AHIMSA. Parola sanscrita che ho imparato da Gandhi. Vuol dire "innocenza" e "non violenza","impegno a non nuocere ad alcun essere vivente". AHIMSA. I miei obiettivi sono la ricerca, la conoscenza, la comunicazione e la condivisione di emozioni, idee, informazioni con altre "persone che cercano". L'altro mio blog è CONVIVIUM, il posto del banchetto.
martedì 30 novembre 2004
lunedì 29 novembre 2004
Marc Chagall, Il Violinista sul Tetto
IL VIOLINISTA SUL POSTO DI BLOCCO
di Moni Ovadia
Il violinista sul tetto è una delle icone più celebri della pittura di Marc Chagall. Quel povero suonatore in bilico rappresenta universalmente l’ebreo dell’esilio, la sua poetica spiritualità, la sua arte di vivere sospeso tra cielo e terra, la cui fede nell’uomo fragile che spasima per una redenzione messianica non è scossa dalle secolari vessazioni. La definizione dell’ebreo diasporico come un violinista sul tetto viene dal personaggio più famoso ed amato della letteratura yiddish, uscito dalla penna dello scrittore Sholem Aleychem, […]
Il rapporto fra l’ebreo e il violino è stato cantato in mille storie e storielle, la più celebre è attribuita al leggendario pianista Arthur Rubinstein: “Perché ci sono così tanti violinisti fra gli ebrei mentre i pianisti sono pochissimi? Avete mai provato a scappare nel cuore della notte con un pianoforte in spalla?”
Per secoli l’ebreo, in fuga dalle persecuzioni, scacciato dai decreti o dalle pressanti necessità di un’esistenza comunque difficile, ha portato con sé la piccola scatoletta magica per continuare ad esprimere la propria interiorità musicale.
Nel Novecento quel prezioso scrigno di suoni è diventato per i talenti ebraici un’ “arma” contro le discriminazioni. Il virtuoso Yasha Haifetz si esibiva davanti allo Zar, anche il super antisemita Nicola II Romanov non poteva esimersi dal rendere omaggio al genio musicale ebraico.
Pochi decenni più tardi neppure il violino avrebbe risparmiato all’odiato giudeo il suo tragico destino. Nel lager il violinista ebreo era costretto a “commentare” e a subire l’orrore.
Poco più di mezzo secolo è trascorso da quel tempo, da quelle immagini, e ieri sugli schermi della nostra televisione è apparso, nel telegiornale del pomeriggio di Rai 3, un breve filmato amatoriale che mostrava una scena imbarazzante:
Nrl gabbiotto di un check point dell’esercito israeliano nei territori occupati un militare in assetto di guerra imponeva ad un giovane violinista palestinese di estrarre il suo violino dalla custodia e di suonare per verificare che lo strumento non celasse un’arma o dell’esplosivo. […]
Quella sequenza di effetti tremolanti ha avuto un effetto shock su molti israeliani, così come le immagini della vecchia palestinese che cercava le sue masserizie fra le macerie della sua casa, dopo che i tank di Tsahal l’avevano distrutta, hanno sconvolto Tommy Lapid, ministro del governo Sharon, che in quella vecchia palestinese ha visto la propria nonna nella Polonia occupata dai nazisti.
Coloro che sostengono sempre e comunque le ragioni di questo governo israeliano si affretteranno a dire che si è trattato di un semplice controllo per prevenire gli attentati terroristi. E’ così ovviamente. Israele ha avuto mille morti per le bombe dei kamikaze palestinesi.
Ma quello che questi novelli zeloti non capiscono è che, l’immagine di un israeliano armato fino ai denti che intima di suonare il suo violino a un giovane palestinese “armato” solo di quello, ha un valore simbolico deflagrante.
I duemila anni di diaspora drammatica culminati nell’annientamento di milioni di ebrei non possono essere ricordati a senso unico. Essi ci parlano di un’identità profonda sorretta da valori etici. Per una simile identità è comunque immorale ed ingiusto occupare un altro popolo e costringerlo a subire continue e prolungate umiliazioni.
Questi episodi ci fanno capire che la dignità dei palestinesi come in dividi, come popolo e come nazione è preziosa per loro, ma è altrettanto preziosa per il futuro di Israele e dell’ebraismo, altrimenti non dovremo più scandalizzarci di vedere sempre meno violinisti sul tetto e sempre più violinisti sul posto di blocco.
Da MALA TEMPORA di Moni Ovadia, L'UNITA', sabato 27 novembre 2004
Foto da Peacelink
giovedì 25 novembre 2004
Ho sentito la notizia al TG3 delle 19. Sapevo di questa ennesima infamia. Pensavo, da stupida, che non l'avrebbero approvata. L'hanno fatto. Quelli là, al Senato, l'hanno fatto. Un parlamento analogo a quello sovietico. Putin non è l'uomo sovietico che il liftato ama e ammira più di ogni altro al mondo, dopo l'uomo orante di nome George W. Bush? Giornalisti, occhi chiusi! |
di Paolo Serventi Longhi La libertà dell'informazione è ancora una variabile del tutto dipendente dalla volontà dei potenti di turno, oggi la maggioranza che sorregge con qualche difficoltà il governo presieduto da Silvio Berlusconi. Ormai, i quotidiani sono costretti a dedicare intere pagine ai tentativi di soffocare la libertà di espressione, di aggredire il ruolo del servizio pubblico, di condizionare i media. Ne parleremo da domani (da lunedì ndr) nel congresso della federazione nazionale della stampa a Saint Vincent. La politica internazionale dell'Italia, insieme ai problemi che riguardano direttamente o indirettamente le aziende del premier, rappresenta un terreno sul quale non è consentito agli organi di informazione italiani di allargarsi troppo. L'ultima trovata, davvero offensiva non solo per la libera informazione ma anche per la democrazia, è la proposta di legge approvata dal Senato per estendere alle cosiddette "missioni di pace" il codice penale militare. Una "riforma" della quale non si sentiva davvero la necessità, come tante altre varate recentemente dal parlamento. Le modifiche alla legge in vigore sono di varia natura, opinabili come tutto quello che riguarda la definizione degli obblighi militari e civili nel momento in cui si parla di "missioni". |
Ciò riguarda i militari e quindi azioni belliche, mentre si dimentica l'impegno costituzionale ad evitare che il nostro paese sia coinvolto in qualsivoglia forma di intervento militare. Ma la cosiddetta riforma del codice penale riesce ad andare aldilà dello stesso articolo 11 della Costituzione. Si propone infatti di definire per legge, in un paese democratico, nato dalla lotta di liberazione, di abrogare il diritto-dovere dei giornalisti di raccontare quello che accade quando l'Italia è impegnata militarmente, anche in "missioni di pace". La legge approvata dal Senato estende le norme del codice stesso alle missioni come quella italiana in Iraq, a Nassirya. Gli inviati e i corrispondenti che seguono la missione stessa rischiano di vedersi applicare le sanzioni per chi fa informazione in caso di guerra, e cioè l'arresto e la detenzione fino a cinque anni. E così, l'Italia che ripudia la guerra, impegnata solo a portare la pace, punisce i giornalisti che raccontano le vicende di questa iniziativa "pacifica". In sostanza, li obbliga a raccontare solo quello che vogliono far sapere i comandi militari, impedendo di fatto la ricerca della verità, l'analisi dei fatti, il racconto degli eventi. Una censura che non si conosceva nel nostro paese dalla fine del ventennio fascista, una minaccia che pesa non solo e non tanto sui giornalisti, che rischiano la galera, ma su tutti i cittadini a cui è negato il diritto di conoscere la realtà. Con tanti saluti per la conclamata volontà della maggioranza e del governo di cancellare il rischio del carcere per i giornalisti che fanno il loro mestiere. Si eliminano le pene detentive dal novero delle sanzioni previste dalla legge sulla diffamazione, e le si fa rientrare dalla finestra di una brutta legge su un poco credibile codice penale militare. Paolo Serventi Longhi Fonte: http://www.liberazione.it/giornale/041121/R_PEZZO.asp |
Thanksgiving
Avevo voglia di parlare della Festa del Ringraziamento oggi, per sentirmi vicina a persone care negli Stati Uniti, ma non speravo di trovare un piattino già pronto con tutte le notizie del caso (non essendo una festa della nostra tradizione, dimentico sempre dei particolari) sul La Stampa di oggi.
Dopo un inverno di privazioni, nella primavera del 1621 arrivò l'abbondanza
Il Thanksgiving nacque tra i pionieri per rendere grazie a Dio
E' del 1863 la consacrazione di Lincoln
Quando nel 1620 i pionieri della Mayflower attraversarono l'Atlantico, sbarcarono sulle scogliere di un territorio che fino ad allora era stato abitato solo da poche centinaia di pellerossa della tribù dei Wampanoag. Il primo anno fu molto duro. I pionieri vivevano in ripari di emergenza e il cibo scarseggiava.
Quasi la metà dei pionieri non sopravvisse all'inverno. Con l'arrivo della primavera del 1621 la situazione migliorò. Grano, frutta e verdura abbondavano. Per l'inverno i coloni riuscirono a mettere sotto sale del pesce e ad affumicare della carne.
Il governatore dei coloni William Bradford indisse così un giorno di ringraziamento a Dio per l'abbondanza ricevuta. Nei decenni successivi i coloni sporadicamente celebrarono un giorno di ringraziamento.
Ma risale al 29 giugno 1676 quella che viene considerata la prima proclamazione del Thanksgiving, redatta da Edward Rawson per conto del governatore della contea di Charlestown, in Massachusetts, che aveva deciso di indire un giorno di ringraziamento per la buona sorte di cui godeva la comunità e per celebrare la vittoria contro gli «indigeni pagani», cioè gli indiani senza cui la colonia stessa non sarebbe esistita.
Nei secoli successivi la tradizione del Thanksgiving si estese a tutto il Paese. Nel 1777 fu indetto per festeggiare la vittoria contro gli inglesi a Saratoga nella guerra per l'indipendenza.
George Washington proclamò una giornata nazionale di ringraziamento nel 1789, ma allora i Puritani erano divenuti una delle tante sette americane. E oltretutto in via di estinzione.
Molti risero dell'idea, a cominciare da Thomas Jefferson, che da presidente non vi diede alcun seguito.Nel 1817 toccò allo Stato di New York A metà del diciannovesimo secolo il Thanksgiving are diffuso nella maggior parte del territorio americano. Nel 1863 arrivò la consacrazione definitiva da parte del presidente Abraham Lincoln.
Da allora ogni presidente ha proclamato anno per anno un giorno di Thanksgiving, non sempre lo stesso ma sempre in novembre, che serve anche a lanciare la stagione delle feste di fine anno e dello shopping natalizio. Nel 1941 il Congresso la proclamò festa legale, il quarto giovedì di ogni mese di novembre, e da allora è un'istituzione.
Con il Thanksgiving gli Americani festeggiano l'esistenza stessa della nazione, toccano con mano il loro mito fondatore, rinnovano la certezza di essere segnati dal destino. Qui rivedono mentalmente la profezia della «città sulla collina» dei puritani, la città simbolica che avrebbe dovuto essere un faro di bontà e di rettitudine per il mondo intero.
Agli Americani auguro di trovare il coraggio e l'energia per far cambiare rotta all'amministrazione appena eletta (eletta?) e per affermare virtù e valori condivisi nel mondo. Voglio evitare polemiche banali sulla storia passata e sulle motivazioni di questa festa agli inizi dell'avventura di quegli antichi Europei, perché allora erano altri tempi, c'erano altre ideologie sia politiche che religiose. Voglio guardare all'oggi. Certo non mi piace questo 'oggi', ma ci sono numerosissime persone negli States che hanno idee di pace e giustizia, e a loro auguro di riuscire a superare la spaccatura tra le due Americhe. Il neoeletto non cambia rotta, perciò Americane e Americani hanno bisogno di sostegno e auguri.
Lascio la parola all'editoriale del NEW YORK TIMES di oggi, quarto giovedì di novembre del 2004.
The Thanks We Give
Published: November 25, 2004
t's not the turkey alone we're grateful for. Not the cranberry sauce or the stuffing or even the pumpkin pie. Some of the people seated at the table are strangers - friends of friends, cousins of in-laws - and some are almost desperately familiar, faces we live and work with every day.
In any other week, today would merely be Thursday and the gathering of all these people - the cooking and serving and cleaning - a chore. But today it doesn't feel that way. The host - perhaps it's you - stands up and asks that we give thanks, and we do, each in our own way. And what we're thankful for is simply this, the food, the shelter, the company and, above all, the sense of belonging.
As holidays go, Thanksgiving is in some ways the most philosophical. Today we try not to take for granted the things we almost always take for granted. We try, if only in that brief pause before the eating begins, to see through the well-worn patterns of our lives to what lies behind them. In other words, we try to understand how very rich we are, whether we feel very rich or not. Today is one of the few times most Americans consciously set desire aside, if only because desire is incompatible with the gratitude - not to mention the abundance - that Thanksgiving summons.
It's tempting to think that one Thanksgiving is pretty much like another, except for differences in the guest list and the recipes. But it isn't true. This is always a feast about where we are now. Thanksgiving reflects the complexion of the year we're in. Some years it feels buoyant, almost jubilant in nature. Other years it seems marked by a conspicuous humility uncommon in the calendar of American emotions.
And this year? We will probably remember this Thanksgiving as a banquet of mixed emotions. This is, after all, a profoundly American holiday. The undertow of business as usual seems especially strong this year. The shadow of a war and misgivings over the future loom in the minds of many of us. Most years we enjoy the privacy of Thanksgiving, but this year, somehow, the holiday feels like part of a public effort to remember and reclaim for ourselves what it means to be American.
That means giving thanks for some fundamental principles that should be honored every day of the year in the life of this nation - principles of generosity, tolerance and inclusion. This is a feast that no one should be turned away from. The abundance of the food piled on the table should signify that there is plenty for all, plenty to be shared. The welcome we feel makes sense only if we also extend it to others.
fonti:
http://www.lastampa.it/Speciali/11%20settembre/ringraziamento/storia.asp
mercoledì 24 novembre 2004
'Life Interrupted'
Compound Teresa in February 2001 with her children Aaron, 10, and Mavis, 8, three months before she died at the age of 34. "When she was ill, we swept the house, washed the clothes and fetched water," recalls Aaron today. "We liked looking after her because she was our mother." When Aaron first saw this photograph of his mother, he was overcome. It now has pride of place in a frame on the dresser. Nkwazi compound, Ndola, Zambia 2004. |
Hope Antiretroviral drug treatment has brought Charlie back to life. It has made it possible for her to raise her daughter Khanya. Here they sit side by side, reading in Khanya's school. Access to antiretroviral treatment, she says, "means that I am able to work and can continue with my life and look after my children." Khayelitsha township, Cape Town, South Africa, 2004 |
by Don McCullin, photographer
Fonte: http://news.bbc.co.uk/1/hi/health/3984995.stm [ 24 November, 2004, 03:16 GMT ]
Avere presente la tragedia per realizzare la speranza.
martedì 23 novembre 2004
Lo Studente Giapponese
Primo giorno di scuola in una scuola Americana.
La maestra presenta alla classe un nuovo compagno arrivato in USA da
pochi giorni:
Sakiro Suzuki (figlio di un alto dirigente della Sony).
Inizia la lezione e la maestra dice alla classe:
"Adesso facciamo una prova di cultura. Vediamo se conoscete bene la
storia americana.
Chi disse: "Datemi la libertà o datemi la morte"?"
La classe tace, ma Suzuki alza la mano.
"Davvero lo sai, Suzuki? Allora dillo tu ai tuoi compagni!"
"Fu Patrick Henry nel 1775 a Philadelphia!"
"Molto bene, bravo Suzuki!"
"E chi disse:
"Il governo è il popolo, il popolo non deve scomparire nel nulla"?"
Di nuovo Suzuki in piedi.
"Abraham Lincoln nel 1863 a Washington!"
La maestra stupita allora si rivolge alla classe:
"Ragazzi, vergognatevi, Suzuki è giapponese, è appena arrivato nel
nostro paese e conosce meglio la nostra storia di voi che ci siete
nati!
Si sente una voce bassa bassa:
"Vaffanculo 'sti bastardi giapponesi!"
"Chi ha detto questo?" - Esclama la maestra.
Suzuki alza la mano e senza attendere risponde:
"Il generale Mac Arthur nel 1942 presso il Canale di Panama e Lee
Jacocca nel 1982 alla riunione del Consiglio di Amministrazione della
General Motors a Detroit."
La classe ammutolisce, ma si sente una voce dal fondo dire:
"Mi viene da vomitare!"
"Voglio sapere chi è stato a dire questo!!" Urla la maestra.
Suzuki risponde al volo:
"George Bush Senior rivolgendosi al Primo Ministro Giapponese Tanaka
durante il pranzo in suo onore nella residenza imperiale a Tokyo nel
1991"
Uno dei ragazzi allora si alza ed esclama scazzato:
"Succhiamelo!"
"Adesso basta! Chi è stato a dire questo??" Urla la maestra.
Suzuki risponde imperterrito:
"Bill Clinton a Monica Lewinsky nel 1997 a Washington, nello Studio
Ovale della Casa Bianca.
Un altro ragazzo si alza e urla:
"Suzuki del cazzo!"
E Suzuki:
"Valentino Rossi rivolgendosi a Ryo al Gran Premio del Sudafrica nel
Febbraio 2002!"
La classe esplode in urla di isteria, la maestra sviene.
Si spalanca la porta ed entra il preside:
"Cazzo! Non ho mai visto un casino simile!"
"Silvio Berlusconi, Ottobre 2002 nel sua villa di Arcore dopo aver
visto i conti di quel coglione di Tremonti"
:-))))
.
lunedì 22 novembre 2004
PeaceReporter, il sito di informazione collegato a Emergency, ha una sezione dedicata alle buone notizie. Oggi ne hanno pubblicata una particolarmente buona. E' una prova della possibilità concreta di attuare pacificazioni difficili, anche molto difficili. E' un progetto realistico di convivenza pacifica positiva e produttiva.
SCUOLA DI PACE
In Libano, tra mille problemi, un segnale di tolleranza e convivenza.
Una scuola dove cristiani e musulmani vivono e studiano fianco a fianco.
Una delle caratteristiche dei conflitti dell'era moderna è quella che difficilmente si riesce a scrivere la parola fine, anche quando le bombe smettono di cadere e i fucili di sparare. Un esempio in questo senso è il Libano. Il Paese dei Cedri è stato sconvolto da una sanguinosa guerra civile dal 1975 al 1990. Più di 100 mila persone morirono per il conflitto che vedeva una contro l'altra l'anima cristiana e quella musulmana del Paese.
http://bloggerscontroguerra.splinder.com/1099393081#3289643
I Libanesi sono per il 60 per cento musulmani e per il 40 per cento cristiani, con rappresentanze di tutte le confessioni conosciute delle due grandi religioni madre. Uno dei retaggi della guerra è il sottilissimo equilibrio politico che garantisce la pace: il Presidente della repubblica è un rappresentante della comunità cristiano-maronita, il Primo Ministro è esponente dei musulmani sunniti e il Presidente del Parlamento è un musulmano sciita. ... CONTINUA
http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=0&idart=436
Per richiudere ricordo l'opera di Emergency e la necessità di dare un aiuto.
domenica 21 novembre 2004
Il coraggio e la giustizia
Dunque l’Avvocatura dello Stato vuole dimostrare che la legge non è per qualcuno meno uguale e ritiene che l’imputato Silvio Berlusconi, accusato di corruzione di un giudice, anzi di due, Verde e Squillante, sia responsabile e debba pagare un risarcimento. E c’è il caso davvero «stravagante» che l’avvocato della presidenza del Consiglio è contro il presidente del Consiglio. Altro che conflitto di interessi: il Cavaliere bada ai suoi. Vale anche per lui il principio che tutti vanno considerati, fino alla condanna, innocenti, il che però non comporta anche il dovere dei cittadini a rassegnarsi alla parte dei fessi. Ma come si fa ad accusare la dottoressa Boccassini, processo Sme, di persecuzione giudiziaria? Perché, onorevole Berlusconi, scusi l’insistenza, non si mette un momento da parte, permettendo alla magistratura di procedere normalmente?
In quanto alla signora Ilda Boccassini, ricordo che, volontariamente, andò in Sicilia a scoprire i responsabili delle stragi nelle quali morirono Falcone e Borsellino, dando un duro colpo alla mafia. E allora tutti ammirarono il suo coraggio.
Oggi il pubblico ministero Boccassini ha chiesto per il primo ministro, a nome della pubblica accusa, otto anni senza attenuanti e la perpetua interdizione dai pubblici uffici: come mai non è più quella donna coraggiosa ma una persecutrice? E l’avvocato dello Stato, Salvemini (che bel nome), che chiede il risarcimento di 1,1 milioni di euro non è credibile perché è stato nominato dal governo D’Alema? Ma che Paese sarebbe mai questo dove sulle piazze si vendono candele per aiutare Telefono Azzurro che si occupa dei bambini poveri (2 milioni) e assiste impavido a certe molto discutibili manovre?
ENZO BIAGI
da "Corriere della Sera"
Il coraggio e l'etica
Agata D'Amore è la madre di Maria Grazia Cutuli, la giornalista Italiana assassinata in Afghanistan insieme ad altri tre colleghi.
«Siamo contrari alla pena di morte. Non abbiamo mai pensato che chi ha ucciso Maria Grazia potesse essere condannato alla pena capitale: questo non ci avrebbe ridato nostra figlia». Così Agata D'Amore commenta la condanna a morte inflitta all'assassino della figlia.
«Ci rimettiamo a quello che la giustizia crede di fare e ai magistrati italiani, che ritengo vogliano interrogarlo, ma da cristiani siamo sempre stati contrari alla pena di morte». da "Corriere della Sera"
La guerra dei mondi
di Herbert George Wells
"Alla fine del secolo XIX nessuno avrebbe creduto che le cose della terra fossero acutamente e attentamente osservate da intelligenze superiori a quelle degli uomini e tuttavia, come queste, mortali; che l'umanità intenta alle proprie faccende venisse scrutata e studiata, quasi forse con la stessa minuzia con cui un uomo potrebbe scrutare al microscopio le creature effimere che brulicano e si moltiplicano in una goccia d'acqua." [ E' l'incipit del romanzo ]
"E noi uomini, le creature che abitano questa terra, dobbiamo essere per loro tanto estranei ed infimi quanto per noi lo sono le scimmie e i lemuri. Intellettualmente, l'uomo già ammette che la vita è una lotta incessante per l'esistenza, e si direbbe che identica sia l'opinione delle intelligenze su Marte. Il loro mondo è molto avanti nel suo corso di raffreddamento, e il nostro mondo è ancora pieno di vita, ma soltanto della vita di coloro che essi considerano come animali inferiori. Portare guerra a chi sta più vicino al sole è in realtà il loro unico scampo dalla distruzione che, decennio dopo decennio, li sta stringendo in una morsa.
Prima di giudicarli troppo severamente, dobbiamo ricordare quale spietata e completa distruzione la nostra specie ha compiuto, non solamente di animali, come lo scomparso bisonte e il dodo, ma delle stesse razze inferiori.
I Tasmaniani, nonostante le loro sembianze umane, furono completamente annientati in una guerra di sterminio sostenuta dagli immigrati europei per ben cinquant'anni. Siamo dunque apostoli di misericordia tali da lamentarci se i marziani combatterono con lo stesso spirito?
(...) Abbiamo imparato che ci è impossibile considerare il nostro pianeta come una fortezza e una dimora sicura per l'uomo: non potremo mai prevedere quali beni o quali mali invisibili possano improvvisamente piovere su di noi dallo spazio.
Può anche darsi che, nell'ampia orbita dell'universo, quest'invasione da Marte non sia stata del tutto improvvida per gli uomini.
Ci ha privato di quella serena fiducia nel futuro che è la più fertile sorgente di decadenza; ha portato alla scienza umana un enorme impulso e ha contribuito moltissimo al concetto di fratellanza del genere umano. Può darsi che, attraverso lo spazio, i marziani abbiano seguito il destino di questi loro pionieri e, appresa la lezione degli eventi, abbia trovato su Venere una sistemazione più sicura. Comunque, per molti anni ancora non ci sarà sosta nell'attenta sorveglianza del disco di Marte, e quelle frecce del cielo, le stelle cadenti, apporteranno con la loro scia luminosa un'inevitabile apprensione a tutti gli uomini.
Lo sviluppo del pensiero umano che è risultato da questa guerra merita di essere magnificato. Prima che cadessero i cilindri, era persuasione generale che in tutta l'infinita immensità dello spazio non esistesse altra vita all'infuori di quella che pullula sulla piccola superficie della nostra minuscola sfera. Adesso vediamo più lontano. Se i marziani possono raggiungere Venere, non c'è motivo di credere che questo sia impossibile agli uomini, e quando il lento raffreddamento del sole renderà inabitabile questo pianeta, come è inevitabile, può darsi che la vita che è cominciata qui si proietti attraverso lo spazio e si prolunghi nel pianeta fratello. Dovremo conquistarlo?
Oscura e meravigliosa è la visione che ho evocata nella mia mente, della vita che lentamente si sprigiona da questa piccola serra del sistema solare attraverso l'inanimata vastità dello spazio siderale.
Ma è un sogno lontano. Può darsi, d'altra parte, che la distruzione dei marziani sia soltano differita. A loro, forse, e non a noi è destinato il futuro.
Devo confessare che la tensione e il pericolo di quel periodo hanno lasciato nella mia mente un persistente senso di dubbio e di insicurezza.
Sto seduto nel mio studio, intento a scrivere sotto la lampada, e d'improvviso rivedo la vallata, sotto di me, che comincia ad essere di nuovo fertile, cosparsa di fiamme serpeggianti, e sento le case dietro e inorno a me vuote e desolate.
Esco in Byfleet Road, e, mentre mi vedo sorpassare dai veicoli, un garzone in un carro, una carrozza piena di turisti, un operaio in bicicletta, bambini che vanno a scuola...
d'improvviso tutti costoro diventano vaghi e irreali, e io torno ad affrettarmi con l'artigliere attraverso l'ardente silenzio colmo d'angoscia.
Di notte vedo la polvere nera che oscura le strade silenziose, e i cadaveri contorti avvolti in quel sudario; si drizzano davanti a me laceri e sfigurati dai morsi dei cani. Mi insultano, e si fanno sempre più torvi, più pallidi, più cattivi, sino a diventare distorte immagini di umanità, e io mi sveglio, agghiacciato e stravolto, nell'ombra della notte. ...
Più strano di tutto è poter tenere ancora la mano di mia moglie, e pensare che io l'ho considerata, e lei mi ha considerato, tra i morti."
Dalla guerra dei mondi a
La guerra dei mille anni
articolo di Alain Gresh
«Barbarie» e «civiltà», «miscredenti» e «credenti», George W. Bush e Osama bin Laden vorrebbero far credere che il mondo è diviso in due, tra «loro» e «noi». Con il pretesto della guerra contro il terrorismo, l'Occidente sembra pronto a impegnarsi in un conflitto planetario. Eppure, sebbene al Qaeda sia un pericolo reale (si veda alle pagine 10 e 11), non costituisce certo una «minaccia strategica», politico-militare della stessa natura del comunismo. La visione di uno «scontro di civiltà» serve a mobilitare le opinioni contro l'Altro, a giustificare il disordine stabilito; essa permette di legittimare le disuguaglianze e le ingiustizie in forza di un pericolo multiforme. Già alla fine del 19mo secolo, il terrorismo anarchico era servito da spettro ai dominanti per tentare di sedare le rivolte operaie (pagine 12 e 13). Dai tempi di Herbert George Wells - e anche prima - rifiutando questi schemi o rendendoli paradossali, certe opere di fiction permettono di comprendere meglio il mondo in cui viviamo e aiutano a rifiutare la logica di una guerra dei mille anni.
Alain Gresh
L'Iraq brucia. Le conseguenze dell'arroganza della grande potenza Usa e della sua ignoranza di quanto riguarda quel territorio sono ormai sotto gli occhi di tutti: Falluja somiglia ben poco a una città del Texas, e meno ancora a Marsiglia o Tolone nel 1944, al momento della liberazione. Ma a un livello più profondo, questo smacco è la conseguenza diretta del concetto di «guerra contro il terrorismo» lanciato dal presidente George W. Bush l'indomani dell'11 settembre 2001. ...
[ http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Settembre-2004/0409lm01.01.html ]
[
Herbert George Wells (Bromley, Kent, 11 settembre 1886 - Londra, 13 agosto 1946)
Alain Gresh. «Vivono ormai in Terra Santa due popoli, uno israeliano, l'altro palestinese. Si può sognare, come fanno alcuni intellettuali palestinesi e israeliani, che un solo stato possa riunirli; è una bella utopia... E, comunque sia, nessuna soluzione potrà essere imposta in modo unilaterale né ai palestinesi né agli israeliani». [da: Israele, Palestina di Gresh, Einaudi 2004 ]
Alain Gresh è redattore capo del “Monde Diplomatique” ed esperto di Medio Oriente.
Ma, attenzione!, ecco come Ilaria Colombo recensisce il suo libro "L'Islam, la Republique et le monde" (Fayard, 439 pp.,20 euro).
"A leggere l’ultimo libro di Alain Gresh, redattore capo del “Monde Diplomatique” ed esperto di medio oriente (“L’Islam, la Republique et le monde”, Fayard, 439 pp., 20 euro) in occidente siamo tutti islamofobi. L’autore è un giornalista egiziano di cultura francese, nato da genitori militanti comunisti, madre ebrea russa e padre egiziano antisionista. La Francia altermondialista ha salutato in questo saggio la capacità di smontare finalmente la tesi dell’islam come minaccia, allo stesso tempo interna ed esterna per l’occidente." ... continua ... e conclude: "Verrebbe da rispondergli con le parole pronunciate il 29 marzo 1883, alla Sorbona da Ernest Renan: “L’islam è l’unione indiscernibile di spirituale e temporale, è il regno del dogma, è la catena più pesante che l’umanità abbia mai portato” ".
[ http://www.informazionecorretta.com/showPage.php?template=Libri&id=109 ]
Problemi complessi e ragionamenti ancora più complessi. Temi, idee, valuatazioni si intrecciano e a un tempo scappano da tutte le parti. E sembra che sia impossibile raccapezzarsi.
Queste letture domenicali, prima dei lavori di cucito e di cucina, hanno contribuito a mantenere in buona salute bisogno di conoscenza e connessa necessità di dubbio. Per arrivare dove? Non alla verità assolutaconsolanterassicurante, ma a una qualche comprensione dei mondi nel nostro mondo. Però mi gira la testa e mi viene da piangere. h
La guerra dei mondi, 1991 Mursia Fonte: http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Settembre-2004/0409lm13.02.html ]Alla fine del XIX secolo, quando l'impero britannico ha raggiunto il massimo della potenza, La guerra dei mondi di Herbert George Wells evoca la fragilità della civiltà occidentale, che rischia di scomparire all'improvviso per l'invasione dei marziani. Il romanzo, che si ispira alle teorie darwiniste della lotta per lo spazio vitale, sarà più volte adattato per lo schermo.
sabato 20 novembre 2004
Quindicesimo anniversario dell'approvazione all'ONU della
Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia
Un documento fondamentale, uno strumento insostituibile per eliminare i crimini contro le bambine e i bamini. Il quadro fornito dall'UNICEF è desolante, ci ricorda le grandi e le piccole responsabilità, le colpe collettive e quelle individuali, il dovere dell'impegno e della non rassegnazione.
The big picture
What issues are addressed under child protection?
A lack of protection affects children in many different situations.
Children deprived of their primary caregiver: In Central and Eastern Europe alone, almost 1.5 million children live in public care. Globally, an estimated 13 million children are orphaned as a result of AIDS alone.
Juvenile justice: More than 1 million children worldwide live in detention as a result of coming into conflict with the law.
Forced and bonded child labour: Approximately 246 million children work, with about 180 million engaged in the worst forms of child labour.
Trafficking of children: An estimated 1.2 million children are trafficked every year.
Sexual exploitation of children: 2 million children are believed to be exploited through prostitution and pornography.
Children in armed conflict: At any given time over 300,000 child soldiers, some as young as eight, are exploited in armed conflicts in over 30 countries around the world. More than 2 million children are estimated to have died as a direct result of armed conflict since 1990.
Female genital mutilation/cutting: An estimated 100 to 130 million women and girls alive today have undergone some form of genital mutilation/cutting.
Violence: 40 million children below the age of 15 suffer from abuse and neglect and require health and social care.
Fonte: http://www.unicef.org/protection/index_bigpicture.html
La religione dei ricchi |
Non si può certo dire che il "progetto Bush" non abbia precedenti: esso è, infatti, la ripetizione quasi fedele di un’altra ideologia: il puritanesino del XVII secolo. Ossessione dei terroristi, dell'omosessualità, la feroce punizione delle devianze dalla morale, la critica del sostegno pubblico ai poveri: sostituite i vestiti neri con quelli grigi, e i personaggi sembrano usciti direttamente dall’America di Bush. “Se Bush vince”, sosteneva la scrittrice statunitense Barbara Probst Solomon poco prima delle elezioni, “negli Stati Uniti il fascismo sarà una realtà possibile” (1). La fede cieca in un leader, una classe lavorativa conservatrice e l’uso della paura come arma politica ne rappresentano i presupposti necessari. George Monbiot è un giornalista e ambientalista britannico. Importante il suo libro "L'era del consenso - Manifesto per un nuovo ordine mondiale". Se ne parla in: http://notizie.virgilio.it/slow_news/049/ . Richard Henry Tawney. Disinteressato e sdegnoso nemico dell'inequality sociale come sanno essere solo i rampolli inglesi di illustri famiglie, rigoroso fino al moralismo, riformista,radical e laburista, R. H. Tawney ha lottato tutta la vita contro l'ingiusta divisione tra chi comanda perchè ricco e che esegue perchè povero. In tempi di privatizzazioni selvagge, vale la pena di ricordare un grande nazionalizzatore. [ http://www.nextonline.it/archivio/07/25.htm ] Ronan Bennett, HAVOC IN ITS THIRD YEAR (Bloomsbury, pp.243): bel romanzo storico, ambientato in una piccola città inglese del Seicento governata in modo repressivo. The Observer. (In Italia Bennett è pubblicato da Minimum Fax.) [ http://www.usalibri.it/settembre04.htm ]
Sull'uso della religione in politica a fini politici e di potere, "Che Dio condanni l'America. Briciole di saggezza dal Vecchio testamento" di Robert Jensen (in questo blog: mercoldì, 10 Novembre 2004) |
giovedì 18 novembre 2004
I MAPUCHE
«Petu Mogelein», siamo ancora vivi
MAPUCHE significa 'Uomo della terra ', e sulla terra si fondano la vita, la cultura, il sostentamento dei Mapuche.
La terra dei Mapuche si trova in parte in Cile, in parte in Argentina. Sono 1,5 milioni in Cile e 200:000 in Argentina. Parlano il Mapudugun (=linguaggio della terra) e lo Spagnolo. Sono una minoranza non riconosciuta, ma dal 1993 fanno parte dell'U.N.P.O (United Nations People).
STORIA DEI MAPUCHE
500 Anni fa dei cacciatori chiamati "spaniards" attrversarono l’oceano alla ricerca di un nuovo mondo, il Sud America. Lasciarono dietro di loro una scia di sangue e distruzione dominando tutti i popoli indigeni che incontrarono sul loro cammino. Tutti eccetto gli indiani Mapuche del Cile meridionale e precisamente della regione dell’Araucacia (o Araucania). [continua: http://www.cisi.unito.it/eidetica/riscatto/mapuche.htm#STORIA]
CULTURA E CIVILTA' MAPUCHE
La religión profundamente espiritual que mezcla dogmas cristianos con ideas más místicas. A los ojos del pueblo mapuche, el mundo está perfectamente equilibrado entre Ngenechen, dios de la vida, la creación y el amor, y Wekufu, dios de la muerte y la destrucción. A este último los mapuches atribuyen la llegada de los españoles, quienes, en busca de oro, esclavizaron a los indígenas, invadieron sus territorios y causaron destrucción y sufrimiento. (dal sito: http://www.cholchol.org/es_mapuche.php)
MAPUCHE E BENETTON
Chi ha ucciso Margaret Hassan? |
di Robert Fisk da The Independent |
Dopo il dolore, lo stupore, il cuore distrutto, l'indignazione e la rabbia per l'apparente uccisione di una donna tanto buona e santa, questa è la domanda che i suoi amici - e, con ogni probabilità, i ribelli iracheni - si stanno facendo.
Questa donna angloirlandese aveva un passaporto iracheno. Aveva vissuto 30 anni in Iraq, dedicando la sua vita al benessere degli iracheni bisognosi. Detestava le sanzioni dell'ONU e si oppose all'invasione angloamericana.
Dunque, chi ha ucciso Margaret Hassan?
Naturalmente chi di noi la conosceva rifletterà ora riguardo alle atroci implicazioni del video (inviato ad Al Jazeera ieri e in cui viene apparentemente mostrata la sua esecuzione).
Suo marito crede all'evidenza della sua morte.
Se Margaret Hassan può essere sequestrata e assassinata, quanto ancora possiamo cadere nel profondo abisso dell' Iraq?
Non ci sono barriere nè frontiere per l'immoralità. Quanto vale l'innocenza nell'anarchia che abbiamo portato in Iraq? La risposta è semplice: nulla.
Ricordo Margaret mentre discuteva con medici e camionisti, quando le venne affidato l'incarico di trasportare un carico di medicine per bambini iracheni ricoverati per cancro nel 1998. Sorrideva, li persuadeva e supplicava affinchè quei medicinali per la leucemia arrivassero a Bassora e Mosul.
Non le sarebbe piaciuto essere chiamata angelo- a Margaret non piacevano i clichè. Anzi, voglio scrivere "non ama i clichè". Veramente abbiamo il diritto di dire che è morta?
Verso i burocrati e i leader occidentali che questo martedì esprimeranno indignazione e dolore per la sua morte, lei non provava nient'altro che disprezzo.
Si, sapeva i rischi che correva. Margaret Hassan era cosciente che molte donne irachene erano state sequestrate, violentate, rapite per ottenere un riscatto o uccise dalla mafia di Bagdhad. Visto che è una donna occidentale - la prima donna occidentale sequestrata e uccisa - ci dimentichiamo quante donne irachene hanno patito questo terribile destino; si dice poco di loro, in un mondo che conta solo soldati americani morti e non fa caso alle vittime che hanno la pelle più scura, occhi più neri e una religione differente, quelli che sosteniamo di aver liberato.
Ora ricordiamo i primi video. Margaret Hassan piange. Margaret Hassan si dispera e qualcuno le bagna la faccia con dell'acqua per farla ritornare in sè. Margaret Hassan piange di nuovo, implora che la Guardia Nera sia ritirata dal fiume Eufrate. Dietro a queste terribili immagini non c'erano le solite bandiere islamiche. Non c'erano i soliti uomini armati e incappucciati. Non c'erano nastri che recitavano il Corano.
E quando a Falluja e Ramadi si diffuse la notizia, il solo fatto di sequestrare Margaret Hassan fu considerato quasi un atto di eresia e tutti i gruppi di resistenza - il messaggio era totalmente sincero - chiesero la sua liberazione.
Fece lo stesso, incredibile, Abu Musab al-Zarqawi, l'uomo di al Qaeda accusato falsamente dagli Stati Uniti di capeggiare l'insurrezione irachena, ma che in definitiva è coinvolto nel sequestro e nella decapitazione di stranieri.
Altre donne sequestrate - le due operatrici umanitarie italiane, per esempio - sono state liberate subito quando i rapitori hanno riconosciuto la loro innocenza. Ma questo non è accaduto con Margaret Hassan, che parlava arabo fluentemente e che poteva spiegare ai suoi carcerieri il lavoro che faceva.
Quest'anno è apparso un video misterioso: uomini armati promettevano di catturare Zarqawi, accusato di essere "anti-iracheno" e, nel frattempo, si riferivano all'esercito con cortesia chiamandolo "le forze di coalizione". Subito questo video è stato battezzato come "il nastro di Allawi". Cioè, il nome dell'ex agente CIA ed ex membro del partito Ba'ath che gli americani nominarono "primo ministro ad interim" dell'Iraq. Lo stesso Allawi che ha annunciato che non sono morti civili a Falluja.
Se qualcuno dubitava della natura assassina degli insorti, quale miglior prova della sua pervasività che mostrare l'evidenza dell'assassinio di Margert Hassan? Quale modo più avventato per dimostrare al mondo che gli Stati Uniti e l'esercito di Allawi lottano contro il "male" a Falluja e in altre città irachene?
No, certamente non possiamo dire che il governo di Allawi sia coinvolto nella morte di Margaret Hassan. Non perchè tutta Badghad crede che il "primo ministro ad interim" abbia ucciso sette prigionieri nel commissariato di Amariya giusto prima di assumere il potere - cosa che egli nega - ciò deve suggerire che abbia avuto qualcosa a che vedere con un fatto tanto terribile. L'Iraq, dopo tutto, è inondato da oltre 20 gruppi ribelli e anche da bande rivali di criminali che cercano di estorcere denaro dai rapimenti
Tuttavia, qualcuno deve rispondere a questa domanda: chi ha ucciso Margaret Hassan?
© 2004 The Star & Independent Online
Fonte: http://www.commondreams.org/views04/1117-29.htm
Traduzione a cura di Nuovi Mondi Media
Avrebbe gioito Margaret Hassan nel sapere che
27/10 Kifry, iraq: A circa tre ore di macchina da Sulaimaniya, dirigendosi verso sud e attraversando colline e ampie pianure desertiche, si trova la cittadina di Kifry. Oggi è giorno di "supervisione" per i nostri FAP di Kifry, Kalar e Derbandikan, tutti e tre situati nell’estrema lingua meridionale del Kurdistan, a ridosso di quella che era la linea del fronte con l’Iraq fino a pochi mesi fa. Da questi FAP sono arrivati molti feriti tra la fine di marzo e il mese di aprile: civili soprattutto, colpiti da fuoco di artiglieria o dall’esplosione di infide mine nuove posate accanto a quelle vecchie. Ma in realtà la nostra "missione" oggi è anche un’altra: avere notizie della piccola Shadan, il ferito più giovane che Emergency abbia mai ricoverato nei suoi ospedali quando, a soli 30 giorni di vita, era stata ferita insieme alla madre da schegge di artiglieria.
Fonte: http://www1.emergency.it/mdgidp/storia.php?id=47