sabato 27 dicembre 2008

La separazione dei poteri dello Stato e il pericolo del berlusconismo



E' evidente dalle poche cose che scrivo e dai molti articoli che copio e incollo che ho paura del berlusconismo, inteso non tanto come autorealizzazione di una persona singola, il Berlusconi appunto, quanto come sistema ideologico con principi e strumenti volti a cambiare fortemente l'assetto democratico parlamentare dello Stato italiano. Io ho paura di un "capo" che parla come Berlusconi, ne avrei paura in ogni caso, chiunque fosse il "capo": «Per quanto mi riguarda sarà un anno terribile quello che ho davanti per il governo del Paese: dovremo fare le riforme a cominciare da quelle delle intercettazioni e della giustizia che ci occuperanno molto». Queste le priorità espresse dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi durante un collegamento telefonico da Milano con la comunità «Incontro» di Amelia, di Don Gelmini. Il premier ha però sottolineato di essere «sereno» e «ottimista» sull'iter delle riforme in quanto il Pdl dispone di «due gruppi, alla Camera e al Senato, che ci garantiscono la vittoria». (Corriere della Sera, 27 dicembre 2008 ).


Lui, il capo, ha "due gruppi parlamentari che gli garantiscono la vittoria", due gruppi parlamentari granitici da cui il capo si attende un sicuro consenso, senza dubbi e critiche. La vittoria su chi o che cosa? Sul nostro assetto costituzionale, suppongo, vista l'inadegatezza, non solo numerica, dell'opposizione.


Oggi l'opposizione si esprime così: "Quello che è avvenuto a Pescara è gravissimo. Esprimo a D'Alfonso che torna pienamente libero la mia soddisfazione. Ma la vicenda ha dentro di sé gravi implicazioni che meritano una riflessione più compiuta che ci riserviamo di fare fin dalle prossime ore". (Walter Veltroni)  - "E' sconcertante che il giudice abbia appena nove giorni fa firmato una ordinanza di arresti domiciliari nei confronti di D'Alfonso, sconfessate ora dallo stesso giudice, con una nuova ordinanza che capovolge la precedente" attacca Massimo Brutti commissario del Pd in Abruzzo.


Non so che cosa pensare. Garantismo, eccesso di garantismo, attacco alla magistratura anche da parte del PD? Ma i due politici del PD dicono una verità incompleta, perché dimenticano che il GIP ha revocato gli arresti domiciliari in seguito alle dimissioni del sindaco e, quindi, alla conseguente impossibilità di inquinare le prove. Vista così, la contraddizione appare molto meno stridente. Continuo ad avere molti dubbi, anche perché so di non essere esperta della materia e poco m'intendo di giochi politici. Dalle dichiarazioni di Veltroni e Brutti trapela il sospetto che il GIP abbia agito male per errore o addirittura in malafede. Chi ha ragione? Di chi deve fidarsi una cittadina "comune" come me? Non è inquietante quell'aggettivo "comune" che tutti aggiungono al sostantivo "cittadino/a"? Esistono, forse, cittadini/e non comuni o superiori o eccezionali? A questo proposito, oggi, condivido analisi e tesi di Carlo Federico Grosso nel suo articolo:


Riequilibrio dei poteri


Catanzaro, Salerno, Pescara: tre pagine poco esaltanti di esercizio del potere giudiziario, tre Procure che, con modalità diverse, hanno reso un servizio pessimo all’immagine dell’ordine giudiziario. Poiché non si tratta di casi isolati di scarsa avvedutezza, un problema «magistratura» nel nostro Paese indubbiamente esiste. Si tratta di stabilire come affrontarlo.

Da tempo una parte della politica sta affilando le armi contro i magistrati poiché, sostiene, occorre riequilibrare i rapporti di potere fra giustizia e politica, sbilanciati a favore della prima. È ora di farla finita, si precisa, con una magistratura senza controlli, in grado d’interferire pesantemente sulla politica e capace di fare e disfare amministrazioni e governi con il gioco delle inchieste giudiziarie. È accaduto ai tempi di Mani pulite, ora basta. Quest’idea affiora oggi, talvolta, anche tra le file della sinistra. Non si tratta, ancora, di linee politiche ufficiali. Tutt’altro: ufficialmente a sinistra si nega e si rifiuta. Il rischio, peraltro, è che in un quadro politico contraddistinto da una maggioranza apparentemente granitica e da una minoranza divisa e disorientata, la prospettiva di un’ampia impunità degli atti politici attraverso il parziale controllo di indagini e indagatori possa fare improvvisamente breccia e trovare il suo sbocco in una sorta di autoassoluzione collettiva.

La posta in gioco è rilevante. Sono in discussione le fondamenta dello Stato di diritto, la divisione dei poteri, l’eguaglianza dei cittadini. Essa appare, d’altronde, tanto più rilevante ove si consideri che, contemporaneamente, si vocifera di modificazioni dei regolamenti parlamentari o di riforme costituzionali destinate a rafforzare l’esecutivo rispetto a un Parlamento giudicato un intralcio per un’efficiente azione di governo. Già oggi, d’altronde, attraverso l’impiego ripetuto del voto di fiducia, l’esecutivo cerca di troncare il dibattito parlamentare eludendo la normale dialettica con l’opposizione, mentre soltanto la resistenza del Presidente della Repubblica evita che la decretazione d’urgenza diventi strumento sistematico di produzione legislativa. Qualcuno, giorni fa, ha parlato di tenace ricerca di un potere sostanzialmente unico, del governo e del suo capo.

Ma torniamo al tema giustizia. C’è un nodo fondamentale attorno al quale occorre riflettere: che il politico, come ogni altro cittadino, deve essere soggetto alla legge e non può godere di odiosi privilegi. Un ministro che ruba, un presidente di Regione che prevarica, un sindaco che accetta indebitamente denaro deve essere punito, come deve essere punito chi scippa, rapina, violenta. Anzi, se una ruberia è commessa da un eletto, la giustizia dovrebbe essere inflessibile, in quanto l’autore ha tradito la fiducia che gli è stata riconosciuta con il voto.

In questa prospettiva, parlare di riequilibrio dei poteri tra politica e magistratura, di conseguente limitazione delle indagini nei confronti degli eletti, di selezione politica dei reati annualmente perseguibili, di sottrazione ai pubblici ministeri del controllo della polizia, di limitazione nell’uso di strumenti fondamentali come le intercettazioni in materia di reati contro la pubblica amministrazione è del tutto privo di senso. In realtà, occorrerebbe rivedere la stessa disciplina dell’autorizzazione alle misure cautelari nei confronti dei parlamentari, che una prassi lassista tende a dilatare rispetto ai limiti stabiliti del fumus persecutionis.

Per altro verso, occorre invece reprimere gli arbitrii, gli eccessi, gli errori, le arroganze dei magistrati. Non è tollerabile che l’incapacità, l’inadeguatezza, la scarsa avvedutezza di qualcuno, la sua sicumera, la ricerca di visibilità, magari la stupidità, consentano eventuali aperture improprie di indagini penali, una loro prosecuzione non giustificata, iniziative improvvide sul terreno cautelare. Questo problema non concerne tuttavia, specificamente, il rapporto fra giustizia e politica; interessa tutti i cittadini, che, appunto tutti, hanno il diritto di non essere trascinati in procedimenti penali avventati, in giudizi non sufficientemente ponderati, in iniziative esorbitanti.

Ecco, allora, l’indubbia necessità di un intervento riequilibratore. Esso non deve essere, tuttavia, riequilibrio fra giustizia e politica, bensì fra esercizio del potere giudiziario e diritto di tutti i cittadini a una valutazione giudiziaria seria e serena. Esso non può, per altro verso, incidere sul contenuto del controllo di legalità, che in uno Stato bene ordinato deve essere libero e indipendente, ma riguardare la verifica di correttezza dell’attività di pubblici ministeri e giudici e la conseguente attività disciplinare. Su questo piano il Parlamento dovrebbe essere finalmente drastico. Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, serie valutazioni attitudinali, controlli periodici, magari a campione ma penetranti, riorganizzazione manageriale degli uffici e della loro dirigenza, monitoraggio sull’attività compiuta da ciascun magistrato dell’ufficio, inflessibilità nella repressione disciplinare degli abusi, delle inerzie, degli errori. Tutto ciò che oggi non avviene, o che avviene poco o malamente, ma che, a garanzia di tutti i cittadini, dovrebbe invece inflessibilmente accadere. ( La Stampa, 27 dicembre 2008 )


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Memorandum




Il filosofo Montesquieu, nello Spirito delle leggi ( 1748 ), così ragionò contro il potere assoluto dei sovrani del suo tempo:
"Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti [...]. Perché non si possa abusare del potere occorre che [...] il potere arresti il potere".
Individuò, quindi, i poteri dello Stato che svolgono le funzioni fondamentali in un vicendevole rapporto di interazione/integrazione e di controllo: potere legislativo, esecutivo e giudiziario.
"In base al primo di questi poteri, il principe o il magistrato fa delle leggi per sempre o per qualche tempo, e corregge o abroga quelle esistenti. In base al secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve delle ambascerie, stabilisce la sicurezza, previene le invasioni. In base al terzo, punisce i delitti o giudica le liti dei privati".

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