Abraham Bet Yehoshua
Yehoshua è uno dei più conosciuti e apprezzati scrittori Israeliani contemporanei. E' uno dei promotori del Patto per la Pace tra Israeliani e Palestinesi siglato a Ginevra l'1 Dicembre 2003. In un'intervista dell'11 Settembre 2004 ha affrontato alcuni dei temi e dei problemi più drammatici di questi nostri giorni.
Da Israele all'Iraq. Dall'Ossezia del Nord all'Indonesia. L'offensiva scatenata dal terrorismo globale ha innescato una quarta guerra mondiale?
«Purtroppo, mi trovo d'accordo con l'idea - che è ormai un fatto acclarato - del terrorismo come pericolo che incombe su ogni parte del mondo. Per ironia della sorte, ero in Russia nei giorni della strage nella scuola di Beslan. Senza toccare l'aspetto politico e concentrando l'attenzione su un piano umano e individuale, posso dire, da israeliano, che mi sono sentito quasi "a casa". I controlli delle forze di polizia nei luoghi pubblici, gli sguardi delle persone che scrutavano attorno a sé per scorgere in tempo il pericolo; i giornali aperti nelle pagine dove dominava il rosso del sangue dei civili inermi, dei bambini di Beslan vittime di un terrorismo senza più limiti. Ho respirato angoscia e sgomento. Dolore e rabbia. La stessa che ogni israeliano ha provato dopo l'esplosione di un autobus a Haifa, Tel Aviv, Gerusalemme, Beersheva…. Nessuno oggi è immune da questo senso asfissiante di insicurezza, neppure quelle nazioni - come Stati Uniti, Russia, Francia…- che si pensavano invulnerabili per la loro iperpotenza militare e per i loro legami internazionali.
Per quanto riguarda invece l'idea di Quarta guerra mondiale, non mi trovo assolutamente d'accordo. Non posso e non voglio accettarla.
Io penso che ci siano conflitti locali che hanno scelto il terrorismo come strumento di lotta, delle "paludi" che vanno bonificate con una opera che si cura di risolvere i problemi di ognuno separatamente. Purtroppo queste "paludi" si sono estese a tal punto che talvolta si creano dei collegamenti fra alcune di queste; ma i problemi di una non sono i problemi dell'altra: il terrorismo colpisce in tutto il mondo ma i problemi sono locali e non globali.
Il terrorismo palestinese è legato alla nostra area e al nostro conflitto; così il terrorismo in Iraq e quello in Cecenia.
Rimarcare il carattere globale del terrorismo non deve servire da giustificazione per non cercare una soluzione equa, politica dei conflitti locali, come quello israelo-palestinese o ceceno; né la minaccia terrorista può fungere da alibi per legittimare politici e politiche che in nome dell'emergenza-terrorismo fanno spregio dei più elementari diritti umani e delle libertà individuali e collettive».
In ogni caso - anche se i problemi locali che originano il terrorismo islamista sono diversi - c'è molto in comune fra loro: aspirazioni nazionali, situazioni discriminanti, povertà e disperazione.
«Ha ragione. E il risultato di tutto ciò è complesso e la sua soluzione - se vogliamo - lo è ancora di più.
E questo perché è difficile, anche se indispensabile, distinguere i problemi - ai quali bisogna trovare una soluzione attraverso il dialogo - e lo strumento del terrorismo, che va combattuto e rifiutato con tutte le forze.
Su questo, prima di ogni altra cosa, i governi del mondo devono trovarsi d'accordo: risolvere da una parte le ingiustizie che sono la fonte dei problemi e dall'altra parte contrastare e fermare l'espansione di queste "paludi" prima che si colleghino una con l'altra e rendano impossibile la vita nel mondo. Una condanna netta, inequivocabile, senza appello dello "strumento-terrorismo" non deve impedirci di indagare sulle cause che alimentano i terrorismi locali.
Riflettere su queste cause non è un cedimento ai terroristi, non è una loro indiretta legittimazione, ma è la presa d'atto che solo eliminando queste cause saremo in grado di sconfiggere questo nemico spietato.
La sconfitta del terrorismo passa attraverso un uso ponderato, saggio, di più strumenti: politici, economici, militari.
Assolutizzare uno solo di questi strumenti ci condanna all'impotenza anche se mascherata dall'uso della forza. Allo stesso tempo, però, non si può escludere a priori, come fosse un male in sé, lo strumento militare: la politica può servire a isolare i terroristi, ma a piegarli sarà alla fine l'unico linguaggio che essi comprendono: quello della forza.
Se guardo alla mia realtà, se penso al conflitto israelo-palestinese, ritengo ancor oggi valido l'approccio che ebbe Yitzhak Rabin:
trattare come se il terrorismo non esistesse, combattere il terrorismo come se non ci fossero trattative».
Ma come si può passare dalle parole ai fatti? Cosa deve fare ciascuno di noi?
«Può fare molto.
Innanzitutto influendo sui governi affinché si muovano verso il dialogo.
Ma al di là di ogni strumento politico o militare che sia messo in campo dai governi, la soluzione potrà venire soltanto dai popoli, e qui mi riferisco in particolare ai popoli fra i quali il terrorismo si genera e si riproduce.
Se spetta a noi il compito di presentare e spiegare i motivi che devono convincere questi popoli a delegittimare l'uso del terrorismo, è altrettanto vero che solo un'azione dall'interno di questi popoli potrà definitivamente sradicare questo cancro dal loro interno. Fin quando non sorgeranno e insorgeranno figure e leader che convincano questi popoli ad espellere dal loro interno il terrorismo, non sarà possibile vivere senza l'incombenza di questo pericolo».
Ciò significa non criminalizzare tutto l'Islam e ricercare la strada giusta per dialogare con i moderati?
«È' possibile parlare e aprire un dialogo con loro. Non mi riferisco a figure di dubbia esistenza, nebulose o di dissidenti che operano fuori dai loro Paesi. Non dobbiamo vagheggiare interlocutori idilliaci, costruiti a nostro uso e consumo. Non è inventando un Islam di comodo, "occidentalizzato", che faremo crescere il dialogo con quell'Islam reale che cerca di resistere all'offensiva jihadista.
È sufficiente ricevere, come faccio io, una panoramica dei maggiori giornali del mondo arabo, per rendersi conto che queste voci oggi appartengono a persone reali. Sono in Egitto, in Iraq, in Libano, in Giordania. A loro e con loro dobbiamo parlare e convincerli di influire sui loro popoli. A loro dobbiamo far capire la nostra comprensione e far giungere la nostra solidarietà per le cause della loro insoddisfazione, offrendo loro la nostra collaborazione per la ricerca di una soluzione ai problemi che li attanagliano.
Possiamo offrire il nostro aiuto partecipando in prima persona a incontri nei loro Paesi, sviluppando uno scambio di idee fra intellettuali di primo piano dell'Occidente e del mondo Islamico, al Cairo, ad Amman, a Beirut, ovunque sia necessario e richiesto.
Ma da loro dobbiamo anche pretendere che operino con tutta la propria influenza per delegittimare ideologicamente il fondamentalismo islamico visionario e sanguinario, che con la sua idea di trasformare conflitti locali in uno scontro totale fra Occidente e Islam, può spingere tutti noi in un abisso di abiezione, di odio, di morte».
Al di là del dato religioso, qual è il connotato identitario, culturale che sostanzia il terrorismo islamico globale?
Il concepire l'altro da sé - individui, comunità, popoli, Stati - come una diversità impura, contaminante e dunque da eliminare con ogni mezzo.
E' l'uniformità di pensiero imposta con la forza più bruta.
È la cultura della morte innalzata a sistema di vita.
Il mondo per cui si battono è una enorme "radura piatta"; un mondo claustrofobico, sessista, dominato dal totalitarismo jihadista. Dà i brividi solo immaginarlo».
Intervista
a cura di
Umberto De Giovannangeli - http://www.unita.it/
Mi colpiscono e mi confortano la lucidità nel
distinguere tra problemi che non possono essere
mescolati, la capacità di comprensione dei problemi e il
senso di giustizia di Abraham Bet Yehoshua.
Lo scrittore non si limita all'analisi, ma vede e indica
modi e mezzi per risolvere i conflitti. E prefigura un
mondo di libertà e di giustizia. Non un mondo libero
di sola competizione, ma un mondo libero di giustizia.
Senza libertà e giustizia, parlare di pace è parlare
a vuoto.
La chiamerei la 'dottrina Yehoshua'.
Appello del Forum Sociale Europeo:
«L'Italia chieda il cessate il fuoco»
Il Forum Sociale Europeo è «in stato di mobilitazione permanente per dire via dalla guerra e fine dell' occupazione dell'Iraq» e rilancia
«l' appello per la liberazione dei nostri quattro fratelli e sorelle, operatori di pace e non coinvolti nell'occupazione, di tutti gli ostaggi, dei 26 milioni di iracheni».
Fonte: L'UNITA'
Sono d'accordo, è realmente una "dottrina". La più chiara analisi che abbia letto sul terrorismo.
RispondiEliminaOT: veramente nelle scorse settimane ti avevo lasciati altri commenti.... temevo che fossi irritata con me e che non volessi rispondermi :-)
RispondiEliminaDiscorso di una chiarezza esemplare.
RispondiEliminaLa frase "la politica può servire a isolare i terroristi, ma a piegarli sarà alla fine l'unico linguaggio che essi comprendono: quello della forza." mi sembra una serena apertura di occhi, senza le utopie o la voglia di giocare agli sceriffi sul sangue e la pelle innocente.Isolarli, innanzitutto: la scelta scellerata di bush è vassalli è andata in senso opposto, coi risultati evidenti.
Ancora una volta, grazie di esserci.
Tpno
Discorso di una chiarezza esemplare.
RispondiEliminaLa frase "la politica può servire a isolare i terroristi, ma a piegarli sarà alla fine l'unico linguaggio che essi comprendono: quello della forza." mi sembra una serena apertura di occhi, senza le utopie o la voglia di giocare agli sceriffi sul sangue e la pelle innocente.Isolarli, innanzitutto: la scelta scellerata di bush è vassalli è andata in senso opposto, coi risultati evidenti.
Ancora una volta, grazie di esserci.
Tpno
mi piace come scrittore..ma non si era pronunciato per la necessità di costruire il muro?
RispondiEliminabel blog, complimenti
RispondiEliminaGià, concordo anch'io con Alain, la politica efficace contro il terrorismo non è la guerra ma un serio impegno perché il Sud del mondo si avvii ad uscire dalla povertà immane che lo avvolge.
RispondiEliminaPurtroppo è di gran lunga più facile mettere d'accordo i potenti e tutti gli stakeholders del mondo sulla guerra che su politiche di sviluppo sostenibile.
Già, concordo anch'io con Alain, la politica efficace contro il terrorismo non è la guerra ma un serio impegno perché il Sud del mondo si avvii ad uscire dalla povertà immane che lo avvolge.
RispondiEliminaPurtroppo è di gran lunga più facile mettere d'accordo i potenti e tutti gli stakeholders del mondo sulla guerra che su politiche di sviluppo sostenibile.
Bravissima, harmonia. Ecco il sentiero che ci potrebbe condurre alla pace, la pace vera. C'è tanto di quel buon senso in questo benedetto uomo (nel vero senso della/e parola/e) che senza darlo a vedere ci mostra che stiamo vivendo all'interno di un assurdo paradosso che si spaccia come l'unica verità possibile.
RispondiEliminaE' il dono dei profeti quello di rivelarci tutti i nostri paradossi.
Cara Harmonia, c'è un grande bisogno di sensibilità come la tua, capaci di scovare nel diluvio di informazioni e di parole quelle poche che davvero servon a qualcosa, che vale la pena di leggere e meditare.
Come ti dissi una volta: "Saluto la luce che è in te!"
Bravissima, harmonia. Ecco il sentiero che ci potrebbe condurre alla pace, la pace vera. C'è tanto di quel buon senso in questo benedetto uomo (nel vero senso della/e parola/e) che senza darlo a vedere ci mostra che stiamo vivendo all'interno di un assurdo paradosso che si spaccia come l'unica verità possibile.
RispondiEliminaE' il dono dei profeti quello di rivelarci tutti i nostri paradossi.
Cara Harmonia, c'è un grande bisogno di sensibilità come la tua, capaci di scovare nel diluvio di informazioni e di parole quelle poche che davvero servon a qualcosa, che vale la pena di leggere e meditare.
Come ti dissi una volta: "Saluto la luce che è in te!"
Senti (non scherzo giuro), a me dev'essere sfuggito qualcosa: ma perchè tutti parlano di "quarta guerra mondiale"?
RispondiEliminaLa terza quando fu disputata, e io dov'ero?
O per terza s'intende quella "fredda"?
(Prego inviare risposta sul mio Blog che qui tutto gira troppo di fretta e poi non la ritrovo).
Ciao.
Senti (non scherzo giuro), a me dev'essere sfuggito qualcosa: ma perchè tutti parlano di "quarta guerra mondiale"?
RispondiEliminaLa terza quando fu disputata, e io dov'ero?
O per terza s'intende quella "fredda"?
(Prego inviare risposta sul mio Blog che qui tutto gira troppo di fretta e poi non la ritrovo).
Ciao.
Un abbraccio ,Harmonia:)Mara
RispondiEliminafinalmente un po' di saggezza... e che saggezza! Dolcenotte:-)
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