lunedì 9 marzo 2009

BERLUSCONISMO


Contro due fondamenti della civiltà democratica occidentale:


incisività delle indagini penali e libertà di stampa.


Posto un articolo di Carlo Federico Grosso per conservarlo qui. Comunque non  saprei trattare l'argomento con informazioni e conoscenze di questo livello. Quest'ennesimo attacco berlusconista a quella che io considero una società equa e libera grava nell'ennesima pagina di un diario che mai avrei voluto tenere. Di seguito, poi, posto un articolo di Vito Mancuso su libertà della ragione e fede. Pur nella diversità degli argomenti e dei contesti, il cardine è sempre il concetto di libertà. Ho suddiviso l'intero post in due spazi che corrispondono alle due ideologie imperanti oggi in Italia: berlusconismo e vaticanismo (come le chiamo io ormai da un po' di tempo).


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Intercettazioni, con la scusa degli abusi di C. F. Grosso


Domani la Camera dovrebbe iniziare la discussione in aula del disegno di legge sulle intercettazioni. Dopo una travagliata incubazione, nel corso della quale la stessa maggioranza si è divisa, sembra che sia stato raggiunto un accordo. Dovrebbe essere eliminato il previsto divieto di pubblicare ogni notizia sul contenuto delle indagini, anche di quelle nei confronti delle quali sia caduto il segreto. Le intercettazioni dovrebbero diventare possibili quando siano emersi «rilevanti» o «evidenti» indizi di colpevolezza a carico di qualcuno, senza che sia più necessario che essi siano addirittura «gravi».

Tali modificazioni migliorative sono, in realtà, briciole di fronte a ciò che il Parlamento si appresta a votare nel suo complesso. Perché, se davvero la riforma dovesse diventare legge, si determinerebbe un’involuzione grave nella qualità del nostro ordinamento. Risulterebbero intaccati quantomeno due capisaldi di civiltà: l’incisività delle indagini penali e la libertà di stampa.

Vediamo di riassumere i termini della questione, concentrando l’attenzione sui profili di maggiore impatto. Da un lato, la possibilità d’intercettare soltanto quando siano già emersi indizi di colpevolezza a carico di qualcuno (sono esenti da tale limitazione soltanto i reati di mafia e terrorismo).

Dall’altro, la previsione del carcere per i giornalisti rei di pubblicazioni vietate e la configurazione di pesanti sanzioni pecuniarie a carico degli editori dei giornali.

Il primo profilo interessa l’efficienza delle indagini penali. È noto che le intercettazioni costituiscono uno strumento importante di acquisizione probatoria. Esse sono, d’altronde, soprattutto utili all’inizio delle inchieste, quando gli autori non sono ancora stati individuati, si è aperto un processo contro ignoti e ci si deve orientare fra le diverse ipotesi investigative. La riforma prescrive, invece, di rinunciare al loro utilizzo fino a quando qualcuno risulti attinto da indizi di colpevolezza. Ma se sono già stati acquisiti tali indizi, che bisogno c’è più, molte volte, d’intercettare? D’altronde, quando le intercettazioni potranno essere finalmente disposte perché sono emersi presupposti di colpevolezza, che senso ha obbligare a interromperle, salvo casi assolutamente eccezionali, dopo soli due mesi? Il rischio di vanificare gli accertamenti in corso è, anche qui, evidente.

Il paradosso è che le forze politiche che hanno progettato questa caduta nell’incisività delle indagini sono le stesse che hanno posto a livello alto, nel loro programma, ordine e sicurezza. Nessuna di esse ha pensato che, così facendo, la sicurezza dei cittadini, invece, s’indebolisce fortemente anche con riferimento a delitti che li interessano direttamente, come lo stupro, il furto, la rapina?

Ma veniamo al secondo dei menzionati profili. L’accordo di maggioranza ha eliminato, quantomeno, l’ipotesi più clamorosa di attentato alla libertà di stampa originariamente previsto. Il ripristino della possibilità d’informare i cittadini quantomeno sull’essenzialità delle inchieste in corso non garantirà, certo, una informazione sempre dettagliata, o una spiegazione sempre esauriente di ciò che sta accadendo nei Palazzi di Giustizia. Quantomeno, l’informazione non sarà, peraltro, del tutto oscurata e un minimo di controllo sociale sull’attività della magistratura in fase di indagine sarà ancora possibile.

Sono rimasti, tuttavia, sostanzialmente intatti due diversi aspetti di potenziale impatto sul libero esercizio della stampa. Da un lato l’incremento del carcere previsto per i giornalisti che pubblicano notizie non pubblicabili, dall’altro la previsione di pesanti sanzioni pecuniarie a carico degli editori. L’incremento della previsione del carcere per i giornalisti possiede un’evidente finalità intimidatoria: attento, giornalista, a ciò che scrivi, è il messaggio, perché, prima o poi, finirai in galera. Le sanzioni pecuniarie che si vogliono introdurre a carico degli editori costituiscono una novità della quale, fino ad ora, pochi hanno denunciato i rischi.

Il disegno di legge introduce la responsabilità diretta dell’impresa editrice con riferimento al reato di pubblicazione arbitraria. Questa previsione determinerà costi rilevanti di organizzazione, imponendo la predisposizione di «modelli organizzativi» idonei a prevenire le infrazioni. Ma, soprattutto, renderà gli editori molto attenti a ciò che avviene nelle redazioni. Allo scopo di evitare che il direttore si lasci prendere la mano dall’ansia di pubblicare comunque la notizia, e li costringa a pagare esose sanzioni, useranno modi forti. Ma chi ci garantisce, a questo punto, che tali modi non serviranno, nella prassi, anche a coartare direttori e giornalisti sul terreno dell’indirizzo del giornale, della selezione dei servizi, della scelta dei temi da trattare? Risulterebbe intaccato, a questo punto, un altro dei principi sui quali si fonda la libertà di stampa, cioè l’autonomia del giornalista.

Si dirà, a questo punto, che le restrizioni delle intercettazioni e della stampa sono comunque necessarie di fronte agli abusi, gravi e ricorrenti, di magistratura e giornalismo. Troppi sono stati, nel passato, i privati intercettati, le violazioni della privatezza, le intercettazioni pubblicate, i mostri sbattuti sui giornali.

La mia idea è che gli abusi commessi, non discutibili, vengano comunque oggi enfatizzati a tutt’altro scopo. Che, con la scusa degli abusi (che è possibile rimuovere, si badi, con una ragionevole disciplina di accantonamento e distruzione delle intercettazioni che non interessano le indagini e di divieto di ogni loro divulgazione), qualcuno intenda, in realtà, perseguire l’obiettivo di indebolire, con un colpo solo, potere giudiziario e libera stampa. Due fastidi talvolta insopportabili per molti politici, dell’uno e dell’altro schieramento. (La Stampa, 9 marzo 2009)


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VATICANISMO


LA CHIESA E LA BIOETICA
NON C'E' FEDE SENZA LIBERTA'
di Vito Mancuso


LE GERARCHIE cattoliche sottolineano spesso che i loro interventi sui temi bioetici sono condotti sulla base della ragione e riguardano temi di pertinenza della ragione, legati alla vita di ognuno, non dei soli cristiani. Per questo, aggiungono, tali interventi non costituiscono un`ingerenza negli affari dello stato laico. Scrive per esempio il recente documento Dignitas personae che la sua-affermazione a proposito dello statuto dell`embrione è «riconoscibile come vera e conforme alla legge morale naturale dalla stessa ragione» e che quindi, in quanto tale, «dovrebbe essere alla base di ogni ordinamento giuridico».


Allo stesso modo molti politici cattolici rimarcano nei loro interventi sulle questioni bioetiche che parlano non in quanto cattolici ma in quanto cittadini. Va quindi preso atto che le posizioni cattoliche sulla bioetica, sia nel metodo sia nel contenuto, si propongono all`insegna della razionalità.


Se questo è vero, se si tratta davvero di argomenti di ragione per i quali «mestier non era parturir Maria» (Purgatorio 111,39), allora le posizioni della Chiesa gerarchica sulla bioetica sono perfettamente criticabili da ogni credente. L`esercizio della ragione è per definizione laico, non ha a che fare con l`obbedienza della fede e il principio di autorità.


Chi ragiona, convince o non convince per la forza delle argomentazioni, non per altro. Per questo vi sono non-credenti che approvano gli argomenti razionali delle gerarchie convinti dalla coerenza del ragionamento, per esempio gli atei devoti.


Ma sempre per questo vi sono credenti che, non convinti dal ragionamento, non approvano tutti gli argomenti razionali delle gerarchie ìn materia di bioetica. Deve essere chiaro quindi (se davvero la base dell`argomentazione magistenale è la ragione) che la posizione critica di alcuni credenti verso il magistero bioetico è del tutto legittima.


Se la gerarchia gradisce la convergenza degli atei devoti in base alla sola ragione, allo stesso modo, sempre in base alla sola ragione, deve accettare (se non proprio gradire) la divergenza di alcuni credenti, peraltro non così pochi e privi di autorevolezza.


Sempre che, ovviamente, le gerarchie non pensino che la razionalità valga solo "fuori" dalla Chiesa e non anche al suo interno, dove vale invece solo l`autorità, istituendo una specie di disciplina della doppia verità. E sempre che le medesime gerarchie amino davvero la razionalità e che il richiamarsi ad essa non sia invece un trucco tattico (come io credo non sia).


In realtà nessuno può chiedere obbedienza sugli argomenti di ragione perché l`obbedienza viene da sé, come di fronte a un risultato di aritmetica o a una norma morale fondamentale. Per questo io penso che agli argomenti di ragione occorrerebbe lasciare maggiore duttilità, visto che la ragione, da che mondo è mondo, esercita il dubbio, soppesai pro e i contro, e per questo vede grigio laddove invece altri (che non amano la calma della ragione ma forme più nervose di autorità) vedono solo bianco o solo nero. Intendo dire che proprio il richiamo alla ragione da parte delle gerarchie cattoliche dovrebbe indurre a una maggiore relatività del proprio punto di vista di fronte alla complessità dell`inizio e della fine della vita alle prese con le possibilità aperte dal progresso scientifico.


La cautela è tanto più auspicabile se si prende atto della storia. La Chiesa dei secoli scorsi infatti non è stata in grado di interpretare sapientemente l`evoluzione sociale e politica dell`occidente, finendo per condannare pressoché tutte quelle libertà democratiche che ora, invece, essa stessa riconosce: libertà di stampa, libertà dì coscienza, libertà religiosa e in genere i diritti delle democrazie liberali. Allo stesso modo, a mio avviso, le odierne posizioni della gerarchia corrono il rischio di non capire la rivoluzione in atto a livello biologico, respinta con una serie di intransigenti no, pericolosamente simili a quelli pronunciati in epoca preconciliare contro le libertà democratiche.


Ora io mi chiedo se tra cento anni i principi bioetici affermati oggi con granitica sicurezza dalla Chiesa saranno i medesimi, o se invece finiranno per essere rivisti comelo sono stati i princìpi della morale sociale.


Siamo sicuri che la fecondazione assistita (grazie alla quale sono venuti al mondo fino ad oggi più di 3 milionidîbambini, dicui centomilainltalia) sia contraria al volere di Dio? Siamo sicuri che l`uso del preservativo (grazie al quale ci si protegge dalle malattie infettive e si evitano aborti) sia contrario al volere di Dio? Siamo sicuri che il voler morire in modo naturale senza prolungate dipendenze da macchinari, compresi sondini nasogastrico, sia contrario al volere di Dio? E per fare due esempi concreti legati a precise persone: siamo sicuri che si sia interpretato bene il volere di Dio negando i funerali religiosi a Piergiorgio Welby perché rifiutatosi di continuare a vivere dopo anni legato a una macchina? E siamo sicuri che si sia interpretato il volere di Dio chiamando "boia" e "assassino" il signor Englaro, salvo poi aggiungere, non so con quale dignità, di pregare per lui? Mi chiedo se tra cento anni (espero anche prima) ipapi difenderanno il principio di autodeterminazione del singolo sullapropriavitabíologica, così come oggi difendono il principio di autodeterminazìonedel singolo sulla propria vita di fe de (la quale peraltro perla dottrina cattolica è sempre stata più importante della vita biologica). Se si riconosce alla persona la libertà di autodeterminarsi nel rapporto con Dio, come fa la Chiesa cattolica a partire dal Vaticano II, quale altro ambito si sottrae legittimamente al principio di autodeterminazione? Non ci possono essere dubb i a mio avviso che questo principio vada esteso anche al rapporto del singolo con la sua biologia.


I cattolici intransigenti che oggi parlano della libertà di autodeterminazione definendola "relativismo cristiano" dovrebbero estendere l`accusa al Vaticano II il quale afferma che «l`uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà» (Gaudium et spes 17). La realtà è che non è possibile nessuna adesione alla verìtà se non passando per la libertà. È del tutto chiaro per ogni credente che la libertà non è fine a se stessa, ma all`adesione al bene e al vero; ma è altrettanto chiaro che non si può dare adesione umana se non libera. Dalla libertà che decide non è possibile esimersi, e questo non è relativismo, ma è il cuore del giudizio morale. (La Repubblica, 9 marzo 2009)


 

2 commenti:

  1. mi viene un dubbio, non è che il disegno di legge sull'ampiamento urbanistico l'hanno pensato per addolcire gli arresti domiciliari, potevano rispolverare allora la vecchia "Gozzini" ... per loro però, senza sfinir la vita ai giornalisti, alimentando un pericoloso "stress" delle trasmissioni indirette.

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  2. In un post ho riportato alcuni passaggi di Mancuso sulla libertà:
    Libertà e necessità

    Cordiali saluti

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