostenute da argomentazioni che non condivido.
Da laica, "diversamente credente" (), schierata non solo in difesa dei principi di libertà religiosa dello Stato laico ma soprattutto in difesa del Crocifisso, che rispetto profondamente, e della religiosità autentica che non ama le divisioni tra guelfi e ghibellini, raccoglierò dopo le mie piccole idee.
Buon senso e lungimiranza suggerirebbero ai cattolici di sostenere la laicità dello Stato, garanzia di equità per tutti, credenti di religioni diverse e "diversamente" credenti di nessuna religione, soprattutto in considerazione dei cambiamenti sociali, quelli in atto e quelli futuri.
I PARTE
Riteniamo un traguardo di civiltà, laicità, tolleranza, libertà e pacificazione religiosa la sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo che ha detto «no» all’esibizione del crocifisso nelle scuole pubbliche, pronunciandosi sul ricorso di una cittadina italiana. Finalmente una buona notizia dagli Organismi della Unione Europea che restituisce, in parte, quella realtà istituzionale alla democrazia ed ai diritti di cittadinanza.
Sappiamo di essere controcorrente perché la maturazione della società, della realtà religiosa e della politica sul tema della laicità è un percorso lungo e conflittuale. Ma non siamo affatto soli.
“Meno croce e più Vangelo” valeva nella scuola di Barbiana da dove don Milani aveva tolto il crocifisso. ...qui .
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Meno bugie più Vangelo
di Enzo Mazzi
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Ma oggi, dopo gli Accordi del 1984, la religione cattolica non è più la sola religione dello stato. Quindi i simboli religiosi, tutti i simboli religiosi, anche quelli della spiritualità o della fede laica, hanno uguale dignità. Le leggi e chi le interpreta devono adeguarsi di diritto e di fatto.
Ma è proprio vero che il crocifisso ha un valore universale e che è la bandiera dell'identità italiana? Che tutti i cittadini, di qualsiasi religione o credo, possono e devono accettare? Ma allora com'è che Costantino ha messo la croce sui suoi labari e in quel segno ha ucciso e in quel segno ha vinto? Com'è che da quel momento la croce è trionfo e vittoria? E' vero che poi Costantino in omaggio alla croce ha abolito la crocifissione. Non però la sostanza del supplizio. Ha continuato a sacrificare innocenti con altri strumenti avvalendosi della protezione della croce. Si potrebbe continuare sul filo della storia, dalla croce indossata dai crociati alla croce brandita dai conquistatori, usata per accendere i roghi di eretici e streghe, fino alla croce sui simboli di partito e alla croce che s'insinua negli attuali arsenali militari.
Lo so bene che la croce ha alimentato anche la speranza del riscatto storico degli oppressi, la loro lotta e le loro rivoluzioni. Ma per lo più ciò è stato considerato una eresia. In realtà ogni volta che il cristianesimo si è aperto e legato ai movimenti storici che puntavano al riscatto dei poveri e degli oppressi, qui in terra e non solo in cielo, ha subito feroci repressioni. Contro quel cristianesimo ribelle puntualmente si sono accesi i roghi fisici o morali. Fino all'attuale allontanamento di don Alessandro Santoro dalla Comunità delle Piagge di Firenze. Non risulta per niente vero che è consentito vedere nella croce il simbolo della prevalenza dell'amore sul potere, come sostiene un teologo alla moda come Vito Mancuso (la Repubblica di ieri 4 novembre). Tutti i movimenti popolari rivoluzionari animati dal Vangelo che hanno visto nella croce il segno della liberazione storica e non solo della redenzione sacrificale trascendente sono stati repressi spesso nel sangue. Quante croci della teologia della liberazione sono state abbattute e calpestate dai crociati della croce esibita come trionfo! La croce si può anzi si deve esporre solo in quanto è segno del potere.
- Crocifisso braccio di ferro inutile di Gian Enrico Rusconi, La Stampa 5 novembre 2009
- La battaglia di un simbolo di Stefano Rodotà, Repubblica 04 novembre 2009
- Quanto vale quel simbolo di Vito Mancuso, Repubblica, 5 novembre 2009
Ma io difendo quella Croce
di Marco Travaglio, Il fatto quotidiano 5 novembre 2009
Il crocifisso, simbolo di sofferenza che non può offendere nessuno di Claudio Magris, Corriere della Sera 7 novembre 2009
La selva di croci sopra Strasburgo di Lorenzo Mondo, La Stampa 8 novembre 2009
Povero Cristo in mano a Berlusconi
di don Paolo FarinellaSe c’è un'immagine blasfema è quella del Cavaliere che tiene in mano un Crocifisso: colui che ha varato una legge incivile contro i "cristi immigrati", che parla di "difesa dei valori cristiani".
MARTELLI Crocifisso, una sentenza ineccepibile
GIULIETTI Intollerabile assalto alla Corte | CORNAGLIA Morale laica
ODIFREDDI Simbolo offensivo e anacronstico
COMUNITÀ CRISTIANE DI BASE Meno croce e più Vangelo
DON ANTONELLI Il posto della croce è la coscienza di chi crede
FO Dietro al crocefisso una storia di misfatti e violenze
RODOTÀ La battaglia su un simbolo |
NOI SIAMO CHIESA La fede si vive nelle coscienze
DON SCACCAGLIA Simboli religiosi, non togliere ma aggiungere [ link da Micromega ]
II PARTE
lavori in corso
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La caduta del muro nell'Italia di Berlusconi di Eugenio Scalfari, La Repubblica 8 novembre 2009
Quel muro che cadde sulla sinistra di Barbara Spinelli, La Stampa 8 novembre 2009
lunedì 1 giugno 2009
“Italia, cronaca di un paese senza”
di Stefano Rodotà
Ricordate il titolo di un libro bello e premonitore di Alberto Arbasino, Un Paese senza? “Senza memoria, senza storia, senza passato, senza esperienza, senza grandezza, senza dignità”, e via continuando. In questi anni il catalogo si è allungato in maniera inquietante, persino drammatica, e il Presidente del Consiglio, con una accelerazione impressionante negli ultimi mesi, ce la mette tutta nel dire quel che dobbiamo aspettarci.
Ecco, allora, un Paese senza Parlamento e senza magistratura (perché queste istituzioni saranno gusci vuoti se si realizzeranno i progetti tante volte annunciati). Un Paese senza eguaglianza e senza diritti fondamentali (perché questa è la deriva indicata dagli ultimi provvedimenti in materia di sicurezza). Un Paese senza rispetto per se stesso (perché è sbalorditivo che tutti i giornalisti rimangano disciplinatamente seduti quando, in una conferenza stampa, il Presidente del Consiglio intima a una loro collega “o via lei o via io”). Un Paese senza opinione pubblica, senza lavoro…
Ma vi è un “senza” che campeggia su tutti gli altri. Nell´articolo 16 della Dichiarazione dei diritti dell´uomo e del cittadino del 1789, uno dei testi fondativi della moderna democrazia, si legge: “Una società, nella quale non è assicurata la garanzia dei diritti e non è determinata la separazione dei poteri, non ha Costituzione”. Quando il Presidente del Consiglio attacca frontalmente Parlamento e magistratura, quando cancella o rende labili i confini tra i diversi poteri dello Stato, quando pone la fiducia su provvedimenti lesivi di diritti fondamentali delle persone, il risultato è proprio quello deprecato dalla Dichiarazione del 1789. Un Paese senza Costituzione.
Con una mossa per lui abituale, Berlusconi ha accusato opposizione e stampa di aver falsificato le sue opinioni sulla riforma delle Camere. Ma quelle tre definizioni del Parlamento – pletorico, inutile, controproducente – gli sono sfuggite, vanno lette insieme e sono rivelatrici. Pletoriche le Camere lo sono certamente, ed è colpa non piccola della sinistra l´aver trascurato in passato i suggerimenti provenienti dal suo interno sulla riduzione del numero dei parlamentari, lasciando così incancrenirsi un problema che sarebbe poi finito nelle polemiche sulla “casta” e avrebbe alimentato l´antipolitica. Ma vi sono due modi per pensare e attuare questa riduzione. Avere meno parlamentari può rispondere all´obiettivo di avere un lavoro più serrato, di poter rendere più incisivi i controlli, attribuendo ai parlamentari poteri e risorse adeguati. Un Parlamento non indebolito dalla diminuzione dei suoi componenti, ma sostanzialmente rafforzato nelle sue prerogative.
Quando, però, la riduzione è invocata da chi ha detto di volere in Parlamento una pattuglia di competenti e una folla di docili gregari, che ha proposto di far votare solo i capigruppo, che pretende di avere le mani libere nella decretazione d´urgenza, emerge clamorosamente proprio l´immagine di una istituzione ritenuta inutile, che intralcia e ritarda, dunque controproducente. Quando Berlusconi richiama il numero di 100 parlamentari, riferendosi al Senato degli Stati Uniti (dimenticando, però, i 432 membri della Camera dei rappresentanti), parla di un modello dove il potere di quei cento è grandissimo, può bloccare anche iniziative essenziali del Presidente, si concreta in fortissime possibilità di controllo, è basato su risorse umane e finanziarie cospicue. Questo modello fa a pugni con la richiesta berlusconiana di maggiori poteri al Presidente del Consiglio, che eccede le esigenze di un´azione di governo più spedita, si concreta in una espropriazione di competenze del Parlamento e dello stesso Presidente della Repubblica, alterando così la forma di governo repubblicana.
Non a caso la riforma invocata da Berlusconi dovrebbe passare attraverso una ulteriore e radicale mortificazione del Parlamento. Non disegni di legge del governo, non iniziative di senatori e deputati dovrebbero contenere le ipotesi di riforma. Queste sarebbero affidate ad una proposta di legge di iniziativa popolare sulla quale raccogliere milioni di firme. Come sarebbe condotta la campagna per la raccolta delle firme? Dicendo che un Parlamento inetto e recalcitrante, incapace di riformarsi, deve essere obbligato a farlo dalla forza del popolo. Quali sarebbero gli effetti di questa scelta? La definitiva legittimazione del rapporto esclusivo tra Capo e Popolo. Berlusconi lo aveva già annunciato qualche tempo fa. Di fronte al rifiuto del Presidente della Repubblica di firmare il decreto riguardante Eluana Englaro, aveva reagito dicendo di avere il diritto di seguire la via della decretazione d´urgenza senza alcun controllo, aggiungendo proprio che avrebbe fatto modificare la Costituzione da parte dei cittadini. Un Paese senza democrazia, allora, perché questa assumerebbe le forme della democrazia plebiscitaria.
Proprio questa linea è stata ribadita dal Presidente del Consiglio quando, rivolgendosi non a caso all´assemblea degli industriali, ha detto che il suo governo funziona come un consiglio d´amministrazione. In questa affermazione, peraltro non nuova, non si manifesta soltanto una idea autocratica e aziendalistica della politica. Si ritrova una visione della società che si esprimeva senza mezzi termini nella vecchia formula “la democrazia si arresta alle porte dell´impresa”. Considerato appunto come un´impresa con il suo consiglio d´amministrazione, il governo vede come inammissibile intralcio ogni forma di controllo. Da questa visione generale, e non da singoli episodi, nasce l´assalto al Parlamento, alla magistratura, al sistema dell´informazione, sul quale si esercita un potere di normalizzazione (vedi le nomine Rai) e al quale si rifiuta ogni risposta.
Che cosa dire di questa continua pulsione verso un Paese senza democrazia, alla quale il Capo sostituisce i suoi riti, i suoi fedelissimi, i suoi bagni di folla? Non credo che gli anticorpi democratici siano del tutto scomparsi, e per ciò ritengo indispensabile che i politici d´opposizione guardino con rispetto e attenzione non strumentale a tutti quei cittadini che non si rassegnano a esser parte di un Paese senza. Questo, nell´immediato, significa che si possono certo presentare proposte di riforma istituzionale, ma essendo ben consapevoli del quadro politico del quale fanno parte. La riduzione del numero dei parlamentari, ha senso se non si presenta come una imbarazzata risposta all´appello berlusconiano, ma come l´occasione per ridare al Parlamento il ruolo che ha perduto, senza cadere in trappole come la concessione di ingannevoli statuti dell´opposizione. Altrimenti, il cerchio si chiuderebbe davvero, con una opposizione destituita della sua permanente funzione democratica, legittimata solo a pensare a una possibile rivincita alle prossime elezioni, alla quale viene elargita solo qualche minima possibilità di emendamento. [ La Repubblica 1 giugno 2009 ]
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Stefano Rodotà ha compilato l'elenco degli orrori antidemocratici che il berlusconismo ci sta ammannendo giorno dopo giorno, un elenco che si arricchisce di elementi grandi e piccoli, quasi inavvertitamente in mancanza di una sensibilità democratica e libertaria. L'abilità dell'uomo sta in varie trovate linguistiche ingannevoli: i comunisti, l'odio, l'invidia e, ultimamente, il gossip. Da un po' non parla più dei "comunisti" e l'opposizione la nomina come "la sinistra". Di Berlusconi posso sopportare perfino il cattivo governo della res publica per il tempo che gli elettori gli hanno dato. Non posso sopportare, invece, la demolizione sistematica dei fondamenti della nostra democrazia, dai principi della Costituzione al Parlamento, alla Magistratura, alla libertà di informazione, alla libertà di opinione, all'eguaglianza di tutti i cittadini/e di fronte alla legge (LUI COMPRESO).
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giovedì 26 marzo 2009
IL DIAVOLO IN SENATO
"Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno." Vangelo di Matteo - 5,37
Sto seguendo da giorni, con crescente costernazione, la discussione in Senato sul cosiddetto testamento biologico. Riassumere è impossibile, citare anche perché non sono ancora disponibili i resoconti stenografici. Sintonizzata su Radio Radicale, ascolto il susseguirsi degli interventi: sono quasi tutti dell'opposizione, gran parte dei Radicali, qualcuno della maggioranza. Il Senato non approva mai gli emendamenti proposti dall'opposizione, anzi si irrigidisce rogressivamente. Ho sentito soltanto una voce fuori dal coro compatto, quella del senatore Saro, sempre che altri non mi siano sfuggiti.
MANIPOLAZIONE DELLE PAROLE E DEI FATTI
Ma che c'entra il diavolo col Senato? C'è una ricostruzione etimologica della parola diavolo che lo fa significare "il calunniatore", "colui che divide", "l'ingannatore", "il traditore". Per San Matteo noi lasciamo spazio all'opera del maligno quando cerchiamo di alterare la verità imbrogliando con le parole.
Ecco, l'idea generale che ricavo dai ragionamenti dei sostenitori del disegno di legge Calabrò è che lo strumento principale sia la manipolazione delle parole e dei fatti, allo scopo di adattarli all'ideologia al potere, come nell'incubo immaginato da Orwell nel suo "1984". Nel nostro infelice Paese le ideologie sono due: il berlusconismo e il vaticanismo.
Il disegno di legge Calabrò ha evidentissimi ostacoli nel dettato costituzionale, pertanto per aggirare l'incostituzionalità delle nuove norme, che cosa fa la maggioranza (forte della sua preponderanza numerica)? Cambia il significato delle parole o aggiunge parole e concetti che nella Costituzione non esistono. La confusione tra i termini è estrema. Per capirci qualcosa è necessario conoscere alla perfezione i principi costituzionali e saperli interpretare. E anche questa conoscenza ha poco peso, anzi nessun peso. La forza della manipolazione ideologica non può essere scalfita nemmeno in un regime democratico, se una maggioranza ha deciso di non tener conto della minoranza e, peggio, di non rispettare la Costituzione. Basta stravolgerne il senso, stiracchiare interpretazioni peregrine, cambiare il significato delle parole. Mai come in questo frangente vale l'ammonimento evangelico del parlare chiaro, quello del "sì sì" e del "no no".
Mi riservo di riportare qualche esempio in un altro post, ma tutti sanno di che cosa si sta parlando. Ne valga uno per tutti: trasformare l'alimentazione e l'idratazione artificiali mediante sondino nasograstrico o gastrico in semplice naturale sostegno vitale, quindi non trattamento sanitario e/o terapeutico, per aggirare il divieto costituzionale del consenso informato a qualsiasi tipo di cura. Uno spostamento semantico con finalità manipolatorie che a loro volta hanno lo scopo di sottomettere al dominio dello Stato un diritto individuale del cittadino. Se non temessi una denuncia per vilipendio delle sacre divinità religiose e politiche che si stanno impadronendo della nostra libertà personale, griderei alla TRUFFA, ma ovviamente me ne astengo. Hai visto mai?
Comunque, mi inorridisce questo immane sequestro di corpi e di anime. Anime, appunto. Delle anime che vogliono tornare alla casa del Padre non s'interessa nessuno di questi fondamentalisti del vaticanismo-berlusconismo. A proposito di sequestri, ho appena visto quest'articolo:
Sequestro di persona di ADRIANO SOFRI
AGGIORNAMENTO DELLE 13:50.
Una finzione o un gioco diabolico?
Il testamento biologico non vale più nulla.: cancellati diritti costituzionali.
Hanno finito. Alle 17:00 le dichiarazioni di voto. Non vedo l'aula, ma la percepisco sorda e grigia, incontinente nella zona maggioranza. Com'è andata finire? Il succo è qui: le dichiarazioni anticipate di trattamento non sono vincolanti, quindi non servono a niente, perché non contano nulla. A me sembra una cosa da pazzi. Tutto questo tempo a discutere per che cosa? Tutto era già stato deciso dai due sovrani, l'italiano e lo straniero. La legge per il "testamento biologico" è diventata lo strumento per tenere sottomessa la volontà e l'autodeterminazione dei cittadini. Ecco perché le gerarchie vaticane erano diventate così favorevoli a che si facesse. L'aula è sorda, in tutti i sensi. Sostiene l'autocrate italiano:
«Ci sono troppe procedure - spiega (B.) - bisogna ammodernare lo Stato, per questo siamo indietro su tutto, anche in Parlamento. Adesso sei lì con due dita ad approvare tutto il giorno emendamenti di cui non si conosce nulla. Quando ho fatto il paradosso del capogruppo che vota per tutti era per dire che gli altri sono veramente lì non per partecipare ma per fare numero». [ La Stampa, 26 marzo 2009 ]
AGGIORNAMENTI 27 MARZO 2009
È esattamente quello che è accaduto ieri al Senato della Repubblica, che ha battezzato come «dichiarazioni anticipate di trattamento» il loro esatto contrario, cancellando ogni valore vincolante del documento con il quale una persona indica le sue volontà per il tempo in cui, essendo incapace, dovesse trovarsi in stato vegetativo permanente. ... continua QUI , La Repubblica, 27 marzo 2009.
"Biotestamento non vincolante".Primo sì del Senato tra proteste La Stampa; Affossato il bio-testamento."Non sarà vincolante" La Repubblica; Il testamento biologico non esiste più. La volontà non più vincolante L'Unità; Fine vita, Senato approva Ddl Avvenire
giovedì 12 marzo 2009
BERLUSCONISMO
Leggi ordinarie contro la Costituzione della Repubblica Italiana.
La maggioranza berlusconista prosegue il suo lavoro sulla legge sul cosiddetto testamento biologico. Negare il diritto dei cittadini/e italiani all'autodeterminazione in un campo specifico costituisce un precedente molto pericoloso per le libertà personali. Modifiche sostanziali della prima parte della Costituzione Italiana vengono messe in atto subdolamente non con gli strumenti previsti dalla Costituzione stessa ma con leggi ordinarie. A questo proposito oggi un articolo di Stefano Rodotà.
Che effetto fa vivere in un paese dove il presidente del Consiglio dichiara di voler chiudere il Parlamento? Non lasciamoci rassicurare da chi dice che questa proposta «cadrà nel vuoto». Non banalizziamo, non derubrichiamo a battuta occasionale un´affermazione così pesante secondo un costume invalso in questi anni e che ha portato al degrado del linguaggio e della politica. Le parole aggressive della Lega sono state un potente veicolo di promozione degli spiriti razzisti. Lo stillicidio delle dichiarazioni di Berlusconi contribuisce a distruggere gli anticorpi che consentono ad un sistema di rimanere democratico. Soprattutto, non isoliamo le ultime affermazioni del presidente del Consiglio da un contesto ormai caratterizzato da un quotidiano attacco alla Costituzione.
Si stanno mettendo le mani sulla prima parte della Costituzione, proprio quella che, a parole, si dice di voler tenere fuori da ogni proposito di riforma. La legge all´esame del Senato sul testamento biologico viola la libertà personale e l´autodeterminazione delle persone. Si mettono in discussione la libertà d´espressione e il diritto dei cittadini ad essere informati con la legge sulle intercettazioni telefoniche. Si nega il diritto alla salute come elemento essenziale della moderna cittadinanza quando si prevede che i medici possano denunciare un immigrato irregolare la cui unica colpa è la richiesta di cure. Si privatizza la sicurezza pubblica legittimando le ronde, con una abdicazione pericolosa dello Stato da una delle funzioni che ne giustificano l´esistenza. Si avanzano proposte censorie che riguardano Internet. Si erodono le garanzie della privacy per improprie ragioni di efficienza. Si propone una banca dati del Dna con scarse garanzie per la libertà delle persone.
Non era mai accaduto che il nostro sistema politico vivesse quotidianamente ai margini della legalità costituzionale, che si dubitasse della costituzionalità di tutte le leggi di qualche peso in discussione alle Camere. Si altera così il funzionamento del sistema istituzionale, e si trasferisce l´intero compito di garantirne il corretto funzionamento ai "due custodi", il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale, di cui si accentuano le responsabilità e la politicità. E si dimentica che proprio la cultura costituzionale segna la politica e la civiltà di un paese.
Distogliamo per un momento lo sguardo dalle nostre lacrimevoli vicende, e rivolgiamolo agli Stati Uniti. Barack Obama non sta soltanto liberando il suo paese da inammissibili vincoli, come quelli sul divieto del finanziamento pubblico alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, mostrando come sia possibile e necessaria una politica lungimirante e svincolata da ipoteche fondamentaliste. In un documento indirizzato a tutti i responsabili dell´amministrazione federale, Obama ha scritto che, «esercitando la mia responsabilità nel decidere se una legge sia incostituzionale, agirò con prudenza e misura, basandomi unicamente su interpretazioni della Costituzione che siano solidamente fondate». Qui è evidente l´imperativo di allontanarsi dalle pratiche lesive dei diritti dell´amministrazione Bush, proprio per ricostituire quegli anticorpi democratici la cui distruzione stava minando la coesione interna e la stessa credibilità degli Stati Uniti.
Quale distanza, quale abisso ci separano da questa volontà di ridare la bussola costituzionale al funzionamento dell´intero sistema politico, e quale deriva ci sta travolgendo proprio perché stiamo abbandonando quella bussola. Grande, allora, diviene la responsabilità della cultura che si cimenta proprio con il tema della Costituzione, e con il modo in cui oggi si deve guardare ad essa.
Le reazioni, gli atteggiamenti sono diversi. Si è diffidenti verso una difesa della Costituzione che sembra fine a se stessa, che non tiene nel giusto conto la dimensione della politica. Che è preoccupazione giusta a condizione, però, che la sacrosanta invocazione di una politica non più latitante abbia quei solidi fondamenti che, per le ragioni appena accennate, debbono essere trovati proprio nei principi costituzionali. Oggi più che mai abbiamo bisogno di una politica "costituzionale".
Della legittimità stessa di questa politica si dubita quando si mette in evidenza che proprio la prima parte della Costituzione, quella delle libertà e dei diritti, è segnata da un inaccettabile statalismo, dall´accentuazione di una funzione protettiva delle istituzioni pubbliche che apre la porta alle tentazioni stataliste. È singolare, o rivelatore, il fatto che questo atteggiamento ritorni proprio nel momento in cui i guasti enormi della economia deregolata hanno fatto emergere una imperiosa richiesta di regole. Disturba, ad esempio, il fatto che si adoperi la parola "tutela" quando ci si riferisce alla salute. Eppure proprio negli Stati Uniti, nella materia della salute, si è verificato un gigantesco fallimento del mercato e la riforma del sistema è un punto chiave del programma di Obama.
Si torna, poi, a ripetere che la nostra Costituzione dovrebbe essere modificata perché non dà spazio adeguato al riconoscimento del mercato. Che cosa dovrebbe dire, allora, la Germania la cui costituzione parla di una proprietà il cui «uso deve servire al bene della collettività»? La verità è che rimane forte il fastidio per un contesto che vuole il mercato rispettoso dei diritti fondamentali. In Italia si è arrivati a proporre l´abrogazione dell´articolo 41 della Costituzione, che stabilisce che l´iniziativa economica privata «non può svolgersi in contrasto con l´utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». Statalismo o soglia minima di civiltà?
La spallata berlusconiana al Parlamento nasce in tempi di costituzionalismo debole e ha come fine, insieme alla cancellazione del sistema parlamentare, l´azzeramento delle garanzie, lo smantellamento del sistema dei diritti. (La Repubblica, 12 marzo 2009)