Disperazione e indignazione
Oggi sento più forte la disperazione al chiuso del regime berlusconiano e più forte l'indignazione per il regime berlusconiano: non è il regime stalinista, non è il regime fascista e nemmeno quello nazista, no, è qualcosa di nuovo, anche se di quei regimi conserva taluni elementi essenziali che si ritrovano poi in tutti i regimi totalitari.
Spero che i fatti mi diano torto, ma, finché vedrò quello che sto vedendo, non starò in silenzio e non sarò complice volenterosa dei costruttori di questo regime a cui mi sento di dare il suo nome proprio: regime berlusconiano.
In questi ultimi giorni molti fatti si sono succeduti velocemente e scandalosamente, non più nascosti da menzogne ambiguità imbrogli. Ora le cose del regime berlusconiano vengono esposte apertamente e chiaramente dal loro creatore e dai suoi volenterosi collaboratori. Gli intenti del capo sono affermati come verità politiche, come progetto politico ormai in fase di stabilizzazione, come regime nuovo che ha compiuto i passi decisivi per allontanarsi dalla nostra Costituzione Democratica e aver gettato solide fondamenta per una nuova costituzione assolutista.
Ieri sul Corriere della Sera ho letto un articolo di Claudio Magris molto illuminante, a mio parere, sulle vicende della giustizia.
Lo scandalo della dignità politica
LEGGE PER PREVITI
Il rinvio alle Camere, da parte del capo dello Stato, della legge sulla riforma giudiziaria conferma la preoccupazione generale dinanzi a tale legge o almeno ad alcuni suoi aspetti. Forse oggi sarebbe necessario un nuovo appello come quello che nel 1919, in un altro momento difficilissimo della storia italiana, Don Sturzo rivolgeva «agli uomini liberi e forti».
Sarebbe opportuno rivolgerlo a tutti e in particolare, fra gli uomini liberi e forti, a quelli tra essi che militano nella destra o nel centrodestra, giacché persone oneste e coraggiose si trovano in ogni formazione politica rispettosa delle regole democratiche, a sinistra, al centro e a destra.
Fra coloro che fanno parte dell' attuale coalizione di governo o l' appoggiano, vi sono certamente molti galantuomini di animo non servile. Essi non sono meno indignati, turbati e umiliati di quanto non lo siano gli avversari del governo dalla recentissima approvazione dell' indecente legge che abbrevia i termini di prescrizione.
Qui non si tratta più di destra o di sinistra, di statalismo o di liberismo, di consenso o dissenso sulla guerra in Iraq, di separazione o no delle carriere dei magistrati e così via, legittimi temi della consueta lotta politica che vede legittimamente affrontarsi e scontrarsi forze e opinioni diverse.
Qui si tratta di una degradazione civile che declassa a manfrina di interessi nemmeno di parte, ma personali la legge, che è «uguale per tutti» e fondamento dello Stato e di ogni comunità umana, come sottolineava il cardinale Ratzinger ricevendo la laurea honoris causa in diritto.
È un pervertimento scandaloso, che svilisce lo Stato, la cosa pubblica, la Patria. Spetta agli uomini onesti d' ogni parte ribellarsi a questa indegnità politica, egualmente pericolosa e lesiva per tutti, che disonora l' Italia.
Naturalmente qualcuno potrà dire che non è con la morale o col moralismo che si fa politica. È vero, ma non la si fa nemmeno con l' immoralità. Non basta essere onesti per essere buoni politici, ma non basta nemmeno non esserlo. Nessuno auspica al timone del Paese una virtù fanatica e astratta, pericolosa e autoritaria come quella dell' incorruttibile Robespierre. Ma neppure l' opposto è auspicabile.
La politica è l' arte del compromesso, che implica - fino a un certo punto - pure la morale. Ma la dignità o l' indegnità di una politica si misurano sulla qualità e sul grado di tale compromesso.
Al di sotto di un certo livello di decenza, la questione non è più solo morale, ma diviene politica, perché mina le istituzioni, l' ordine della società, tutti gli aspetti della vita associata; è una vera e propria sovversione. Lo sapeva bene Benedetto Croce, così duramente critico di ogni moralismo astratto, quando diceva - contestando il famoso e cinico detto di Enrico IV, secondo il quale Parigi vale una Messa - che una Messa vale più di Parigi, perché è un fatto spirituale e come tale costituisce un nerbo, una sostanza della vita umana, individuale e collettiva.
Salvare l' anima non vuol dire essere colombelle pudibonde, ma salvare l' integrità della propria persona; essere liberi cioè forti, anziché eunuchi.
Essere succubi della mutilazione subìta dal Paese con l' approvazione di quella legge è un' onta per tutti; gli onesti uomini di destra, cui le sorti dell' Italia stanno certo a cuore non meno che agli onesti uomini di sinistra, non dovrebbero permettere che la destra sia identificata con questo eversivo attentato alla civiltà della nostra Patria comune.
Un grande scandalo può certo provocare una crisi salutare:
«E' necessario che avvengano scandali», dice il Vangelo, ma aggiunge:
«Guai a quell' uomo per cui avviene lo scandalo».
Claudio Magris
Il Corriere della Sera, sabato 18 dicembre 2004, pag. 001.005
Divisione in paragrafi e sottolineature varie sono mie.

Io mi vergogno di avere come capo del governo un uomo su cui qualcuno, in questo caso il giornalista David Lane, può scrivere un libro (ed è solo uno recentissimo tra i moltissimi dedicati al personaggio) con questo titolo:
L'OMBRA DI BERLUSCONI
CRIMINE, GIUSTIZIA E IL
PERSEGUIMENTO DEL POTERE
Questa è la Coca Cola che Berlusconi si ripromette di vendere all'Italia tutta per le prossime elezioni. L'esempio è suo, originale, è l'esempio che lui stesso ha portato di quella degna operazione di pubblicizzazione che solo l'eliminazione della legge sulla "par condicio" gli permetterà di attuare nei modi e nella misura che gli piacciono.
A chi piace questa "Coca Cola"?