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sabato 30 aprile 2011


PROSTITUZIONE
un tentativo di definizione

 



Prostituirsi vuol dire ridurre a merce e mettere in vendita a qualsivoglia acquirente  prestazioni sessuali, posizioni e attività  intellettuali, valori morali e spirituali. La prostituzione, quindi, è tecnicamente  una transazione commerciale, una compravendita, un patteggiamento  con il quale si stabilisce il PREZZO di un bene che  una parte cede e l'altra acquista. La differenza tra la prostituzione e altre transazioni sta nella merce oggetto di scambio. E' evidente che i valori umani etici  e la dignità sarebbero completamente sviliti se immessi sul mercato.

..... lavori in corso  



 

lunedì 18 aprile 2011


La lettera del Presidente della Repubblica,
Giorgio Napolitano, 
al Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Michele Vietti  



Patriae Amor

 



"Il prossimo 9 maggio si celebrerà al Quirinale il Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice. Quest'anno, il nostro omaggio sarà reso in particolare ai servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la loro lealtà alle istituzioni repubblicane. Tra loro, si collocano in primo luogo i dieci magistrati che, per difendere la legalità democratica, sono caduti per mano delle Brigate Rosse e di altre formazioni terroristiche. Le sarò perciò grato se - a mio nome - vorrà invitare alla cerimonia i famigliari dei magistrati uccisi e, assieme, i presidenti e i procuratori generali delle Corti di Appello di Genova, Milano, Salerno e Roma, vertici distrettuali degli uffici presso i quali prestavano la loro opera
 



Emilio Alessandrini
Mario Amato
Fedele Calvosa
Francesco Coco
Guido Galli
Nicola Giacumbi
Girolamo Minervini
Vittorio Occorsio
Riccardo Palma
Girolamo Tartaglione




La scelta che oggi annunciamo per il prossimo Giorno della Memoria costituisce anche una risposta all'ignobile provocazione del manifesto affisso nei giorni scorsi a Milano con la sigla di una cosiddetta "Associazione dalla parte della democrazia", per dichiarata iniziativa di un candidato alle imminenti elezioni comunali nel capoluogo lombardo. Quel manifesto rappresenta, infatti, innanzitutto una intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle BR, magistrati e non. Essa indica, inoltre, come nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sull' amministrazione della giustizia, si stia toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni. Di qui il mio costante richiamo al senso della misura e della responsabilità da parte di tutti".



18 aprile 2011

*



Leggo questa lettera come baluardo dello Stato in difesa del popolo italiano, in memoria delle vittime dei terroristi, per la giustizia e la dignità del vivere civile nella nostra patria.
 


Il Cardinale Dionigi Tettamanzi
su
Guerra e Pace
Giustizia e Ingiustizia

*


"Come sono oggi i giorni che viviamo?

 perchè ci sono uomini che fanno la guerra, ma non vogliono si definiscano come “guerra” le loro decisioni, le scelte e le azioni violente?



Perché molti agiscono con ingiustizia, ma non vogliono che la giustizia giudichi le loro azioni? E ancora: perché tanti vivono arricchendosi sulle spalle dei paesi poveri, ma poi si rifiutano di accogliere coloro che fuggono dalla miseria e vengono da noi chiedendo di condividere un benessere costruito proprio sulla loro povertà?"




Giustizia e Pace di Corrado Giaquinto



Domenica delle Palme
Omelia
Milano - Duomo, 17 aprile 2011
IN GESU’ CHE SI DONA PER AMORE
LA POTENZA DI DIO PER NOI



Carissimi fedeli,
e soprattutto carissimi voi, ragazzi dell’Unitalsi.



Abbiamo rivissuto con gioia l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, sei giorni prima della sua crocifissione, e anche noi, come la folla che quel giorno l’ha accompagnato sulla strada tra Betfage e il tempio della Città santa, abbiamo agitato i rami dei nostri ulivi e delle nostre palme, in segno di acclamazione e di gioia.



…hai tratto per te una lode



Narrando lo stesso fatto, che abbiamo ascoltato nella versione del vangelo secondo Giovanni, l’evangelista Matteo ricorda un particolare importante. Una volta che Gesù fu entrato nella spianata del tempio, i capi dei sacerdoti e gli scribi s’indignarono per i gesti di guarigione compiuti da Gesù verso i tanti malati presenti, forse invidiosi per la felicità che il Signore aveva ridonato a quanti erano emarginati per i loro handicap e per la gioia dei bambini che gridavano felici: “Osanna!”. Quei sacerdoti dissero a Gesù: “Non senti quello che dicono costoro?”. E Gesù rispose loro: “Sì! Non avete mai letto: Dalla bocca di bambini e di lattanti hai tratto per te una lode?”.
Sì, carissimi ragazzi: vi devo dire che questo interrogativo posto da Gesù a quei sacerdoti mi fa riflettere non poco, soprattutto là dove egli afferma che il Signore sa trarre la sua lode non dai grandi, dai potenti, ma dalla bocca dei piccoli.
Mi viene allora da pensare: se anche tutti facessero tacere me, vescovo; se anche mi invitassero a non parlare da vescovo, ossia “evangelicamente”, presentando la novità sorprendente, la bellezza straordinaria e l’estrema serietà delle proposte del Vangelo, io dico a voi: “grazie”.
Sì, “grazie”, perché la vostra stessa presenza continuerebbe a parlare al posto mio e a portare a tutti gli uomini e le donne del nostro tempo una notizia di speranza e di gioia: solo il Signore Gesù è “il Benedetto nel nome di Dio”, solo Lui può essere la salvezza vera che viene dall’alto dei cieli e di cui tutti gli uomini – di ogni tempo e luogo - hanno assoluto bisogno!



Annuncerà la pace…



Il profeta Zaccaria, parlando per il suo tempo e per le attese dei suoi giorni, già aveva intuito quale sarebbe stato lo stile e il modo di presentarsi del Messia di Dio. Non con i cavalli da guerra, non con la forza delle armi, ma con la mansuetudine dell’asino, la bestia da soma dei giorni di pace, e con il dominio invincibile della giustizia: “Egli è giusto e vittorioso, umile… Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni”.
Ma qual è la nostra situazione storica, come sono oggi i giorni che viviamo?
Potremmo definirli “giorni strani”. I più dotti potrebbero dirli “giorni
paradossali”. Perché? Le motivazioni sono moltissime e differenti. Ad esempio, per stare all’attualità: 

perchè ci sono uomini che fanno la guerra, ma non vogliono si definiscano come “guerra” le loro decisioni, le scelte e le azioni violente? Perché molti agiscono con ingiustizia, ma non vogliono che la giustizia giudichi le loro azioni? E ancora: perché tanti vivono arricchendosi sulle spalle dei paesi poveri, ma poi si rifiutano di accogliere coloro che fuggono dalla miseria e vengono da noi chiedendo di condividere un benessere costruito proprio sulla loro povertà?
Come sono, quindi, i giorni che oggi viviamo? Possiamo rispondere nel modo più semplice, ma non per questo meno provocatorio per ciascuno di noi, interrogandoci con coraggio sul criterio che ispira nel vissuto quotidiano i nostri pensieri, i sentimenti, i gesti. E’ un criterio caratterizzato da dominio 2 superbo, subdolo, violento, oppure è un criterio contraddistinto da attenzione, disponibilità e servizio agli altri e al loro bene?
Il brano del Vangelo d’oggi ci presenta Gesù come re umile e mite, e insieme come il re che dona tutto se stesso per amore e che, proprio così, annuncia la pace. Questo e non altro è il suo “dominio”, che “sarà da mare a mare e dal fiume fino ai confini della terra”. Siamo allora chiamati a interrogarci sull’unica vera potenza che può realmente arricchire e fare grande la nostra vita, intessuta da tanti piccoli gesti: la vera potenza sta nell’umiltà, nel dono di sé, nello spirito di servizio, nella disponibilità piena a venerare la dignità di ogni nostro fratello e sorella in ogni età e condizione di vita…
Su questa vera grandezza ci siamo soffermati in occasione delle Via Crucis celebrate nelle sette Zone pastorali portando la croce di san Carlo. In ogni “stazione” la risposta è sempre stata la stessa: la vera grandezza sta nel dono umile e generoso di sé. Così, pensando alla corona regale di Gesù, la riflessione ci ha portato a dire: “E noi, pur sotto un tale Capo, coronato di spine e insanguinato, cerchiamo di dominare gli uni sugli altri. Nella società, nella politica, nelle famiglie e anche nella Chiesa consideriamo stoltezza mettere gli altri al di sopra di noi e crediamo piuttosto nella forza del denaro, del potere, del successo a ogni costo. Alzare la voce, cercare giusta vendetta, mostrare la nostra forza sono diventati i nostri criteri per regnare. Ma tu solo, Signore Gesù, hai il potere, la gloria e l’onore, perché regni dal trono della tua compassione per noi”. E con la riflessione, la preghiera conclusiva: “Per il mistero di questa tua regalità insanguinata e mite, guarisce la nostra superbia”. L’onnipotenza dell’amore di Dio in Cristo crocifisso
Come discepoli di Gesù non dobbiamo aver paura nel seguire le orme di colui che è immagine del Dio invisibile, il primogenito di tutta la creazione e di tutti i risorti, il pacificatore di tutte le realtà con il sangue della sua croce (cfr Col 1,15-20).
Non dobbiamo fuggire dalla realtà e sognare che la via del discepolo non conosca la prova o la tentazione: noi possiamo e vogliamo solo fidarci di Dio e affidarci al suo amore.



3



La celebrazione dei riti di questa “settimana autentica”, che oggi ha inizio, ci doni la sorpresa di accorgerci in un modo nuovo e commovente dell’immensità dell’amore di Dio per noi: il suo è l’amore del Figlio che si dona fino alla morte di croce. E da discepoli ci chiediamo: Dov’è la potenza di Dio? Ecco, carissimi ragazzi, e con voi tutti coloro che si riconoscono come i piccoli prediletti da Gesù: la Sua potenza siete voi, infinitamente amati da Dio!
La Sua voce è la vostra voce quando acclamate Cristo come colui che viene nel nome del Signore, quando gridate a lui per poter ritrovare la forza e la gioia del vivere.
Il Suo coraggio è il vostro coraggio quando continuate a sperare in Gesù, ogni giorno e nonostante la fatica, la prova guardate a lui come al centro del progetto di Dio.
La Sua speranza è la vostra speranza quando interpretate la Sua croce e la Sua risurrezione come la sorgente sempre aperta della salvezza, come il momento permanente in cui Dio riconcilia tutte le cose e fa pace con ogni creatura e fra tutti i popoli, per mezzo del sangue di Gesù crocifisso.
Ecco, carissimi, è così che il nostro Dio viene a salvarci!



+ Dionigi card. Tettamanzi



Arcivescovo di Milano

domenica 4 ottobre 2009


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IL COMPLEANNO DI GANDHI






Voglio celebrare Gandhi con questo gabbiano in volo colto da "dolcetta" poco dopo l'alba sul nostro mare di questo inizio autunno, perché a un tempo voglio celebrare gli spiriti in-nocenti che praticano con amore la non-violenza, la ricerca della verità e la giustizia.



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Sull'ahimsa come atto positivo d'amore

da WIKIPEDIA



"L'ahimsa a mio parere deve essere interpretato non puramente come un'espressione negativa che indica la volontà di non nuocere ad alcuno, ma come un'espressione positiva di amore, della volontà di fare il bene anche di chi commette il male. Ciò non significa tuttavia aiutare chi commette il male a continuare le sue azioni immorali o tollerare queste ultime passivamente. Al contrario l'amore, espressione positiva dell'ahimsa, richiede che si resista a colui che commette il male dissociandosi da lui; anche se questo può offenderlo o arrecargli dei danni fisici. Così, se mio figlioconduce una vita immorale, io non devo aiutarlo a perseverare nella sua condotta continuando a mantenerlo, al contario il mio amore per li richiede che io cessi di matenerlo in qualsiasi modo, anche se questo potrebbe significare la sua morte. E lo stesso amore richiede che io lo raccolga al mio seno quando si pente. Ma non posso costringere con la forza fisica mio figlio a diventare buono. Questo a mio parere è la morale della storia del Figliol Prodigo." (da "Young India", 25 agosto 1920)


Satyagraha


Il satyagraha letteralmente indica la completa adesione alla Verità, e dunque significa forza della Verità. La Verità è l'anima o spirito, e dunque il satyagraha è definito anche forza dell'anima. Esso esclude l'uso della violenza poiché l'uomo è incapace di conoscere la verità assoluta, e dunque non ha il diritto di punire. ... (da "Young India", 23 marzo 1921)

 

giovedì 21 maggio 2009

Il sogno a occhi aperti di


DIONIGI TETTAMANZI




Cristianesimo


"Vorrei declinare il comandamento 'Non nominare il nome di Dio invano' in questo modo: 'Non nominare il nome di cristiano invano'. Non si tratta di nominare un nome, si tratta di viverne il contenuto, il significato, la bellezza. In questo senso mi pare si possa stabilire una perfetta corrispondenza tra il comandamento che riguarda Dio e il comandamento che riguarda chi da Dio ha ricevuto la fede, cioè il cristiano".



Politica e morale


"Chi è impegnato a guidare una comunità ha il dovere di presentarsi non secondo una doppia morale, ma secondo un’unica morale. Questo riguarda tutti, ma per chi ha una responsabilità nei confronti degli altri diventa un’esigenza ancora più forte."



Politica ed emergenza


''Penso che, soprattutto la politica, debba senz'altro interessarsi del momento - certo piu' difficile e delicato - dell'emergenza, ma ad essa non puo' arrestarsi. La politica deve partire da progetti grandiosi, e soltanto in questo quadro e' possibile allora attivare le diverse forze sociali, culturali istituzionali, di volontariato, religiose, perche' solo in un quadro progettuale e' possibile risolvere anche il momento puntuale dell'emergenza.''


''Il nostro tempo e' caratterizzato dall'azione di emergenza. E l'emergenza si accompagna con la paura. E la paura non e' la consigliera piu' saggia per affrontare il problema nella sua ampiezza e nella sua profondita'. A partire da un vero e proprio progetto.''


"Dobbiamo pensare a queste sofferenze attuali con analogia alle doglie del parto. C’è un momento di estrema sofferenza, ma è una sofferenza che chiede di guardare più avanti, di guardare al domani, alla vita. Se noi affrontiamo la sofferenza di oggi come uno stimolo non soltanto per risolvere i problemi contingenti, immediati, complicati, ma elaborando un progetto".


Semi di speranza


"Questo domani io lo intravedo già perché semi e frutti di speranza già ci sono - ha detto -. Penso ai bambini e ai ragazzi che nella scuola si trovano naturalmente amici tra loro, è un segnale che gli adulti dovrebbero considerare con molta più attenzione, ricaricandosi di fiducia".


Esigenze e doveri


''Di fronte alle esigenze mi domando: non ci troviamo forse di fronte a delle attese, a delle aspettative, a delle speranze vere? Quanto poi ai diritti, penso che non esistano da soli, isolati, ma esistano intimamente connessi con dei doveri." 


Sobrietà e identificazione


"Con grande forza devo dire, in riferimento alla dottrina sociale della Chiesa, quindi in riferimento a una esemplarità umile, ma nello stesso tempo schietta e forte, che la comunità cristiana può e deve diventare molto più sobria. Ogni comunità cristiana, a cominciare da quella più piccola". "Da questo punto di vista ritengo che solo nella sobrietà è possibile mostrare uno dei volti più belli e più necessari oggi della Chiesa, e cioè il volto di una Chiesa che agisce come il Signore Gesù, che si identifica in tutte le persone, ma in maniera privilegiata nella persona povera, bisognosa, dimenticata, emarginata, disperata".


Libertà religiosa


"La libertà religiosa è uno di qui valori essenziali, fondamentali che sono di aiuto, di stimolo, di dialogo. La libertà religiosa è antidoto all'aggressività, che è sempre anti evangelica e contro la razionalità, è segno di mancanza di sincerità nel rapporto".


La persona


«Personalmente ritengo che esiste una regola delle regole e una governance delle governance. Perché la regola, in ultima analisi, è una sola, ed è la persona, la dignità della persona, i valori e le esigenze della persona. C'è solo un principio che dobbiamo onorare con fatica, e questo principio è il rimettere al centro l'uomo, la sua dignità. Potrei dire che bisogna avere il coraggio di parlare dell'etica. Dove l'etica non è qualcosa che blocca, o frena, o ostacola, ma al contrario qualcosa che libera, perché ci dà la possibilità di affrontare tutto e sempre in chiave umana e umanizzante».

giovedì 28 febbraio 2008


DEMOCRAZIA [2]


   La società civile


Quando parliamo di "società civile" abbiamo in mente organizzazioni di persone che mettono energie e tempo per raggiungere obiettivi comuni, centri di ricerca e associazioni nazionali e internazionali, che si impegnano concretamente nello sviluppo economico e sociale, promuovendo informazione e interventi attivi su temi ispirati alla tutela dei "diritti umani" e, in particolare, alla pace, al superamento di disuguaglianze inique, come la povertà insostenibile, al benessere individuale e sociale. Paul Ginsborg a questo proposito scrive:


"L'espressione società civile è usata oggi più frequentemente in senso lato, a indicare tanto uno spazio analitico quanto una prassi associazionistica. Nella prima accezione (spazio analitico), la società civile è spesso descritta come una vasta area intermedia tra la sfera privata, l'economia e lo stato. Si pone in relazione con il governo, le imprese, la vita familiare, restandone però distinta. Nella seconda accezione (prassi associazionistica), la società civile è caratterizzata da una miriade di organizzazioni spontanee che si formano e si sciolgono autonomamente - circoli, club, reti di base, movimenti e iniziative analoghe."


Ma accanto a questa visione favorevole Ginsborg non manca di accennare a una "visione più disincantata", che tiene conto del fatto che "costruire la società civile richiede particolari doti di pazienza e tenacia nonché un'innata cultura della democrazia. Spesso una o più di queste qualità sono assenti." Conosciamo bene i difetti e i limiti che possono inficiare le organizzazioni della società civile, dai problemi della rappresentanza alla chiarezza degli intenti e degli interessi, tuttavia il ruolo e i contributi della società civile sono fecondi e positivi. E' importantissimo che gli individui si sottraggano "almeno per una parte piccola ma significativa del loro tempo, a vite eccessivamente privatizzate" e si dedichino a "creare cerchie più ampie di cittadini, di diverse convinzioni politich, critici, informati e partecipi che dialoghino con i politici su una determinata base di parità e di mutuo rispetto. Cercano, in altre parole, di dar vita a un sistema di connessioni."





Paul Ginsborg, La democrazia che non c'è, Einaudi, pagg. 61-62; 69-70.  -  Democrazia [1]


lunedì 25 febbraio 2008

VALORI E DIRITTI [3]



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      La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e la sua mancata realizzazione



LA SFERA DEI PRINCIPI TRADITA DALL’OCCIDENTE


di Roberto Esposito


 


 


   Che rapporto passa tra diritto e valore? Possono, i diritti, i  quanto prodotti storici, incarnare un valore universale, oppure sono destinati a restare in un ambito, appunto giuridico, diverso e distante da quello dell’etica e, tanto più, della teologia?


   Il diritto è interno, confinante o esterno, alla sfera della giustizia? Domande, queste, cui l’intera tradizione filosofica da sempre cerca di rispondere, senza mai pervenire a una conclusione univoca. Se la scuola giusnaturalista - nata nella prima età moderna, ma ripresa da autori anche contemporanei come Leo Strauss - ha individuato nella natura la fonte di diritti universali forniti di valore eterno, la concezione positivistica ha ricondotto la creazione del diritto alla sola legislazione statale. E tuttavia, nonostante questa profonda differenza di principio, le due linee interpretative hanno conosciuto più di un punto di intreccio e di sovrapposizione - a dimostrazione del fatto che la questione del valore permanente della norma giuridica non poteva essere risolta nel flusso del processo storico. Anzi si può dire che il diritto positivo, come ancora lo concepiamo, recepisca al suo interno – secolarizzandole - le esigenze di universalismo implicite nella tradizione giusnaturalistica.


   La Dichiarazione del 1789, estendendo a ogni cittadino i diritti politici, traduce sul piano reale i principi di libertà e uguaglianza presupposti dai teorici del diritto naturale. Successivamente, già dalla metà del XIX secolo, vengono proclamati altri diritti fondamentali indisponibili, cioè vincolanti per lo stesso Stato che li pone in essere.


   Ultima tappa di questo processo di universalizzazione giuridica è segnata dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, formulata alla fine della seconda guerra mondiale, che assegna a ogni persona, a prezia scindere da ogni altra qualificazione, diritti non soltanto civili e politici, ma anche sociali, includendo all’interno della sfera protetta tutte le minoranze prima discriminate. Il concetto, sempre più esteso e ormai accettato in tutti i paesi democratici, di “diritti umani” sembra concludere questo lungo percorso, portando il diritto positivo allo stesso obiettivo etico presupposto dal giusnaturalismo: quelle medesime prerogative che lì erano desunte da un ordine naturale non soggetto a mutamento storico appaiono adesso prodotte da una storia che ha cancellato ogni differenza pregiudiziale, di tipo etico, sessuale, religioso, tra tutti gli esseri umani. La saggezza della storia ha così eguagliato le promesse della natura. Il diritto può finalmente ambire a farsi giusti- prezia, a realizzare il più universale dei valori - quello dell’uguaglianza tra tutti gli uomini della terra.


   Questo, almeno, è il racconto autolegittimante ampiamente diffuso in tutto il mondo occidentale.  Basta uno sguardo al quadrante internazionale per accorgersi che le cose non stanno affatto così. Che il diritto umano primario - quello alla vita - è continuamente smentito da infinite morti per fame, malattia, guerra. Per non parlare di libertà e di uguaglianza.


   Da dove origina questo scarto scandaloso tra dichiarazioni e realtà, tra proclami umanitari e violenza omicida, tra ricchezze senza pudore e povertà senza fondo? La prima risposta a tale domanda fa capo alla inesistenza di un’istituzione internazionale dotata di capacità coattiva – cioè in grado di imporre attraverso la forza il rispetto dei diritti umani laddove vengano violati. Ma una contraddizione ancora più cospicua, perché interna allo stesso dispositivo giuridico moderno, risiede proprio nella astrattezza di termini come “soggetto” o “persona” - incapaci di dare forma e voce alla realtà materiale, corporea, di individui inassimilabili nella identità di uno stesso genere, irriducibili a una categoria generale.


   Perché, al contrario di quanto si poteva pensare, con la crisi profonda degli Stati nazionali - che hanno funzionato da involucri immunitari almeno per larghe fasce di popolazione - le dinamiche di globalizzazione hanno reso ancora più sensibili quelle differenze di carattere biologico che l’universalizzazione del diritto ha immaginato di ingabbiare nelle sue paratie formali.


   Una ulteriore scossa all’edificio giuridico moderno è venuta dallo sviluppo incontenibile della tecnica, ormai penetrata profondamente nella vita umana, capace di influire potentemente sui processi della nascita, della morte e della salute, e dunque incontenibile nelle griglie necessariamente generali della legge. Da qui il conflitto frequente tra soggetti di diritto contrapposti come possono essere madri e figli, giovani e anziani, uomini e donne. Rispetto ai quali è difficile - e forse controproducente - immaginare una legislazione senza falle, capace di risolvere, in nome di una legge naturale, rivelata o anche positiva, casi drammatici o altamente problematici, sui quali non esistono criteri validi per sempre, prontuari di etica, convinzioni inconcusse. In questo orizzonte complesso - in cui la sofferenza dell’uno, o dell’una, può doversi misurare con quella dell’altro - l’unico atteggiamento possibile è quello dell’attenzione e della comprensione, come ha scritto con grande sensibilità Francesco Merlo su questo giornale.    


   Probabilmente il diritto può accostarsi al valore, può approssimarsi alla Giustizia, solo sapendo di non poterlo fare mai del tutto. Ammettendo, e accettando, la propria imperfezione etica – manifestando il proprio limite e il proprio punto cieco. Anche questa - diceva Max Weber - è una scelta. La più difficile delle scelte. [ La Repubblica, venerdì 22 febbraio 2008 ]

domenica 24 febbraio 2008


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VALORI E DIRITTI [2]


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     Valori e diritti di Norberto Bobbio


 


Presso gli antichi gran parte dell’etica si risolveva in una trattazione delle virtù. Basti ricordare l’Etica nicomachea di Aristotele, che ha fatto testo per secoli. Nel nostro tempo un simile tipo di trattazione è quasi del tutto scomparso. I filosofi morali oggi discutono, sia sul piano analitico sia su quello propositivo, di valori e di scelte, e della loro maggiore o minore razionalità, nonché di regole o norme, e, conseguentemente, di diritti e doveri


Il tema delle virtù e quello delle leggi sono continuamente intrecciati, anche nell’etica antica. Alle radici della nostra tradizione morale, e come fondamento della nostra educazione civile, ci sono tanto l’ostensione delle virtù come tipi o modelli di azioni buone, quanto la predicazione dei Dieci Comandamenti, in cui l’azione buona non è additata ma prescritta


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È destino dell’epoca nostra che proprio i valori supremi e sublimi sian divenuti estranei al grande pubblico per rifugiarsi nel regno extramondano della vita mistica.  Max Weber. Il lavoro intellettuale come professione 1919



Chi dice valore, vuole far valere e imporre. Le virtù vengono praticate; le norme applicate; i comandi eseguiti; ma i valori vengono posti e imposti. Carl Schmitt. La tirannia dei valori 1967



Trasformare i diritti fondamentali in valori fondamentali significa mascherare teleologicamente i diritti, fino al punto di mistificare il ruolo diverso. Jurgen Habermas. Fatti e norme 1992



La dignità umana e i diritti umani devono essere presentati come valori che precedono qualsiasi giurisdizione statale. Joseph Ratzinger. Senza radici 2004



[ La Repubblica, venerdì 22 febbraio 2008 ]


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Continuo a postare parti della sezione dedicata dalla Repubblica alla distinzione tra valori, principi e diritti, e virtù. Bobbio dice il vero quando afferma che la trattazione delle virtù, oggi, è quasi scomparsa. Non del tutto, appunto. Nella sezione "virtù" di questo blog ho indicato due trattati sulle virtù, secondo me pregevoli: qui .

sabato 23 febbraio 2008


VALORI E DIRITTI [1]


   


   Valori e diritti nei conflitti della politica


 di Gustavo Zagrebelsky




Non si parla mai tanto di valori, quanto nei tempi di cinismo. Questo, a mio parere è uno di quelli. Le discussioni e i conflitti sulle questioni che si dicono “eticamente sensibili” (come se le questioni, non gli esseri umani, fossero sensibili) sono un’ostentazione di valori. Tanto più perentoriamente li si mette in campo, tanto più ci si sente moralmente a posto. Che cosa sono i valori? Li si confronti con i principi. Principi e valori si usano, per lo più, indifferentemente, mentre sono cose profondamente diverse. Possono riguardare gli setssi beni: la pace, la vita, la salute, la sicurezza, la libertà, il benessere, eccetera, ma cambia il modo di porsi di fronte a questi beni. Mettendoli a confronto, possiamo cercare di comprendere i rispettivi concetti e, da questo confronto, possiamo renderci conto che essi corrispondono a due atteggiamenti morali diversi, addirittura, sotto certi aspetti, opposti.


Il valore, nella sfera morale, è qualcosa che deve valere, cioè un bene finale che chiede di essere realizzato attraverso attività a ciò orientate. E un fine, che contiene l’autorizzazione a qualuneu azione, in quanto funzionale al suo raggiungimento. In breve, vale il motto: il fine giustifica i mezzi. Tra l’inizio e la conclusione dell’agire “per valori” può esserci di tutto, perché il valore copre di sé, legittimandola, qualsiasi azione che sia motivata dal fine di farlo valere. Il più nobile dei valori può giustificare la più ignobile delle azioni: la pace può giustificare la guerra, la vita, la morte, eccetera. Perciò chi molto sbandiera i valori, spesso è un imbroglione. La massima dell’etica dei valori, infatti, è: agisci come ti pare, in vista dei valori che affermi. Che poi il fine sia raggiunto, a quale prezzo, è un’altra questione e, comunque, la si potrà esaminare solo a cose fatte.


Se, ad esempio, una guerra preventiva promuove pace, e non alimenta altra guerra, lo si potrà stabilire solo ex post. I valori, infine sono “tirannici”, cioè contengono una propensione totalitaria che annulla ogni ragione contraria. Anzi, i valori stessi si combattono reciprocamente, fino a che uno e uno solo prevale su tutti gli altri. In caso di concorrenza tra più valori, uno di essi dovrà sconfiggere gli altri poiché ogni valore, dovendo valere, non ammetterà di essere limitato o condizionato da altri. Le limitazioni e i condizionamenti sono un almeno parziale tradimento del valore limitato o condizionato. Per questo, si è parlato di “tirannia dei valori” e, ancora per questo, chi integralmente si ispira all’etica del valore è spesso un intollerante, un dogmatico.


Il principio, invece, è qualcosa che deve principiare, cioè un bene iniziale che chiede di realizzarsi attraverso attività che prendono da esso avvio e si sviluppano di conseguenza. Il principio, a differenza del valore che autorizza ogni cosa, è normativo rispetto all’azione. La massima dell’etica dei principi è: agisci in ogni situazione particolare in modo che nella tua azione si trovi il riflesso del principio. Per usare un’immagine: il principio è come un blocco di ghiaccio che, a contatto con le circostanze della vita, si spezza in molti frammenti, in ciascuno dei quali si trova la stessa sostanza del blocco originario. Tra il principio e l’azione c’è un vincolo di coerenza (non di efficacia, come nel valore) che rende la seconda prevedibile. Infine, i principi non contengono una necessaria propensione totalitaria perché, quando occorre, quando cioè una stessa questione ne coinvolge più d’uno, essi possono combinarsi in maniera tale che ci sia un posto per tutti. I principi, si dice, possono bilanciarsi. Chi agisce “per principi” si trova nella condizione di colui che è sospinto da forze morali che gli stanno alle spalle e queste forze, spesso, sono più d’una. Ciascuno di noi aderisce, in quanto principi, alla libertà ma anche alla giustizia, alla democrazia ma anche all’autorità, alla clemenza e alla pietà ma anche alla fermezza nei confronti dei delinquenti: principi in sé opposti, ma che si prestano a combinazioni e devono combinarsi. Chi si ispira all’etica dei principi sa di dover essere tollerante e aperto alla ricerca non della giustizia assoluta, ma della giustizia possibile, quella giustizia che spesso è solo la minimizzazione delle ingiustizie.


Passando ora da queste premesse in generale alle loro conseguenze circa il modo di legiferare sulle questioni “eticamente sensibili” di cui si diceva all’inizio, avvicinandoci così alle discussioni odierne sul tema dell’aborto, qui prese a esempio (ma ci si potrebbe riferire anche ad altro, come l’eutanasia, la fecondazione assistita, ecc.), si può stabilire un’altra differenza a seconda che si adotti l’etica dei valori o quella dei principi. Nel primo caso (il caso del valore), saranno appaganti le norme giuridiche che proteggono in assoluto il bene assunto come valore prevalente, e inappaganti le norme giuridiche che danno rilievo, cercando di conciliarli relativizzandoli l’uno rispetto all’altro, a beni diversi. Possiamo parlare, per gli uni, di assolutismo etico-giuridico; per i secondi, di pluralismo (non certo, evidentemente, di relativismo etico, equivalente a indifferenza morale).


Nell’assolutismo, si trovano a casa propria tanto coloro che parlano dell’aborto, né più né meno, come di un assassinio (oggi si dice “feticidio”), quanto coloro che ne parlano come diritto incondizionato. Assassinio e diritto sono due modi per dire il riconoscimento assoluto, come valori, della vita o della libertà. I primi, in nome del valore prevalente della vita del concepito, si disinteressano di tutto il resto: la salute e la vita stessa della donna, messa in pericolo dagli aborti illegali e clandestini; i secondi, in nome dell’autodeterminazione della donna come valore prevalente, si disinteressano della sorte del concepito. Costoro, pur su fronti avversi, si muovono sullo stesso terreno e possono farsi la guerra. Ma, tutti, si troveranno insieme, alleati contro coloro che, ragionando diversamente, non accettano il loro assolutismo.


Questo ragionar diversamente, cioè ragionar per principi, è certo assai più difficile, ma è ciò che la Costituzione impone di fare: la Costituzione, ciò che ci siamo dati nel momento in cui eravamo sobri, a valere per i momenti in cui siamo sbronzi. Orbene, la Costituzione, attraverso l’interpretazione della Corte costituzionale, dice che nella questione dell’aborto ci sono due aspetti rilevanti, due esigenze di tutela, due principi: l’uno, a favore  del concepito la cui situazione giuridica è da collocarsi, “con le particolari caratteristiche sue proprie”, tra i diritti inviolabili della persona umana, il  diritto alla vita; l’altro, a favore dei diritti alla vita e alla salute, fisica e psichica, della madre, che può essere anch’essa “soggetto debole”. Quando entrambe le posizioni siano in pericolo, occorre operare in modo di salvaguardare sia la vita e la salute della madre, sia la vita del concepito, quando ciò sia possibile. Quando non è possibile, cioè quando i due diritti entrano in collisione, deve prevalere la salvaguardia della vita e della salute della donna, “che è già persona”, rispetto al diritto alla vita del concepito, “che persona non è ancora”. Dunque: si parla di diritti della donna e del concepito, ma non si parla mai di aborto come (dicono i giuristi) “diritto potestativo” della donna, né, al contrario, di dovere di condurre a termine la gravidanza. Ci si deve districare tra le difficoltà e non ci sono soluzioni a un solo lato. Non interessa, ora, se la legge 194 bene abbia svolto il suo compito. Interessa il modo di ragionare e di porsi di fronte a questo “problema grave”, un modo non intollerante, carico di tutte le possibili preoccupazioni morali, aperto alla considerazione di tutti i principi coinvolti. Se nel dibattito pubblico, si usano quelli che si sono detti “esangui fantasmi in lotta per diventare i tiranni unici delle coscienze”, cioè i valori, la legge che ne verrà sarà solo sopraffazione.


C’è poi un altro aspetto della distinzione valore-principi, importante per il legislatore. Il ragionare per valori è compatibile, anzi esige leggi tassative: tutto o niente, bianco o nero, lecito o illecito, vietato o permesso. Il ragionar per principi spesso induce la legge a fermarsi prima, rinunciare alle regole generali e astratte e a rimettere la decisione ultima alla decisione responsabile di chi opera nel caso concreto. Prendiamo la discussione odierna circa la sorte degli “immaturi”, i nati diverse settimane prima del tempo, portatori di deficienze nello sviluppo di organi e funzioni destinate a pesare più o meno pesantemente sull’esistenza futura, sempre che ci sia. C’è un qualunque legislatore che possa ragionevolmente imporre una regola assoluta circa il che fare? Per esempio, la rianimazione sempre e a ogni costo, senza considerare nient’altro? Solo la cieca assunzione della vita come valore assoluto, della vita come mera materia vivente, potrebbe giustificarla. Ma sarebbe, in molti casi, un arbitrio. Ogni caso è diverso dall’altro e i rigidi automatismi legali, quando si tratta di principi da far valere in situazioni morali di conflitto, si trasformano in sopraffazione.


C’è un dialogo classico tra Alcibiade e Pericle, riferito da Senofonte, che ci fa pensare. Il discepolo chiede al maestro, semplicemente: che cosa è la legge? Pericle risponde: ciò che l’assemblea ha deciso e messo per iscritto. Anche la sopraffazione, decisa e messa per iscritto? No, questa non sarebbe legge. È legge solo quella che riesce a “persuadere” tutti quanti, il resto è solo violenza in forma legale. Chi professa valori assoluti non si propone di persuadere ma di imporre. Chi ragiona per principi può sperare, districandosi nella difficoltà delle situazioni complicate, di essere persuasivo; naturalmente a condizione che si sia ragionevoli, non fanatici. [ La Repubblica, venerdì 22 febbraio 2008 ]


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Sono fra coloro che usano quasi indifferentemente le parole "valori" e "principi", per questo ho riconosciuto immediatamente l'utilità teorica e pratica delle argomentazioni di Zagrebelsky. Non lo farò più, tanto più che spesso la scarsa precisione è dovuta a una forma di pigrizia intellettuale. La chiarezza delle idee e l'accordo sui significati da assegnare alle parole, soprattutto a parole chiave, sono un onesto rimedio alla confusione e alla conflittualità del periodo che stiamo vivendo.