venerdì 28 gennaio 2005

Il giorno della memoria: l'altro sterminio

a cura di PeaceReporter


Oggi ho trovato questo lungo documento che completa il quadro delle vittime dei campi di sterminio. Mi sembra giusto e utile consevarlo integralmente in questo diario in cui raccolgo alcune delle testimonianze che ritengo importante ricordare e poter rileggere in qualsiasi momento. Nelle celebrazioni ufficiali e anche nei normali testi di storia, per quello che ne so io ovviamente, "l'altro sterminio" è un argomento a cui si fa cenno senza molti approfondimenti. Certo è una mia mancanza, perciò ho approfittato del lavoro di PeaceReporter.


Nei campi di sterminio vennero uccisi anche cinque milioni di detenuti non-ebrei: antifascisti di tutta Europa, prigionieri di guerra, rom, omosessuali, testimoni di Geova, malati di mente, emigranti apolidi. Un altro sterminio di cui si parla poco o niente, nonostante le sue tragiche dimensioni. Chi si aggirava tra le baracche di un campo di sterminio nazista non si imbatteva solo nei detenuti ebrei, contraddistinti da una stella di Davide gialla puntata sulle loro divise grigie a righe nere. Era possibile scorgere decine di altri simboli: stelle e triangoli di vari colori, uno per ogni tipologia di internato. C’era il triangolo rosso per gli oppositori politici: socialisti, comunisti, anarchici, e democratici antifascisti di tutta Europa, italiani, tedeschi, francesi ma soprattutto polacchi e cecoslovacchi. La loro nazionalità era segnalata con l’aggiunta di una lettera nera sopra al triangolo.
Sempre rosso, ma con il vertice all’insù, era il triangolo per i prigionieri di guerra catturati dalla Wermacht, l’esercito tedesco. I prigionieri di guerra ‘speciali’ erano marchiati invece con un cerchio rosso dentro uno bianco.



 























 











Il triangolo marrone distingueva i detenuti rom, quello rosa gli omosessuali, quello blu gli emigranti apolidi, che in realtà erano per la maggior parte rifugiati politici spagnoli non riconosciuti dalla Germania hitleriana in quanto in fuga dal regime fascista dell’alleato Franco.

I testimoni di Geova, che furono tra i primi a promuovere l’obiezione di coscienza alla leva nell’esercito della Germania nazista, erano segnati con un triangolo viola.
Quello nero distingueva i cosiddetti ‘antisociali’, una vasta categoria comprendente malati di mente e disabili (già oggetto del tremendo progetto di ‘eutanasia’ T4), vagabondi, mendicanti, venditori ambulanti, prostitute e lesbiche.



Infine un triangolo verde per i criminali abituali e infine una fascia al braccio con la scritta ‘idiota’ per i ritardati mentali.
Se il prigioniero appartenente a una di queste categorie era anche ebreo, il suo triangolo si sovrapponeva alla stella di Davide gialla.

In tutto, secondo l’autorevole centro studi sull’olocausto Simon Wiesenthal, le vittime non ebree della follia hitleriana furono cinque milioni. Un altro sterminio di cui si parla poco o niente, nonostante le sue tragiche dimensioni.

Terese Pencak Schwartz, una ricercatrice di origini ebraiche, scrive sul sito
Olocausto dimenticato dedicato alle vittime non ebree: “Mentre non c’è dubbio che Hitler abbia perseguito le sue politiche di odio nei confronti degli ebrei causando la morte di sei milioni di persone, troppo spesso le vittime non ebree vengono dimenticate. In tutto furono undici milioni le vite preziose perse durante l’olocausto. Sarebbe molto triste dimenticare anche solo una vita. Sarebbe una tragedia dimenticarne cinque milioni”.


Il triangolo viola
Questo colore venne assegnato ai testimoni di Geova internati nei campi di sterminio

In Germania erano poco più di ventimila i Bibelforscher o Studenti Biblici, come erano allora chiamati i testimoni di Geova, quando i nazisti andarono al potere nel ’33.

Da subito furono presi di mira per il loro rifiuto di sostenere l’ideologia nazista. Quasi diecimila testimoni di Geova tedeschi furono internati nelle prigioni o nei campi nazisti, dove duemila di loro trovarono la morte. I testimoni non prendevano parte alla vita politica e soprattutto alle guerre. Dal loro credo religioso discendevano una serie di comportamenti quotidiani che si scontravano con l’ideologia totalizzante del nazismo: il rifiuto di imbracciare le armi e di lavorare per l’industria bellica, il rifiuto di idolatrare il führer (il saluto “Heil Hitler!”) o la svastica, il rifiuto di aderire al partito nazista, nonché l’imparzialità con cui diffondevano il messaggio evangelico non facendo distinzioni tra razze.

Quella dei testimoni fu la prima associazione religiosa ad essere proscritta nella Germania nazista già nella primavera del ’33.

Per uscire dai campi di concentramento o di prigionia ai testimoni internati sarebbe stato sufficiente firmare un’abiura, che recitava: “Ho lasciato completamente l’organizzazione degli Studenti Biblici o testimoni di [ Geova] e mi sono liberato nel modo più assoluto dei [suoi] insegnamenti . . . Con la presente assicuro che mai più prenderò parte all’attività . . . degli Studenti Biblici. Denuncerò immediatamente chiunque mi avvicini con l’insegnamento degli Studenti Biblici o riveli in qualche modo di farne parte. Consegnerò immediatamente al più vicino posto di polizia tutte le pubblicazioni degli Studenti Biblici che dovessero essere inviate al mio indirizzo. In futuro stimerò le leggi dello Stato, specie in caso di guerra difenderò, armi alla mano, la madrepatria e mi unirò in tutto e per tutto alla collettività”.

Dal 1933, bibbie e pubblicazioni bibliche vennero confiscate ai testimoni e date alle fiamme. Singoli testimoni furono picchiati e arrestati perché partecipavano a riunioni di culto. Si moltiplicarono i licenziamenti di coloro che lavoravano nella pubblica amministrazione, nella scuola o in altri impieghi pubblici. I loro figli vennero espulsi da scuola. Centinaia di genitori si videro privati della potestà e i figli furono avviati a centri di rieducazione nazista.

Nel 1936 la Gestapo formò un’unità speciale per dare la caccia ai testimoni che si ostinavano a sfidare il bando nazista e continuavano ad osservare clandestinamente i precetti della loro fede. Nel 1938 erano già circa seimila i testimoni imprigionati o internati per la loro fede, con la loro riconoscibile uniforme completata dal triangolo viola.
Il primo obiettore di coscienza tedesco della II guerra mondiale ad essere passato per le armi fu proprio un testimone di Geova: August Dickmann. Fu fucilato il 15 settembre 1939 nel campo di concentramento di Sachsenhausen, per ordine di Heinrich Himmler, capo delle SS.


Il triangolo blu
Il colore blu veniva assegnato agli apolidi. Tra di loro i repubblicani spagnoli

Nella storia della deportazione politica in Germania c’è una pagina poco conosciuta di cui sono stati vittime circa dodicimila spagnoli. Malgrado la posizione ambigua tenuta dalla Spagna durante la Seconda Guerra Mondiale, prima favorevole all’Asse Roma-Berlino, poi, quando il vento cambiò, favorevole agli Alleati, alcuni spagnoli pagarono un alto tributo di sangue alla causa della libertà. I deportati spagnoli erano una parte dei cinquecentomila repubblicani, anziani, donne, bambini e militari che tra il gennaio e il febbraio 1939 attraversarono la frontiera della Catalogna per sfuggire alla persecuzione dei franchisti, che uccidevano gli avversari politici compiendo quello che loro chiamavano "limpieza", pulizia. Scapparono per trovare rifugio in Francia.

Le autorità francesi, però, impreparate a fronteggiare un esodo di tali dimensioni, trattennero i profughi appena oltre il confine, sui Pirenei. Poi li trasferirono sulle spiagge del Sud-Est e li rinchiusero fra il mare e il filo spinato. Per giorni rimasero in umide buche scavate nella sabbia, con poco cibo e senza assistenza medica. Donne, bambini e feriti furono quindi trasferiti in strutture più adeguate mentre sulle spiagge del Roussillon furono costruite baracche di legno per dare agli uomini un rifugio meno precario.

Con l’aggravarsi della minaccia di guerra, il governo francese costituì le "Compagnies de Travailleurs Étrangers" (C.T.E.). Ognuna aveva duecentocinquanta internati agli ordini di un ufficiale della riserva, per lavorare alla costruzione delle infrastrutture pubbliche nei dipartimenti e al completamento della linea Maginot. Cinquemila di questi rifugiati, decisi a combattere contro i tedeschi, si arruolarono nei "Battallions de Marche" della Legione Straniera.

Entrambi i gruppi si trovarono coinvolti nella disfatta dell’esercito francese del giugno 1940 e molti caddero prigionieri dei tedeschi. Dietro sollecitazione di Ramon Serrano Suñer, Ministro degli Esteri spagnolo e cognato di Franco, fu loro negato lo status di prigionieri di guerra e furono definiti prigionieri politici.Furono inviati al campo di Mauthausen in Austria, all’epoca riservato agli antinazisti ed ai detenuti comuni tedeschi ed austriaci.

Ma i tedeschi negarono loro anche la qualifica di politici. Ai repubblicani spagnoli, infatti, non fu imposto il triangolo rosso con l’iniziale della nazionalità al centro. I Rotspainier o Spanischer Bolschewik furono messi tra gli apolidi e marchiati dal triangolo blu.

Il documento ufficiale del comando del campo, ora in possesso dell’ Amicale nationale des déportés et familles de disparus de Mauthausen et ses commandos di Parigi elenca 10.350 nominativi internati tra il 6 agosto 1940 ed il 20 dicembre 1941. Altre fonti stimano che gli internati di nazionalità spagnola furono tra i dodici e i quindicimila, per cui – tenuto conto dei 2.398 sopravvissuti - i decessi oscillerebbero tra l’80 e l’84 per cento.

Molti spagnoli furono destinati alla costruzione della recinzione del campo e delle ville per le SS, ma la maggior parte venne destinata al lavoro nella cava di pietra (la "cantera"), di proprietà delle SS.
Tra il ‘41 e il ‘42 ne furono uccisi circa 4.200. Le eliminazioni più feroci avvennero al sottocampo di Gusen, tra il dicembre 1941 ed il gennaio 1942, quando costituirono la maggioranza delle 1.628 persone eliminate con operazioni bagno o iniezioni al cuore.

La disciplina militare, la dura esperienza dei campi francesi e la giovane età media - ventisette anni - consentirono agli spagnoli di adattarsi alle condizioni di vita del campo di concentramento. Impararono un po’ di tedesco dai volontari germanici ed austriaci che avevano militato nelle Brigate Internazionali e organizzarono dei corsi di lingua. Era importante capire gli ordini urlati dai Kapò, era il solo modo per ottenere i lavori meno pesanti o per inserirsi nell’organizzazione amministrativa del campo. Molti di loro, infatti, divennero interpreti, segretari d’infermeria o dell’intendenza, altri fecero i barbieri o gli addetti alle cucine e alle pulizie.

Dal 24 giugno 1941 costituirono il Comitato Spagnolo di Resistenza, prima cellula dell’Apparato Militare Internazionale (A.m.i), organismo militare dei diversi gruppi nazionali, formatosi con l’intermediazione di ex soldati delle Brigate Internazionali. Fu questo Comitato a gestire il campo nel periodo tra la fuga delle SS e l’arrivo delle truppe alleate, accolte dagli spagnoli con un grande striscione: "Los españoles antifascistas saludan a las forzas de liberación".

Furono l’unico gruppo nazionale che immediatamente dopo la liberazione costituì un tribunale straordinario che condannò a morte e fece giustiziare diversi connazionali che erano diventati Kapò agli ordini delle SS.

Il 6 maggio 1962 fu eretta nel campo, a cura del Governo della Repubblica Spagnola in esilio, una stele a ricordo del loro sacrificio, recante la semplice scritta: "Homenaje a los 7.000 Republicanos Españoles muertos por la Libertad".


Il triangolo rosa
Gli omosessuali durante il nazifascismo

Soltanto un mese dopo l'ascesa al potere di Hitler il nuovo governo nazista proibì tutti i periodici della comunità omosessuale e ne mise fuori legge tutte le organizzazioni. Il vice di Hirschfeld, Kurt Hiller, venne arrestato e inviato nove mesi nel campo di concentramento di Oranienburg. Il 6 maggio 1933 la sede dell'Istituto di Sessuologia veniva devastata e i libri della biblioteca sequestrati e bruciati. Hirschfeld - che era impegnato in un ciclo di conferenze all'estero - sfuggì all'arresto ma non poté rientrare in Germania. La principale casa editrice omosessuale, di proprietà di Adolf Brand, venne devastata cinque volte. Tra la primavera e l'estate 1933 vennero sistematicamente chiusi tutti i luoghi pubblici di ritrovo gay, classificandoli come "minacce all'ordine pubblico". L'Eldorado fu il primo locale ad essere chiuso.

Nel 1935, un anno prima della promulgazione delle leggi discriminatorie contro gli ebrei, il governo nazista riprese in mano il "Paragrafo 175" allargandone la casistica e ampliandone la portata. Il nuovo testo della legge era il seguente: "Un uomo che commetta un atto sessuale contro natura con un altro uomo o che permetta ad un altro di commettere su di sé atti sessuali contro natura sarà punito con la prigione.

Qualora una delle due persone non abbia compiuto i ventun'anni di età al momento dell'atto, la Corte può, specialmente nei casi meno gravi, astenersi dall'irrogare la pena". Seguiva un articolo aggiuntivo ed esplicativo, 175a: "I lavori forzati sino a dieci anni o, in caso di circostanze attenuanti, il carcere di durata non inferiore ai tre mesi saranno applicati a: 1) un uomo che con la violenza o la minaccia di violenza costringa un altro uomo a commettere atti sessuali contro natura o consenta ad essere oggetto di atti sessuali contro natura; 2) un uomo che approfittando del rapporto di dipendenza sia esso servizio, impiego o subordinazione, induca un altro uomo a commettere atti sessuali contro natura o consenta ad essere oggetto di atti sessuali contro natura; 3) Un uomo maggiore di ventun'anni che seduca un altro uomo minore di ventun'anni per commettere atti contro natura o per far si che vengano commessi su se stesso; 4) Un uomo che pubblicamente compia atti contro natura con altri uomini o offra se stesso per gli stessi atti."

L'omosessualità maschile veniva differenziata da quella femminile. Secondo l’ex Ministro della Giustizia Frick infatti "Considerando gli omosessuali maschi ad essere danneggiata è la fertilità, poiché usualmente costoro non procreano. Ciò non è ugualmente vero per quanto riguarda le donne o almeno non con la medesima ampiezza. Il vizio è più pericoloso tra uomini piuttosto che tra donne". Alla fine del 1936 venne costituito l'Ufficio Centrale per la lotta all'omosessualità e all'aborto. Il decreto che istituiva l'Ufficio recitava: "L'alto numero di aborti ancora commessi provoca considerevoli pericoli alla politica demografica e alla salute della nazione costituendo anche un grave attentato ai fondamenti ideologici del nazionalsocialismo. Le attività omosessuali di una non trascurabile parte della popolazione, costituiscono una seria minaccia per la gioventù. Tutto ciò richiede l'adozione di più incisive misure contro queste malattie nazionali".

Le più incisive misure ebbero negli anni successivi un nome: campi di concentramento. Le porte dei campi di concentramento si aprirono per gli omosessuali molto presto: nel 1933 abbiamo i primi internamenti a Fuhlsbuttel, nel 1934 a Dachau e Sachsenhausen. Molte centinaia furono internati in occasione delle Olimpiadi di Berlino del 1936 per "ripulire le strade". Tuttavia le cifre - se confrontate con l'enormità dello sterminio degli ebrei europei - mostrano un atteggiamento apparentemente contraddittorio da parte delle autorità naziste.

Vi è concordanza sulle cifre degli omosessuali morti nei campi di concentramento tra il 1933 ed il 1945: circa settemila. Si trattava per la quasi totalità di omosessuali di nazionalità tedesca, poiché, a differenza degli Ebrei e degli Zingari, i nazisti non perseguitarono o cercarono di perseguitare gli omosessuali non tedeschi. Sempre tra il 1933 ed il 1945 le persone processate per la violazione del Paragrafo 175 furono circa sessantamila, di questi circa diecimila vennero internati nei campi di concentramento. I nazisti distinguevano tra "cause ambientali" che avevano condotto alla omosessualità e "omosessualità abituale". Nel primo caso il carcere duro, i lavori forzati, le cure psichiatriche e la castrazione volontaria erano ritenuti provvedimenti utili al reinserimento nella società. Nel secondo caso invece l'omosessualità veniva considerata incurabile.

Il tasso di mortalità degli omosessuali nei campi fu del 60% contro il 41% dei prigionieri politici ed il 35% dei Testimoni di Geova. Un altro dato significativo è dato dal fatto che due terzi degli omosessuali internati morirono durante il primo anno di permanenza nei campi. Questi dati portano a due conclusioni ancorché provvisorie. La prima: tra gli omosessuali internati un considerevole numero doveva essere rappresentato dalla fascia di "omosessualità abituale" più evidente e cioè dalle transessuali. La seconda: l'omosessualità "abituale" veniva considerata una malattia degenerativa della "razza ariana" e, per questo motivo, sugli omosessuali vennero condotti con particolare intensità esperimenti pseudoscientifici quasi sempre - come vedremo - mortali.

In più, come emerge dalle testimonianze, l'accanimento delle SS contro gli omosessuali era particolarmente violento. A questo si aggiunga che i detenuti omosessuali - a differenza delle altre categorie - secondo numerose testimonianze assumevano un atteggiamento di rinuncia alla sopravvivenza con un tasso di suicidi (gettandosi sul filo spinato elettrificato dei campi o rifiutando il cibo) estremamente elevato. Più di altri prigionieri gli omosessuali subivano un crollo psicologico profondissimo. In un primo tempo gli internati in base al Paragrafo 175 erano costretti ad indossare un bracciale giallo con una "A" al centro. La "A" stava per la parola tedesca "Arschficker", sodomita.

Altre varianti furono dei punti neri o il numero "175" in relazione all'articolo di legge. Soltanto successivamente, seguendo la rigida casistica iconografica nazista venne adottato un triangolo rosa cucito all'altezza del petto. La vita nei campi di concentramento per i "triangoli rosa" fu terribile e seconda soltanto ai prigionieri ebrei. La storia di Heinz Heger in questo senso è illuminante. Heinz Heger era uno studente ventiduenne dell'Università di Vienna senza alcun impegno politico, non era membro dell'associazione studentesca nazista né di qualsiasi altra organizzazione. Cresciuto in una famiglia cattolica osservante, ciononostante trovò in sua madre comprensione e accettazione per la sua omosessualità. Heinz non fece mistero con nessuno della propria omosessualità e gli effetti non tardarono a manifestarsi.

Il padre venne licenziato e intorno alla famiglia si fece il vuoto a causa dell'arresto di Heinz per violazione dell'Articolo 175. A seguito dell'arresto il padre si suicidò lasciando un biglietto per la moglie con queste parole: "E' troppo per me. Perdonami. Dio protegga nostro figlio". Arrestato nel 1939, Heinz venne processato e condannato a sei mesi di prigione. Il partner di Heinz non venne giudicato per "disordini mentali". Trascorsi i sei mesi ad Heinz venne notificato che su richiesta del Dipartimento Centrale di Sicurezza non sarebbe stato scarcerato ma trasferito al campo di concentramento di Sachsenhausen. Qui dopo essere stato malmenato come benvenuto e lasciato ore in piedi nel campo in pieno inverno venne sistemato nel blocco degli omosessuali che all'epoca ospitava 180 persone.

In omaggio all'idea nazista che attraverso il lavoro duro si otteneva la "purificazione" i prigionieri erano adibiti a lavori pesanti senza senso come spazzare la neve a mani nude trasportandola su un lato della strada per poi essere costretti a portarla tutta sul lato opposto. A maggio del 1940 venne trasferito al campo di concentramento di Flossenburg dove rimase sino alla fine della guerra. Con la liberazione dei campi da parte degli Alleati paradossalmente i triangoli rosa non riacquistarono la libertà. Statunitensi ed Inglesi non considerarono gli omosessuali alla stessa stregua degli altri internati, bensì come criminali comuni. In più non considerarono gli anni passati in campo di concentramento equivalenti agli anni di carcere. Ci fu così chi, condannato a otto anni di prigione, aveva trascorso cinque anni di carcere e tre di campo e per questo venne trasferito in prigione per scontare altri tre anni di carcere.
 


Il lager degli zingari
Il lager per famiglie zingare nacque ufficialmente nel marzo del '43

Il lager per famiglie zingare, noto come Zigeunerlager, nacque ufficialmente nel marzo del '43, per decreto del ministro degli Interni e capo delle SS Heinrich Himmler
Costruito tra il '43 ed il '44 all'interno del settore B2 di Auschwitz-Birkenau, lo Zigeunerlager ospitò circa 23.000 persone: 10.094 uomini, 10.888 donne e bambini e oltre 2.000 deportati non registrati. Erano per lo più di zingari tedeschi e boemi; un numero più esiguo proveniva da Polonia, Ungheria, Russia, Lituania e Francia.

Almeno nei primi tempi, le condizioni di vita e le norme dello Zigeunerlager furono diverse da quelle vigenti in tutta Auschwitz. All'interno dei recinti elettrificati, gli zingari potevano conservare la propria unità familiare e contrariamente agli altri reclusi, riuscirono ad evitare le selezioni e i passaggi nelle famigerate camere a gas. Nei piani del Reich, infatti, la loro reclusione non avrebbe dovuto concludersi con lo sterminio.

Presto, però, lo Zigeunerlager perse le caratteristiche di campo sui generis, per uniformarsi agli standard degli altri lager nazisti. E quando nel luglio del '43 Heinrich Himmler si recò in visita allo Zigeunerlager, il suo accompagnatore Rudolph Höss descrisse così il campo: "Gli feci percorrere in lungo e largo il campo zigano, ed egli esaminò attentamente ogni cosa: le baracche d'abitazione sovraffollate, i malati colpiti da epidemie. Vide i bambini preda dell'epidemia infantile di noma, che io non potevo mai guardare senza orrore e che mi ricordavano i lebbrosi che avevo visto a suo tempo in Palestina [...]. [Himmler] si fece dare le cifre della mortalità tra gli zingari, che tuttavia erano relativamente basse rispetto alla media del campo, tranne appunto che per i bambini. [...] dopo aver visto tutto questo ed essersi reso conto della realtà, diede l'ordine di annientarli" .

La fine dello Zigeunerlager iniziò nel maggio 1944, con la liquidazione graduale del campo e l'uccisione dei prigionieri nei forni crematori: 21.000 in tutto. Come recita una canzone zingara, ci fecero entrare dal portone e uscire dai comignoli".


Gli Alleati sapevano?
Roosevelt e Churchill non bombardarono i lager perché dicevano di non avere prove.
Gli Alleati sapevano dei campi di sterminio nazisti, ma decisero di non agire. Questa grave accusa è al centro di un dibattito storiografico che dura da decenni, e che ora si arricchisce di un elemento documentale che nessuno può ignorare. Come accadde invece nel 1944.

Nei giorni scorsi la Royal Air Force britannica ha aperto i suoi archivi fotografici risalenti alla seconda guerra mondiale rendendo di pubblico dominio, tra le altre, foto aeree di Auschwitz, Birkenau  e altri lager nazisti che mostrano i prigionieri in fila per l’appello fuori dalle baracche e addirittura il fumo che esce dai camini dei forni crematori. Immagini come queste, unitamente alle informazioni di intelligence in possesso di Stati Uniti e Gran Bretagna fin dal 1942, costituivano la prova che quelli non erano normali campi di prigionia ma qualcosa di tragicamente diverso.

Quelle foto, così come moltissime altre scattate dai piloti della Raf alla vigilia dello sbarco alleato in Normandia del giugno ‘44, arrivarono sulle scrivanie del presidente americano Franklin Delano Roosvelt e del primo ministro britannico Winston Churchill. E vi arrivarono assieme a ripetute richieste di bombardare le infrastrutture dei lager nazisti (camere a gas, forni crematori, treni e ferrovie). Ma sia Washington che Londra decisero di non agire. E lo fecero proprio adducendo, come motivo principale, la mancanza di documentazione fotografica in merito. Ma non era vero.

Che il problema non fosse la mancanza di immagini è dimostrato anche dal fatto che mai fu ordinato di acquisirle. I comandi alleati non ordinarono missioni di ricognizione sui campi di concentramento, ma solo sugli impianti industriali tedeschi da bombardare. Le testimonianze dei piloti della Raf e dei tecnici militari che analizzavano le immagini (tra tutti, i tecnici della Cia Dino Brugioni e Robert Poirer, che su questo hanno pubblicato anche dei libri) raccontano che le foto di Auschwitz e Birkenau, ad esempio, sono state scattate ‘per caso’ nell’ambito di missioni riguardanti una vicina fabbrica che produceva carburanti sintetici, la I.G. Farben Bunald.

A chi insistette per agire subito, venne detto che una simile azione avrebbe poi messo a rischio la vita di troppi prigionieri e che inoltre le strutture di sterminio sarebbero state presto ricostruite. Un’obiezione cui esperti militari ribatterono dicendo che la distruzione mirata delle infrastrutture dei lager avrebbe causato un numero di vittime di gran lunga inferiore a quello causato dalla prosecuzione della follia nazista; che una simile azione avrebbe diminuito del 75 per cento l’efficienza della macchina di sterminio di Hitler, e che poi, continuando a sorvegliare dall’alto e a bombardare, si sarebbe rallentata o impedita la ricostruzione di camere a gas e binari. Ma nulla accadde e quei camini continuarono a fumare.


Nazisti in sud America
Subito dopo la guerra sono arrivati in America Latina. Con appoggi eccellenti.
Di sicuro non tutte le menti delle strategie criminali naziste sono state confinate nelle carceri dopo il processo di
Norimberga (20 NOVEMBRE 1945-1 OTTOBRE 1946). Molti di loro si sono rifugiati nel sud e nel centro America, con l'appoggio della chiesa cattolica e dei servizi segreti degli Usa.
 
La Costa Rica. Come nel caso della Costa Rica, dove ha vissuto indisturbato dal 1982 al 2003 Bohdan Kozyi (morto appunto nel 2003), un criminale nazista. Kozyi era accusato di aver fatto  parte del Comando Stanislaw, il reparto scelto della  polizia ucraina che appoggiava l’esercito nazista, e che si rese responsabile dell'omicidio di almeno tre persone, tra cui una bimba di tre anni, tutte di origine ebrea. I tre fatti sono tutti documentati da testimoni oculari.
Prima di ottenere la residenza costaricense, Kozyi aveva vissuto negli Stati Uniti.
 
San Carlos de Bariloche, Argentina. Qui è arrivato Erick Priebke nel 1954 (anche se dal 1948 viveva in Sud America). Dopo essere stato uno dei protagonisti più crudeli della storia del nazismo (implicato in diverse eccidi, soprattutto nel massacro delle fosse ardeatine a Roma), è scappato con tutta la famiglia in sud America. Il suo caso è stato (ed è tutt'ora) al centro delle cronache. A San Carlos de Bariloche Priebke divenne famoso, amato e stimato da tutta la popolazione del piccolo e meraviglioso paesino che si trova alle pendici delle Ande argentine. Aveva aperto addirittura un negozio, dove "teneva un ritratto di Hitler nel retrobottega, ma aveva i migliori affettati di tutta la città" ricorda una concittadina.

Ma questo angolo di Argentina cela, fra le casette in stile tirolese, altri tremendi segreti. Il mefistofelico dottor Mengele, conosciuto come  l'Angelo della Morte di Auschwitz, ha vissuto qui prima della sua morte avvenuta in Brasile nel 1979.

Adolf  Eichmann, il principale responsabile dello sterminio di milioni di ebrei europei, che soleva ricordare "all'occorrenza salterò nella fossa ridendo perché la consapevolezza di avere cinque milioni di ebrei sulla coscienza mi dà un senso di grande soddisfazione", trascorreva a Bariloche lunghi periodi di vacanza.
Questo paesino era diventato una piccola Germania,  un luogo tranquillo, dove, si diceva che il compleanno di Hitler veniva festeggiato con uniformi della Gestapo (la polizia segreta dello stato nazista), nelle case ben chiuse ed appartate dei suoi fanatici collaboratori.
 
Guatemala. Questo è l’unico paese fuori dall’Europa che ha visto una parata militare nazista, racconta il cooperante italiano Flavio Tannozzini.

In questa nazione si sono nascosti diversi capi nazisti. Ora sono rimasti i loro eredi, ma pare con la stessa cattiveria razzista. Tannozzini è stato anche testimone di un fatto a dir poco sconcertante. Ha assistito allo sgombero di una comunità indigena da parte della polizia e ha raccolto dalla bocca di una donna questa dichiarazione: “Ci vuole una dittatura di destra dalla mano dura, perché altrimenti gli indios fanno quello che vogliono”. “La terra è degli indigeni” dice Tonnazzini, “agli europei che vengono qui a costruirsi una piscina in mezzo alla giungla non chiedono nemmeno il permesso di soggiorno. Sono sempre più convinto di trovarmi di fronte ad un altro “errore” della storia” 


A cura di Enrico Piovesana, Alessandro Grandi e la redazione di Peacereporter















  Stampa la pagina Invia l'articolo ad un amic* | Giovedì, 27 Gennaio 2005 - 03:46




9 commenti:

  1. per me si dovrebbe usare questa giornata come memoria del dramma dell'uomo, come simbolo di tutti i drammi che non finiscono

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  2. Posso invitarti a leggere quanto ho messo in evidenza da me, Harmonia?

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  3. sapevo che lo sterminio non si era limitato ai soli ebrei, ma non immaginavo così tanti morti...
    ho conosciuto personalmente prigionieri nei campi di Mathausen e Auswitz (non so se si scrive così), e uno di loro mi ha mostrato le cicatrici rimaste dopo le torture. Sono stati tra i pochi fortunati ad uscirne vivi, e i loro racconti me li ricorderò a lungo...
    un caro saluto e grazie.
    Claudio

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  4. sapevo che lo sterminio non si era limitato ai soli ebrei, ma non immaginavo così tanti morti...
    ho conosciuto personalmente prigionieri nei campi di Mathausen e Auswitz (non so se si scrive così), e uno di loro mi ha mostrato le cicatrici rimaste dopo le torture. Sono stati tra i pochi fortunati ad uscirne vivi, e i loro racconti me li ricorderò a lungo...
    un caro saluto e grazie.
    Claudio

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  5. è stata violata la cosa più importante in quella terribile fascia di storia, la libertà.
    Non ho molte parole per esprimere il mio orrore e rammarico ma vorrei lasciare qui una citazione sulla libertà, in assoluto il bene più assoluto...e soprattutto un bene intoccabile:


    "... sarete liberi quandi i vostri giorni non saranno privi di pena e le vostre notti di angoscia e di esigenze..

    kahlil gibran"

    FeAu

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  6. è stata violata la cosa più importante in quella terribile fascia di storia, la libertà.
    Non ho molte parole per esprimere il mio orrore e rammarico ma vorrei lasciare qui una citazione sulla libertà, in assoluto il bene più assoluto...e soprattutto un bene intoccabile:


    "... sarete liberi quandi i vostri giorni non saranno privi di pena e le vostre notti di angoscia e di esigenze..

    kahlil gibran"

    FeAu

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  7. Sì lo sapevo e sapevo del triangolo rosso perchè il padre di mio cognato era uno di loro. E' tornato a casa, ci ha passato "solo" 6 mesi a Dachau, ha raccontato cose terribili ed è morto per un tumore al fegato anni dopo che non si poteva curare tra atroci sofferenze. E la mia tata (di quando ero piccola) è una di quei bambini ebrei battezzati e nascosti nei collegi cattolici per farli sfuggire ad un destino tragico come quello dei suoi genitori (morti entrambi), separata dal fratello maggiore che il destino ha voluto ritrovasse dopo tanti anni..La storia raccontata da loro (e dalle persone che ahhno condiviso con loro la vita) ha effetto diverso perchè loro hanno visto..In tv invece di far parlare politichini dovrebbero far parlare le persone che hanno vissuto quella realtà, perchè fra pochi anni loro non ci saranno più e dimenticheremo, crederemo che è tutta una leggenda..

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