La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
compie sessant'anni.
1948 - 2008
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Articolo 1
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
Articolo 2
Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità.
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è il primo documento nella Storia in cui vengono sanciti universalmente i diritti che spettano a tutti gli esseri umani, senza distinzione alcuna né possibilità di deroghe. I principi etici che ispirano i suoi 30 articoli sono stati dibattuti a lungo dalle menti più illuminate nei secoli passati, hanno avuto grandi precedenti, come la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 in Francia, e sono confluiti nella Costituzione Europea.
Ancora lunga è la strada per l'effettiva applicazione dei diritti umani in molti Stati, tuttavia la promulgazione di questa "Magna Charta" del secolo XX costituisce un punto fermo di giurisdizione planetaria da cui sempre meno si potrà prescindere.
14 dicembre 2008
Possenti dice che la Dichiarazione universale (che fa 60 anni) resta il più grande atto etico-politico della modernità.
A sessant’anni dalla sua proclamazione, “la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo resta uno dei massimi atti etico-politici della modernità, una svolta della storia mondiale che promette di conservare, anche per il futuro, una fondamentale vitalità” (nella foto, alcuni figli dello staff delle Nazioni Unite con la stesura finale della Dichiarazione nel 1948).
E’ l’opinione di Vittorio Possenti, docente di Filosofia politica e direttore del Centro interdipartimentale di ricerca sui diritti umani all’ Università Ca’ Foscari di Venezia, che in questi giorni promuove un convegno sui temi dei diritti umani e della libertà religiosa (tre giornate di studio, dal 4 al 6 dicembre).
Possenti dice al Foglio di non condividere l’accusa di eccesso di occidentalità, vizio di nascita e ipoteca indelebile, che alcune correnti di pensiero rimproverano alla Dichiarazione universale (vedi l’intervista a Danilo Zolo, sul Foglio del 3 dicembre): “Non è così – spiega il professore – La Dichiarazione fu preparata da una commissione che aveva al proprio interno personalità occidentali e orientali, socialisti e liberali, buddisti, induisti, atei, credenti. E tra i personaggi che più influirono nella preparazione della Dichiarazione ci fu il filosofo P. C. Chang, capo della delegazione cinese”. Semmai, “ad andare meno bene del previsto, è stata la traduzione nella realtà delle enunciazioni del 1948, in particolare nel garantire i diritti umani fondamentali. Da tante parti si sostiene che la miglior realizzazione di una società politica laica è la realizzazione più ampia possibile dei diritti umani. Vero, a patto che i modi con cui questi ultimi vengono interpretati non prendano strade troppo differenti. In prima battuta sembra che il loro linguaggio costituisca un esperanto compreso da tutti e gradito a tante orecchie. Ma un’attenzione più esercitata indica che parole come dignità, persona, libertà, diritti, veicolano significati diversi e magari divergenti”.
Diversità che si traducono sempre più frequentemente in discrepanze tra occidente e resto del mondo: “In occidente puntiamo molto sui diritti di libertà, in rapporto a una tradizione liberale che fu presente nella stesura della Dichiarazione. Ma non dimentichiamo che un diritto fondamentale come il diritto alla vita non è un diritto di libertà”. Esistono da almeno trent’anni due prospettive che si confrontano, “quella che dà una lettura libertaria dei diritti umani e quella che privilegia l’interpretazione dignitaria e personalistica. Nell’attività concreta delle agenzie dell’Onu, sono impostazioni che portano a conseguenze ben diverse. Pensiamo, per esempio, al modo di intendere la ‘salute riproduttiva’ della donna”.
Il fatto è, dice Possenti, che “la Dichiarazione non va trattata come una lista da cui scegliere i diritti che meglio fanno al caso nostro, vale a dire i diritti di libertà. Certo, l’appellarsi ai diritti di libertà civili e politici è qualcosa di immediatamente percepibile, e nell’epoca del confronto fra blocco americano e blocco sovietico era particolarmente sentito il tema dei totalitarismi e della libertà politica. Ma l’esito che ne è seguito è sconcertante. Non poche agenzie culturali, mediatiche e politiche hanno creato un insieme di frammenti iperlibertari strappati a forza dal tessuto unitario della Dichiarazione universale, e li hanno proiettati in contesti extraoccidentali dove fanno molta fatica ad attecchire. Nel frattempo, in occidente, queste avanguardie ‘libertarie’ hanno assolutizzato alcuni diritti a scapito di altri e propongono una visione che definisco ‘oltranzista’ dei diritti umani, la quale fa leva sulla nozione di uguaglianza e del rifiuto di ogni discriminazione. Suona bene, ma in concreto può significare riconoscimento di un’uguaglianza aritmetica e astratta, a prescindere dalla reale situazione in cui il soggetto si trova. Ora, se è vero che un’uguaglianza fondamentale deve essere riconosciuta alle persone per quanto concerne un notevole numero di diritti – alla vita, alla libertà religiosa, al lavoro, alla liberazione della miseria – non possiamo impiegare in maniera illimitata il criterio di uguaglianza e quello di non discriminazione, così frequentemente impiegati in questi anni come una clava per far passare ogni genere di presunti diritti, senza lederne altri, fondamentali, della persona. I criteri di uguaglianza e non discriminazione – esemplifica Possenti – risultano gravemente violati oggi in ambito bioetico quando si ricorre alla diagnosi preimpianto degli embrioni, con alcuni scelti e altri soppressi. Voglio dire che la Dichiarazione non può essere vista come una lista di garanzie assolutamente separate l’una dall’altra, da cui ciascuno estrae quella che al momento gli torna più utile. E’ invece un quadro di diritti inalienabili e interconnessi, nessuno dei quali può essere assolutizzato a spese degli altri, specialmente dei diritti fondamentali”.
Al filosofo cattolico Vittorio Possenti sta molto a cuore il tema del diritto alla libertà religiosa, “cioè il più antico diritto umano moderno: l’articolo 18 della Dichiarazione che lo riconosce è ispirato a una prassi che comincia in Europa alla fine del Cinquecento. Oggi il mancato rispetto di quella libertà è un fenomeno in crescita. Si parla di più di sessanta paesi in cui essa è negata o fortemente limitata. Pensiamo alla Cina, alla Corea del Nord, a Cuba, al Turkmenistan, a Myanmar, a molti paesi islamici, tra cui Arabia Saudita, Sudan, Eritrea. Ed è inutile nascondersi che oggi il problema del diritto a una effettiva libertà religiosa si pone in modo molto forte in relazione al mondo islamico. Nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo islamico, prodotta al Cairo nel 1990, la libertà di cambiare credo religioso, riconosciuta nell’articolo 18, è negata”. Scompare del resto anche nella “Dichiarazione sull’eliminazione di tutte le forme d’intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o il credo”, approvata dall’Onu nel 1981: è uno dei motivi di attrito tra Vaticano e Nazioni Unite.
Accanto alla libertà religiosa, Possenti indica, tra i diritti fondamentali da rendere pienamente operanti, “il diritto alla vita e il diritto alla famiglia e, sul piano economico, la destinazione universale dei beni a tutti gli uomini. Riemergiamo a fatica da un’epoca individualistica che ha pensato male questa destinazione universale, tenuta ben ferma dall’etica religiosa, in particolare cristiana. Non c’è enciclica moderna della dottrina sociale della chiesa, dalla Rerum novarum in avanti, che non lo ricordi”. Per quanto riguarda il diritto alla vita, Possenti rammenta che nel 1947, durante i lavori preparatori per la Dichiarazione, ci fu il tentativo della delegazione libanese, “guidata dal grande diplomatico arabo cristiano Charles H. Malik, di formulare così l’articolo 3: ‘Ogni individuo ha diritto alla vita sin dal concepimento e alla integrità corporea, alla libertà e alla sicurezza della propria persona’. La proposta allora non passò, e personalmente auspico che si arrivi ad accoglierla”. Molto si può fare, spiega ancora Possenti, “anche sul tema del monitoraggio delle violazioni dei diritti umani. Esiste una Corte penale internazionale per il genocidio e i crimini di guerra, non riconosciuta da paesi come Stati Uniti, Cina, Russia, India. Riemerge il dogma della sovranità degli stati, che al dunque rifiutano di sottostare a una corte che vorrebbe sindacare a casa loro. Un rifiuto che vedo come fattore di disordine internazionale”.
In conclusione, il professore dice che “oggi come ieri abbiamo bisogno di una cultura realistica dei diritti umani. I quali sono fondati al meglio in una filosofia a base obiettiva e realistica (parlo del realismo filosofico come quello di Tommaso d’Aquino e, in tempi più recenti, di Maritain), che non cede alle sirene del relativismo e del contestualismo, secondo cui i diritti umani sarebbero una mutevole invenzione occidentale. Ritengo che i diritti umani siano un’esplicitazione della dignità della persona, che siano fondati nella legge morale naturale e che l’uomo li possieda in virtù di essa: proprio per questo spettano a ognuno e non dipendono dal benvolere o dal capriccio del potere politico in vigore in una certa società”.
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