sabato 17 aprile 2004

Con l' Africa  nel Cuore



 «L’Africa è un immenso continente, nel quale oggi si sta giocando una buona parte del destino del nostro pianeta. In Africa la comunità internazionale è chiamata ad affrontare problemi e situazioni intollerabili, per qualsiasi persona abbia a cuore le sorti di tutta l’umanità. La fame, le guerre, le malattie fanno molte più vittime di quante hanno fatto, in Europa, le due guerre mondiali del secolo appena trascorso, e questo perché non c’è risposta a bisogni fondamentali e primari dell’uomo: un bicchiere d’acqua, un pezzo di pane, un semplice medicinale».



Inizia così l’appello che lancia la manifestazione nazionale Italia Africa 2004, tre giorni di dibattiti e impegno a Roma che culmineranno in un grande concerto in piazza del Popolo, immenso e prezioso salotto della città.


Il programma della manifestazione può essere trovato a questo indirizzo o scaricato qui in formato RTF, che può essere letto con qualsiasi programma di scrittura. Il momento clou è il grande corteo che partirà sabato 17 alle ore 15 da piazza Barberini a Roma, per concludersi a piazza del Popolo dove si terrà il concerto al quale parteciperanno, tra gli altri, Youssou N'dour, Max Gazzè, Daniele Silvestri, Paola Turci, Riccardo Sinigallia.





papekanoute.jpg (12747 byte) pape siriman kanoute e la sua Kora offrono una musica bellissima


Sudan/ Un milione in fuga dal Darfur
di Toni Fontana

 «Per il presidente Bush è tempo di dire un parola per fermare la strage, quanto sta accadendo in Sudan rappresenta un test morale per la comunità internazionale che deve decidere se accettare, come dieci anni fa, un altro genocidio». Per parlare della nuova e drammatica emergenza che si è affacciata in Africa, nelle regioni del Sudan che confinano con il Ciad, occorre partire da Washington. In una corrispondenza dal Ciad, pubblicata dal New York Times, Nicholas Kristof, si chiede e chiede e Bush se la Casa Bianca intende far qualcosa per bloccare i massacri attuati dall’esercito sudanese e dalle milizie Janjaweed nella regione del Darfur dove un milione di profughi, cacciati dai villaggi attaccati e incendiati dai soldati di Khartoum, sta fuggendo attraversando regioni desertiche dove la morte per fame è in agguato.



Nel vicino Ciad, meta di molte carovane di sfollati, vi sono già 110-120mila sudanesi che hanno trovato assistenza solo grazie all’arrivo di coraggiosi team di Medici senza frontiere. Molti osservatori ed autorevoli commentatori evocano lo spettro del genocidio avvenuto dieci anni fa in Ruanda e si rivolgono a Bush che pochi giorni fa, ricorda il New York Times, ha avuto un colloquio telefonico con il presidente sudanese Omar Bashir.


Da allora però la Casa Bianca ha evitato di commentare pubblicamente quanto accade nella regione occidentale del Sudan. Ma sul fatto che gli Stati Uniti abbiano il potere di intervenire non vi sono dubbi. La guerra affligge da moltissimi anni questo paese africano, produttore di petrolio e, almeno fino ad alcuni anni fa, santuario del terrorismo internazionale. Il conflitto tra il nord arabo e musulmano e le regioni del sud animiste e cristiane, dura dalla fine degli anni ottanta.


Il regime di Khartoum, sostenuto dalle predicazioni di Hassan al-Tourabi, poi caduto in disgrazia, ha fatto della sharia la legge dello stato e attuato feroci repressioni in special modo contro le popolazioni Nuba che popolano le regioni
centro-orientali del paese.
La guerra con i movimenti del sud, in particolare l’Spla, hanno provocato centinaia di migliaia di morti e la fuga di milioni di profughi. Negli ultimi anni, anche grazie all’azione diplomatica degli Stati Uniti, la guerriglia del sud ed il governo hanno negoziato un accordo per porre fine al conflitto, anche John Garang, uno dei principali leader della ribellione cristiano-animista, si è seduto ad un tavolo con i capi di Khartoum per negoziare la spartizione delle grandi ricchezze del paese.


Ma, mentre si affacciava la conclusione di una guerra pluridecennale, è scoppiata la ribellione nel Darfur popolata da musulmani. Il Sudan Liberation Movement ed il Justice and Equality Movement, animano la guerriglia nella regione di frontiera dove sono state conquistate alcune enclaves. La risposta del regime islamico sudanese è stata durissima. Su ordine del presidente Omar Bashir i caccia bombardieri hanno sganciato un diluvio di bombe sui villaggi. Centinaia di migliaia di persone sono state obbligate alla fuga. Le testimonianze dei pochi volontari che hanno raggiunto il Darfur sono drammatiche. «La prima volta che siamo arrivati a Mornay - dicono un logista ed un’infermiera di Medici senza frontiere appena rientrati da questa città del Darfur - abbiano visto villaggi bruciati, molte persone che cercavano di fuggire lungo la strada. Alcuni, in particolare gli anziani ed i più giovani che non riuscivano a camminare, venivano lasciati indietro». «Abbiamo accolto 80 feriti - raccontano i volontari di Msf - tra cui bambini ai quali abbiamo dovuto prestare cure di urgenza. Molti presentavano ferite da arma da fuoco».


Secondo il New York Times sono almeno mille ogni settimana le vittime dell’esplosione di violenza nel Sudan occidentale. I destini di questa grande massa di sfollati appaiono nella mani di Bush. La Casa Bianca ha stretto patti segreti con i capi di Khartoum. Dopo aver abbandonato i bombardamenti mirati (1998, attacco missilistico dopo gli attentati anti-Usa in Africa) Bush ha cercato di ammorbidire il regime islamico sudanese con promesse e aperture di credito. Per questo il New York Times invita il presidente a rivelare il contenuto della conversazione telefonica con Bashir. Ma il capo della Casa Bianca «non ha detto nulla pubblicamente» facendo nascere il sospetto che, per ragioni geopolitiche, abbia più o meno tacitamente approvato il programma del suo omologo sudanese: «schiacciare la ribellione». (da L' UNITA', 17 Aprile 2004)


A dire il vero, questa chiamata in causa di Bush non l'ho capita, anche se sembra che lui dovrebbe avere qualche carta vincente, con facilità. Cercherò di informarmi. Ma davvero assisteremo ancora una volta, praticamente in diretta a un genocidio o comunque a un enorme massacro? h


1 commento:

  1. Harmonia. La real-politik statunitense tiene poco in conto le ragioni umanitarie. Bush è disposto a scendere a patti anche col diavolo se ciò favorisce la sua causa. Un affettuoso abbraccio. Alain

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