lunedì 17 marzo 2008


   Un volto (vecchio) della politica e dell'informazione (o disinformazione?).


"Ti saluto novello Mosè, sì Mosè, perché Aronne era sacerdote, Mosè invece era un laico... Così l'arcivescovo di Benevento, Andrea Murgione, si è rivolto all'antiabortista Giuliano Ferrara." (L'Espresso, 20 marzo 2008, pag. 26)


[ Giuliano Ferrara: due o tre cose sui suoi percorsi [ PCI. PSI. Centro Destra. Vaticano ]


Alle informazioni date da Ferrara sul caso di Genova si contrappone il reportage di Concita De Gregorio. Io mi fido di Concita. Non mi fido del signore che ha cambiato ideologia e capo più volte, non perché non si possa cambiare, ma perché il suddetto signore pretende che ogni volta cambino anche tutti gli altri insieme a lui. E, inoltre, ho la fastidiosa sensazione che si stia divertendo un mondo: com'è attraente la figura del "martire" (testimone)! Non è lui lo stesso giornalista che ha sostenuto il guerrafondaio Bush (con annesse torture), accusando alla sua maniera violenta di antiamericanismo chiunque sostenesse le ragioni della pace? Ha fatto autocritica o continua a disinteressarsi delle vittime della guerra, bambini e bambine comprese? (non è una domanda retorica, non lo so per davvero). Assurdamente, non mi sembra che  si stia affrontando la tragedia dell'aborto. Troppo forte l'odore di caccia alle streghe, e non solo l'odore, a giudicare dai manifesti e dagli slogan.  Comunque, io mi fido di Concita, fino a prova contraria.


La gogna di Genova
per gli aborti proibiti


di CONCITA DE GREGORIO




<B>La gogna di Genova<br>per gli aborti proibiti</B>



I manifesti della lista di Giuliano Ferrara a Genova


GENOVA - Sì è vero, questa sembra una storia di piani alti. Di ipocrisia e di menzogna: un suicidio per la vergogna, otto imbarazzi da eliminare in fretta e di nascosto, pagando e senza dire niente a casa. Uno scenario di palazzetti ottocenteschi coi capitelli di marmo, di grattacieli e di condomini esclusivi con le grate alle finestre e il citofono che non porta cognomi ma numeri. Suonare al quattro, chiedere del dottore. "Centro polifunzionale" c'è scritto fuori dalla porta dello studio dove si abortiva a Rapallo, undicesimo piano del grattacielo.

Polifunzionale, che vuol dire? Poi però vai a vedere da vicino e l'insegna alla porta è attaccata storta con la colla, l'ascensore è rivestito di formica come le cucine economiche degli anni Cinquanta, il cemento del palazzo è rosso di ruggine che cola, al piano terra c'è la Upim. Un posto sdrucito, un brutto posto. L'altro studio, quello a Genova in centro, sembra austero ma è sciatto: pareti scrostate, scale sporche. Un posto grigio, un palazzo di uffici qualunque.

È tutto così, opaco e difficile da mettere a fuoco: i luoghi e le storie. Si è detto "una faccenda della Genova bene". Signore agiate e annoiate che abortivano a pagamento nello studio del medico famoso, obiettore in pubblico e compiacente in privato, cinquecento o mille euro e via il fastidio. Bovary di provincia tradite da una distrazione dell'amante. Commesse che non volevano avere nausee nell'imminente viaggio alle Maldive. Starlette televisive che eliminano il figlio per partecipare al prossimo show. Ecco di seguito i manifesti del nuovo partito di Giuliano Ferrara, difatti: "Genova, bimbo abortito per un reality show". Ecco lo slogan da affiggere alle pareti dei palazzi del centro e delle cliniche incriminate: "Abort macht frei", l'aborto rende liberi, Genova la nuova Auschwitz.


Genova la capitale dell'aborto clandestino, un suicidio e otto aborti facili da sbandierare in una campagna elettorale che non si fa scrupoli. Del resto il capitano dei Nas che ha avviato le indagini l'ha chiamata "operazione Erode". Era ottobre dell'anno scorso, la moratoria di Ferrara non c'entra: il titolo è stata un'idea sua e non è difficile immaginare cosa abbia pensato Ermanno Rossi il ginecologo quando ha letto l'intestazione del fascicolo. La strage degli innocenti. Erode in questa storia chi è?

La realtà però sa essere più complessa degli slogan. Non ci sono Bovary né commesse in procinto di andare alle Maldive fra le otto donne indagate per aver abortito: tutte entro i 90 giorni ma fuori dall'ospedale pubblico come la legge prevede. Non c'è nemmeno la starlette che doveva andare al reality show. Susanna Torretta era la giovane amica della contessa Agusta, testimone della sua morte nella villa di Portofino. Ha avuto qualche momento di notorietà televisiva, ha partecipato all'Isola dei famosi nel 2003. Oggi vive a Rapallo, è impiegata in una profumeria, ha 37 anni.

"Non è bastato che si sia buttato di sotto il dottore, vogliono che mi ci butti anche io. Questo è un linciaggio ma non ce la faranno. Hanno inseguito mia madre fino dentro al supermercato, ieri sera si è sentita male. I miei nipoti piangono mi chiedono cosa ho fatto. Una pressione micidiale. Il dottor Rossi era il mio ginecologo da 12 anni. Una persona magnifica, mi fidavo ciecamente. Se mi avesse detto prendi l'arsenico per il mal di pancia lo avrei preso. L'ho chiamato sabato per un appuntamento, sono stata sentita dal magistrato perché ero nella sua agenda. Sono anni che non faccio tv e non ho in programma di farne più: è una storia passata. Se quella dei manifesti sono io dico che questa è istigazione al suicidio. Non ho abortito per andare in tv e se qualcuno mi chiede cosa sono andata a fare dal mio ginecologo rispondo che sono fatti miei. Sono a posto con la mia coscienza".

"Tirano fuori la storia della contessa ma io non sono mai stata incriminata per la sua morte, ero una sua amica, non ho avuto niente in eredità. Sono dieci anni che mi mettono alla gogna. Alla domanda se ho abortito o no non rispondo, è vergognoso farla. Però le dico: molte persone non sanno che quel che si può fare in ospedale è vietato in un ambulatorio. Se lei deve fare un'ecografia può aspettare sei mesi in ospedale o andare il giorno dopo da un privato e pagare duecento euro. È una colpa? Oppure è vero che si dovrebbe anche, e non si può, poter andare in ospedale in tempi decenti? Rossi non c'è più. Ha pagato lui. Quelli che strillano sono gente che libera i criminali e lapida le persone per bene".

La seconda donna indagata, la presunta Bovary amante di un uomo sposato, è una ventottenne di Sestri Levante. È andata a Rapallo perché quello era il suo medico. Anche lei non sapeva, dice, che abortire in un centro privato fosse illegittimo. "Col mio ragazzo è finita. Quando ho scoperto di essere incinta non me la sono sentita. Abbiamo rotto molto male, soffro già abbastanza, non credo di dovere spiegare a nessuno. Scusatemi". Rossi non le ha fatto pagare niente, dice. Solo la visita.

La terza è l'assistente del medico. La quarta una donna di 35 anni, impiegata in un'azienda privata, madre di due figli. "Sono stata senza lavorare otto anni, da quando è nato il mio primo figlio finora. Avevo ricominciato da sei mesi con un contratto di collaborazione. Mi hanno detto subito che non me lo avrebbero rinnovato se fossi rimasta incinta. Il mio secondo figlio è piccolo. Non ce la facevo, non ce la faccio a restare un'altra volta senza lavoro. Mio marito mi ha accompagnata dal medico. Era d'accordo". La quinta e la sesta sono le due donne che hanno subito un raschiamento nella clinica delle suore, villa Serena: ufficialmente un raschiamento dopo un aborto spontaneo, le indagini diranno. Delle ultime due donne nulla si sa. C'è il medico, poi.

Ermanno Rossi - ginecologo del Gaslini, ospedale cattolico dove non si praticano aborti - lunedì sera dopo aver subito la perquisizione dei Nas è tornato a cena a casa, a Genova. Un condominio rosa in fondo a una strada senza uscita, grate alle finestre e numeri al citofono. Ha pranzato con la moglie, avvocato, e col figlio undicenne. Alle nove è uscito ancora, è tornato allo studio di Rapallo. È salito da solo nell'ascensore di formica, ha aperto la porta con l'insegna storta. Ha mandato un sms alla moglie: "Le chiavi della macchina sono in garage, dentro la borsa rossa quella che non ti piace. Scusa di tutto". Poi ha aperto la finestra dell'undicesimo piano e si è buttato.

Da qui di sotto, nel vicolo, si vedono solo - piccoli come giocattoli - i cassonetti dell'immondizia circondati da una grata. Si è buttato sulla spazzatura. Per cadere dall'undicesimo piano ci vuole molto tempo, quasi dieci secondi. Bisogna contare per capire. Stamani attaccati ai cassonetti ci sono sette mazzi di fiori, tutti bianchi. Un biglietto dice "Grazie Ermanno". Suo cognato, Pietro Tuo, è primario al Gaslini. "Non so se Ermanno fosse obiettore, non ne abbiamo mai parlato. Non ricordo se vent'anni o più fa, per prendere servizio in quell'ospedale, avessimo dovuto firmare un documento. Davvero non ricordo ma non mi pare. Non si pone il problema, al Gaslini le interruzioni non si fanno e basta. Escludo che Ermanno ne facesse in ambulatorio per denaro. Non ne aveva bisogno. So per certo che parlava molto con le sue pazienti e che le aveva a cuore una per una. L'inchiesta dirà quel che deve. D'altra parte, operazione Erode, lei capisce...".

Le donne incriminate, avendo tutte abortito nei termini di legge, rischiano 51 euro di multa. Ermanno Rossi, se fosse vivo, avrebbe dovuto rispondere di un illecito che prevede come pena massima tre anni. Avrebbe forse perso il lavoro al Gaslini, a discrezione della direzione sanitaria. Avrebbe anche dovuto spiegare a suo figlio, prima o poi, chi fosse Erode. Il magistrato che indaga, Sabrina Monteverde, spiega che questo è il filone secondario di un'inchiesta più ampia "sui medici genovesi". Agli aborti si è arrivati per caso, nessuna denuncia del Movimento per la vita: una semplice intercettazione e si è aperto il nuovo fascicolo. E l'inchiesta principale di che tratta? Tangenti, favori, traffici illeciti, cosa? È ancora presto, nessun commento: serve tempo.

Nell'ufficio accanto, in Procura, ci sono i fascicoli su Bolzaneto. In quello più in là c'è il magistrato che si occupa della corruzione al porto. Di aborti a Genova nessuno parla volentieri: un tema minore. Giusto il nuovo sindaco, Marta Vincenzi, aveva denunciato mesi fa la lentezza degli ospedali pubblici e il gran numero di obiettori di coscienza. I due ospedali principali sono della Curia, del resto. Oggi poi è sabato e si va a passeggio in centro, ci si distrae. Nell'antico caffè accanto alla cattedrale una coppia di coniugi discute col barista. "Quel pover'uomo", dice lui. "E poi basterebbe che le donne stessero più attente invece di pensarci dopo", dice lei. Che le donne stessero più attente, e arrivederci che comincia la messa. [ La Repubblica, 16 marzo 2008. QUI ]
 


 


4 commenti:

  1. Tra Concita, Giornalista con la G maiuscola e donna consapevole, e le smargiassate del Ferrara, dettata forse dalla sola voglia di stupire, credo che qualunque persona in buona fede, ed intellettualmente onesta, sceglierebbe e sottoscriverebbe le parole della prima.

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  2. Oggi a padova una manifestazione contro Ferrara:
    http://www.corriere.it/politica/08_marzo_16/giuliano_ferrara_aborto_politica_9f29947c-f390-11dc-a3d7-0003ba99c667.shtml

    Ferrara: un insulto vivente...

    Ciao cara!
    Ros

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  3. ...non ho parole..mi sembra di essere tornata indietro di anni..anzi peggio...^^

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  4. ma quali sono le differenze tra i fatti raccontati da ferrara e in questo articolo? io non ne vedo di sostanziali. la descrizione della de gregorio conferma gli illeciti, e il fatto che la 194 non piaccia alla de gregorio nel punto in cui vieta aborti fuori degli ospedali non cambia la sostanza.
    poi dalle interviste fatte alle donne si capisce anche che i motivi per cui hanno abortito non erano legati alla loro salute, ma a questioni economiche o di relazione col partner. il che mi pare abbastanza per una assoluta riprovazione morale, se non per una revisione della legge che in casi come questi mostra il suo fallimento.
    bart1

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