giovedì 12 agosto 2004

All’ombra di Hiroshima e Nagasaki  di David Price


Le condizioni culturali di una resa incondizionata

Ricorre il 59° anniversario del bombardamento americano a Hiroshima, episodio rispetto al quale molti americani si dicono ancora soddisfatti, ritenendola una decisione difficile ma necessaria, presa dal Presidente Truman: usare le bombe per portare la pace e per salvare vite umane. Sembra improbabile che molti americani riconsidereranno le loro posizioni su questa questione.


Per alcuni Hiroshima è divenuto il paradgima della vera e propria nozione di “bombardamento per la pace”, e chi si differenzia da questa posizione viene qualificato come uno che ha posizioni politiche radicali.


Ma alcuni giorni fa leggevo sui giornali dell’ultimo sinologo e guerriero cinico, George Edward Taylor, all’Università di Washington. Mi imbattei in alcuni documenti che mi rammentarono che mettere in discussione la saggezza di usare armi atomiche contro i civili giapponesi alla fine della Guerra del Pacifico non è stata una posizione presa esclusivamente dalla sinistra contemporanea: : anche durante i bombardamenti c’erano alcuni membri, tra i militari o gli appartenenti all’intelligence, conservatori, che vedevano l’uso di queste armi come non necessario, folle.

George Taylor era un classico personaggio del ventesimo secolo dedito all’intrigo.
Conduceva operazioni di intelligence nel Giappone occupato dalla Cina, durante la Seconda guerra Mondiale era Deputy Director per il Far East of the Office of War Information (OWI), ...


Taylor era una sorta di Terzo Uomo che scivolava dalle scene ai retroscena dei vari teatri di conflitto del ventesimo secolo e la sua corrispondenza dimostra i legami che intratteneva con persone quali Henry Kissinger, Edward Lansdale e Harold Lasswell.

Nel 1996 incontrai Taylor nel suo spettacolare attico in cima a Pill Hill a Seattle – sovrastante la città, l’Olympic e le Mountains Cascade – e mi rilasciò una lunga intervista nella quale descriveva i suoi contatti con Wittfogel, il periodo di McCarthy e i suoi anni come supervisore in un piccolo esercito di antropologi, dell’Ufficio di Informazione di Guerra (OWI), che hanno armato l’antropologia contro i giapponesi) durante la Seconda Guerra Mondiale. Presso OWI la squadra di Taylor composta di sociologi ha studiato la cultura giapponese e ha creato una propaganda specificamente culturale, basata fondamentalmente su volantini lasciati cadere dagli aeroplani sui soldati e i civili giapponesi.

Visto che Taylor credeva che la comprensione della cultura fosse vitale per il successo della sua squadra, all’OWI reclutò oltre una dozzina di antropologi e altri sociologi per lavorare alla sua analisi del Giappone e alla campagna di propaganda. Tra le altre fonti, la squadra di Taylor aveva accesso ai cinquemila diari presi ai soldati giapponesi catturati o uccisi, e questi pensieri intimi venivano utilizzati come importanti fonti per gli efficaci sforzi propagandistici dell’OWI.

Il lavoro all’OWI di Ruth Benedict è ben espresso nella sua pubblicazione post-guerra “The Chrysanthemum and the Sword”, nel quale analizza la cultura e le caratteristiche proprie degli individui giapponesi. Il lavoro della Benedict si incentra sul ruolo e sull’importanza dell’Imperatore nella cultura giapponese e riflette il punto di vista ufficiale della divisione di Taylor all’OWI.

Quando intervistai Taylor fui sopreso dalla sua insistenza nell’asserire che, all’inizio della guerra, considerava il piano di guerra psicologica come un mezzo per porre fine alla guerra e per aiutare i giapponesi a superare tutti gli ostacoli culturali che ne impedivano la resa – comunque, con il procedere della guerra e quando la futura vittoria americana divenne evidente tentò di rileggere il suo lavoro come mezzo di persuasione per i leader americani, civili e militari, affinché non fossero coinvolti in atti di genocidio alla fine della guerra.

Gli stereotipi razzisti che descrivevano i civili e i militari giapponesi come maniaci, combattenti fino alla morte, dominarono il Dipartimento di Guerra e la Casa Bianca, e Taylor e il suo staff incrementarono lo sforzo per sconfiggere questi fantasmi interniritenendoli il principale deterrente per la pace. Fu con grande difficoltà che Taylor e il suo staff di antropologi lavorarono per convincere i civili e il personale militare che i giapponesi erano culturalmente anche in grado di arrendersi.

I documenti di Taylor contengono numerosi discorsi dattiloscritti concernenti i suoi sforzi per persuadere gli strateghi militari americani che i giapponesi potevano arrendersi. In uno di questi discorsi non datati (probabilmente del 1944) sosteneva che:
“Se noi accettiamo, come dobbiamo, l’idea che i soldati giapponesi, a dispetto del loro indottrinamento, siano umani come gli appartenenti ad altre truppe, saremo meno sorpresi dalle crescenti prove delle loro delle loro sempre più frequenti reazioni di resa. Noi stiamo facendo sempre più prigionieri. Due anni fa sarebbe stato molto inusuale pensare che sessanta uomini avrebbero potuto abbandonare la nave quando affonda. In Nuova Guinea e Burma i soldati spaventati stanno uscendo dalle giungle per arrendersi senza lottare. Noi sapevamo da lungo tempo che molti ufficiali giapponesi stavano lasciando posizioni indifendibili e che la loro reazione in luoghi come Attu, dove scappare era impossibile, non era di combattere fino all’ultimo uomo”.

Ma fu proprio questo tipo di analisi– espressa contro il Dipartimento di Guerra che approvava una campagna genocida per distruggere una “razza” creduta incapace di arrendersi – che fu ignorata, sia al Dipartimento di Guerra che alla Casa Bianca. L’OWI ebbe poco successo nel convincere il Presidente Roosvelt dell’importanza di non includere la morte dell’Imperatore giapponese nella domanda americana di resa incondizionata, ma, come Taylor disse a Sharon Boswell in una intervista del 1996, “fortunatamente Roosvelt morì e prese il suo posto Truman”.

Taylor riteneva che Truman avrebbe capito l’insistenza dell’OWI sul fatto che la resa si sarebbe potuta negoziare e sembrò impuntarsi sull’importanza di esonerare l’Imperatore dalle condizioni di “incondizionata” resa. Taylor disse che Truman aveva autorizzato l’OWI a comunicare con i giapponesi. Mentre le forze giapponesi cedevano c’era un crescente interesse per la resa.

Alcuni giorni dopo trovai tra i documenti e la corrispondenza di Taylor, alcune fotocopie consunte di report desecretati dell’intelligence, dal nome in codice “Magic-Diplomatic Summaries”. Si trattava di intercettazioni di comunicazioni diplomatiche giapponesi, tradotte, che erano segretamente state decodificate e lette all’intelligence militare americana durante la guerra. L’11 maggio 1954 le intercettazioni di MAGIC supportavano i punto di vista di Taylor, degli altri all’OWI, e altri ancora dell’ intelligence militare, dove si sosteneva che la milizia giapponese era pronta ad arrendersi.

“Corre voce che un sentimento di pace si diffonda nelle forze armate giapponesi: il 5 maggio la nave della marina tedesca Attachè, a Tokyo, inviò il seguente messaggio all’Ammiraglio Doenitz: ‘ Un influente membro del Ministero della Marina ha cercato di farmi capire che, da quando la situazione è chiaramente senza speranza, gran parte delle forze armate giapponesi potrebbero non considerare con sfavore una richiesta americana di capitolazione anche se i termini fossero duri, anche se questo consentirebbe loro di salvare l’onore soltanto a metà”.
Nota [ dall’intelligence militare americana]: In precedenza i rapporti diplomatici avevano considerato che vi fossero segnali di debolezza nella Marina giapponese, ma non avevano riportato questa abitudine dell’Arma.”

Questa citazione di “parziale onorabilità” nei termini di resa era esattamente perché gli antropoligi del gruppo di Taylor avevano puntualizzato l’importanza dell’Imperatore nella società giapponese. Ma alcune considerazioni venivano tranquillamente ignorate dal Dipartimento di Guerra il cui calcolo costi-benefici, che già considerava le prossime centinaia di migliaia di morti a Hiroshima e Nagasaki e le raffrontava con quali fossero realmente condizioni accettabili per far seguire una resa incondizionata.

Ancora più tragica è un’intercettazione della MAGIC, il 20 luglio, nella quale l’Ambasciatore giapponese Sato sosteneva il suo desiderio di una resa giapponese se gli Stati Uniti gli avessero assicurato che la “Casa Imperiale” non sarebbe stata toccata. Questi documenti della MAGIC sono una triste testimonianza che nei giorni prima degli attacchi di Hiroshima e Nagasaki, l’intelligence americana aveva avuto chiare prove che l’Ambasciatore Sato era prossimo ad arrendersi agli americani.

Ma nè la conoscenza raccolta da queste intercettazioni nè il quadro generale offerto dagli scienziati sociali all’OWI, dissuasero gli americani dal realizzare i propri piani di lanciare armi nucleari sui civili giapponesi.

Forse fu a causa delle poco chiare credenziali di George Taylor, ritenuto un falco, un pericoloso-anti-comunista-conservatore, e uno addentro all’intelligence, che il suo punto di vista fu percepito come quello di un doppiogiochista, inserito nel coro di coloro che ponevano domande sul se fosse stato giusto lo schierarsi di Truman a favore della bomba-A. Mentre all’esterno la decisione sulla bomba-A veniva ritenuta frutto di una costrizione, di un cappio al collo, Taylor e gli altri dell’OWI sapevano che il Giappone era maturo per una (pseudo-incondizionata) resa. Come molti altri, Taylor più tardi credette che la decisione di Truman di usare armi nucleari avesse molto più a che fare con “il fare una paura d’inferno all’Unione Sovietica” che con il salvare, gonfiando le stime e i numeri, vite americane che alcuni presumevano sarebbero andate distrutte durante una invasione e occupazione del Giappone.

Ma oltre all’ovvio motivo inviato ai sovietici, la decisione di Truman di usare la sua arma da Giorno del Giudizio (due volte) senza considerare che il Giappone era in quel momento nelle condizioni per una resa incondizionate, rivela elementi di un importante direzione poi presa, nel post-guerra, dagli Usa – una direzione di violenza, per la quale la forza militare americana diviene lo strumento preferito rispetto a qualunque forma e promessa di diplomazia.

David Price, insegna antropologia al St. Martin’s College in Olympia, a Washington. Il suo ultimo libro, Threatening Anthropology:McCarthyism and the FBI’s Surveillance of Activist Antropologists è stato pubblicato dalla Duke Universitu Press. Puoi contattarlo al: dprice@stmartin.edu


 


Tradotto da Barbara Cantelli per Nuovi Mondi Media
Fonte: http://www.counterpunch.com/price08062004.html
For Fair Use Only


Com'è ovvio, non sono nelle condizioni di controllare direttamente fonti e documenti, ma le testimonianze di questo genere sono molte e concordanti. La testimonianza principale, inoltre, è di carattere etico e logico: gli eccidi sono crimini, e i crimini non hanno mai giustificazioni logiche.


7 commenti:

  1. Cara harmonia, grazie delle visite e dei regali-le immagini che mi lasci sempre con tanta sensibilità. Ho letto il post sulla guerra. No, non ci sono guerre "giuste" come non ci sono amputazioni giuste. Ci sono guerre necessarie-la seconda guerra mondiale lo è stata. E dentro una guerra necessaria ci sono azioni necessarie ed altre orribilmente gratuite come il bombardamendo di Dresda, per esempio. Hiroscima e Nagasaki furono azioni non necessarie se non come deterrente verso l'Unione Sovietica e il resto del mondo, o forse esperimento-dunque crimini contro l'umanità. Questa è la storia dell'uomo, dominata dalla volontà di potenza e dalla paura....

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  2. Ho sempre nutrito dubbi terribili sulla capacità delle amministrazioni americane, tutte, di interpretare la realtà nel resto del mondo. Mi pare che la cultura americana sia in larga parte così infantile in ogni espressione da non potersi stupire dell'infantilismo, però feroce, della politica estera. Che la guerra in Irak sia stata " peggio di un crimine, un errore" mi pare si dispieghi ogni giorno di più. E non si vede ancora il fondo del pozzo...Del resto lo sono stati TUTTI gli interventi dopo la seconda guerra mondiale, ad esclusione della guerra di Corea. Si pensi ad una America Latina aiutata dagli Stati Uniti sulla strada del progresso e di conseguenza della democrazia, piuttosto che occupata dagli interessi delle multinazionali americane. Ma chi comanda DAVVERO, negli U.S. A?

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  3. Bella domanda: ma chi comanda davvero negli USA?

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  4. ho finito di leggere un libro proprio sull'argomento bomba su hiroshima...mi ha colpito molto ciò che era il senso dell'onore in giappone (e parlo dei civili, non dei soldati), la difficoltà che ebbero ad accettare la notizia della resa comunicata via radio. Alcuni dopo lo scoppio della bomba invece di pensare a sè si precipitarono tra le fiamme della propria casa per salvare il ritratto dell'imperatore e portarlo al sicuro...l'orgoglio enorme che portavano per il proprio paese e la certezza della vittoria...
    Sono strasicuro che gli Stati Uniti vollero spaventare, e non solo il Giappone ovviamente visti i nuovi equilibri internazionali...
    E di sicuro approfittarono per "testare" gli effetti dello scoppio e delle radiazioni, infatti mandarono i propri medici a hiroshima circa un mese dopo. Bisogna anche pensare a quanto si sbrigarono prima che la guerra potesse terminare...se si pensa che il primo test avvenne il 16 luglio...
    piuttosto non oso pensare a cosa sarebbe accaduto se la germania nazista o lo stesso giappone fossero arrivati con qualche mese d'anticipo sulla propria capitolazione, a creare la prima bomba...

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  5. ho finito di leggere un libro proprio sull'argomento bomba su hiroshima...mi ha colpito molto ciò che era il senso dell'onore in giappone (e parlo dei civili, non dei soldati), la difficoltà che ebbero ad accettare la notizia della resa comunicata via radio. Alcuni dopo lo scoppio della bomba invece di pensare a sè si precipitarono tra le fiamme della propria casa per salvare il ritratto dell'imperatore e portarlo al sicuro...l'orgoglio enorme che portavano per il proprio paese e la certezza della vittoria...
    Sono strasicuro che gli Stati Uniti vollero spaventare, e non solo il Giappone ovviamente visti i nuovi equilibri internazionali...
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    piuttosto non oso pensare a cosa sarebbe accaduto se la germania nazista o lo stesso giappone fossero arrivati con qualche mese d'anticipo sulla propria capitolazione, a creare la prima bomba...

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