lunedì 25 febbraio 2008

VALORI E DIRITTI [3]



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      La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e la sua mancata realizzazione



LA SFERA DEI PRINCIPI TRADITA DALL’OCCIDENTE


di Roberto Esposito


 


 


   Che rapporto passa tra diritto e valore? Possono, i diritti, i  quanto prodotti storici, incarnare un valore universale, oppure sono destinati a restare in un ambito, appunto giuridico, diverso e distante da quello dell’etica e, tanto più, della teologia?


   Il diritto è interno, confinante o esterno, alla sfera della giustizia? Domande, queste, cui l’intera tradizione filosofica da sempre cerca di rispondere, senza mai pervenire a una conclusione univoca. Se la scuola giusnaturalista - nata nella prima età moderna, ma ripresa da autori anche contemporanei come Leo Strauss - ha individuato nella natura la fonte di diritti universali forniti di valore eterno, la concezione positivistica ha ricondotto la creazione del diritto alla sola legislazione statale. E tuttavia, nonostante questa profonda differenza di principio, le due linee interpretative hanno conosciuto più di un punto di intreccio e di sovrapposizione - a dimostrazione del fatto che la questione del valore permanente della norma giuridica non poteva essere risolta nel flusso del processo storico. Anzi si può dire che il diritto positivo, come ancora lo concepiamo, recepisca al suo interno – secolarizzandole - le esigenze di universalismo implicite nella tradizione giusnaturalistica.


   La Dichiarazione del 1789, estendendo a ogni cittadino i diritti politici, traduce sul piano reale i principi di libertà e uguaglianza presupposti dai teorici del diritto naturale. Successivamente, già dalla metà del XIX secolo, vengono proclamati altri diritti fondamentali indisponibili, cioè vincolanti per lo stesso Stato che li pone in essere.


   Ultima tappa di questo processo di universalizzazione giuridica è segnata dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, formulata alla fine della seconda guerra mondiale, che assegna a ogni persona, a prezia scindere da ogni altra qualificazione, diritti non soltanto civili e politici, ma anche sociali, includendo all’interno della sfera protetta tutte le minoranze prima discriminate. Il concetto, sempre più esteso e ormai accettato in tutti i paesi democratici, di “diritti umani” sembra concludere questo lungo percorso, portando il diritto positivo allo stesso obiettivo etico presupposto dal giusnaturalismo: quelle medesime prerogative che lì erano desunte da un ordine naturale non soggetto a mutamento storico appaiono adesso prodotte da una storia che ha cancellato ogni differenza pregiudiziale, di tipo etico, sessuale, religioso, tra tutti gli esseri umani. La saggezza della storia ha così eguagliato le promesse della natura. Il diritto può finalmente ambire a farsi giusti- prezia, a realizzare il più universale dei valori - quello dell’uguaglianza tra tutti gli uomini della terra.


   Questo, almeno, è il racconto autolegittimante ampiamente diffuso in tutto il mondo occidentale.  Basta uno sguardo al quadrante internazionale per accorgersi che le cose non stanno affatto così. Che il diritto umano primario - quello alla vita - è continuamente smentito da infinite morti per fame, malattia, guerra. Per non parlare di libertà e di uguaglianza.


   Da dove origina questo scarto scandaloso tra dichiarazioni e realtà, tra proclami umanitari e violenza omicida, tra ricchezze senza pudore e povertà senza fondo? La prima risposta a tale domanda fa capo alla inesistenza di un’istituzione internazionale dotata di capacità coattiva – cioè in grado di imporre attraverso la forza il rispetto dei diritti umani laddove vengano violati. Ma una contraddizione ancora più cospicua, perché interna allo stesso dispositivo giuridico moderno, risiede proprio nella astrattezza di termini come “soggetto” o “persona” - incapaci di dare forma e voce alla realtà materiale, corporea, di individui inassimilabili nella identità di uno stesso genere, irriducibili a una categoria generale.


   Perché, al contrario di quanto si poteva pensare, con la crisi profonda degli Stati nazionali - che hanno funzionato da involucri immunitari almeno per larghe fasce di popolazione - le dinamiche di globalizzazione hanno reso ancora più sensibili quelle differenze di carattere biologico che l’universalizzazione del diritto ha immaginato di ingabbiare nelle sue paratie formali.


   Una ulteriore scossa all’edificio giuridico moderno è venuta dallo sviluppo incontenibile della tecnica, ormai penetrata profondamente nella vita umana, capace di influire potentemente sui processi della nascita, della morte e della salute, e dunque incontenibile nelle griglie necessariamente generali della legge. Da qui il conflitto frequente tra soggetti di diritto contrapposti come possono essere madri e figli, giovani e anziani, uomini e donne. Rispetto ai quali è difficile - e forse controproducente - immaginare una legislazione senza falle, capace di risolvere, in nome di una legge naturale, rivelata o anche positiva, casi drammatici o altamente problematici, sui quali non esistono criteri validi per sempre, prontuari di etica, convinzioni inconcusse. In questo orizzonte complesso - in cui la sofferenza dell’uno, o dell’una, può doversi misurare con quella dell’altro - l’unico atteggiamento possibile è quello dell’attenzione e della comprensione, come ha scritto con grande sensibilità Francesco Merlo su questo giornale.    


   Probabilmente il diritto può accostarsi al valore, può approssimarsi alla Giustizia, solo sapendo di non poterlo fare mai del tutto. Ammettendo, e accettando, la propria imperfezione etica – manifestando il proprio limite e il proprio punto cieco. Anche questa - diceva Max Weber - è una scelta. La più difficile delle scelte. [ La Repubblica, venerdì 22 febbraio 2008 ]

11 commenti:

  1. Non tira molte conclusioni questo articolo.
    Nei diritti sociali io metterei non tanto i diritti delle minoranze quanto i diritti personali a salute, casa, istruzione, lavoro.
    Lorenz

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  2. Interessante articolo, magari le cocnlusioni sono poche, ma offre moltissimi spunti d riflessione.

    La discrasia fra diritti scritti e vita reale è una distanza, ahimè, fisiologica, e non vale solo per la convenzione in commento..si deve lavorare per accorciare queste distanze, anche se non credo in organismi internazionali o forze coattive.

    Quello che le persone, personalmente o occasionalmente insieme, possono fare, nessuna istituzione potrà mai ottenere.

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  3. ciao anima bella.
    io sono quello dei film e delle musiche e delle cose che mi passano in testa.
    :^)

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  4. Ripasso finalmente, e trovo moltissima carne. Adesso mi stampo i tre ultimi post, me li leggo con calma, poi ti saprò dire se riesco ad aggiungere un qualcosa che assomigli al mio pensiero (ammesso me ne siano rimasti...).
    Ciao carissima, tpnO.

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  5. @ lorenz

    Non credo ci siano conclusioni da tirare, Lorenz, ma considerazioni su come sono andate le cose e progetti su come dovrebbero andare sulla base di principi morali e civili.

    @ Acrylic77

    Non ci possono essere conclusioni, perché si tratta di percorsi da compiere, sapendo che cos è stato fatto finore e quali sono stati i successi e i fallimenti nel processo di civilizzazione.

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  6. @ lavinza

    ciao a te, anima bella di grande gatto, dei film e delle musiche, e di ogni altra cosa bella.

    @ Masso57

    Te ne sono rimasti. Rimasti? I pensieri non si consumano, i tuoi meno che mai. E ne abbiamo bisogno. TpnO.

    @ Senzapiutempo

    Carlo Marx andrebbe studiato meglio: credo che sia stato molto frainteso. Trovo fecondo lo spunto che hai offerto.
    Grazie dell'informazione.

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  7. mamma mia..quanto ci sarebbe da discutere..
    complimenti ..ciao^^

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  8. ciao. Belle domande!!! I diritti dovrebbero essere chiaramente sempre rispettati, per quello si chiamano diritti. Diritto alla vita, al lavoro,alla salute, alla casa, al rispetto della dignità umana, all'uguaglianza. Ma, quante volte sono violati. Per me è proprio questo il problema, perchè si violano questi diritti? Per indifferenza, potere, proprio torna conto e tanti altri motivi. Pensiamo al terzo mondo, forse vivevano felici e noi con le conquiste, le missioni, la globalizzazione, li abbiamo resi ancora più schiavi. E' giusto, certo che no. Ma non mi pare che nessuno trovi una soluzione, solo chiacchere. ciao a presto penny

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  9. tuttavia se con i 'diritti umani' si intende qualcosa di stabilito dalla comunità (non legato al diritto naturale), nulla ci impedisce di stabilire che ne so il diritto allo stupro rituale (ius primae noctis)... e questo non vabbene!
    bart1

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  10. non mi risulta che lo ius primae noctis sia mai stato benedetto da papi e vescovi.
    comunque di nuovo non cogli il punto: se parli di evoluzione e involuzione, fai riferimento a un diritto oggettivo altro dal diritto positivo, quindi confermi che un diritto è tale non perché sancito da una carta (o dalla gente o dal progresso ecc.), ma perché riconosciuto nella natura delle cose. se è così, siamo d'accordo.
    bart1

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