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mercoledì 30 dicembre 2009


Ayatollah Khamenei guida della Repubblica Islamica



Questo è l'uomo che ha in pugno la vita e la morte di milioni di iraniani. Forse un usurpatore, certo uno dei massimi responsabili degli eventi in Iran: "il suo appoggio incondizionato a Ahmadinejad, ai Pasdaran, ai picchiatori e torturatori Basiji, le sue minacce ai leader di opposizione e l’avallo che viene dal suo Ufficio nei confronti di chi invoca la fucilazione di Mir Hussein Moussavi e di Mahdi Karrubi e l’arresto di Mohammad Khatami e Hashemi Rafsangiani, hanno notevolmente compromesso il prestigio di Khamenei all’interno degli ambienti, associazioni e circoli religiosi." ( QUI )
Quest'uomo si serve del suo Dio quando dichiara "nemici di Dio" i cittadini in rivolta contro un regime durissimo, crudele, soffocante. Al tempo dello shah gli iraniani avevano come controparte un uomo, soltanto un uomo, per quanto imperatore. Con la presa del potere da parte di Khomeini e dei suoi seguaci gli iraniani hanno come controparte Dio, secondo la dottrina dello Stato teocratico islamico. Non so quanto sia immaginabile una cosa del genere per chi non ne ha mai fatto l'esperienza diretta. Tutto è permesso ai detentori del potere teocratico, che non ha remora alcuna nel calpestare i diritti umani, anzi sostiene la giustezza della tortura e delle condanne a morte, come rispondenti alla legge divina.
Ci vuole molto coraggio, forse un'infinita disperazione, per affrontare un simile potere. Ammetto di non esserne provvista. Potrei forse correre il rischio di morire, ma l'idea di cadere viva nelle mani di quei criminali, capaci di infliggere le peggiori torture, mi impedirebbe di ribellarmi. E sono giovani innocenti gli oppositori che riempiono le strade di Tehran e di altre città persiane. Innocenti perché è toccata loro in sorte una vita terribile a causa degli errori dei loro padri e della politica internazionale al tempo della rivoluzione khomeinista. Questi giovani erano bambini allora, forse nn erano ancora nati, ma già su di loro gravava l'oscuro peso di una gerarchia religiosa molto più repressiva e sanguinaria dello shah stesso.

giovedì 11 ottobre 2007


Aiutiamo il popolo Birmano aggiungendo questo post e queste immagini al proprio blog.(Questo è un nuovo tipo di protesta on line che usa i blog per diffondere globalmente una petizione, per partecipare seguite le istruzioni del post) si tratta di democrazia e diritti umani basilari. Per favore aiutate a prevenire una   tragedia umana in Birmania (Myanmar) aggiungendo il vostro blog e chiedendo ad altri di fare lo stesso. Passando il testimone attraverso la blogosfera, speriamo di generare maggiore consapevolezza e di evitare un massacro. In quanto attenti cittadini del mondo, questo è quanto noi bloggers possiamo fare.


come partecipare:


copia l'intero post sul tuo blog includendovi questo numero speciale


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Dopo qualche giorno cerca su Google questo numero per cercare tutti i blog che partecipano alla protesta e petizione. Potrebbe occorrere qualche giorno in più perchè il tuo blog appaia nei risultati a causa del modo in cui google indicizza i blogs.


Da: Le Favole Private - QUI


*


VELI




Il sito BBC News offre questa rassegna grafica di veli islamici con relative didascalie: QUI . Ma l'informazione sull'argomento, molto ampia, l'ho trovata a partire da BBC religion: Islamic dress . E a questo link sono arrivata dalla mia ricerca sull'Iran, e in particolare sulle "donne malvelate" che incorrono nelle durezze del regime islamico: 'Bad hijab'  -  Iranians face a severe crackdown over un-Islamic dress: QUI . Qualche cognizione in più per parlare del burqa in Italia con mente aperta e senza pregiudizi da ignoranza.


Le mie convinzioni sull'uguaglianza degli esseri umani mi porterebbero a una immediata chiusura mentale di fronte all'argomento velo, che leggo come imposizione maschile tesa a limitare la libertà femminile fino a chiuderla completamente col burqa col pretesto della legge coranica, che pure esiste anche se ci sono delle controversie tra gli islamici sull'interpretazione dei dettami riguardanti l'abbigliamento delle donne e degli uomini. Ma le convinzioni personali devono essere accantonate, almeno in parte, quando entra in gioco la necessità della convivenza e dell'armonizzazione con altre culture. Mi faccio soccorrere ancora una volta da un articolo della BBC su come è stato affrontato il problema in Europa, The Islamic veil across Europe , e sul punto di vista dei musulmani  in Gran Bretagna, UK Muslim panel on the veil row . (In italiano non ho trovato nulla di così ampio e sistematico, accetto suggerimenti con gratitudine anticipata).


Mi pare che il problema più grosso sia rappresentato dal burqa che copre tutto il corpo e tutto il viso, compresi gli occhi, davanti ai quali c'è una fitta grata di tessuto che evita la cecità completa di chi lo indossa ma non evita la mortificazione dello sguardo costretto a una visione del mondo estremamente ridotta e parcellizzata in piccolissimi quadrati infaustamente simili alle grate crudelmente ravvicinate di una prigione. Qui la mia capacità, ma anche la mia volontà di comprensione e di armonizzazione si arresta, perché mi riesce concettualmente impossibile armonizzarmi con una simile violazione dei diritti umani, così come ritengo doveroso non avere nessuna, ma proprio nessuna, comprensione per la diversità rappresentata dalle mutilazioni genitali.


Il burqa viene presentato come simbolo religioso: che cosa dice il Corano al riguardo? Ricorro ancora una volta al sito BBC: Hijab in scripture . Dalla faticosa lettura in inglese mi pare che non ci sia nulla di dirimente sui veli in generale, ma nulla sull'obbligo del sudario tipo burqa. Che cos'è allora il burqa? Lascio la risposta a Giuliana Sgrena che scrive:


"Basterebbe leggere uno dei libri che vanno per la maggiore di questi tempi - «I mille splendidi soli» di Hosseini - per capire l'uso del burqa nel paese di origine, l'Afghanistan, negli anni sessanta e settanta. Non di religione si tratta ma di oppressione patriarcale. La più tremenda, che relega le donne dietro una grata, attraverso la quale guardare il mondo a quadretti senza essere osservate.
Mentre nel mondo islamico è aperto lo scontro sul velo: è islamico oppure no, e nemmeno il Corano è sufficiente a redimere il quesito, in Italia si avalla come dovere religioso l'uso del burqa. Che non solo non è citato nei testi religiosi, ma proprio in Afghanistan era stato abolito fin dal 1923 dal re Amanullah con la nuova costituzione che doveva servire a modernizzare il paese anche attraverso l'istruzione delle donne e l'abolizione della poligamia. Naturalmente il re Amanullah aveva scatenato le ire dei fondamentalisti che l'avevano estromesso dal trono e solo nel 1959 le donne della famiglia reale, ai tempi di re Zahir Shah, si sarebbero presentate in pubblico a capo scoperto. A riportare in voga, si fa per dire, il velo e anche il burqa ci avrebbero pensato i fondamentalisti mujahidin e i taleban.
La decisione del prefetto di Treviso, appoggiata purtroppo anche dalla ministra Rosi Bindi (salvo smentite) e da altre parlamentari, è basata evidentemente su un relativismo culturale molto diffuso anche nella sinistra - ma non riguarda la ministra Barbara Pollastrini, che si è espressa decisamente contro il burqa - che vuole condannare popoli e soprattutto le donne di paesi del sud a subire le imposizioni più conservatrici e tribali di alcuni leader religiosi o politici locali.
È eramente molto triste dover ammettere che non solo la guerra in Afghanistan non ha liberato le donne afghane dal burqa - e questo ce lo aspettavamo - ma che la talebanizzazione è arrivata anche in Italia. Forse anche per questo non alziamo un dito contro le nuove milizie religiose irachene che uccidono le donne che si rifiutano di portare un velo che non avevano mai portato. E che dire della nuova polizia religiosa che controlla la moralità dei comportamenti dei palestinesi non solo nella Gaza di Hamas ma anche nella Ramallah di Fatah? Il nostro sostegno a queste donne deve partire da subito, da qui, aiutando quelle che vivono nel nostro paese a sottrarsi al giogo dell'oppressione e della violenza, di cui, altrimenti, diventiamo complici.
Non è accettando il burqa che riconosciamo un diritto alle donne: sottolineando la loro «diversità» santifichiamo la loro ghettizzazione. E quando si parla di libera scelta occorrerebbe tenere in considerazione che l'unica scelta di cui godono queste donne è quella di portare il velo e molte di loro hanno così interiorizzato l'idea che la loro sicurezza passa attraverso l'annullamento del proprio corpo che non si sono ancora liberate del burqa." ( Il Manifesto, 10 ottobre 2007,
La vita sotto il burqa )



E, infine, che dire della violazione dei diritti dell'infanzia? Giocare, correre, avere le mani libere, sentire il vento fra i capelli, sentirsi uguali ai più fortunati maschietti ... Argomento spinoso, lo so, e complesso, ma la complessità non può essere invocata per eludere problemi etici di questa portata. Perché di etica si tratta, cari musulmani e musulmane e cari prefetti italiani, l'etica della libertà personale e dell'in-nocenza.


Aggiornamento 12 ottobre 2007



Accordo al consiglio di sicurezza Onu

WASHINGTON. I quindici ambasciatori deplorano la repressione della giunta militare

Gli ambasciatori all’Onu dei quindici membri del Consiglio di sicurezza si sono messi d’accordo sui principali punti di un progetto di dichiarazione non vincolante che «deplora» la repressione in Birmania. I quindici ambasciatori si incontreranno di nuovo oggi per esaminare le risposte delle loro capitali, secondo quanto appreso da fonti diplomatiche.

L’ambasciatore americano presso l’Onu Zalmay Khalilzad ha riferito alla stampa al termine delle consultazioni a porte chiuse che i rappresentanti al Consiglio di sicurezza si incontreranno questa mattina (pomeriggio in Italia) per esaminare le risposte delle loro capitali sperando di ottenere una approvazione formale del testo. Cominciata nel pomeriggio, la riunione era stata sospesa per permettere ai tre membri permanenti occidentali del Consiglio di sicurezza (Usa, Francia, Gran Bretagna) di rivedere il testo. Una prima versione del testo, proposta venerdì dai tre paesi occidentali, era già stata emendata su richiesta della Cina, principale alleata della Birmania. La prima versione proponeva di «condannare» la repressione che ha fatto tredici morti secondo il bilancio ufficiale.

Nella versione emendata, il testo «deplorava fermamente» la «violenta repressione da parte del governo di Birmania delle manifestazioni pacifiche, compreso l’uso della forza contro rappresentanti religiosi» e invitava la giunta a liberare l’insieme dei prigionieri politici, tra cui la leader dell’opposizione democratica Aung Sang Suu Kyi. Contrariamente a una risoluzione, una dichiarazione non può essere approvata che all’unanimità dei quindici membri del Consiglio.

La Stampa, 11/10/2007 (7:50), qui 

mercoledì 10 ottobre 2007

FREE BURMA



FREE IRAN



Chi sa qualcosa dell'Iran? Chi sa qualcosa del composito complesso popolo iraniano? Chi c'è in Iran oltre al tragico Ahmadinejad? Esiste un dissenso in Iran?


Due giorni fa circa cento studenti dell'Università di Tehran hanno trovato il necessario smisurato coraggio di contestato il presidente Mahmoud Ahmadi Nejad. Era già successo meno di un anno fa. Che fine hanno fatto quegli studenti? Che cosa succederà a questi autori della nuova protesta? Alcuni sono stati sicuramente ingoiati dalle spaventose prigioni della repubblica islamica. E' il rischio mortale della repressione che richiede un coraggio immane, il coraggio che si sprigiona in un essere umano quando l'ingiustizia supera il limite della paura. 


Dove siamo noi, liberi e fortunati, in questa vicenda? Siamo pronti a commuoverci per la libertà dell'Iran? Nel 1979 il mondo intero si lasciò ingannare dalla cosidetta rivoluzione islamica che avrebbe portato all'orrendo regime degli ayatollah che da allora ha sfruttato la terribile della religione al potere. Qual è il punto della situazione oggi, tra le deliranti minacce nucleari del dittatore "devoto" e le altrettanto deliranti minacce di guerra dell'amministrazione Bush? Ho trovato qualche risposta in una intervista pubblicata da Il Manifesto: Le minacce all'Iran colpiscono il dissenso.


Solidarietà per la senatrice Rita Levi Montalcini



Il fascismo eterno di Storace e dei suoi seguaci si è manifestato ancora una volta. Questa volta, nel tentativo inane di colpire la scienziata e senatrice Rita Levi Montalcini, ha scelto come obiettivi l'ebraismo, la vecchiaia, la legge costituzionale italiana. La statura di Rita Levi Montalcini è tale che gli squallidi fascistelli non possono certo sfirorarla, tuttavia è necessario opporsi a questa rinnovata barbarie, anche per opporsi alla barbarie diffusa nella nostra società e, purtroppo, in molti rappresentanti della classe politica. 

martedì 14 settembre 2004

TAKFIRISMO


«Al Qaeda punta allo scontro totale»


«... L’ideologia Al Qaeda è una ideologia takfiri, il che vuol dire che gli obiettivi che vengono menzionati di quando in quando da Al Qaeda come obiettivi politici sono semplicemente fumo negli occhi, perché al Qaeda ha un solo obiettivo proprio dell’ideologia takfiri: la guerra contro tutti quelli che non la pensano come loro. Il takfirismo è una cosa seria, non è una cosa inventata, e tutti i grandi capi di Al Qaeda sono takfiri».


«Il takfirismo, l’idelogia che ispira e arma la mano di Al Qaeda, fa sì che io che mi dichiaro takfiro decido chi è un musulmano vero. Ragion per cui se tu dichiari musulmano ma io non sono d’accordo, ti ammazzo comunque. Sono io takfiro - questo è l’assunto che li anima - a decidere chi è buono e chi è cattivo, e chi è cattivo io l’ammazzo. Punto. Nel mirino di Al Qaeda non c’è solo l’Occidente, ci sono tutti gli altri. Al Qaeda non può esistere senza il nemico perpetuo, a cui corrisponde la sua guerra perpetua. Senza il Nemico assoluto, Al Qaeda si scioglierebbe come neve al sole». (1)


La caccia al nemico interno

Se bin Laden ha diretto la sua azione contro i nemici esterni dell'Islam (Usa in testa), Zarqawi e gli altri nuovi leader radicali applicano in Iraq il takfir in riferimento alle società musulmane che non si ribellano (jihad fil sabil Allah, lotta armata sulla strada tracciata da Dio) al capo politico o religioso arabo che agisce facendo gli interessi degli occupanti americani.


Ciò spiega, ad esempio, gli attentati contro le forze di polizia irachene che agiscono in collaborazione con i militari Usa o contro enti, partiti, associazioni, gente comune che cooperano con il governo nato per volontà delle forze di occupazione. «Il Jihad è un obbligo di tutti i musulmani e quello che stiamo portando avanti è la lotta contro la miscredenza e contro gli apostati del consiglio governativo e dei suoi alleati», era scritto nel comunicato diffuso giorni fa dal gruppo Ansar Al-Sunna.


Allo stesso tempo gli ideologi di questi gruppi riprendono con forza la salafiyya, ovvero il ritorno alla purezza della fonti: il Corano e la Sunna. Non riconoscono tutti gli hadith (detto, racconto, riferito a Maometto) ma soltanto quelli riconducibili ai Salaf, ossia ai primi compagni ed eredi del profeta. Ciò presuppone un rigorismo islamico portato alle estreme conseguenze.


La stragrande maggioranza dei musulmani, in tutto il mondo, non condivide l'esasperazione dei concetti di jihad e takfir e ritiene il dibattito sulla validità di certi hadith piuttosto di altri una questione da lasciare agli studiosi. Crede inoltre nel dialogo con l'Occidente e le altre fedi e nella coesistenza.


La negazione del diritto internazionale da parte degli Usa, l'occupazione dell'Iraq e l'aggravarsi della condizione dei palestinesi sotto occupazione, unita alla corruzione di regimi arabi che violano i diritti umani e politici e agiscono solo su ordine di Washington, stanno tuttavia togliendo spazio alle voci moderate e convincendo tanti giovani musulmani della validità del jihad come unica possibile soluzione dei problemi.


Oggi per le vie del Cairo è più facile trovare i libri (illegali) di Qutb e Abdel Salam Faraj che il saggio pubblicato nel 1969 dalla seconda guida suprema dei Fratelli Musulmani, Hasan Al-Hudaibi: Duah, la Qudah (Siate predicatori, non giudici) rivolto agli islamisti radicali che, armi in pugno, sognano di imporre il regno di Dio in terra. (2)

(1) 29 Agosto 2004. Dall'intervista a Giandomenico Picco, già sottosegretario generale delle Nazioni Unite. - http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=DOSSIER&TOPIC_TIPO=I&TOPIC_ID=37333&DOSSIER_ID=114


(2) da "il manifesto" del 06 Luglio 2004 - http://www.ilmanifesto.it/g8/dopogenova/40eade7dcf134.html


Mi sembra fondamentale approfondire le conoscenze sul 'wahabismo' e sui concetti che gli sono correlati nell'ideologia di Al Qaeda. E' una visione del mondo che mi dà i brividi, come ad Abraham Yehoshua (secondo post del 13 Settembre 2004). Ma è ragionevole pensare che dia i brividi anche alla maggioranza dei Musulmani in tutto il mondo. Per questo dichiarare guerra a tutto l'Islam, come molti fanno senza distinguere e senza capire le differenze, è sbagliato e ingiusto, sia sul piano strategico che su quello etico. Più rilevante quest'ultimo per chiunque abbia a cuore il progresso civile delle società umane.


mercoledì 8 settembre 2004

Salviamo le due Simone



"Una manifestazione di piazza, subito, di italiani e di tutte le confessioni religiose e politiche insieme, sull’esempio francese affinchè si faccia pressione sul nostro governo e le due Simone tornino a casa sane e salve".



Articolo 21 rilancia l'appello di Giovanna Botteri, inviata del Tg3 a favore della liberazione delle due ragazze italiane, Simona Pari e Simona Torretta, rapite in Iraq. Leggi e sottoscrivi l'appello


http://www.articolo21.com/appelli_form.php?id=16


 


La trappola del terrorismo


Ieri è stato il turno di Simona Pari e di Simona Torretta, due donne


Italiane, coraggiose portatrici di cooperazione pacifica, e di due


Iracheni.


Nuova angoscia per due persone che ci sono vicine si somma a


quella quotidiana, l'angoscia per le vittime della guerra in Iraq e


di tutte le altre guerre messe in ombra da questa che al momento


sembra la catastrofe più grande e pericolosa.


Criminali in cerca di bottino o terroristi che si definiscono Islamici?


Gli ultimi sequestri sembrano hanno colpito persone impegnate


contro la guerra con concrete azioni di cooperazione e di alleanza


con la popolazione Irachena. I sequestratori saranno terroristi e


vigliacchi, ma dubito che siano degli sciocchi sprovveduti. Dicono di


agire in nome di Dio e dell'Islam, e di fatto attirano rancori e


aggressività contro i Musulmani. Quali sono allora i loro obiettivi?


Non è probabile che questa sia una trappola in cui far cadere


'Occidentali' e Musulmani insieme?


La lettura di un articolo su un saggio dell'slamologo Gilles Kepel ci


fa vedere le cose da un altro angolo visuale:


IRAQ/ KEPEL: "I FONDAMENTALISTI SONO ISOLATI NEL MONDO ARABO"
03/09/2004

Nuovo saggio dell'islamologo su fratture che percorrono il jihad


Parigi, 2 set (Apcom) - Con i due giornalisti francesi forse a un passo dal rilascio, dopo 14 giorni di prigionia in Iraq, e in coincidenza con l'entrata in vigore della discussa legge che vieta i segni religiosi nelle scuole pubbliche, arriva in libreria il nuovo libro dello specialista del mondo arabo Gilles Kepel. In edicola oggi, "Fitna: guerre au coeur de l'Islam" ("Fitna: guerra nel cuore dell'islam") cerca di tirare le fila dell'11 settembre, della guerra in Iraq e del posto dell'islam in Europa e trae il suo titolo dalla parola araba che indica "la grande discordia che colpisce la comunità dei fedeli", come spiega lo stesso Kepel al quotidiano Le Figaro.


"La Fitna è l'incubo degli ulema, i dottori della legge", spiega ancora Kepel, "che continuano, appoggiandosi sul Corano, a mettere in guardia i musulmani contro chi scatena il jihad in modo inappropriato, perché questa si rivolge contro di loro". Il mondo musulmano è attraversato secondo il docente di Sciences-Po dalle spaccature. L'ultima è proprio quella sorta dopo il rapimento di Christian Chesnot e Georges Malbrunot: "i terroristi dell'Esercito islamico in Iraq volevano trasformare il rapimento in jihad e trascinare le masse musulmane del mondo intero, galvanizzate contro la laicità francese, che è stata dipinta sulle televisioni satellitari arabe come una persecuzione contro le brave musulmane", spiega Kepel a Le Figaro.


[...] continua: http://economia.virgilio.it/news/index.html


Molti riflessioni può stimolare anche la lettura di un articolo di


Alessandro Robecchi su Il Manifesto del 5 Settembre scorso:


Noi e loro

Vale sempre quello che diceva il vecchio Vonnegut: non c'è niente di intelligente da dire a proposito di un massacro. Solo, forse, che il concetto di scontro di civiltà tanto in voga tra i crociati di entrambe le parti andrebbe rivisto.


Non ci sono due civiltà che si ammazzano barbaramente a vicenda (noi contro loro) come piacerebbe a Oriana & Osama, ma i vertici, le élites politiche ed economiche di due schieramenti che ammazzano la gente che sta in mezzo.


I ragazzini di Beslan sono la fotografia della situazione: presi in trappola tra due follie contrapposte, tirassegno d'allenamento tra due eserciti stupidi e rozzi come soltanto gli eserciti sanno essere. Di qui l'indipendentista aspirante martire e di là lo zar che non cede e mostra i muscoli: in mezzo rimane il ragazzino osseto, stritolato, innocente, effetto collaterale, briciola inevitabile. Questa volta. Le altre volte erano i pendolari madrileni, gli impiegati di New York, i civili di Falluja, i passeggeri degli autobus di Gerusalemme o degli aeroplani russi, i bambini palestinesi bombardati e chiusi dietro un muro, i ragazzini di Kabul. Ecc. ecc, aggiungete a piacere, riempite qualche riga pure voi di gente innocente che ci lascia la pelle, l'elenco della barbarie è infinito.


Dalla Cecenia a Guantanamo, è uno scontro di civiltà? Se ammettiamo questa ipotesi bisogna subito aggiungere un corollario: civiltà comandate da teste di cazzo.


Il (debolissimo) pensiero emergente vorrebbe questo: che si considerasse il mattatoio quotidiano come uno scontro tra occidente e islam, tra buoni che devono difendersi (noi, ovviamente) e cattivi che attaccano (loro). Mentre se si fa la conta dei morti e dei feriti, delle sofferenze e dei traumi, si scopre che ci sono due leadership di pazzi (loro Bush, loro Osama, loro Putin, loro terroristi) contro circa sei miliardi di persone che non c'entrano niente e che temono di finirci in mezzo (noi). Noi che andiamo a scuola o a prendere il treno, o che finiamo per sbaglio sulla traiettoria di un missile o con gli elettrodi attaccati alle palle in una prigione.


E' solo un piccolo cambio di prospettiva, uno spostamento della visuale, ma credo che in questo senso sì, sia possibile vedere una reale contrapposizione tra «noi» e «loro»: noi le vittime e loro quelli che sparano, da una parte o dall'altra, circondati da ideologi e consiglieri e affaristi e strateghi della forza furbi come faine, che abitino in una grotta sperduta o in una casa bianca a Washington. Tanto per piccolo esercizio, basta un'occhiata ai manifesti ideologici: i siti più trucidi della Jihad non hanno nulla da insegnare quanto a desiderio di dominio, alle patinate home page dei pensatoi Usa che spiegano e spingono il New American Century. C'è una specularità tra queste due follie, una somiglianza ideologica: da entrambe le parti il pallino è in mano ai falchi, la prevalenza dello stronzo è conclamata in ognuna delle fazioni in lotta.


Sei miliardi di moderati guardano attoniti e stanno nel mezzo. Intendo in questo caso per "moderati" tutti quelli che rivendicano come un diritto di non essere ammazzati né da un falco né dall'altro e né da tutti e due come nella scuola di Beslan. Anche altre letture convincono poco. Le democrazie sono sotto attacco, ci dice Mauro su Repubblica. Vero, ma non ci dice quanto virtuali siano queste democrazie. Che se ci fosse stata una vera democrazia in Spagna, in Iraq non ci sarebbero andati, e non avrebbero raccolto duecento cadaveri (nostri!) alla stazione di Atocha. Uguale per l'Italia. Uguale per il Regno Unito di mr. Blair.


Se gli americani fossero informati come tutti pensiamo dovremmo essere in una democrazia, saprebbero che Saddam non era Osama e forse si sarebbero opposti alla guerra, chissà, non si sa mai cosa può combinarti la democrazia se per caso ti metti ad applicarla. L'esercizio di cercare chi ha cominciato, che è stato il primo, indagare su chi è stato più stronzo con chi negli ultimi duecento anni, può spiegare molte cose, ma non allontana il mirino da quelli che stanno in mezzo, che siamo noi, parecchi miliardi di scudi umani.


Sinceramente, credo che dovremmo cominciare a prenderla proprio come una questione personale, dopotutto è a noi - a noi sei miliardi di ragazzini di Beslan - che queste due bande di stronzi sparano addosso.


http://www.ilmanifesto.it/


(a capo e grassetto sono miei)

... Si moltiplicano i messaggi, firmati da associazioni e politici, per la liberazione delle due pacifiste. Dopo Romano Prodi, Javier Solana (Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea), Mario Scialoja (Lega musulmana mondiale), mercoledì, nel corso dell’udienza generale, anche il Pontefice ha chiesto il rilascio immediato delle due Simone: «Le due giovani volontarie italiane sequestrate ieri a Baghdad siano trattate con rispetto e restituite presto incolumi all’affetto dei loro cari». Così in un appello letto da un rappresentante del Vaticano.


Anche la Lega Araba ha espresso «la propria preoccupazione per il rapimento delle due donne italiane che lavorano per il settore umanitario e chiede la loro liberazione in considerazione del ruolo che esse svolgono in quel campo in Iraq». Lo ha dichiarato il portavoce dell'organismo panarabo, Hossam Zaki, esprimendo il punto di vista anche del segretario generale, Amr Mussa.


(L'Unità - http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=37571)



lunedì 31 maggio 2004

Stragi e crimini di terroristi islamici in nome di Dio.


Come è possibile questo orrore?












 


Il messaggio audio di Al Muqrin, braccio destro di Bin Laden, si


apre con la formula sacra consueta:


"In nome di Allah il Clemente il Misericordioso, la lode spetta ad


Allah e la fierezza al suo esercito".


"Allah ci ha regalato in questo giorno una vittoria chiara e una grande


conquista. Gli eroici mujahidin hanno compiuto oggi un'irruzione in


una delle società petrolifere americane occupanti, la Halliburton ed


altre che lavorano con esse nella città di Al Khobar, nella zona Est


della penisola araba. I mujahidin hanno ucciso e ferito numerosi


crociati di diverse nazionalità. Tra loro c'erano degli americani, uno di


loro è stato ammazzato per le strade. Tra loro c'era anche un inglese,


importante responsabile di una delle compagnie petrolifere".

"Abbiamo sgozzato un italiano e lo regaliamo al governo italiano ed al


suo capo, sciocco e superbo che annuncia con chiarezza la sua ostilità


all'Islam e manda le sue truppe a combattere i musulmani in guerre


come in Iraq e in altri paesi".


Tra le altre vittime, secondo il messaggio, indiani - "tra gli assassini


dei nostri fratelli musulmani in Kashmir"-, filippini e uomini delle


forze di sicurezza saudite.


"I mujaheddin sono stati attenti a evitare di versare sangue


musulmano." (da LA REPUBBLICA, 31 Maggio 2004)


Che cosa dice il Corano sul "jihad"?


Khaled Fouad Allam, ne 'L' Islam globale', scrive:


Sotto il profilo linguistico, la radice jhd- indica il concetto di sforzo interiore che può portare l'essere umano alla pienezza spirituale. Da questa stessa radice deriva un'altra parole araba, ijtihad, che, in quanto termine giuridico, indica la metodologia da seguire per la ricerca della verità; in quanto categoria teologica esprime la possibilità data all'uomo di utilizzare i criteri della ragione umana nell'interpretare un linguaggio che non è quello umano, ma di Dio. Va sottolineato che nel testo coranico la radice jhd- appare in trentacinque versetti: in ventidue nell'accezione di "sforzo generale", in dieci nel senso di "azione di guerra", e in tre in senso di "elevazione spirituale".


fonte: http://www.paceinpalestina.it


Un'altra fonte, http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Religioni/jihad.html, spiega:


[...] Jihâd nell’immaginario comune è associato all’idea che i musulmani debbano diffondere con la forza, con la guerra la propria religione. In realtà questo è esplicitamente e categoricamente proibito dal Corano:


"Non vi sia costrizione in fatto di religione" (II, 256). E ancora: "La verità viene dal vostro Signore: chi vuole creda, chi non vuole non creda" (XVIII, 29);


Altro che guerra: ognuno è libero di professare la propria religione senza alcuna forma di costrizione fisica, psicologica o di altro tipo. Ma il Corano ci dice ancora di più:


"Se qualcuno degli idolatri ti chiede asilo, accordaglielo affinché possa udire la parola di Dio e conducilo in un luogo per lui sicuro" (IX, 6).


Dunque addirittura il musulmano è tenuto a proteggere chi professa altre religioni. E tutto ciò ha una sua profonda giustificazione nel Corano:


"Se il tuo Signore avesse voluto, avrebbe fatto di tutti gli uomini una sola comunità" (XI, 118).



Dunque per un musulmano il fatto che esistano più religioni, più comunità religiose non pone alcun problema: si tratta di una precisa volontà divina. Inoltre questa divisione tra più religioni, non è una divisione tra buoni e cattivi, non è stata fatta per dannare gli uni e salvare gli altri, perché dice sempre il Corano:


"Certamente quelli che credono [i musulmani], quelli che seguono la religione giudaica, i cristiani e i sabei, chiunque insomma creda in Dio e nel giorno ultimo e abbia compiuto opere buone, tutti avranno la mercede loro presso il Signore" (II, 62).


E ancora: "quando giungerà l’ora ultima, allora i facitori di vanità si perderanno; e ogni comunità sarà chiamata davanti al suo libro [e sarà detto loro:] Ecco, ora verrete retribuiti secondo ciò che avete fatto" (XLV, 27).


Dunque qualunque sia la comunità religiosa cui un uomo appartiene, questi avrà una sorte nell’aldilà in funzione di come si è comportato. Il senso dell’articolazione dell’umanità tutta in comunità religiose diverse, sta allora nel libero confronto tra le varie comunità nell’adorazione dell’unico Dio e nel compimento del bene, come afferma esplicitamente il Corano:


"A ognuno di voi abbiamo dato una legge e una via. Se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una sola comunità: non lo ha fatto per provarvi mediante ciò che vi ha dato. Gareggiate dunque in opere buone! Ritornerete tutti a Dio, ed egli vi farà conoscere ciò su cui siete discordi" (V, 48) [...]


Questi versetti sono estrapolati dal contesto, quindi è necessario


leggere anche quelli che vengono immediatamente prima e dopo,


e riguardano lo stesso argomento. A esser sincera, a me la lettura


non ha chiarito del tutto le idee.


Di seguito l'autore affronta il tema della GUERRA NELL'ISLAM:



Chiarito quindi che l’Islâm non solo non prescrive, ma condanna la conversione con la forza, con la guerra, andiamo a veder qual è lo statuto della guerra nell’Islâm.


L’Islâm è una religione dell’equilibrio, della moderazione, direi del "giusto mezzo". È una religione che non ama gli eccessi, le esagerazioni. Dunque la guerra esiste, ma deve essere condotta all’interno di limiti ben precisi. Dice infatti il Corano:


"Combattete coloro che vi combattono, ma non superate i limiti, perché Dio non ama quelli che eccedono. Uccideteli quindi ovunque li troviate […] perché l’ingiustizia è peggio dell’uccisione. […] Ma se desistono, sappiate che Dio è indulgente e misericordioso. […] Se desistono non ci siano più ostilità." (II, 190-193).


E ancora: "Perché non combattete per la causa di Dio, per i più deboli tra gli uomini, le donne e i bambini che dicono: ’Signore, facci uscire da questa città di gente iniqua. Dacci per tua grazia un patrono. Dacci per tua grazia un difensore’" (Corano IV, 75).


Dunque la guerra è consentita solo se si è aggrediti o se si tratta di difendere un soggetto debole, incapace di difendersi ad solo. In ogni caso è assolutamente vietata la guerra di aggressione. Il musulmano non deve mai essere colui che inizia una guerra, una violenza. [...]


Sulla base della Sunna, cioè dei detti del Profeta Maometto, i limiti della guerra sono stati ulteriormente specificati. Così il diritto islamico ha stabilito che in ogni caso è proibito uccidere:



  1. La donna, purché non sia combattente con le armi come gli uomini. Non viene però uccisa se si limita a lanciare pietre o simili. Ricordo che, anche se oggi l’immagine della donna musulmana è quella di una reclusa, nella storia dell’Islâm sono state diverse le donne che hanno avuto parte attiva nella storia ed hanno anche combattuto e guidato eserciti in battaglia.

  2. Il ragazzo, con gli stessi limiti visti per le donne.

  3. Il malato di mente

  4. Il vecchio che non ha la forza di combattere

  5. Il paralitico, il malato cronico che non ha la forza di combattere o di camminare come lo storpio, il mutilato, ecc.

  6. Il cieco

  7. Il monaco


In pratica è possibile uccidere solo chi direttamente ci attacca con l’intenzione e la capacità di ucciderci. Ma la guerra è stata limitata nella storia dell’Islâm anche nei suoi aspetti distruttivi. Ecco quali sono le istruzioni che Abu Bakr, il successore di Maometto alla guida della comunità musulmana, dà ai comandanti dei battaglioni in partenza per la Siria:


"[…] chiedete l’aiuto di Dio nel combattere, nel rispetto delle regole date da Dio. Non tagliate alberi e non bruciateli, non uccidete bestie, non abbattete alberi da frutto, non demolite luoghi di culto, non uccidete bambini, anziani e donne. Troverete dei religiosi, che si dedicano all’adorazione nei loro monasteri o nei loro eremi. Non disturbateli."


 


I terroristi non possono appellarsi al Corano per giustificare i


propri crimini, anzi seminano falsità e vergogna e terribili


misconoscenze sull' Islam in tutto il mondo.


Capire questo costituisce la base per aprire un dialogo con i seguaci


dell'Islam che interpretano il Corano molto diversamente dai


correligionari fondamentalisti, e soprattutto in contrasto con le


blasfeme misinterpretazioni dei terroristi.





Qual è lo scopo di questo tentativo di capire?