martedì 14 aprile 2015

stelle e carattere


Barthes, lei conosce l’astrologia: l’ha descritta e analizzata in Miti d’oggi. L’astrologia di cui parla in quel libro corrisponde a ciò che per noi, per la nostra rivista e il nostro gruppo, è l’astrologia commerciale. Che cosa ne pensa, qualche anno dopo, di questo argomento?

Tutti sanno che l’astrologia commerciale rientra in ciò che Marx, a proposito di tutt’altra immaginazione collettiva, aveva chiamato “oppio dei popoli”: in effetti essa consente ad ampi strati del pubblico di sognare, di immaginare e, alla fin fine, di vivere meglio, anche se nella menzogna, le dure realtà della nostra società. Detto ciò, non bisogna dimenticare – anche mentre si procede a demistificare l’astrologia (cosa assolutamente necessaria) – che essa è, in maniera ambivalente, un grande veicolo di utopia, un grande veicolo di simbolicità; e sappiamo che se l’uomo venisse privato della sua sfera simbolica morirebbe, proprio al modo in cui altri muoiono di fame.

Di conseguenza, se si deve continuare a demistificare l’astrologia di cui lei parla, e ribadisco che occorre farlo, non bisogna comunque mettere in questa attività di demistificazione nessuna boria, nessuna arroganza razionale o critica. L’astrologia è un fenomeno culturale. Società molto diverse hanno espresso se stesse per mezzo del pensiero astrologico; l’astrologia fa parte della storia e deve pertanto essere studiata dalla scienza storica; direi addirittura che, dal punto di vista storico, non è più disprezzabile delle grandi ideologie religiose. Recentemente è uscito il libro di un ricercatore, storico ed erudito – che tra l’altro fa parte, come me, dell’Ecole des hautes études; si tratta di una sorta di grande rassegna storica, estremamente documentata, sul segno dello Scorpione. Questo libro – scritto da Luigi Aurigemma ed illustrato molto bene – è un vero e proprio testo di storia: attraverso lo studio storico del segno dello Scorpione si entra in contatto con le grandi rappresentazioni collettive del passato.

Ciò nonostante, devo precisare che, per quel che mi riguarda personalmente, non attribuisco all’astrologia alcun valore di verità. Secondo me l’astrologia può costituire, e ha costituito per molti secoli, un grande linguaggio simbolico, un grosso sistema di segni, in una parola: una potente finzione; ed è solo in questo senso che m’interessa. M’interessa – e spero che la cosa non vi meravigli – come può interessarmi un grande romanzo o un importante sistema filosofico.

Roland Barthes, 13 marzo 1972

All’interno dell’intellighenzia francese lei è considerato uno scrittore sovversivo, a un tempo amato e contestato. Che cosa ne pensa di questa contraddizione?

Non concepisco il lavoro sovversivo – visto che lei lo chiama così – come un lavoro diretto: non spetta a me decidere se il mio lavoro sarà o è stato sovversivo. La portata sovversiva di un lavoro può variare a seconda del momento storico, anche all’interno della piccola storia del mio tempo. Ci sono quindi fasi nelle quali si è più o meno sovversivi e fasi nelle quali si viene più o meno recuperati alla normalità; in ogni modo, è un lavoro; il lavoro intellettuale e quello della scrittura procedono sempre a spirale, e le stesse cose possono tornare in un altro posto. Personal­mente, a interessarmi non sono le sovversioni dirette, violente; in questo senso opporrei, giocando con le sfumature, la contestazione alla sovversione. Io non mi considero un contestatore, nella misura in cui la contestazione è un’attività diretta e in qualche modo letterale; la sovversione, invece, presuppone un lavoro del pensiero che è al tempo stesso un lavoro dialettico, un lavoro che talvolta si maschera e talal­tra si smaschera come – appunto – sovversione.


Alcuni critici e studenti vogliono ritrovare nei suoi scritti un’opera sistematica, compiuta. Perché rifiuta quest’idea? Un astrologo direbbe che, subendo l’influsso di Urano, lei è portato a costruire un sistema, a sistematizzare; in altri termini, che è portato a passare da un campo complesso a un campo semplice. In effetti lei è abusivamente vittima di un'eccessiva schematizzazione; tuttavia il suo stesso tema natale la induce a selezionare, a unificare, a coordinare, a proporre alcuni dati che ad altre persone possono apparire arbitrari. Certamente arbitrari non sono. Ma tali possono apparire, in particolare non appena c'è una creazione di parole, come di solito lei fa. Leggendo i suoi testi, è una cosa che colpisce molto.

Che cos’è, in fondo, un sistema? È la messa in relazione di differenti termini, di differenti elementi attraverso regole di concatenazione, di unità, regole di combinazione, di trasformazione. Qualunque sia l’oggetto, un sistema non è che questo.
Quel che mi affascina in qualsiasi sistema, a partire dal momento in cui è ben regolato, è proprio il suo carattere formale: spesso, io m’interesso alla sistematica, alla forma del sistema, più che al suo contenuto. È in fondo quel che dicevo prima a proposito dell’astrologia: quel che m’interessa nell’astrologia è il fatto che si tratta di un sistema; ma, detto ciò, non mi sento affatto obbligato a credere ai contenuti espressi da tale sistema.


Sarebbe interessato a delle scoperte riguardanti questo contenuto?

Nel momento in cui si vive una specie di sentimento del “sistematico”, è possibile essere attratti soltanto da sistemi che si trasformano, da sistemi aperti. C’è sempre, in qualsiasi sistema, un punto in cui esso è necessariamente aperto verso un altro sistema. È per questo che sono sempre stato affascinato dai grandi sistemi del nostro tempo, senza mai tuttavia aderirvi sul piano della fede. Sono sempre, non tanto a margine, quanto sull’orlo dei sistemi, e non li assumo mai da militante. Non sono militante di alcun sistema: ho attraversato con molta sincerità e molto interesse, direi con grande passione, sistemi come il marxismo, la psicanalisi o lo strutturalismo, ma non mi sono mai posto davanti ad essi, o anche all'interno di essi, come un militante. Per questa ragione, dopo avere lavorato ardentemente per fondare, ovviamente insieme con altri, quel che si chiama oggi la semiologia, cioè il discorso sui segni che si fa a partire dalla linguistica, non ho voluto restare prigioniero per tutta la vita in una sistematica semiologica. Sono sempre attratto verso ciò che può incrinare quel sistema che dapprima mi ha affascinato.


Sempre in movimento, quindi?

Sì, anche se è difficile assumere per se stessi una simile espressione: oggi, infatti, viene accordato una sorta di primato a tutto ciò che è in movimento: è “bene” essere in movimento. Io non vorrei dire che sono continuamente in movimento, tuttavia non posso negare di avere una sorta di temperamento intellettuale che mi porta a investire facilmente e a fondo su certe cose, per poi disinvestire e dirigermi verso un altro investimento. È quel che ho chiamato il temperamento del "dragatore". Alla fin fine, non si fa altro che dragare dei sistemi, cioè si investe e poi si passa a un altro investimento.


Probabilmente, a forza di lavorare su un certo sistema, e soprattutto di militarvi, si esaurisce ciò che in esso ci fa sognare...

Quel che spesso mi dà fastidio in un sistema è il momento in cui esso “prende”, ossia quando viene investito da un pensiero collettivo troppo forte, troppo anonimo; in quel momento, le scoperte del sistema si trasformano in stereotipi, e io ho una specie di allergia verso tutto ciò che era, verso tutto ciò che all’inizio mi sembrava pieno di freschezza e che, a forza di essere ripetuto, mi appare invece usurato e stancante.


Secondo lo Scorpione lei è un ricercatore appassionato, e per di più demistificante, che sa benissimo prendere le distanze dagli altri. Secondo il Sagittario si può dire che lei è portato ad associare, a coordinare ciò che è diverso e a comunicarlo; soprattutto all’interno di una comunità, una comunità che non ha una struttura ben definita, una comunità di spiriti, un gruppo che, se pure non possiede una struttura formale, si fonda certamente su un qualche ideale che finisce per produrre una qualche forma d’ordine al proprio interno. Sempre secondo il Sagittario, inoltre, lei potrebbe porsi come leader, o come animatore, di questa comunità. Secondo l’Acquario, infine, altro segno dominante nel suo tema natale, lei è un ricercatore alquanto sovversivo, che tuttavia ama comunicare i risultati delle sue ricerche; c’è una connotazione pedagogica nell’Acquario. Sulla base di questo quadro così ricco e complesso, da dove proviene l’energia che la spinge a scrivere, a insegnare? Si tratta soltanto di desiderio e di piacere, o c’è anche un certo bisogno di cercare, la passione di scoprire o di creare? Ci ricolleghiamo così alla domanda (e alla risposta) sulla questione del sistema: non c’è forse in lei un aspetto che tende alla rivolta, alla rivendicazione, un aspetto avido di bellezza, di giustizia e di ideale autorità? Sulla base del suo tema natale, sembra che nessun modello possa soddisfarla.

Ancora una volta, sono un pessimo giudice di me stesso; ci sono molte cose nella sua descrizione. Ciò che spinge qualcuno a scrivere non può essere definito, non dal diretto interessato almeno, dato che c’è in gioco il suo inconscio. Ma per rispondere alla sua ultima osservazione, bisogna dire che la nozione stessa d’“ideale” ha subito da un secolo a questa parte duri colpi, attacchi demistificatori estremamente potenti. Nel mondo attuale è molto difficile porsi come semplice servitore di un ideale, soprattutto se si fa l’intellettuale e si è assorbita una certa cultura. Per quanto mi riguarda, proprio a causa di quel gusto per la finzione di cui parlavo prima, l’ideale assume in me una forma molto precisa, che è quella dell’utopia: ho un’immagina­zio­ne utopica, e spesso, quando scrivo, anche se non mi riferisco espressamente a un’utopia, ed esercito per esempio un’attività critica su certe nozioni, lo faccio sempre attraverso l’immagine interiore di un’utopia: sia essa un’utopia sociale o un’utopia affettiva.

Prima di scrivere, oppure nei momenti in cui, scrivendo, avanza di più nell’argomentazione dialettica, non avverte una forte tensione? Il ritmo dello Scorpione e il ritmo dell’Acquario sono infatti particolarmente tesi; Urano, per di più, contribuisce a sostenerli. Da un altro lato, agiscono anche l’immaginario e la sensibilità, ma possono esserci pure le costrizioni...

La mia attività di scrittore, che come ho appena detto è molto pulsionale, si compie attraverso un esercizio estremamente regolare. Scrivo molto regolarmente, e dunque al di fuori di un ritmo immediato di tensione. La tensione è forse da qualche parte dentro di me, nel momento in cui la scrittura prende forma, non so; tuttavia, la pratica della mia scrittura è regolare, ordinata nel senso più familiare del termine; procedo con molto ordine quando scrivo, faccio delle schede; non dico che stabilisco un programma nel senso scolastico del termine, ma diciamo pure che mi organizzo spesso un piano di lavoro. La mia pratica di scrittura, insomma, è relativamente sotto controllo.

Roland Barthes, 26 ottobre 1971

C’è qualcosa, nel campo del sensibile e dell’affettività, che la spinge a scrivere? Delle situazioni particolari, ad esempio? La sua scrittura è l’esito di un pensiero che vuole affrontare la dura e fredda verità, o c'è invece in lei una specie di stato euforico che precede la scrittura stessa? È lecito porle questa domanda, dato che lei è anche un po’ venusiano.

Se c’è in me uno stato di leggera ebbrezza ed esaltazione, esso segue la scrit­tura, non la precede. Al momento di scrivere, potremmo dire in termini psicanalitici un po’ grossolani, regna il Super-io: c’è la paura di essere stupido, la paura di dire cose imprudenti, o di dirle male. Tutto un insieme di costrizioni regna, insomma, nel momento che precede la scrittura, come nel momento che precede un pericolo; lo scrivere, infatti, è vissuto come un pericolo. È semmai dopo, quando si pensa – a torto o a ragione – di aver dominato il pericolo e di esser riusciti a scrivere, che si vive un momento, per altro brevissimo, di pienezza.


Vive qualche volta dei momenti di auto-conflitto? Il suo tema natale manifesta infatti una certa lotta fra i modelli che le sono stati imposti e quelli derivanti dall'originalità del suo temperamento. E anche questi ultimi, non le capita di metterli in discussione? Tutto ciò potrebbe derivare da un'insoddisfazione interna?

Torniamo sempre a quella sorta di paradosso caratteriale che ricordavo prima, ossia al fatto che i modelli, le costrizioni sociali, non mi pesano molto, ed è per questo che non ci sono in me movimenti direttamente contestatari; quel che in fondo mi diverte è passare attraverso i modelli, aggirarli e raggirarli, ribaltarli, dislocarli, trasformarli in altro: ma proprio per questo ho in qualche modo bisogno che esistano. Per fare un esempio, non mi disturba per nulla il fatto di aver ricevuto un’educazione, almeno in senso scolastico, classica e umanistica, di aver frequentato il liceo, che ai miei tempi, prima dell’ultima guerra, era ancora un'istituzione molto rigida. Certo, in ogni istituzione ci sono stupidità, pusillanimità irritanti, e in questi casi entro in conflitto con esse: di colpo, provo quel desiderio di generosità, di apertura, di spazio che l’istituzione non permette. Ma nella maggior parte dei casi non m’infastidisce convivere, alla debita distanza, con i modelli.


Sul piano intellettuale lo Scorpione s’interessa anche a tutto ciò che la società rifiuta o nasconde. C'è un'attrazione – che qualcuno ritiene morbosa – se non verso la degradazione, quanto meno verso gli aspetti più cupi della società.

Se questa attrazione in me esiste, è coperta da un elemento abbastanza estetizzante, da un certo gusto apollineo il quale, ancora una volta, fa sì che la trasgressione non m’interessi direttamente. Direi anche che ci sono codici, istituzioni, leggi che non bisogna mai affrontare direttamente, ma con le quali possiamo in qualche modo “barare”: è una morale che comprendo molto bene.


Alcune dissonanze di Urano (molto potente nel suo tema natale) con Marte rivelano in lei un senso acuto del conflitto, una presenza tesa che la spinge a affermarsi, a contrapporsi ad altre personalità, soprattutto quando qualcuno la aggredisce o entra in contraddizione o in opposizione con i valori personali che lei difende...

In realtà, io non amo il conflitto diretto, non mi piace scontrarmi con le persone, non mi piacciono i diverbi; mi sento sempre a disagio nelle assemblee, nelle tavole rotonde, nei dibattiti in cui si crea questo tipo di contestazione. Perché? La ragione è la seguente: a rendermi sospetta la violenza diretta è il fatto che essa ha sempre un aspetto teatrale, e io ho un cattivo rapporto con il teatro; cioè, ho un buon rapporto con il teatro quando non sono sulla scena, quando sono spettatore o critico; ma personalmente ho sempre grandi difficoltà nell’impegnarmi in comportamenti che io stesso riterrei teatralizzati, o che mi sembra possano essere percepiti come tali, e la violenza mi pare sempre teatrale. Si tratta di un paradosso: quel che spesso viene inteso dalla società come “naturale” o “impulsivo” è in realtà quasi sempre codificato e teatralizzato.


Lei ha una profonda sensibilità nel cogliere quanto può esserci di aggressivo in una frase, in certe prese di posizione in cui si finisce per prendere partito e che possono sfociare in litigi. D’altra parte, lei sa che il venusiano è molto sensibile alle connotazioni, a ciò che può esserci appunto di aggressivo in una frase apparentemente anodina, semplice, ma che in effetti, inserita in un certo contesto, diventa una vera e propria aggressione. Venere accentua dunque la sua scelta deliberata, e insieme l'aspirazione, di uno stile di vita pacifico e benevolo verso il prossimo. Ma lo Scorpione è sempre stato considerato dalla tradizione come il campo di battaglia dello Zodiaco, come l’individuo più adatto a battersi con coraggio, assalendo e provocando in singolar tenzone il leader, il capo: lo Scorpione non si perde mai in battaglie secondarie.

Parlando sinceramente, non è il mio caso.


Esistono verosimilmente Scorpioni pacifici. In rapporto a questa presenza o a questa percezione vivissima di tutte le forme di aggressione, di tensione e di rapporti di forza che procurano un intenso sentimento della realtà, esiste al contempo nel suo tema natale un’altra dissonanza, questa volta di origine nettuniana. Essa tende a deviare o a spostare l'energia sul fantasma, sull’universo fantasmatico, sul sogno, sul bisogno di meraviglioso.

Bisognerebbe fare qualche distinzione, perché il fantasma non sempre coincide con quel che si chiama “meraviglioso”. Per esempio, l’universo sadiano è un universo fantasmatico, ma non meraviglioso. Detto ciò, è certo che, me ne sono accorto spesso, sento in me stesso una grande attività fantasmatica, molto più che onirica: intendo “fantasma” in un senso molto preciso, ossia nel senso che elaboro interiormente molto spesso, e per un nonnulla, delle specie di piccoli scenari nei quali mi colloco, sempre sulla base di un progetto di piacere: ecco la definizione del fantasma. Questa attività fantasmatica mi avvicina spesso ad alcuni testi: amo i testi fantasmatici, non altrettanto quelli onirici; è per questo che non sono un grande consumatore di poesia, nel senso corrente del termine, ma ho un gusto molto forte per le opere fantasmatiche, ossia per i romanzi.


E la fantascienza?

Mi piacerebbe – e del resto credo vi tenda per la sua stessa storia – una fantascienza che non vertesse soltanto su invenzioni di ordine tecnico, fisio­logico o biologico, ma piuttosto su immaginazioni di carattere affettivo: una fanta-fantasmatica, una fanta-erotica, se così si può dire.


Che ne pensa dello stato amoroso, del discorso amoroso? Venere in trigono e dominante nel suo tema natale fa di lei una persona che ha bisogno di relazioni privilegiate, una persona che in fondo fa poco per sé ma molto per qualcuno con cui ha una relazione privilegiata. Il venusiano è infatti un essere che ha bisogno di essere costantemente in relazione.

Non vorrei dire molto su un simile argomento perché sto lavorando proprio su questo. Quel che posso dire è che lo stato amoroso è appassionante proprio in quanto vive una forte contraddi­zione tra uno stato narcisistico (l’innamorato è uno dei soggetti più narcisisti che la psicologia e la psicanalisi abbiano mai trovato) e uno stato di generosità (questo stesso soggetto ha il potere di dare molto agli atri, all’altro). Freud l’aveva già osservato: è il paradosso dell’amore, un paradosso che riesce solo attraverso enormi conflitti, sotterfugi, sconfitte e difficoltà molto dolorose.

Questa intervista è uscita con il titolo Sur l’astrologie, in «Astrologiques», luglio 1976.

Leggete anche di Roland Barthes su doppiozero:
Osiamo essere pigri
Dominare il desiderio per non dominare l’altro

Roland Barthes, Riga 30, Marcos Y Marcos, Milano 2010.



  • Tullio Pericoli, Roland Barthes
    Tullio Pericoli, Roland Barthes

    http://www.doppiozero.com/

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