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mercoledì 15 luglio 2009


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PARRESIA & CORAGGIO


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Botticelli_Fortitudo_Uffizi_Firenze. da Wikipedia


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La parresia comporta dei rischi più o meno grandi e richiede il coraggio necessario per affrontarli. E' questa una situazione in cui chiunque può ritrovarsi nelle vicende della vita, piccole o grandi, pubbliche o private che siano.. Ed è questa la situazione in cui molti di noi, in  particolare i politici e i giornalisti e i magistrati e...cittadini 'comuni', si ritrovano nei tempi correnti, difficili e bui.




 


Sostiene Foucault che "quando un filosofo si rivolge a un sovrano, a un tiranno, e gli dice che la sua tirannide pericolosa e spiacevole, perché la tirannide è incompatibile con la giustizia, in quel caso il filosofo dice la verità, crede di stare dicendo la verità, e ancor più, corre un rischio (giacché il tiranno può adirarsi, può punirlo, può esiliarlo, può ucciderlo)."



Fu questa esattamente la situazione in cui si trovò Platone con Dionigi di Siracusa – sulla quale ci sono interessantissimi riferimenti nella Lettera settima di Platone, e anche nella Vita di Dionigi di Plutarco. Vedete, il parresiastes è qualcuno che corre un rischio. Naturalmente, non è sempre il rischio della vita. Quando, per esempio, qualcuno vede un amico che sta commettendo un errore e rischia di incorrere nelle sue ire dicendogli che sta sbagliando, costui sta agendo da parresiastes. In tal caso, certo, non rischia la vita, ma può irritare l’amico coi suoi rilievi, e conseguentemente l’amicizia può risentirne. Se, in una discussione politica, un oratore rischia di perdere la sua popolarità perché la sua opinione è contraria a quella della maggioranza, o perché può condurre ad uno scandalo politico, egli sta usando la parresia.



 


La parresia dunque è legata al coraggio di fronte al pericolo: essa richiede propriamente il coraggio di dire la verità a dispetto di un qualche pericolo. E nella sua forma estrema, dire la verità diventa un «gioco» di vita o di morte."



 


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In Galera! Spettacolo – manifestazione contro la legge bavaglio


ARCOIRIS

domenica 28 settembre 2008

BONTA' DEI PRE-GIUDIZI


Oggi riporto integralmente la seconda parte del pezzo domenicale di Eugenio Scalfari e apro una finestra sulla citazione di Todorov che cita Kant.


Quanto durerà il regno di Berlusconi


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Tuttavia la luna di miele tra il Cavaliere e una robusta maggioranza di italiani continua. Anzi si rafforza. Nonostante le ristrettezze economiche, nonostante alcuni buchi non da poco nella politica finanziaria del governo, nonostante un bel po' di misure oggettivamente sbagliate, nonostante il disagio crescente di vaste categorie sociali e professionali, la luna di miele perdura. Si consolida.

Diventa strutturale o almeno così sembra. Come mai? Alcuni osservatori si sono posti il problema e hanno dato le loro risposte. In particolare su questo giornale che per sua natura e per la qualità dei suoi lettori è il più sensibile a queste questioni e forse il meglio attrezzato per affrontarle.

Il ministro della Cultura, Sandro Bondi, in una lettera pubblicata ieri su Repubblica ci rimprovera perché secondo lui noi non abbiamo capito il fenomeno Berlusconi. Lo attribuiamo - erroneamente - alle sue capacità di demagogo, al suo dominio televisivo e/o alla dabbenaggine di tanti italiani che ripongono in lui la loro fiducia.

"Non avete capito niente" incalza Bondi. "Berlusconi avrà pure i difetti che voi gli avete cucito addosso, gli italiani saranno pure un popolo di allocchi al seguito di un pifferaio, ma la sua vera natura è di essere un modernizzatore e un semplificatore. Conserva le tradizioni ma le modernizza. Decide. Fa girare le ruote della storia. Insomma è uno statista. Se la sinistra non si rende conto di questo e non depone i suoi pregiudizi elitari, scomparirà". Così a un dipresso il nostro ministro della Cultura, che è assolutamente convinto di quanto ci scrive.

Non si stupisca Bondi se, dal canto mio, dico che c'è del vero nella sua visione berlusconista: un modernizzatore che conserva le tradizioni, trasforma l'antropologia sociale e riforma lo Stato. Non un fenomeno effimero ma durevole.

Ce n'è stato più d'uno nella storia dell'Italia moderna. Alcuni di grande livello, altri di mediocre spessore, altri ancora pessimi. Cavour, Giolitti, De Gasperi appartengono alla prima categoria; Bettino Craxi alla seconda. Alla terza - quella dei pessimi - Benito Mussolini. Dove collochiamo l'attuale "premier"?
Bisognerebbe lasciare il giudizio agli storici che rivisiteranno il passato a qualche decennio di distanza, ma anche noi contemporanei abbiamo il diritto di esprimerci. Secondo me Berlusconi va collocato a buon titolo tra i pessimi. La sua modernizzazione procede a ritroso, non è una riforma ma una controriforma. Il suo rispetto delle tradizioni riguarda la loro ritualità e non la loro viva sostanza. Basti guardare al suo rapporto con la Chiesa, che è addirittura blasfemo: non riguarda il cristianesimo ma gli interessi della gerarchia. La stessa cosa avviene quando affronta temi di fondo: la sicurezza, l'immigrazione, la giustizia, la scuola, l'economia, il federalismo, la Costituzione.

Nei primi anni del Novecento Sidney Sonnino lanciò lo slogan "torniamo allo Statuto" (quello promulgato mezzo secolo prima dal re di Sardegna Carlo Alberto). Credo che anche a Berlusconi piacerebbe tornare allo Statuto albertino mettendo se stesso al posto del re. Tutto il resto va di conseguenza.

Gli italiani sono un popolo di allocchi? Non più e non meno di tutti i popoli del mondo. Guardate alla campagna elettorale in corso negli Stati Uniti. Guardate a quella francese di un anno fa: può decidere una battuta, una foggia, un gossip, una promessa lanciata al momento giusto.

Il dominio dei "media" non conta? Non si capisce, se non contasse, perché chi quel dominio ce l'ha non se ne sbarazza nemmeno per tutto l'oro del mondo.

Gli individui di qualunque latitudine pensano innanzitutto alla propria felicità e si arrangiano per realizzarla. Poi, se hanno tempo e spazio, considerano anche la felicità del loro popolo, il bene comune.
"Quando il popolo si desta / Dio si mette alla sua testa / la sua folgore gli dà": così cantavano i poeti del nostro Risorgimento. Ma bisogna che il popolo si desti, cioè che gli individui divengano un popolo. Il che avviene molto di rado.

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Immanuel Kant scrisse nella sua Critica della ragion pura che il peggior pregiudizio è non avere pregiudizi. Lo ricorda Todorov nel suo saggio sull'illuminismo. Sembra un paradosso ma coglie invece un aspetto importante della realtà perché il pre-giudizio è un'ipotesi di lavoro che serve ad orientare la ricerca di una soluzione. Chi non ha un'ipotesi di lavoro procede alla cieca, agisce e decide sulla base dell'emotività propria e di quella della folla. Dei sondaggi. Delle reazioni degli alleati e degli avversari.

Il modernizzatore-tradizionalista-controriformista non ha alcun pre-giudizio. La sua bussola sono i sondaggi e il favore della folla. La folla è la somma degli individui, non è un popolo. La folla è cera molle nelle mani di chi sappia manipolarla. Si tratta di un'arte, non di una scienza e in quell'arte il Nostro è maestro. Perciò è il massimo fautore d'una società "liquida", dove i nuclei associativi, i contropoteri, la pluralità organizzata siano ridotti al minimo.

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La società liquida è un tipico aspetto della modernità a patto che i contropoteri e le istituzioni di garanzia siano in grado di tutelare l'eguaglianza di tutti i cittadini, la libertà di accesso, l'esercizio dei diritti. Se questi presupposti mancano o sono deboli la società liquida non è un aspetto della modernità ma un ritorno all'antico, dal popolo alla plebe. Inoltre favorisce il rafforzamento di corporazioni e di mafie.

La globalizzazione porta con sé società liquide, professionalità ondivaghe e precarie, diritti incerti, mercati senza regole, contropoteri evanescenti. Le crisi assumono ampiezze e intensità mai viste prima, come avviene per gli uragani che sconvolgono i mari e le terre di pianura senza montagne che frenino il furore del vento.

Di fronte a crisi globali lo Stato si ripropone come l'assicuratore di ultima istanza. Riassume i pieni poteri. Non tollera controlli. Semplifica. Spazza via gli ostacoli. Confisca i diritti che possono frenarlo. In una società globale e liquida il potere si identifica con i governi nazionali. Il nazionalismo torna ad essere preminente nelle scale valoriali. I fondi sovrani diventano strumento di potenza e volontà di potenza.
Guardatevi intorno e vedrete che questa è la realtà che ci circonda. E per tornare ai casi nostri, di noi italiani, importa poco stabilire se il "format" berlusconiano sia una causa o un effetto, se sia duraturo o precario. Quel "format" c'è ed è all'opera da quindici anni. Non accenna a indebolirsi.

Dobbiamo unirci a chi lo applaude? Dobbiamo scegliere l'indifferenza e l'estraneità? Dobbiamo capirne la natura e resistergli? Il mio pre-giudizio è di resistergli avendone capito la natura. Sono molto affezionato ad un pre-giudizio che non mi impedisce di comprendere il diverso da me né di sognare e operare per una società dove i diritti e i doveri siano eguali per tutti e non ci sia solo tolleranza ma amore. In un mondo democraticamente ideale la tolleranza è offensiva rispetto all'amore e la tolleranza zero è una turpe bestemmia. Lo dicono anche i preti e questa volta sono d'accordo con loro.


La Repubblica, 28 settembre 2008. QUI.


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Scrive Todorov nel suo libro sullo 'spirito dell'illuminismo':


"Alla fine del secolo Kant confermerà che il principio primo dell'illuminismo si trova in questa adesione all'autonomia. « Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! E' questo il motto dell'illuminismo.» «La massima di pensare da sé identifica l'illuminismo.» ... Kant conclude: «Il nostro secolo è propriamente il secolo della critica, alla quale tutto deve sottoporsi».


Non per questo, tuttavia, l'essere umano potrebbe fare a meno della tradizione, vale a dire dell'intera eredità trasmessa dai suoi antenati: vivere in un ambiente che ha un passato è la sua condizione naturale e la cultura, a cominciare dalla lingua, è trasmessa a ciascuno da coloro che lo precedono. Immaginare di poter ragionare senza pregiudizi è il peggiore dei pregiudizi. La tradizione è un elemento essenziale dell'essere umano, solo che non è sufficiente a rendere legittimo un principio o vera un'affermazione."


Tzvetan Todorov, Lo spirito dell'illuminismo, Garzanti, pagg. 37-38

mercoledì 15 agosto 2007

 VIRTU'


Correggio, Allegoria delle Virtù, Paris, Louvre


 


"Come Spinoza, ritengo poco utile denunciare i vizi, il male, il peccato. Perché accusare sempre, denunciare sempre? E' la morale dei tristi, e una triste morale. Quanto al bene, esiste solo nella pluralità irriducibile delle buone azioni, che vanno al di là di tutti i libri, e delle buone disposizioni, anch'esse plurali ma senza dubbio meno numerose, designate dalla tradizione con il nome di virtù, vale a dire ( tale il senso, in greco, della parola aretè, tradotta dai Latini con virtus ) di eccellenze."


"La virtù, si continua a ripetere da Aristotele in poi, è una disposizione acquisita a fare il bene. Ma occorre dire di più: essa è il bene stesso, in spirito e verità. Non c'è Bene assoluto, non c'è Bene in sé che basti conoscere o applicare. Il bene non va contemplato; va fatto. Tale è la virtù: è lo sforzo di comportarsi bene, che definisce il bene in quello stesso sforzo."


"La virtù, o meglio le virtù ( poiché ce ne sono parecchie, poiché non si potrebbe ricondurle tutte a una sola, né ci si potrebbe accontentare di una soltanto di esse ) sono i nostri valori morali, se si vuole, ma incarnati, nei limiti del possibile, vissuti, in atto: sempre singolari, come ciascuno di noi, sempre plurali, come le debolezze che essi combattono o correggono."


 da André Comte-Sponville, Piccolo trattato delle grandi virtù, Corbaccio, pagg. 7, 9.


Faccio autocritica, da una parte, e buoni propositi, dall'altra, in questa giornata di mezzo agosto che mi ha regalato dolcezze, silenzio e musica, e bellezza. 

lunedì 7 maggio 2007

THE BRIGHTS


I BRILLANTI


Questo nome l'ho visto per la prima volta qualche giorno fa in un libro di filosofia. Autore un filosofo statunitense che si definisce appunto un tipo brillante [bright]. Copio parola per parola dal testo:


..."Il mio saggio 'The bright stuff', pubblicato sul New York Times del 12 luglio 2003, attirava l'attenzione sui tentativi promossi da certi agnostici, atei e altri naturalisti di coniare un nuovo termine per designare noi non-credenti, e l'ampia risposta positiva ricevuta da quel saggio mi ha convinto a scrivere questo libro. C'è stata anche una risposta negativa, volta a contestare il termine scelto (non da me), e cioè brillante, perché sembra implicare che gli altri siano tardi o stupidi. Sennonché, il termine in questione, ispirato al riuscitissimo della parola "gay" (felice) da parte degli omosessuali, non ha per forza quell'implicazione. Chi non è gay non è necessariamente triste: è etero (straight). Chi non è brillante non è necessariamente tardo. E allora, cos'è? Magari preferiscono scegliersi un nome da sé. Visto che, diversamente da noi brillanti, credono nel soprannaturale, può darsi che vorranno chiamarsi i super. E' una parola simpatica, ricca di connotazioni positive, proprio come gay, brillante ed etero. E come ci sono persone non disposte a frequentare individui apertamente gay, così altre persone non saranno disposte a leggere un libro scritto da un filosofo apertamente brillante."...


  


"Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus". 


Essere denominati  solo con termini contenenti una negazione non piace e non è nemmeno corretto. Non credente, per esempio, è un termine quanto mai impreciso, perché non credere in una determinata "cosa" non vuol dire non credere in niente tout court. Così per atei, agnostici e quant'altro. Mi piace bright per il richiamo alla luce, tanto più che la vulgata vuole i brights immersi nelle tenebre del loro pensiero. Certo è il solito termine angloamericano, come gay, ma è talmente bello! No so se in Italia ci abbia pensato qualcuno a trovare una parola senza l'a privativo e il non iniziale. Anche 'brillante' suona bene.


  Daniel C. Dennett, Rompere l'incantesimo. La religione come fenomeno naturale, Raffaello Cortina Editore, 2007. La citazione si trova a pag. 22. Con Google ho scoperto che i 'brights' hanno un sito ufficiale: The Brights. E ce n'è uno anche in italiano: QUI.

venerdì 27 ottobre 2006















»Tutto ciò che non è tradizione è plagio, dice una frase di Eugenio D'Ors scolpita di fronte al Museo del Prado a Madrid. Ma che cos'è, propriamente, la tradizione? Il termine compare inevitabilmente nelle discussioni, interne ed esterne alla Chiesa, relative alle prese di posizione, agli indirizzi e agli orientamenti di quest'ultima, specialmente in rapporto ai problemi etico-politici di una società che, come quella contemporanea, sta trasformandosi con rapidità sconcertante e rimescolando o sgretolando i valori sui quali sinora si è fondata.
Nei dibattiti e nei commenti dedicati all'atteggiamento della Chiesa si contrappongono spesso i tradizionalisti ai progressisti, quasi sempre in riferimento al Concilio Vaticano II, che sarebbe avversato dai primi per le sue innovazioni e, per gli stessi motivi, caro ai secondi. Se le cose stessero effettivamente così, i primi non avrebbero il diritto di chiamarsi o di essere definiti con quel termine e si porrebbero anzi fuori dalla Chiesa, com'è infatti accaduto ad alcuni gruppi a suo tempo scomunicati per tali motivi (per esempio il movimento di Lefebvre) e ora rientrati all'ovile. Un autentico tradizionalista accoglie tutta la tradizione, il Concilio Vaticano II come quello I e quello di Trento; può e deve condannare le colpe mondane della Chiesa, ma deve accettare integralmente il suo magistero, anche se può personalmente sentirsi più vicino a certi momenti che ad altri e apprezzare Giovanni XXIII più di Pio XII o viceversa. Il tradizionalismo, in realtà, nega la tradizione, la sua incessante, creativa vitalità. Lo scriveva anni fa Rodolfo Quadrelli, saggista e poeta la cui scomparsa ha mutilato la cultura italiana di una delle sue più libere intelligenze. Cattolico fervente, fieramente originale nelle sue posizioni e sempre fedele alla Chiesa, Quadrelli non era un intellettuale di destra, come talora si è detto (basterebbe pensare a ciò che ha scritto su Allende e sul delittuoso colpo di Stato in Cile), ma non era certo di sinistra e ha criticato spietatamente — con una lucidità intellettuale che gli ha permesso di cogliere in anticipo tanti aspetti involutivi della nostra società — la supponenza progressista, la secolarizzazione che appiattisce la vita, il conformismo laicista. La Tradizione — che egli amava e che scriveva con la maiuscola — era a suo avviso negata e vilipesa dai tradizionalisti che guardano al passato e solo al passato, come se lo spirito cristiano-cattolico si fosse esaurito dopo i primi secoli di vita della Chiesa e dunque quest'ultima non avesse successivamente più nulla da dire e potesse solo ripetersi. La Tradizione, egli diceva, è la creatività spirituale della Chiesa che non perde mai la sua freschezza sorgiva e la sua vitalità, bensì si accresce di continuo, senza rinnegare nulla del passato, ma aprendosi al presente e al futuro e rispondendo alle sempre nuove esigenze della storia dell'uomo, inserendole e integrandole nella sua unità e nella sua continuità. Il tradizionalista che si ferma al passato nega e offende la Chiesa e la sua cattolicità ovvero universalità, perché la considera di fatto una morta reliquia.
I cosiddetti «teocon» — termine alquanto infelice, da gergo di gruppuscolo o da complesso rock — possono capire poco di queste cose, perché in genere non hanno alcuna esperienza del Cristianesimo e del Cattolicesimo, non l'hanno frequentato e magari credono che l'Immacolata Concezione indichi la maternità verginale di Maria anziché il suo essere immune dal peccato originale.

Della Chiesa hanno un'immagine vagamente nobile e consolatoria, così come si sa che nell'induismo ci sono divinità raffigurate con molte teste e molte braccia. La stessa autodefinizione di «atei devoti» — in cui l'arrogante professione di ateismo vorrebbe darsi una patina di cinismo libertino settecentesco, come quello degli abati galanti dell'ancien régime
— non è la migliore premessa per occuparsi di cose di fede.
La laicità è altra cosa; non si contrappone alla religione e alla Chiesa, ma è la capacità di distinguere ciò che è oggetto di fede da ciò che è oggetto di dimostrazione razionale, ciò che compete allo Stato e ciò che compete alla Chiesa. Essa si contrappone al clericalismo intollerante come al laicismo intollerante; veri laici sono stati sia credenti e praticanti, quali ad esempio Jemolo, sia non credenti e non praticanti. Che il cristianesimo e, in Paesi come l'Italia, il cattolicesimo, costituiscano un punto fondamentale di riferimento anche per i non credenti e i non praticanti è ovvio, perché la Scrittura è, insieme alla tragedia greca, il più grande sguardo gettato nell'abisso della vita ed è una linfa e radice essenziale dell'universalità umana e della nostra civiltà in particolare.
I «teocon», come chiunque altro, hanno tutto il diritto di trarre dal loro atteggiamento verso la religione l'orientamento politico che credono e di operare politicamente secondo i loro principi e interessi. Ma né essi — né chi la pensa all'opposto — possono pretendere di tirare Dio dalla loro parte. Il Regno dei cieli, ha detto Cristo, non appartiene a coloro che gridano ostentatamente «Signore, Signore!». Quei reverendi (protestanti, in questo caso) che hanno visto nella strage dell'11 settembre la punizione di Dio per le colpe degli Stati Uniti e quelli che hanno invece salutato la vittoria elettorale di Bush come la volontà di Dio,
sono ben più blasfemi degli avvinazzati che sacramentano all'osteria e che sono forse meno lontani, sia pur da peccatori, dalla tradizione.
Nessuno può pretendere di tirare Dio dalla propria parte Gli «atei devoti» è meglio che non si occupino di cose di fede

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Caro diario, questo eccellente Magris va conservato qui, fra le tappe importanti del mio blog. L'argomento e' uno di quelli che tratto spesso, quasi una fissazione. Eppure ci sono innumerevoli altre cose di cui vorrei occuparmi, se questo strano (strano?) periodo storico non fosse cosi' 'blasfemamente' occupato dal nome di Dio, sacrilegamente usato a destra e a manca e al centro come arma politica. E i capi, sia i religiosi che i politici, sono responsabili di questa situazione che offende qualsiasi senso di autentica sacra religiosita'.


Nel suo blog il 'vecchio della montagna' sta facendo un 'Lungo viaggio intorno a Dio' ( e' arrivato alla sesta puntata). Non sempre sono d'accordo con lui, che comunque, vivaddio, non e' e non si atteggia a teologo. Da lui, pero', si respira buona aria di montagna e un senso del sacro umile e lieto. Tanto per disintossicarsi vale la pena di andare a vedere.



giovedì 8 giugno 2006

Spinoza


Tractatus Theologico-Politicus


continens


Dissertationes aliquot,


Quibus ostenditur Libertate Philosophandi non tantum salva Pietate, et Reipublicae Pace posse concedi: sed eandem nisi cum Pace Reipublicae, ipsaque Pietate tolli non posse.


[... alcune dissertazioni con le quali si mostra che la libertà di filosofare non solo può essere concessa salve restando la religione e la pace dello Stato, ma non può essere tolta se non insieme alla pace dello Stato e alla stessa religione]


Caro diario, ritorno al blog dopo alcuni giorni di avaria del modem e di meditazioni silenziose sulla confusione crescente in questi ultimi tempi. Ricomincio dal frontespizio del Trattato Teologico-Politico di Spinoza.

martedì 29 aprile 2003




... i lumi stanti - e que' ch'errando vanno



musica fanno.



Musica fanno per ogni confino,



dove il calor divino - il ciel dispiega,



ed Amor lega - tante luci, e muove



altronde altrove.



Tommaso Campanella