mercoledì 24 dicembre 2003

Natale 2003 Qua...

Natale 2003



Quando Dio entra nella storia


Per questo Natale, giustizia. Non elemosina


di DON VINICIO ALBANESI*



È molto difficile mettere insieme i momenti di precarietà che attraversano la vita delle persone in questi ultimi tempi, con la gioia del messaggio di Natale che viene.




Abbiamo da sempre predicato la povertà, l'umiltà e la pochezza della vicenda di Betlemme: è come se d'improvviso fossimo oggi chiamati a vivere quella pochezza di mezzi in prima persona e non da spettatori, come in altri anni.




Essere lieti non è facile. Il lavoro che non c’è; la paura dei terrorismi vicini e lontani; la rabbia di lavoratori che non si sentono sufficientemente tutelati; il male che incombe nell'universo, nella nostra Italia, nelle famiglie, la solitudine triste e pericolosa. Una serie di circostanze che fa stare desti, in una gioia contenuta e non rilassata, perché forte è l'incertezza del futuro. Un momento di prova potremmo dire.




Eppure è il clima che hanno vissuto Maria e Giuseppe: l’invasore straniero, il viaggio precario, l’arrangiarsi per la nascita, la fuga in Egitto, la strage degli innocenti. Un po’ come viviamo oggi: nella precarietà del presente e del futuro, anche tra tragedie di morte e di guerre.
Quella nascita storica che ha dato i contenuti della nostra fede è partita dal gradino più basso della condizione umana, perché da quel gradino ripartisse la speranza. Non è difficile trarre insegnamenti, celebrando il Natale del Signore.




L’apprezzamento e il ringraziamento prima di tutto di quanto abbiamo: è molto, se paragonato alle condizioni di fame e di violenza sparse nel mondo. Il benessere che sembra svanire è ancora alto e diffuso, anche se non mancano zone d'ombra e di pericolo.
Ma forse l’insegnamento più bello viene dalle parole dell'evangelista Luca: «E all’improvviso ci fu con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nelle altezze e sulla terra pace agli uomini della sua benevolenza”» (Lc 2,14).




È l’auspicio della ricostruzione del giardino dissestato dal male, perché rifiorisca nella natura e nei suoi abitanti.
L’universo affidato alle creature deve poter risorgere, nel rispetto di ogni creatura animata e inanimata, nell’offrire occasioni perché ogni abitante della terra sia felice della vita da Dio concessa. Non può esistere Natale per chi è ripiegato su se stesso, pur preoccupato di sé e dei suoi. Non possono star bene solo coloro che hanno pelle bianca, sono cittadini riconosciuti, hanno lavoro, sono integrati, non sono vecchi, non sono malati.


È l'illusione di chi conta, salvo scoprire che i propri risparmi vanno in fumo, che i figli sono costretti ad emigrare, che le pensioni di vecchiaia sono insufficienti, che nessuno garantisce la tarda età.
Ogni qual volta si abbandona la giustizia e ritorna l'ombra dell'elemosina è come un'ombra di morte che copre la terra, non soltanto per coloro che sono costretti a chiederla, ma anche per coloro che si dichiarano disposti a concederla.




Il disegno di Dio è solare: figli e figlie destinati tutti a “godere” della vita, nell'equilibrio del rispetto, così che a ciascuno sia garantita la speranza di vita.




Il Natale ritorna non per rimproverare, ma per illuminare le menti e riscaldare i cuori, perché tutte le creature comprendano e capiscano qual è il disegno di Dio su ciascuno.




I momenti di difficoltà come questi servano dunque a “ripartire” negli slanci di idealità della vita. Il sole tornerà a splendere sulla terra, se i suoi abitanti sapranno rivedere in positivo le proprie intenzioni e azioni. Se riusciranno a superare paure, pregiudizi, inganni e ingiustizie.




Il segno del bambino è il segno della vita dignitosa che deve poter esplodere nella crescita e nella vita piena.


Dio fattosi uomo è la garanzia della sacralità del creato, nel rispetto della natura e delle creature: a ciascuno la risposta.



*Comunità di Capodarco


dal quotidiano EUROPA - 24 Dicembre 2003


postato da harmonia | 20:53 | commenti (1)
















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