Bariona o il figlio del tuono
Nel dicembre del 1940, prigioniero dei tedeschi, Jean Paul Sartre scrisse Bariona o il figlio del tuono, atto unico sulla Natività. E lui stesso interpretò la parte di Baldassarre.
Sono varie le situazioni da campo di concentramento. Ve ne sono di mentali, oppure di reali. E il risultato cambia. Si prenda Jean-Paul Sartre. È il maggio 1944 quando al teatro Vieux-Colombier di Parigi va in scena per la prima volta l’atto unico Huit-Clos. Porta Chiusa, nella versione italiana: a significare una condizione di prigionia, all’inferno, ove tre personaggi vivono una situazione in cui «il boia è ciascuno per gli altri due»; sino alla celebre espressione: «È questo dunque l’inferno? L’inferno, sono gli Altri». Quasi che, nella Parigi liberata dai nazisti, a cadere sia proprio la Speranza.
E sembrano passati anni luce dal dicembre 1940 quando, in condizione di reale cattività, chiuso nel campo di Treviri, ove è giunto a metà agosto, dopo essere stato catturato nel giugno precedente con la disfatta dell’esercito francese (e da dove riuscirà a fuggire nell’aprile 1941),
Sartre scrive Bariona o il figlio del tuono: un atto unico in sette quadri, nel corso del quale un suo singolare personaggio esclama:
«Tu soffri e pertanto il tuo dovere è di sperare. È per te che il Cristo è disceso sulla terra. Per te più che per qualsiasi altro, poiché soffri più di chiunque altro. È questa la Speranza. Guarda i prigionieri che sono davanti a te, che vivono nel fango e nel freddo. Sai quello che vedresti se potessi seguire la loro anima? E colline e i dolci meandri di un fiume e delle vigne e il sole del Sud, le loro vigne e il loro Sole. È laggiù che essi sono. E le vigne dorate di settembre, per un prigioniero intirizzito e coperto di parassiti, questa è la Speranza. La Speranza è il meglio di essi».
È Baldassarre, il re Magio nero, a parlare. Rivolto a Bariona, l’«uomo di colore dagli occhi di fuoco», capo d’un villaggio di vecchi dissanguato dalle tasse, dal quale i Romani pretendono un tributo ancora maggiore; e che decide per questo ennesimo sopruso di farsi «uomo di cattiva volontà».
E se, come sostiene, «la dignità dell’uomo è nella sua disperazione», dà corpo alla più cupa delle disperazioni: il villaggio cesserà di procreare, spopolando lentamente la zona come forma di ribellione.
E tutto andrebbe in quel senso se non si presentasse un angelo a invitare pastori e abitanti del villaggio a Betlemme, dove, dice, sta per nascere il Messia. E Bariona resta solo, lasciato anche dalla moglie Sara, incinta, a sua volta in cammino verso quella madre e quel bimbo simbolo di ogni maternità. Resta solo, Bariona: con negli occhi la visione del suo popolo sconvolto da questo Messia che morirà in croce, ma che proprio con questa morte affermerà la sua Buona Novella. Sennonché la sua immediata decisione di impedire tutto questo, uccidendo il Cristo, non solo si infrange sullo sguardo di Giuseppe in contemplazione del figlio, ma lo spinge a dedicarsi a quel neonato, minacciato dai soldati di Erode, andando coi suoi a combatterli e a morire, così consentendo alla sacra famiglia di potersi salvare. [ ... ]
Ermanno Paccagnini
"La Vergine è pallida e guarda il bambino. Ciò che bisognerebbe dipingere sul suo viso è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne, e il frutto del suo ventre. L'ha portato nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. E in certi momenti, la tentazione è così forte che dimentica che è Dio. Lo stringe tra le sue braccia e dice: piccolo mio! Ma in altri momenti, rimane interdetta e pensa: Dio è là e si sente presa da un orrore religioso per questo Dio muto, per questo bambino terrificante. Poiché tutte le madri sono così attratte a momenti davanti a questo frammento ribelle della loro carne che è il loro bambino e si sentono in esilio davanti a questa nuova vita che è stata fatta con la loro vita e che popolano di pensieri estranei. Ma nessun bambino è stato più crudelmente e più rapidamente strappato a sua madre poiché egli è Dio ed è oltre tutto ciò che lei può immaginare. Ed è una dura prova per una madre aver vergogna di sé e della sua condizione umana davanti a suo figlio. Ma penso che ci sono anche altri momenti, rapidi e difficili, in cui sente nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che è Dio. Lo guarda e pensa: "Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. E' fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. E' Dio e mi assomiglia. E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive."
J.P. Sartre, Bariona o il figlio del tuono. Racconto di Natale per cristiani e non credenti.
Straordinarie riflessioni, da meditare. Buon Natale harmonia, e grazie delle tante luci che accendi qui.
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