venerdì 20 agosto 2004

 Edward Luttwak, l'autore dell'analisi molto puntuale sullo stato delle cose in Iraq, pubblicata dal New York Times 1l 18 Agosto scorso.

Edward Luttwak è stato Consulente del segretario alla Difesa, del Consiglio per la Sicurezza Nazionale e del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti oltre ad essere membro del Gruppo di Studio per la Sicurezza Nazionale del Dipartimento della Difesa e membro associato dell'Istituto del Ministero delle Finanze Giapponese per la politica Fiscale e Monetaria. Luttwak è inoltre docente presso numerose università, tra le quali Berkeley e Yale, e istituti militari negli Stati Uniti all'estero (Russia, Italia, Francia. Spagna, Giappone, Argentina e Gran Bretagna).  http://www.radio.rai.it/radio3/mondo3/index.cfm

Dopo aver sostenuto l'invasione dell'Iraq, ora sostiene che gli Stati Uniti, sempre per salvaguardare i loro interessi, dovrebbero abbandonare l'iraq, o almeno, usare la minaccia del loro ritiro come strumento di pressione. Trovo agghiacciante il suo modo di argomentare e cinico il suo modo di analizzare le cose. Le persone non esistono.

Da noi, però, nemmeno un dubbio sull'opportunità di ritirare i nostri soldati, sia nell'interesse nazionale che per motivi etici e umanitari. Il bandanato non sembra propenso a rinunciare a un giorno di vacanza per andare in Parlamento a riesaminare l questione. Non lo si può costringere, ma si può gridargli l'indignazione per queste continue offese alle istituzioni.

Time to Quit Iraq (Sort Of)


By EDWARD LUTTWAK


Chevy Chase, Md. - Molti Americani credono ora che gli Stati Uniti stiano esaurendo la propria forza militare, il potere diplomatico e il Tesoro per perseguire un obiettivo irrealistico. Sembra che la democrazia interessi poco agli Iracheni, data la tendenza diffusa tra gli Sciiti di seguire rappresentanti del clero non eletti, il rifiuto dei Sunniti del principio della regola maggioritaria, e la preferenza dei Kurdi per tribù e clan rispetto a governi eletti. Si era supposto che la ricostruzione sarebbe avanzata rapidamente aumentando le entrate petrolifere, ma sta andando avanti con difficoltà poiché continua la distruzione inflitta da sabotaggi e furti. E in ogni caso,è improbabile che il nuovo governo Iracheno a interim sarà in grado di effettuare elezioni significative in un paese in cui la sua autorità è più largamente negata che riconosciuta.







 


Per ora pochi Americani sono preparati ad abbandonare semplicemente l'Iraq. Intanto, loro sono giustamente preoccupati perché fare questo sarebbe un colpo mortale alla credibilità globale dell'America e incoraggerebbe gli Islamisti dovunque. Un ritiro immediato lascerebbe il governo a interim e le sue deboli forze di dubbia lealtà a fronteggiare gli attacchi dei fedeli al regime Baath molto imbaldanzito, dei revanscisti Sunniti, degli estremisti Islamici locali e stranieri, e delle sempre più numerose milizie Sciite.











 


Il risultato probabile sarebbe la defezione dell'esercito governativo, della polizia e dei membri della guardia nazionale, seguita da un rapido collasso e poi dalla guerra civile. Peggio andrebbe nel Medio Oriente - come di solito succede - fino al punto di invasioni da parte dell'Iran, della Turchia e di eventuali altri (paesi), dando inizio a un nuovo ciclo di repressione e violenza.







 


Pertanto le probabili conseguenze di un abbandono Americano sono così tetre che pochi Americani vorrebbero perfino prenderlo in considerazione. Questo è un errore: è così precisamente perché un'imprevedibile è confusione è talmente prevdibile che gli Stati Uniti potrebbero disimpegnarsi dall'Iraq a poco costo, o addirittura forse vantaggiosamente.






 


Ecco perché: in Iraq l'America affronta alcuni diversi nemici, ... alcuni alleati nominali decisamente di nessun aiuto. Mentre le cose stanno, la loro mutua intensa ostilità ora non porta vantaggi agli Stati Uniti. Ma tutto potrebbe essere sbilanciato da una ben pianificata politica di disimpegno, e forzato a bloccare il danneggiamento degli interessi Americani e, possibilmente, perfino a favorirli in qualche misura.




Al momento, poiché gli Stati Unitisono completamente impegnati in Iraq, gli Sciiti seguaci del religioso rinnegato Moktada al-Sadr si sentono liberi di attaccare anche le forze Americane che stanno combattendo i Sunniti tesi a restaurare la loro ancestrale supremazia. Molti religiosi Sciiti e gran parte della popolazione - molti Sunniti stanno sperando di opprimere ancora una volta - o applaudono Mr Sadr o non fanno niente per fermarlo.



Ma se gli Sciiti fossero persuasi che l'America potrebbe davvero abbandonarli soli di fronte ai lealisti di Saddam Hussein, sembra certo che loro ritornerebbero a quella collaborazione con le forze di occupazione già mostrata nel seguito dell'invasione.





 


Nello stesso modo, finché alcuni dicono che le due maggiori potenze nella regione, Iran e Turchia, vedrebbero un Iraq nell'anarchia come un'opportunità per espandere la loro potenza, questo sembra probabile. Certo, un Iraq diviso sarebbe una base da cui quei paesi nemici - specialmente i dissidenti Kurdi - sarebbero in gardo di operare impunemente.





 


Per ora, con gli Stati Uniti visti come determinati a tirare diritto, gli hard-liners (?) in Iran possono perseguire la loro vendetta anti-Americana incoraggiando l'opposizione Sciita, sostenendo la milizia di Mr. Sadr e incoraggiando la Siria ad aiutare i terroristi Islamici a introdursi di nascosto in Iraq. Ma un ritiro Americano significherebbe la fine di ogni speranza per un Iraq unificato, a guida Sciita, che è l'obiettivo di lungo termine dell'Iran, e probabilmente una restaurata supremazia Sunnita, che è la più grande paura dell'Iran.



Per quanto riguarda la Turchia, nostro alleato sempre più nominale, sembra che sia focalizzata sull'alleanza con la minoranza Turcomanna in Iraq, e sulla divisione dei Kurdi. Non viene fatto nulla per aiutare gli Stati Uniti nelle loro difficoltà - e la Turchia potrebbe fare molto, soprattutto ovviamente condividendo l'informazione raccolta dalle sue unità di intelligence operanti in Iraq.




 


Ma se l'alternativa fosse un imminente ritiro Americano - e un Kurdistan Iracheno indipendente de facto - la Turchia arriverebbe subito a stare alle calagna (?). La minaccia di disimpegno colpirebbe anche i giocatori minori. Il Kuwait, la cui vera esistenza dipende dal potere Americano, ha dato poco per aiutare. In un tempo di esplosive rendite petrolifere, e con i subcontactors Kwaitiani che raccolgono grandi somme dai contratti con il Pentagono, il Kuwait Red Crescent sta mandando solo strani carichi di cibo in Iraq (e perfino quelli sembrano gonfiati). Per quanto riguarda i Sauditi, la loro tendenza è esemplificata dalla loro recente offerta di un contingente Islamico per aiutare la fortezza Iraq: all'inizio è suonato coraggioso, invece si è rivelata una promessa di truppe che non erano loro, e vincolate da condizioni che le hanno resse peggio che inutili.







Tuttavia il Kuwait e l'Arabia Saudita sarebbero fortemente danneggiate da un Iraq nell'anarchia, che potrebbe persino permettere all'Iran di invadere le sue regioni meridionali col pretesto di proteggere i seguaci Sciiti.



Ancora, la minaccia del ritiro Americano sarebbe adatta a concentrare le menti meravigliosamente. Lo scopo sarebbe di portare il Kuwait e l'Arabia Saudita a rimpiazzare i contribuenti Americani nell'aiutare l'Iraq; i due potrebbero congiuntamente sponsorizzare le truppe di peacekeeping, questa volta seriamente, remunerando finanziariamente i paesi Musulmani più poveri con truppe to spare (?).




 


While deploying such soldiers across Iraq would be a very bad idea - they would be Sunnis of course, and most unwelcome to Iraq's Shiites - they would be fine for the recalcitrant Sunni towns.


This is no diplomatic parlor game. The threat of an American withdrawal would have to be made credible by physical preparations for a military evacuation, just as real nuclear weapons were needed for deterrence during the cold war. More fundamentally, it would have to be meant in earnest: the United States is only likely to obtain important concessions if it is truly willing to withdraw if they are denied. If Iraq's neighbors are too short-sighted or blinded by hatred to start cooperating in their own best interests, America would indeed have to withdraw.



 


That is a real constraint. Then again, the situation in Iraq is not improving, the United States will assuredly leave one day in any case, and it is usually wise to abandon failed ventures sooner rather than later.


Yes, withdrawal would be a blow to American credibility, but less so if it were deliberate and abrupt rather than a retreat under fire imposed by surging antiwar sentiments at home. (See Vietnam.)


So long as the United States is tied down in Iraq by over-ambitious policies of the past, it can only persist in wasteful futile aid projects and tragically futile combat. A strategy of disengagement would require risk-taking statecraft of a high order, and much competence at the negotiating table. But it would be based on the most fundamental of realities: for geographic reasons, many other countries have more to lose from an American debacle in Iraq than does the United States itself. The time has come to take advantage of that difference.



Edward N. Luttwak is a senior fellow at the Center for Strategic and International Studies and the author of "Strategy: The Logic of War and Peace."


Originale:


New York Times, 18 Agosto 2004


Time to Quit Iraq (Sort Of) by Edward Luttwak


http://www.nytimes.com/2004/08/18/opinion/18luttwak.html




6 commenti:

  1. Che storia!! grazie per lo spunto preziosissimo, anche per l'Iran (nel lontanissimo 1963 restammo bloccati sulla autostrada per Milano perchè lo Scià doveva provare la sua sedicesima Ferrari ed io chiesi ingenuamente a mio padre chi sfruttasse per comperare una macchina cosi..)

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  2. ehilà... mi sei sempre preziosa nelle informazioni: un baciotto e buona domenica:-)

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