lunedì 27 aprile 2015

Dittatura [a]democratica in dirittura d'arrivo



Nessuno viene a salvarci è il titolo scelto da Repubblica per narrare il dopo terremoto in Nepal. Metafora efficace anche per le nostre, quotidiane, miserie: gli stadi che risputano l’Italia brutta, l’infinita e cattiva soap opera tra renziani e critici. “Fiducia o no, senza riforme me ne vado”, scrive Repubblica - e non è un’intervista ma la solita velina autorizzata, detto retroscena. Sul Fatto l’appello di “50 intellettuali e giuristi al Pd: non votate l’Italicum”. Il Giornale parla di “Renzi impantanato”. Il Sole24ore si chiede se funzionarà lo spoil system nella Pubblica Amministrazione. Ilvo Diamanti taglia corto: “dentro alla riforma elettorale si scorge l’elezione diretta del premier. Il quale riassumerebbe e concentrerebbe ruolo e poteri del leader del partito”. 

La rottamazione che cos’è? Matteo Renzi si ispira a Blair e Clinton, a una sinistra che, prima della crisi del 2007, cercava di cavalcare, e se possibile guidare, la spinta propulsiva del neo capitalismo. È convinto che il fallimento delle riforme di Berlusconi e la resistenza corporativa opposta da sindacati e sinistre abbiano paralizzato l’Italia. Perciò intende scardinare corpi intermedi, struttura della macchina statale, poteri di veto e controllo delle assemblee elettive, autonomie centrifughe. A questo servono le riforme, che devono avere, tutte, una intenzione unitaria. Matteo la chiama logica della “responsabilità”. Definitela, se volete, cultura aziendale: in ogni dove un capo - manager nominato dalla politica, preside promosso selezionatore e controllore di insegnanti, imprenditore con il diritto di licenziare, AD della Rai che assume, rimuove promuove chi vuole.

Dittatura democratica. Responsabili che rimandano a un responsabile superiore: il capo del governo. Perciò tutte le riforme sono leggi delega: il Parlamento si spoglia del suo potere, sia di controllo che legislativo, in favore del governo a cui consegna il cacciavite per sistemare tutto: decreti attuativi, mediazione, nomine e revoche. Per rottamare davvero - è la lezione di Lenin - serve che le riforme siano tante e si susseguano con un ritmo incalzante, capace di stordire gli oppositori e di annichilire ogni resistenza. Ma più importante ancora è che il governo abbia poi 5 anni per attuare il programma rivoluzionario. E qui entrano in scena le riforme costituzionali. Restano Province e il Senato ma non si eleggono più. Continueremo invece a scegliere Sindaco e Governatore: “responsabili” intorno ai quali si disegnaneranno sistemi di potere locale che non hanno bisogno di partiti e di partecipazione. De Luca, Emiliano, Paita. Il Partito della Nazione, meglio il non partito dei responsabili che rimandano alla responsabilità del premier.

Sindaco d’Italia. Quando voteremo con l’Italicum, nessuno di noi si curerà di chi siano i candidati e di quale  partito -non partito- li abbia espressi. Occhi e pensieri saranno attrattatti da altro: chi vincerà il ballottaggio e governerà incontrastato per 5 anni? Di Maio, Salvini, Renzi o Landini? Se il mio leader non può farcela, sarò tentato di scindermi alla caccia di un modesto 3% e di un posto al sole: l’Italicum favorisce la frammentazione dei perdenti e l’addensarsi degli interessi più disparati intorno al vincente.

Funzionerà? Penso di no, perché dopo aver rottamato (quasi) tutto, il responsabile solitario si troverà davanti corruzione e poteri forti, mafia ed evasori, ricatti di finanzieri e diktat internazionali che  - ahimé - non potrà rottamare. Meglio puntare su una sinistra visionaria e liberale, europea e radicale, che questa illusione dell’aggiustatutto, del dittatore democratico che dura 5 anni. Renzi è il metadone!

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