lunedì 6 agosto 2007


  Don Piero Gelmini, 82 anni (Foto: La Repubblica)


Se ritorna il fantasma del complotto anticlericale


di Michele Serra  



E' fortemente probabile che don Pierino Gelmini sia vittima del malanimo di alcuni suoi discepoli frustrati e vendicativi. Malanimo maturato in  quel faticoso viluppo di sentimenti, di dipendenza e di potere che è tipico delle comunità di recupero fondate sul carismo assoluto del Capo e del Padre. Già Vincenzo Muccioli, soccorrevole despota di San Patrignano, si trovò impigliato in quello stesso viluppo di carne e di sangue, con accuse anche più pesanti (omicidio). E ne uscì salvo. E' fortemente probabile, dunque, che don Pierino possa uscire indenne da ogni accusa. Che sia innocente per la legge degli uomini. Ma diventa molto difficile, e perfino illogico, sentirsi solidali con un uomo "che porta la Croce" (sono parole sue), se la sua autodifesa passa per il vero e proprio delirio dietrologico (e ahimè razzista) sfuggitogli di bocca.


Passi per la denuncia di un "complotto politico" nei suoi confronti: è oramai un riflesso pavloviano, un ritornello rituale, acqua fresca da quando l´intera frittata giudiziaria italiana è stata rivoltata da Silvio Berlusconi e dal suo ricco apparato di avvocati, ideologi e adepti a vario titolo. Ma le dichiarazioni sulla "lobby ebraica" che lo odia (poi smentita il giorno dopo secondo un´abitudine ben nota), sulla congiura dei "radical-chic", sui "giudici mascalzoni" che sarebbero il braccio armato di una lobby anticlericale mondiale, segnano una specie di punto apicale del lungo delirio anti-legalitario e sedizioso che ormai da parecchi anni rischia di rendere impraticabile, in questo Paese, perfino il sano esercizio della solidarietà per un imputato presunto innocente.


Di "lobby ebraiche" che manovrano la magistratura italiana, francamente, non era ancora pervenuta notizia. Né nelle passate disavventure giudiziarie del don Gelmini prima maniera (imputato per truffa, assegni a vuoto, bancarotta fraudolenta, e diffidato dalla sua stessa Chiesa, non certo dalle sinagoghe), risulta manifestarsi l´ombra infida di una discriminazione anti-cattolica. Bisognerebbe, dunque, che le persone che consigliano don Gelmini, e lo assistono anche legalmente in questa dura prova, lo aiutassero a ritrovare misura e buon senso, perché un conto è rivendicare la propria innocenza (specie se il contesto sembra suggerire l´ipotesi della vendetta postuma di pecorelle molto smarrite), un altro conto è sparare a zero contro il già corpulento fantasma della "lobby ebraico-radical-chic", uno spauracchio gonfio di paranoia e di pregiudizio.


A sentir ragionare certi innocenti odierni viene una paradossale nostalgia del caso Tortora, quando un innocente coraggioso e combattivo (un innocente d´altri tempi, verrebbe da dire) seppe difendersi mettendo a nudo l´insipienza e la sciatteria deplorevole dei suoi giudici senza mai alimentare a sua volta pregiudizi "politici": politica, per Tortora, voleva dire fare giustizia, illuminare la verità, non occultarla nelle vaghe nebbie del sospetto. Fare luce, non agitare ombre.


Giorni fa, nel ricostruire (molto tendenziosamente) le spinose vicende del rapporto tra politica e giustizia, Angelo Panebianco ha rispolverato, sul "Corriere", la tesi di un "partito dei giudici" sfuggito di mano, come il mostro di Frankenstein, alla sinistra sua creatrice. Punto e basta. Rubando il lavoro al "Corriere", e dunque esercitando un po´ di sano terzismo (visto che i terzisti non lo fanno), va aggiunto che se esiste un partito dei giudici esiste anche un cospicuo e agguerritissimo contro-partito degli imputati, i cui potenti agganci politici e mediatici non costituiscono certo una lobby o una setta, né muovono da una "congiura internazionale", come direbbe don Pierino. Ma che è riuscito a imporre, in molti e disparati settori di questo Paese, una vulgata antigiudiziaria che è almeno tanto facilona, tanto faziosa, tanto ideologica quanto il famoso "giustizialismo".


Dal fotografo Corona a molti inquisiti eccellenti, fino a quest´ultima imbarazzante sparata di Gelmini contro la lobby ebraica che lo vuole incastrare, oramai non c´è imputato che non legga nell´azione della magistratura come minimo un´inimicizia personale, come massimo una trama perversa di imprecisati e misteriosi "poteri forti".


A imperitura memoria di questo progressivo slittamento nella delegittimazione della legge e delle leggi, è perfino spassoso ricordare l´indimenticabile sortita dell´avvocato Taormina, nei giorni di Cogne, contro i "periti comunisti". In attesa che qualcuno, per difendere don Gelmini, tiri in ballo le malefatte dei periti ebrei, o degli uscieri di tribunale atei, viene spontaneo accostare la linea difensiva di molti imputati di grido, specie se ben piazzati socialmente, a quella degli anarco-insurrezionalisti: l´esercizio della legge diventa solo l´esercizio di un arbitrio di classe. Non il travagliato rapporto tra uno Stato e i suoi cittadini, ma la mano pesante delle multinazionali oppure della plutocrazia ebraica avrebbe in mano le chiavi delle galere.


I rivoluzionari e i reazionari sono, almeno in questo, affratellati. I primi con prevalente ingenuità, ma i secondi?


da La Repubblica, 6 agosto 2007


Aggiornamento del pomeriggio


Gelmini e la colpa della Lobby Ebraica


Furio Colombo



Don Pierino Gelmini l’ha detto, e quando certe cose si dicono tradiscono una convinzione profonda, perciò sono dette per sempre. Smentire non serve, perché non c’è niente di accidentale in quello che ha detto, anche se il pover uomo è sballottato e disorientato da brutte accuse di cui non sappiamo niente. Sono accuse che gli fanno paura ed è tragico e umano che l’uomo perda equilibrio. Fa un affannato elenco dei suoi nemici, dei possibili mandanti della imputazione di abusi sessuali su ragazzi ospiti del suo rifugio anti-droga, sulle ragioni della improvvisa rivelazione pubblica delle accuse che lo colpiscono.

E così dice: «Forse perché sono schierato col centrodestra. Forse perché i magistrati sono anti-clericali. Forse perché c’è una lobby ebraica radical chic che sta dietro questa storia».

Poiché sto scrivendo su un giornale di sinistra carico di storia come l’Unità, devo sgombrare il campo da un equivoco che è bene non coltivare. La frase shock che sta al centro di questa vicenda e che dà una coloritura a tutto ciò che d’ora in poi penseremo, diremo, scriveremo della vicenda di Don Pierino Gelmini, non è una frase di destra. O meglio non identifica chi la dice come qualcuno schierato a destra. Attraverso un complicato gioco di rimbalzi (avversione contro Israele, accettazione e uso delle parole d’ordine di coloro che combattono contro Israele, diffusione del negazionismo, confusione più o meno involontaria fra azioni militari di Israele e comportamenti degli ebrei nel mondo) l’odiosa espressione «lobby ebraica» è passata a sinistra ed è passata persino - a volte - nel linguaggio giornalistico ritenuto «indipendente». Vuol dire immaginare un particolare centro di potenza che irradia i propri interessi nel mondo attraverso i media e le banche, piega le volontà, deforma le storie e - se necessario - influenza e condiziona le decisioni che contano.

Che la fonte di tutto ciò siano le cose dette e imposte come verità dal dottor Goebbels e dalla propaganda fascista e nazista è storia lontana e in gran parte perduta. Che, prima ancora, ci sia il celebre documento forgiato dalla polizia nazista oltre un secolo fa e noto come «i Protocolli dei Savi di Sion» è nozione perduta, anche se il documento circola intatto nelle retrovie culturali del mondo arabo e ispira quasi tutta la propaganda che giura d’essere antisionista, dunque anti-israeliana ma non anti-ebrea.

Però c’è sempre un momento in cui tutte le scorie di questo materiale di scarto della storia improvvisamente si raccolgono e si raggruppano, come in una strana combinazione chimica, e formano il solido pregiudizio della «lobby ebraica» (ebraica, non sionista, non israeliana). Descrive il punto in cui tutto il male comincia.

Me lo hanno detto con rabbia, sventolando documenti, alcuni giovani molto ostili, poche sere fa in una festa dell’Unità dell’Umbria (mi ha difeso con generosità il resto della folla, anche quelli non convinti dalle tesi del mio libro in difesa di Israele). Ma il pregiudizio era là, intatto, al centro della cultura che nasce dalla Resistenza.

Ora lo dice un prete duramente accusato, forse ingiustamente e forse no, come naturale ragione di difesa. E la affermazione - netta, inequivocabile, non ritrattabile, perché non è una parolaccia ma un concetto complesso con lunghe radici nella storia - si colora dell’altro significato, quello cristiano, che non è quello dell’antifascismo deragliato.

Tanti storici - e fra essi molti autorevoli protestanti e cattolici - si sono occupati della lama di pregiudizio cristiano che ha attraversato e ispirato il paganesimo razzista, il dio della razza pura del nazismo-fascismo. Anche oggi dobbiamo renderci conto che il ritorno della messa in latino proposta da Papa Ratzinger, reintroduce - pur senza intenzione o forse senza attenzione - parole e preghiere di quell’antico pregiudizio cristiano. Ma ecco ciò che accade: il prete accusato, nel momento del panico (che è comprensibile e umano) cerca fra i suoi materiali di soccorso e trova subito il più efficace: la lobby ebraica. Spiega meglio di ogni altro argomento la persecuzione di un prete.

Proprio il momento del panico tradisce la verità, che purtroppo è un dato della cultura italiana ai nostri giorni. Non a destra più che a sinistra, ma appena sotto la cenere (i molti sommersi, i pochi salvati) della storia italiana.

Don Gelmini offre un frammento non nobile ma vero di memoria condivisa. Don Gelmini dice, a ottant’anni, di avere passato qualcosa (lui, non Primo Levi) ai ragazzi che con rabbia contestavano, solo poche sere fa, a una festa dell’Unità, il diritto di Israele ad esistere. Perché Israele non è che uno dei tanti mali della lobby ebraica.

Don Pierino chiederà scusa, anche se continuerà a tenersi quel tormento («forse mi hanno rovinato gli ebrei radical chic perché sono un prete»). I ragazzi della festa dell’Unità dell’Umbria sono stati allontanati dagli organizzatori e dal Sindaco, ma ancora in lontananza ripetevano le accuse al nemico sionista («giustamente condannato dal Presidente iraniano», dicevano) e all’infaticabile agente del sionismo, la lobby ebraica.

Oggi, fra Don Gelmini e quei ragazzi, posso dire di sentire un penoso effetto stereo. Politicamente le due voci sono lontane e opposte, ma questo è il vero pericolo. È lo scandalo della cultura fallita.

I ragazzi che si credono militanti e i preti che si credono santi conoscono solo la storia del pregiudizio.

furiocolombo@unita.it - 06.08.07 - Modificato il: 06.08.07 alle ore 8.52



Avrei molto da dire sull'argomento che è vasto e inquietante. Lo farò quando non avrò articoli di questo peso da postare.


Aggiornamento 8 agosto 2007


Assedio alla Chiesa?

di Arrigo Levi, La Stampa, 7 agosto 2007


Premetto che non credo neanche per un istante alle accuse di molestie rivolte a Don Gelmini, che ho conosciuto e stimato per la sua opera di recupero dei drogati.

Ma ritengo giusto riflettere, e invitare in amicizia Don Pierino a riflettere ancora, sulle cose che ha detto, e poi ritrattato e corretto, a proposito della «lobby ebraico-radical chic» che, a suo dire, vorrebbe danneggiare o addirittura «svenare» la Chiesa di Roma. In qualche modo, sia la sua smentita, che alcune delle cose dette da suoi ammiratori per scusarlo, sono il classico «peggio il tacòn del buso».

Purtroppo non serve spiegare la frase malaugurata con le parole: «Se l’ho detto mi è sfuggito. Intendevo dire loggia massonica-radical chic». Caro Don Gelmini, come ci insegnavano a scuola, «voce dal sen fuggita più richiamar non vale». Non basta proprio dire: «Chiedo scusa agli ebrei, ho molta stima e considerazione per loro».

Grazie, ma non ne abbiamo bisogno. Non vedo perché Lei non dovrebbe stimarci, né più né meno dei non ebrei. E poi agli ebrei, non so perché, le dichiarazioni di particolare stima danno un certo brivido. Comunque, quel che è detto è detto. E mi pare che in un caso come questo - accetti il consiglio di un Suo estimatore - si imponga un bell’esame di coscienza, magari un ritiro dedicato a una riflessione profonda su una idea tanto antica e diffusa quanto ignobile, che evidentemente, povero Don Gelmini, Lei aveva dentro di sé, nel più profondo della coscienza.

Temo che anche la Sua idea della massoneria sia un’idea sciagurata, come lo è il giustificarsi dicendo: «Pensate a quello che è accaduto in America, alla strumentalizzazione sui preti pedofili americani. La Chiesa ha sbagliato a pagare, a indennizzare... Mi sembra ci sia in atto una strategia mondiale di questa lobby che partendo dalla Chiesa americana tende a indebolire la Chiesa tutta. Guardate che non ci sono solo i preti pedofili! I pedofili sono ovunque, anche tra i pastori protestanti». Scusi: ma che c’entrano i pastori protestanti? Ognuno si faccia gli affari suoi!

Mi ha fatto poi sorridere l’osservazione, che voleva essere rassicurante, di Carlo Giovanardi (concittadino e amico), che ci assicura che né lui, né Berlusconi, che pure hanno studiato per anni dai Salesiani, «sono mai stati molestati». Lo spero bene! Non vedo perché si dovrebbe pensare il contrario. Quanto a definire la frase di Don Gelmini, come ha detto l’onorevole Ronchi, «una gaffe», significa non capire affatto la gravità di ciò che è stato detto: quella frase non era una gaffe, ma un reato bello e buono, definito dalla legge «istigazione all’odio razziale».

Ma perdonare è una virtù, e perdonare fa bene a chi perdona come a chi viene perdonato. Rimanendo dunque in piena e fiduciosa attesa che i giudici riconoscano Don Pierino del tutto innocente dall’accusa rivoltagli di pedofilia, trovo però preoccupante l’idea dello stesso Don Pierino che sia in atto un’attività persecutoria della Chiesa. Come dice sempre l’onorevole Ronchi: «Relativismo culturale e clima anticlericale sono assodati». Ma il «relativismo culturale», in buon italiano, altro non è che la libertà di pensiero, che la nostra Costituzione (art. 21), grazie al cielo, riconosce a tutti.

Quanto al «clima anticlericale», e alla presunta persecuzione della Chiesa, faccio mio il commento di Monsignor Giovanni Nicolini, vicario episcopale di Bologna, che cito: «La Chiesa non è un fortino assediato. Se capitasse a me una cosa del genere, non aprirei più bocca, e soprattutto non griderei al complotto contro la Chiesa. A Don Gelmini, consiglio il silenzio di Cristo davanti ai suoi accusatori. Se si smette di urlare, poi si scopre che non esiste nessun accanimento anticlericale nella nostra società, anzi noi cattolici siamo molto stimati. La vera lacerazione non è tra la Chiesa e il mondo, ma dentro la Chiesa. Allargare alla Chiesa le vicende personali è la vera minaccia antiecclesiale».

Parole sante, che ci piacerebbe sentir ripetere dai più alti livelli della gerarchia. L’idea, un po’ grottesca, che i cattolici siano perseguitati (lasciatelo dire a un ebreo, che di persecuzioni ha una certa esperienza), non nasce, purtroppo, da Don Pierino. A cui rivolgo tutti i miei auguri di continuare, in serenità, l’opera buona a cui ha dedicato, meglio che poteva, la sua vita.

7 commenti:

  1. Le dichiarazioni di don Gelmini sono state certamente infelici... però è vero che un certo attacco alla chiesa c'è.

    Come pure le recenti accuse ad un esile ottantaduenne da parte di alcuni robusti giovanotti nel pieno del loro vigore fisico appaiono poco credibili.
    Soprattutto se ripensiamo alla storia di quest'uomo che negli 70 non ebbe paura di farsi iniettare il virus dll'HIV per favorire la ricerca sull'aids...

    Pace e bene
    Marco

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  2. @linodigianni
    Ciao, Lino, felice di rivederti.
    @marzia
    Conosco poco don Gelmini, ma penso che la sua difesa sia credibile. Mi sconvolgono, invece, i modi e i mezzi della sua difesa. Gli riconosco il rispetto per la vecchiaia, ma il Meluzzi e tutto l'entourage? Brutta la diffusione di questo malcostume portato alle massime realizzazioni dal Berlusconi Silvio.
    @calimero00
    Fuor di polemica, non penso che si possa parlare di "chiesa" così, come se ne esistesse una sola. Quanto a don Gelmini, è molto penoso dover rispondere a un uomo di 82 anni, facendogli rilevare tanti errori. La vicenda giudiziaria è completamente esclusa dalla questione, infatti tutti propendono per l'innocenza del prelato. Ma anche qui mi sentirei di dire che un padre, un maestro, una guida, non sparerebbe a zero sui suoi accusatori, per quanto mendaci. Sempre in ossequio all'etica evangelica.

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  3. @calimero00
    Pace e bene, Marco! Anch'io amo Francesco d'Assisi. Con simpatia.

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  4. Perchè non vi sciacquate la bocca prima di difendere qualcuno che non conoscete? Mettereste la mano sul fuoco riguardo alla "castità" del nostro don pierino? Giurereste sulla testa dei vostri figli? e se, questi, un giorno si facessere qualche pera, li mandereste da lui così a cuor leggero? E questa leggerezza del vostro cuore proviene dall'aridità dei vostri sentimenti da cristiani bigotti ed esteti-radica-chic?

    Chi lo accusa ha subito violenze e molestie come il sottoscritto. La differenza è che c'è e ci sarà chi potrà difendersi e chi no. Ascoltate quindi ed evitate giudizi sommari.

    ezechiele4donmerdino@libero.it

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  5. @ezechiele4donmerdino@libero.it
    Non riesco proprio a capire il commento, perché il post non giustifica e non accusa (come potrebbe?) il prete di cui si tratta, anzi rivolge parecchie critiche al suo comportamento. In una risposta ho fatto anche rilevare che non mi sembrava corretta una linea di difesa caratterizzata da attacchi poco misericordiosi contro gli accusatori. Non mi pare di essere venuta meno all'impegno del "non nuocere" e della non violenza. In ogni caso avrei gradito toni più cortesi.
    Un saluto e un augurio di giuste soluzioni.

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