mercoledì 20 agosto 2003

TERRORISMO IN CRESCENDO


VITTORIO ZUCCONI ha fatto un' interessante analisi dell'atroce situazione di un terrorismo in


crescendo nel nostro mondo. Non ho capito se il titolo è tragicamente ironico o altro, perché


"il calvario" è di tutti nel mondo a causa della protervia dell'amministrazione Bush, e, per


la verità, è anche dei cittadini/e USA, che però possono liberarsene il prossimo anno.


Da ricordare che anche adesso ci sono molti estremi per una richiesta di impeachment,


a cominciare dalle menzogne con cui Bush ha imposto la sua politica di guerra.


LA REPUBBLICA - 20 AGOSTO 2003


Il calvario americano sul fronte di Bagdad


di VITTORIO ZUCCONI









Il quartier generale Onu
colpito ieri a Bagdad

CON la facile vigliaccheria del terrorismo, che colpisce bersagli "morbidi" e poi lascia alle vittime la fatica di trovare il movente tra le bare, i signori del caos hanno colpito il simbolo della pace a Bagdad, gli inviati dell'Onu, gli impiegati iracheni e il capo missione, il brasiliano Sergio de Mello. "Non ci distoglieranno dall'obbiettivo di costruire un Iraq libero e democratico, non riporteranno quel popolo ai tempi della tortura e delle fosse comuni, la nostra volontà non può essere scossa", risponde Bush costretto a interrompere una partita a golf e a indossare il completo blu di ordinanza, in queste sue ferie di lavoro tormentate da misteriosi oscuramenti e ora da due stragi simultanee a Bagdad e a Gerusalemme, e le sue sono parole giuste quanto ovvie. La notizia vera è che non era mai accaduto, neppure in Medio Oriente, che un edificio civile con la bandiera blu delle Nazioni Unite diventasse bersaglio di un attentato selvaggio come questo. La guerra in Iraq ha fatto un altro scatto in avanti. E il cammino della road map verso la pace ne ha fatto uno indietro. Ha ragione quindi Kofi Annan quando dice che ieri è stata oltrepassata un'altra "linea rossa" nella escalation. Ma se è difficile capire chi muova questi assalti, oltre le banalità ormai improponibili dei "resti del regime" e della caccia superstiziosa al simulacro di Saddam, l'intenzione di chi ha finora ucciso 312 militari alleati (Cnn) e ieri ha devastato il quartiere generale Onu nella capitale è evidente: contrastre l'ottimismo ufficiale di Bush e del proconsole Bremer e dimostrare che le "cose" in Iraq non vanno un po' meglio, ma un po' peggio, ogni giorno.


L'autobomba di ieri, come il tiro al piccione quotidiano su militari e cittadini, sono il controcanto della guerriglia irachena a ogni tentativo di raccontare all'opinione americana la storia rassicurante di un malato certo grave, ma in via di miglioramento. La formula adottata dalla Casa Bianca e assimilata anche dai sostenitori più onesti e perciò più preoccupati, della guerra, è quella del mezzo bicchiere pieno. Si considera il male come un prezzo necessario da pagare per smuovere la stagnazione teocratica e oscurantista che ha afferrato il mondo arabo e si cercano le buone notizie tra la macerie e le body bags. L'ultima buona notizia era stato il riluttante riconoscimento offerto dal Palazzo di Vetro al consiglio di governo insediato dal governatore americano. E infatti, nel giro di poche ore, la guerriglia ha demolito proprio il quartier generale dell'Onu a Bagdad.

La teoria un po' disperata che circola oggi a Washington, nel dubbio strisciante che non esista una soluzione militare
all'aggressione globale del terrorismo, è lo scenario della "carta moschicida" su un fronte unico. È la speranza che la occupazione dell'Iraq attiri terroristi da tutto il mondo, concentrandoli o, dove potranno essere inchiodati e distrutti in un Armageddon finale dalla potenza di fuoco americana, anziché inseguirli uno per uno dal Marocco all'Indonesia. Ma il rischio implicito, in questo scenario che sa di wishful thinking, di ottimismo autoillusorio, è che le cellule risucchiate nel buco nero iracheno si saldino con l'irredentismo autoctono e trasformino gli attacchi sporadici in guerriglia sistemica. Si profila una verità molto diversa dalla propaganda pre bellica: che non fosse stato affatto Saddam, ma sia stata invece la caduta di Saddam, a portare Al Qaeda in Iraq. Sperando davvero che quelle millantate armi di distruzione di massa non ci fossero.

Il camion bomba contro il "Canal Hotel" di Bagdad è già il segno di una intelligenza canagliesca e coerente. Il controcanto dei signori del disordine scatta infatti sempre puntuale. La tragedia è l'acqua che scarseggia, nei 50 gradi di aridità? Appena un filo d'acqua torna a scorrere nelle cucine, una bomba fa saltare l'acquedotto principale. Il petrolio promette 7 milioni di dollari al giorno per la ricostruzione e per le compagnie petrolifere americane? E infatti i sabotatori fanno saltare l'oleodotto nel nord.

Qualcuno dà ordini, sa farli arrivare, guarda le tv satellitari, sa che il massacro degli impiegati blu avrebbe occupato i teleschermi di tutto il mondo, anche se in una competizione infernale con altre immagini da Israele. Come ripete da mesi Thomas Friedman, e ha raccontato per questo giornale Vargas Llosa da Bagdad, la vera guerra è in corso adesso, ed è cominciata con l'ingresso troppo facile della Terza Divisione nella capitale abbandonata. Ma in questa guerra, che ormai anche la senatrice repubblicana Kay Hutchinson, sorpresa ieri in visita all'Iraq vede in piena escalation, Bush e i consiglieri fino a ieri tanto superbi, non hanno una strategia che non sia l'ottimismo, e non hanno armi, che non sia la spremitura di truppe stanche, sempre rifiutando di tornare all'Onu per chiedere la legittimazione internazionale alla guerra.

L'ostinazione ideologica e arrogante di questa Casa Bianca, nel respingere il ritorno al multilateralismo per non pagare un piccolo pedaggio di prestigio, appare sempre più autolesionista, visto che in Iraq non è in gioco soltanto la rielezione di Bush nel 2004, che è affare di Bush, ma il futuro dei rapporti tra l'Occidente e l'Oriente, che è affar nostro. L'impressione che si rinnova ogni mattina al momento di sintonizzare le tv sul tavolo del breakfast, è che questa amministrazione stia di fronte al calvario iracheno come sta di fronte al blackout che ha inghiottito 50 milioni di americani, annaspando in preda al dilettantismo civile, dopo tanto show di professionismo militare. Quanto più chiara si fa la strategia dei signori del disordine, tanto più vaga si fa quella dei portatori del "nuovo ordine" costretti a inseguirli. Ha osservato James Rubin, ex assistente segretario di Stato fino al 1998: "Era così difficile prevedere che la guerriglia avrebbe colpito l'Onu a Bagdad, dopo il riconoscimento dato al consiglio di governo insediato da noi americani?". Doveva esserlo, perché a guardia di quel palazzo c'erano due fantaccini armati di fucile automatico M16, nonostante Sergio Vieira de Mello, il capo missione ucciso, avesse da tempo implorato il Central Command di proteggerlo meglio.

Scoprire oggi che il caos iracheno si è trasformato in una calamita per il terrorismo islamico e in un terreno di esercitazione per Al Qaeda, è un'ammissione di stupefacente imprevidenza politica e un ennesimo fallimento di intelligence. Ripetere che gli assassini degli impiegati e degli inviati dell'Onu sono "nemici del popolo iracheno", come ha fatto Bush, è una giaculatoria alla quale i padroni del disordine rispondono con il contrappunto delle bombe. Non serve più che Bush ci ripeta che i terroristi sono vili e crudeli, ma che dica all'Onu
e al Congresso americano, quali siano il progetto, tempi, i preventivi finanziari e umani del "contratto con l'Iraq".

"La scelta appartiene al popolo iracheno", diceva ieri, ma non è stato il popolo iracheno a scegliere di essere invaso da una potenza straniera che ora ha la piena e completa responsabilità legale di tutto quanto accade nella terra occupata. La teoria della "carta moschicida" può anche essere corretta. Ma quali mosche resteranno con le zampe appiccicate all'Iraq?

(20 agosto 2003)


















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