mercoledì 31 dicembre 2008

An Iridescent Cloud Over Colorado - Copyright: August Allen


La voce di Eluana


Mi pare di sentirla la voce di Eluana in questo inizio di notte invernale, la sento vicina, molto vicina, quasi fosse la mia stessa voce. So che cose penserei e vorrei se fossi al suo posto. So che proverei un dolore immenso se sapessi che quacuno, ancora una volta, ha offeso mio padre ... <qui> . Io, che ho già depositato presso un notaio le mie inutili disposizioni anticipate di trattamento (si chiama così il testamento biologico), ho paura di una legge sulla "fine vita", perché quasi certamente questa maggioranza parlamentare limiterà il diritto alla libertà di cura sancito dalla Costituzione, come già ha peggiorato con la legge 40 le condizioni di chi ha bisogno di ricorrere alla procreazione assistita. Nessun bisogno di una legge sulla "fine vita", perché una cura posso rifiutarla a "metà vita" o a un "terzo vita" e così via con tutte le frazioni possibili. Questa storia della legge sulla "fine vita" l'hanno appena inventata per incatenarci alle loro ideologie i cattolici fondamentalisti.


Anno, portami lontano
dalle cose ripetute
fa che non sia vano
il restare solo
e consenti il volo
alle cose perdute


Carlo Levi, primo gennaio 1935


domenica 28 dicembre 2008

Tibet



Diritti Umani: continua il viaggio di Pannella in Asia

Da oggi fino al 30 insieme a Mecacci incontri con la leadership tibetana a Dharamsala.





Nuova Delhi, 27 dicembre 2008. Da oggi prosegue la missione di Marco Pannella in Asia che dopo la presenza in Cambogia e il tentativo di ingresso in Vietnam, bloccato illegalmente dalle autorità vietnamite lo vedrà in India dove lo ha raggiunto il deputato radicale Matteo Mecacci.



La delegazione radicale in India incontrerà a partire da oggi e fino al 30 dicembre la leadership tibetana in esilio a Dharamsala, per discutere il futuro e la strategia dell’iniziativa politica a sostegno della causa tibetana a seguito del fallimento dei negoziati con le auorità cinesi lo scorso novembre e la visita del Dalai Lama al Parlamento Europeo agli inizi di dicembre. Sempre a Dicembre, nel corso del Consiglio Generale del Partito Radicale, uno dei due inviati del Dalai Lama per i negoziati con le autorita' cinesi, Kelsang Gyaltsen, aveva relazionato il Consiglio proprio sui negoziati con le autorità cinesi.



In particolare, in questi giorni Pannella e Mecacci incontreranno il Primo Ministro del Governo Tibetano in esilio Prof. Samdhong Rinpoche, il Presidente del Parlamento Tibetano in Esilio, Pempa Tsering e il 29 Dicembre il Dalai Lama. (Radicali.it)


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VIETNAM




Governo Vietnam: “Radicali non sono benvenuti per la loro attività politica”


27 dicembre 2008.  “I parlamentari Radicali Marco Pannella e Marco Perduca faranno causa all'agenzia vietnamita, che non era stata la responsabile dell'organizzazione del loro viaggio, che non ha consentito il loro ingresso in Vietnam il 23 dicembre scorso. E' inammissibile – hanno dichiarato i due parlamentari -che il dialogo con Hanoi debba passare per un controllo di ‘privati’”. Lo hanno fatto sapere i due parlamentari che ritrovano nel pieno di una missione del Partito Radicale Nonviolento nel sud-est asiatico ed in India. Nel corso della missione erano previsti incontri con autorità politiche e religiose (tra le quali il Dalai Lama), partiti di opposizione, dissidenti ed iscritti al Partito Radicale Nonviolento; il Vietnam ha però deciso di non consentire l’ingresso ai radicali. ... continua Radicali.it


Burma


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................ e Laos e Cambogia e ................ per rimanere in Asia...........


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Berlusconismo:


il metodo di dire e disdire, mentire e smentire, tra accuse di incomprensione e vittimismo narcisista e diktat



Ci sono archivi colmi dell'immane numero di dichiarazioni, esternazioni, prediche, discorsi, battute, barzellette, risate e sfuriate del Berlusconi che "esonda", come dice Benigni. Non mi piace occuparmi di lui, ma è difficile far finta di niente quando uno t'invade la vita e ti prende in giro nel giro di una stessa frase. Ieri sera l'ho visto in tutti i telegiornali mentre esondava con il suo insopportabile metodo. Copio dai quotidiani online le affermazioni che hanno offeso la mia intelligenza, ancorché limitata.


Dialogo con l'opposizione


"Il dialogo sulle riforme sarà possibile solo con il divorzio del Pd da Di Pietro".


Riforma della Costituzione


"Una parte specifica della Costituzione può cambiare,  ma si deve avere il consenso di tutte le forze politiche.


Non ho mai detto che vogliamo cambiare la Costituzione da soli.


Lo faremo da soli se vi saremo costretti per un comportamento irragionevole dell'altra parte".


sabato 27 dicembre 2008

La separazione dei poteri dello Stato e il pericolo del berlusconismo



E' evidente dalle poche cose che scrivo e dai molti articoli che copio e incollo che ho paura del berlusconismo, inteso non tanto come autorealizzazione di una persona singola, il Berlusconi appunto, quanto come sistema ideologico con principi e strumenti volti a cambiare fortemente l'assetto democratico parlamentare dello Stato italiano. Io ho paura di un "capo" che parla come Berlusconi, ne avrei paura in ogni caso, chiunque fosse il "capo": «Per quanto mi riguarda sarà un anno terribile quello che ho davanti per il governo del Paese: dovremo fare le riforme a cominciare da quelle delle intercettazioni e della giustizia che ci occuperanno molto». Queste le priorità espresse dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi durante un collegamento telefonico da Milano con la comunità «Incontro» di Amelia, di Don Gelmini. Il premier ha però sottolineato di essere «sereno» e «ottimista» sull'iter delle riforme in quanto il Pdl dispone di «due gruppi, alla Camera e al Senato, che ci garantiscono la vittoria». (Corriere della Sera, 27 dicembre 2008 ).


Lui, il capo, ha "due gruppi parlamentari che gli garantiscono la vittoria", due gruppi parlamentari granitici da cui il capo si attende un sicuro consenso, senza dubbi e critiche. La vittoria su chi o che cosa? Sul nostro assetto costituzionale, suppongo, vista l'inadegatezza, non solo numerica, dell'opposizione.


Oggi l'opposizione si esprime così: "Quello che è avvenuto a Pescara è gravissimo. Esprimo a D'Alfonso che torna pienamente libero la mia soddisfazione. Ma la vicenda ha dentro di sé gravi implicazioni che meritano una riflessione più compiuta che ci riserviamo di fare fin dalle prossime ore". (Walter Veltroni)  - "E' sconcertante che il giudice abbia appena nove giorni fa firmato una ordinanza di arresti domiciliari nei confronti di D'Alfonso, sconfessate ora dallo stesso giudice, con una nuova ordinanza che capovolge la precedente" attacca Massimo Brutti commissario del Pd in Abruzzo.


Non so che cosa pensare. Garantismo, eccesso di garantismo, attacco alla magistratura anche da parte del PD? Ma i due politici del PD dicono una verità incompleta, perché dimenticano che il GIP ha revocato gli arresti domiciliari in seguito alle dimissioni del sindaco e, quindi, alla conseguente impossibilità di inquinare le prove. Vista così, la contraddizione appare molto meno stridente. Continuo ad avere molti dubbi, anche perché so di non essere esperta della materia e poco m'intendo di giochi politici. Dalle dichiarazioni di Veltroni e Brutti trapela il sospetto che il GIP abbia agito male per errore o addirittura in malafede. Chi ha ragione? Di chi deve fidarsi una cittadina "comune" come me? Non è inquietante quell'aggettivo "comune" che tutti aggiungono al sostantivo "cittadino/a"? Esistono, forse, cittadini/e non comuni o superiori o eccezionali? A questo proposito, oggi, condivido analisi e tesi di Carlo Federico Grosso nel suo articolo:


Riequilibrio dei poteri


Catanzaro, Salerno, Pescara: tre pagine poco esaltanti di esercizio del potere giudiziario, tre Procure che, con modalità diverse, hanno reso un servizio pessimo all’immagine dell’ordine giudiziario. Poiché non si tratta di casi isolati di scarsa avvedutezza, un problema «magistratura» nel nostro Paese indubbiamente esiste. Si tratta di stabilire come affrontarlo.

Da tempo una parte della politica sta affilando le armi contro i magistrati poiché, sostiene, occorre riequilibrare i rapporti di potere fra giustizia e politica, sbilanciati a favore della prima. È ora di farla finita, si precisa, con una magistratura senza controlli, in grado d’interferire pesantemente sulla politica e capace di fare e disfare amministrazioni e governi con il gioco delle inchieste giudiziarie. È accaduto ai tempi di Mani pulite, ora basta. Quest’idea affiora oggi, talvolta, anche tra le file della sinistra. Non si tratta, ancora, di linee politiche ufficiali. Tutt’altro: ufficialmente a sinistra si nega e si rifiuta. Il rischio, peraltro, è che in un quadro politico contraddistinto da una maggioranza apparentemente granitica e da una minoranza divisa e disorientata, la prospettiva di un’ampia impunità degli atti politici attraverso il parziale controllo di indagini e indagatori possa fare improvvisamente breccia e trovare il suo sbocco in una sorta di autoassoluzione collettiva.

La posta in gioco è rilevante. Sono in discussione le fondamenta dello Stato di diritto, la divisione dei poteri, l’eguaglianza dei cittadini. Essa appare, d’altronde, tanto più rilevante ove si consideri che, contemporaneamente, si vocifera di modificazioni dei regolamenti parlamentari o di riforme costituzionali destinate a rafforzare l’esecutivo rispetto a un Parlamento giudicato un intralcio per un’efficiente azione di governo. Già oggi, d’altronde, attraverso l’impiego ripetuto del voto di fiducia, l’esecutivo cerca di troncare il dibattito parlamentare eludendo la normale dialettica con l’opposizione, mentre soltanto la resistenza del Presidente della Repubblica evita che la decretazione d’urgenza diventi strumento sistematico di produzione legislativa. Qualcuno, giorni fa, ha parlato di tenace ricerca di un potere sostanzialmente unico, del governo e del suo capo.

Ma torniamo al tema giustizia. C’è un nodo fondamentale attorno al quale occorre riflettere: che il politico, come ogni altro cittadino, deve essere soggetto alla legge e non può godere di odiosi privilegi. Un ministro che ruba, un presidente di Regione che prevarica, un sindaco che accetta indebitamente denaro deve essere punito, come deve essere punito chi scippa, rapina, violenta. Anzi, se una ruberia è commessa da un eletto, la giustizia dovrebbe essere inflessibile, in quanto l’autore ha tradito la fiducia che gli è stata riconosciuta con il voto.

In questa prospettiva, parlare di riequilibrio dei poteri tra politica e magistratura, di conseguente limitazione delle indagini nei confronti degli eletti, di selezione politica dei reati annualmente perseguibili, di sottrazione ai pubblici ministeri del controllo della polizia, di limitazione nell’uso di strumenti fondamentali come le intercettazioni in materia di reati contro la pubblica amministrazione è del tutto privo di senso. In realtà, occorrerebbe rivedere la stessa disciplina dell’autorizzazione alle misure cautelari nei confronti dei parlamentari, che una prassi lassista tende a dilatare rispetto ai limiti stabiliti del fumus persecutionis.

Per altro verso, occorre invece reprimere gli arbitrii, gli eccessi, gli errori, le arroganze dei magistrati. Non è tollerabile che l’incapacità, l’inadeguatezza, la scarsa avvedutezza di qualcuno, la sua sicumera, la ricerca di visibilità, magari la stupidità, consentano eventuali aperture improprie di indagini penali, una loro prosecuzione non giustificata, iniziative improvvide sul terreno cautelare. Questo problema non concerne tuttavia, specificamente, il rapporto fra giustizia e politica; interessa tutti i cittadini, che, appunto tutti, hanno il diritto di non essere trascinati in procedimenti penali avventati, in giudizi non sufficientemente ponderati, in iniziative esorbitanti.

Ecco, allora, l’indubbia necessità di un intervento riequilibratore. Esso non deve essere, tuttavia, riequilibrio fra giustizia e politica, bensì fra esercizio del potere giudiziario e diritto di tutti i cittadini a una valutazione giudiziaria seria e serena. Esso non può, per altro verso, incidere sul contenuto del controllo di legalità, che in uno Stato bene ordinato deve essere libero e indipendente, ma riguardare la verifica di correttezza dell’attività di pubblici ministeri e giudici e la conseguente attività disciplinare. Su questo piano il Parlamento dovrebbe essere finalmente drastico. Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, serie valutazioni attitudinali, controlli periodici, magari a campione ma penetranti, riorganizzazione manageriale degli uffici e della loro dirigenza, monitoraggio sull’attività compiuta da ciascun magistrato dell’ufficio, inflessibilità nella repressione disciplinare degli abusi, delle inerzie, degli errori. Tutto ciò che oggi non avviene, o che avviene poco o malamente, ma che, a garanzia di tutti i cittadini, dovrebbe invece inflessibilmente accadere. ( La Stampa, 27 dicembre 2008 )


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Memorandum




Il filosofo Montesquieu, nello Spirito delle leggi ( 1748 ), così ragionò contro il potere assoluto dei sovrani del suo tempo:
"Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti [...]. Perché non si possa abusare del potere occorre che [...] il potere arresti il potere".
Individuò, quindi, i poteri dello Stato che svolgono le funzioni fondamentali in un vicendevole rapporto di interazione/integrazione e di controllo: potere legislativo, esecutivo e giudiziario.
"In base al primo di questi poteri, il principe o il magistrato fa delle leggi per sempre o per qualche tempo, e corregge o abroga quelle esistenti. In base al secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve delle ambascerie, stabilisce la sicurezza, previene le invasioni. In base al terzo, punisce i delitti o giudica le liti dei privati".

mercoledì 24 dicembre 2008

Un documento storico



22 dicembre 2008 - Il ministro per le Pari Opportunità, Mara Carfagna, ha donato per Natale a ogni suo collega una statuina di terracotta con le loro sembianze. Il lavoro è stato commissionato dal ministro all'artigiano di San Gregorio Armeno a Napoli che ha riprodotto i ministri in classici vestiti scuri con giacca e pantalone, anche per le donne. (Credits: Ansa - dal sito: gallery.panorama.it/)


Da conservare, eloquentissimo documento iconografico, questo regalo di pessimo gusto, come segno di tempi che corrono volgari e irrispettosi. Una cosa è la tradizione degli artigiani di San Gregorio Armeno, altra cosa questa rappresentazione in cui il profano dei personaggi, col suo carico di ridicolo e l'assenza di ironia, mortifica il senso del sacro e sfocia verso il macabro di una squadra di figure fissate nelle loro indistinte divise nere. E, contro ogni tradizione iconografica del presepe, tutti in piedi, impettiti, le spalle rivolte all'evento unico e altissimo che è il Natale. Come antidoto, uno sguardo alla dolce umiltà del pastore che continua a vivere  dentro di me dalla lontana infanzia, immerso nella sua intima misteriosa mistica veglia:



Benozzo Gozzoli, La Cavalcata dei Magi, Firenze, Palazzo Medici Riccardi

martedì 23 dicembre 2008

The Global Elite da Newsweek



Chi manca?


Vedo con piacere il Dalai Lama e Obama, riconosco che Hu Jintao è un potentissimo e Nicolas Sarkozy si pè distinto in questo semestre europeo, ma sono perplessa. Comunque un interessante repertorio di nomi a cui corrispondono persone tra le più diverse. Manca il nostro leader maximo, quello di Palazzo Chigi, ma per fortuna non manca l'altro, quello che regna in Vaticano. E meno male, però: "meno male che lui non c'è". Penso con angoscia a come si sarebbe vantato "lui che meno male che c'è" di "esserci" in una classifica che pure, in fondo, lascia il tempo che trova. Mamma, quanto mi sento cattiva! Aspetto di leggere i criteri con cui è stata stilata per capirci qualcosa di più.


1: Barack Obama - 2: Hu Jintao - 3: Nicolas Sarkozy - 4-5-6: Economic Triumvirate  - 7: Gordon Brown - 8: Angela Merkel - 9: Vladimir Putin - 10: Abdullah bin Abdulaziz Al-Saud - 11: Ayatollah Ali Khamenei - 12: Kim Jong Il - 13-14: The Clintons  - 15: Timothy Geithner - 16: Gen. David Petraeus - 17: Sonia Gandhi - 18: Luiz Inácio Lula da Silva -  19: Warren Buffett - 20: Gen. Ashfaq Parvez Kayani - 21: Nuri al-Maliki - 22-23: The Philanthropists  - 24: Nancy Pelosi - 25: Khalifa bin Zayed Al Nahyan - 26: Mike Duke - 27: Rahm Emanuel - 28: Eric Schmidt - 29: Jamie Dimon - 30-31: Friends of Barack  - 32: Dominique Strauss-Kahn - 33: Rex Tillerson - 34: Steve Jobs - 35: John Lasseter - 36: Michael Bloomberg - 37: Pope Benedict XVI - 38: Katsuaki Watanabe - 39: Rupert Murdoch - 40: Jeff Bezos - 41: Shahrukh Khan - 42: Osama bin Laden - 43: Hassan Nasrallah - 44: Dr. Margaret Chan - 45: Carlos Slim Helú - 46: The Dalai Lama - 47: Oprah Winfrey  - 48: Amr Khaled - 49: E. A. Adeboye  - 50: Jim Rogers . Newsweek, 20 dicembre 2008: QUI .



VOGLIO ESSERE INTERCETTATA!


Riprendo qui un discorso, già fatto nel post precedente, sulla limitazione delle intercettazioni pretesa dal lider maximo e dalle menzogne che lo stesso dice per sostenere tale pretesa. Riporto per la seconda volta un articolo prubblicato da La Stampa di oggi.



Macché privacy di BRUNO TINTI


Ormai è un riflesso pavloviano: si apre un’indagine su qualche esponente politico e parte la campagna antintercettazioni. ...


La Stampa, 23 dicembre 2008: QUI  -  Ahimsa: qui .


Lo stile Di Pietro


Intercettazioni, la sfida di Di Pietro
"Io e mio figlio? Nulla da temere"






ROMA - "I magistrati vadano avanti e gli auguro buon lavoro, perché quando non si ha nulla da temere non si ha paura delle intercettazioni e delle indagini. Anzi, confermo che sono un utilissimo strumento di indagine". Lo ha affermato il leader dell'Idv Antonio Di Pietro a margine di una conferenza stampa che si è svolta a Montecitorio per presentare alcuni dipartimenti del partito.

"Quello che abbiamo letto sui giornali è un telefilm senza capo né coda, una non-notizia ma - spiega - siccome non ho nulla da temere non mi unirò, come in molti speravano, alla politica paludata che se la prende con i magistrati e chiede la riforma delle intercettazioni. Io dico ai magistrati di fare tutte le indagini che vogliono perché né io, né mio figlio abbiamo niente da nascondere". E aggiunge: "Peraltro non mi sono accorto di nessun tentativo di ricatto nè nei miei confronti né presso mio figlio. L'ho appreso dai giornali".

La Repubblica, 23 dicembre 2008


domenica 21 dicembre 2008

Il berlusconismo nella conferenza stampa 2008


Pagina di diario con alcune cose che ho notato con stupore e spavento. Dichiarazioni virgolettate prese da giornali online, qualche commento esperto, qualche commento mio. Sono passaggi di cui voglio serbare il ricordo. Ho notato in tutta la conferenza, seguita in diretta, che ogni domanda, compresa quella della giornalista dell'Unità, si è trasformata in battuta d'appoggio all'esposizione del pensiero berlusconista, tra forti riverberi piduisti e irrefrenabili autocratismi tipici del personaggio. Lui parla da padrone, considera le elezioni democratiche una investitura feudale che ogni atto di potere consente, dimentica che la nostra è una democrazia parlamentare (meno male che Bossi c'è, e Fini anche...) Ben venga il parlar chiaro, però, almeno nessuno potrà dire che non sapeva, che non aveva capito, che era distratto.


Presidenzialismo/cesarismo


«Sono convinto che il presidenzialismo sia la formula costituzionale che può portare il migliore risultato per il governo del Paese: sono assolutamente convinto che l'architettura costituzionale attuale ci pone dietro gli altri Paesi perché non conferisce i poteri necessari al premier per essere incisivo. Auspico che nel corso della legislatura ci sia un ampio dibattito, spero condiviso da maggioranza e opposizione e forte dell'opinione popolare, per arrivare a una riforma presidenzialista», Silvio Berlusconi, conferenza stampa 20 dicembre 2008


L'ossessione del Cavaliere tra statue, cipressi e fontane
di FILIPPO CECCARELLI


E' una monarchia presidenziale, prima che una Repubblica, quella che Silvio Berlusconi ha delineato al termine dell'interminabile conferenza stampa di fine anno. Un principato elettivo, ha lasciato capire l'aspirante unico sventolando un paio di volte il 72 per cento dei consensi di cui già disporrebbe

O meglio, considerata la necessaria unanimità che pure ha voluto evocare, si tratterebbe di una signoria plebiscitaria: questo è l'esito dichiarato del prossimo quadriennio che del resto era ben inscritto, visioni e simboli, nella maestosa ambientazione di villa Madama, fra statue, cipressi, fontane e amorini, scenografia affidata a Raffaello Sanzio, Sangallo, Giulio
Romano e Baldassarre Peruzzi, oltre s'intende al fidatissimo Gasparotti, regista d'ogni prestazione scenica del Cavaliere.

Certo faceva impressione veder questo imminente (forse) sovrano presidenziale, collocato comunque in quello scenario di magnificenza; e non per accarezzare profezie o indulgere a vetero catastrofismi penitenziali, ma un po' veniva anche da pensare al vecchio Giuseppe Dossetti, il professorino democristiano della Costituente poi divenuto monaco, che nel 1994 fece a tempo a prevedere, "verificandosi certe condizioni oggettive e attraverso una manipolazione mediatica dell'opinione", come il berlusconismo, che traeva origine da "una grande casa economica finanziaria fattasi Signoria politica", ecco, il berlusconismo si sarebbe potuto evolvere per l'appunto "in un principato più o meno illuminato, con coreografia medicea" aggiungeva preziosamente don Pippo Dossetti.
... continua qui .


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Il silenzio delle sentinelle di GIUSEPPE D'AVANZO


Dovremmo aver imparato in questi quindici anni che, nonostante l'abitudine alla menzogna, Berlusconi non nasconde mai i suoi appetiti. Il sermone di fine anno ci ricorda che la sua bulimia non conosce argini.

Vuole il presidenzialismo come il compimento della sua biografia personale. Non si accontenta di avere in pugno due poteri su tre. Dopo aver asservito il Parlamento al governo, pretende ora che evapori l'autonomia della magistratura. Dice che la riforma della giustizia è pronta e sarà battezzata al primo Consiglio dei ministri del 2009. Anticipa quel che ci sarà scritto: i pubblici ministeri se le scordino le indagini. Diventeranno lavoro esclusivo delle polizie subalterne al ministro dell'Interno, quindi affar suo che governa in nome del popolo. I pubblici ministeri, ammonisce, diventeranno soltanto "avvocati dell'accusa". Andranno in aula "con il cappello in mano" davanti al giudice a rappresentare come notai, o come burocrati più o meno sapienti, le ragioni del poliziotto. Dunque, del governo. Con un colpo solo, si liquidano l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 3 della Costituzione, "Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge"); l'indipendenza della magistratura (art. 104, "La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere"); l'unicità dell'ordine giudiziario (art. 107, "I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni"); l'obbligatorietà dell'azione penale (art. 112 "Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale"); la dipendenza della polizia giudiziaria dal pm (art. 109, "L'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria").
... continua ... La Repubblica, 22 dicembre 2008: QUI .


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Giustizia e Magistratura


«Io ho il 72 per cento del consenso, e questo la dice lunga sulla fiducia che hanno gli italiani di questi magistrati politicizzati».


Il consenso popolare come lavacro d'ogni colpa o responsabilità, come ordalia o giudizio di Dio. Coerente con un'idea barbaricofeudale del potere. E, per giunta, il regime può continuare ad avere una parvenza di democrazia.


«Quando abbiamo deciso di inserire nelle liste elettorali delle persone su cui esistevano indagini o procedimenti della magistratura lo abbiamo fatto sempre a ragion veduta. Cioè ascoltando e conoscendo queste persone».


Sul leader maximo l'assoluzione discende dal giudizio del popolo/Dio, sui leader minori discende dal leader maximo in grazia del suo ascolto e della conoscenza che lui ha delle persone. Coerente con un'idea personalistica, egotista, autoritaria del potere. Ma è pur sempre una democrazia, visto che il leader maximo ha il 72% del consenso popolare. Logica e coerenza intaccabili, se non si ha il lume della ragione o si arretra nel tempo per sprofondare nell'arbitrio dei sovrani assoluti. Complimenti, mister Berlusconi! Complimenti a lei e al suo popolo sovrano così avveduto nell'affidarle i tre poteri dello Stato tutti insieme. E vada pure al diavolo quel Montesquieu, illuminista e relativista, che strologava di divisione e controllo vicendevole dei poteri!


«Al primo Consiglio dei ministri di gennaio porteremo la riforma della giustizia che poi andrà in Parlamento e lì ascolteremo le suggestioni di chi, anche dell'opposizione, vorrà darci suggerimenti. Fulcro della riforma sarà la separazione degli ordini, con un avvocato dell'accusa che avrà nei confronti dei giudici gli stessi doveri e diritti degli avvocati».


Intercettazioni: limitazione della lotta alla corruzione


«La situazione delle intercettazioni è inaccettabile. Devono essere fatte solo per i reati più gravi». «In Parlamento in un emendamento è stata inserita la possibilità di fare intercettazioni anche nelle indagini su reati contro la Pubblica amministrazione. Un disegno di legge così fatto, sul quale mi sono detto subito insoddisfatto, non cambierebbe di molto una situazione inaccettabile. I cittadini non devono essere intercettati rispettando il loro diritto alla privacy. Ho la certezza che questo mio convincimento sia condiviso da tutta la maggioranza».


Le intercettazioni e le menzogne sulla privacy dei cittadini


23 dicembre 2008


Lascio la parola a un articolo che tratta l'argomento con una competenza superiore alla mia.


Macché privacy di BRUNO TINTI


Ormai è un riflesso pavloviano: si apre un’indagine su qualche esponente politico e parte la campagna antintercettazioni.

Che vanno abolite o al massimo consentite solo per reati di terrorismo e mafia; concesse solo da un collegio di tre (al momento ma non si sa mai, magari cinque o forse sette sarebbe meglio) giudici che possano valutare con imparzialità la richiesta del PM, che non sia persecutoria; e che assolutamente non finiscano sui giornali, nemmeno quando siano diventate pubbliche e ne sia legittima la conoscenza.

La novità di questi giorni è che la linea dura, anzi durissima, è sostenuta solo dal Presidente del Consiglio, che in effetti di queste cose se ne intende; i suoi alleati (e anche l’opposizione) qualche distinguo sui reati per i quali le intercettazioni possono essere consentite lo propongono. Ancora una volta, nessuno si chiede quali sono i veri motivi per i quali ai politici viene la schiuma alla bocca quando si parla di intercettazioni. Nessuno ha sostenuto che le intercettazioni non servono per scoprire i reati. Ed è ovvio: si tratta dell’unico strumento di indagine possibile quando vi è una convergenza di interessi tra il cittadino (che corrompe) e il politico (che si fa corrompere), sicché confidare nel pentimento dell’uno o dell’altro è come credere a Babbo Natale. Durante l'estate hanno raccontato la storiella dell’eccessivo costo e dell’eccessivo numero delle intercettazioni. Ma si trattava di informazioni false: i 300 milioni (su 7 miliardi del bilancio della Giustizia) comprendevano le somme pagate ai periti e consulenti del PM, per le missioni della polizia giudiziaria, le trascrizioni degli interrogatori e via dicendo. E comunque, se le intercettazioni si pagano troppo, è colpa del legislatore che non prevede per i gestori telefonici il solo rimborso del costo sostenuto. Quanto al numero, è stato necessario informare il ministro della Giustizia che le persone intercettate sono poche centinaia e non migliaia. Alla fine si sono attestati sulla linea della riservatezza violata: non è giusto che, per scoprire qualche reato in più, venga violata la privacy dei cittadini italiani. E questa, al momento, è la tesi prevalente.

Anche questa tesi è falsa. La privacy dei cittadini italiani non corre alcun rischio. Prima di tutto per la maggior parte dei reati le intercettazioni non sono possibili oppure non sono utili; chi ruba al supermercato, chi picchia la moglie, chi lascia la macchina in sosta con il tagliando falsificato non viene intercettato. E poi l’interesse a rendere note le intercettazioni che riguardano il comune cittadino è pari a zero. Non si spreca spazio e carta per raccontare i fatti di una persona qualunque. La «privacy violata» è quella di un paio di migliaia di politici. E allora chiediamoci: sapere che qualche politico appoggia qualche banchiere, che qualche amministratore pubblico favorisce qualche imprenditore, che qualche dirigente pubblico deve la sua nomina all’amicizia di qualche ministro; non è necessario in uno Stato democratico? E, attenzione, saperlo oggi, quando il fatto risulta dalle stesse parole dei protagonisti, e non fra 10 anni, quando ci sarà la sentenza di prescrizione della Corte di Cassazione e il colpevole (prescritto) potrà consegnare ai giornali la sua proterva dichiarazione di innocenza «finalmente» accertata. Ma chiediamoci anche: se si trattasse di fatti che non costituiscono reato e che però danno la misura della statura etica e politica di chi appartiene alla classe dirigente, non sarebbe bene conoscerli? Io facevo il Procuratore della Repubblica; se si fossero intercettate mie telefonate con qualche mafioso che mi invitava con regolarità nella sua riserva di caccia e che mi ospitava a casa sua, non avreste voluto saperlo? Non avreste voluto sapere che tipo era quel magistrato che aveva il potere di avviare un processo nei vostri confronti? E non è, allo stesso modo, necessario che i cittadini sappiano che razza di gente li governa?

E infine. Se anche la risposta a queste domande fosse: no, non è necessario, anzi non è giusto; davvero pensate che la tutela di questa presunta privacy valga la certezza dell’impunità per i reati commessi abitualmente da una classe politica per cui etica e legge sono solo fastidiose astrazioni?


La Stampa, 23 dicembre 2008: QUI .



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Disuguaglianza sociale


Scelta riformista o cesarismo autoritario
di EUGENIO SCALFARI


... "Disuguaglianza sociale. Il dramma che l'Italia oggi sta vivendo è contenuto in queste due parole. Disuguaglianza sociale. È questa la grande, moderna questione che si pone oggi di fronte a noi. Colpevole non vedere, non rendersene conto. Imperdonabile non sentire bruciante sulla nostra pelle, per le nostre coscienze, il dovere di offrire risposte a questa realtà".
Le cronache dei giornali di ieri non riportano queste parole o ne fanno un cenno distratto, eppure esse aprono la relazione di Veltroni all'assise del Partito democratico e il fatto che non si tratti d'uno slogan ma di una drammatica constatazione è documentato da un lungo elenco di cifre e di situazioni che occupano la prima parte del discorso del segretario del Pd.

Sono cifre e situazioni che conosciamo, che provengono da fonti ufficiali e che non raccontano soltanto quanto avviene in Italia ma in tutto l'Occidente e in tutto il pianeta. La settimana scorsa citammo il pensiero di Joseph Stiglitz, premio Nobel dell'economia che individuava anche lui nella distribuzione malformata della ricchezza la piaga del mondo intero.
... continua qui .


Conferenza stampa Berlusconi 2008


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22 dicembre 2008


Improvvisazione al potere di TITO BOERI


QUI






 

giovedì 18 dicembre 2008

TESTAMENTO BIOLOGICO (4)


ENERGIA OSCURA DELL'UNIVERSO - www.fis.uniroma3.it


 


NON il diritto di morire, ma il DIRITTO INALIENABILE DI ACCETTARE o RIFIUTARE LE CURE MEDICHE



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Nel caso di Eluana Englaro, come eventualmente nel mio caso in un futuro che non posso conoscere, parlare di "diritto di morire" è fuorviante e falsifica i termini del problema.
Non si tratta, infatti, del "diritto di morire",
ma di due altri diritti, fondamentali e inalienabili, entrambi riconosciuti dalla Costituzione Italiana e, in Europa, dalla Carta di Oviedo.
Per la nostra Costituzione ogni cittadino gode di una" libertà individuale inviolabile" (art. 13) e ha la libertà di Accettare o di Rifiutare le cure mediche (art. 32). Ora che le tecniche mediche hanno reso possibile la permanenza in una zona nebulosa di non-vita e non-morte, ancora di più l'ultima e unica parola spetta all'INDIVIDUO, che non deve chiedere di morire, ma deve poter dire se ACCETTA o RIFIUTA determinate terapie. Se sono cosciente, nessuno, neanche Sacconi, nemmeno Ratzinger e compagni vari possono impormi alcunché. Per mettermi un sondino nasogastrico devono avere il MIO PERMESSO. Il cosiddetto "testamento biologico" lo sottoscrivono gli individui che vogliono far valer la propria volontà in caso di incoscienza,dichiarando anticipatamente le PROPRIE RICHIESTE DI TRATTAMENTO (qualsiasi trattamento).





Il caos sul caso Englaro. La volontà di quella donna


di UMBERTO VERONESI, La Repubblica 18 dicembre 2008: QUI .


IL CAOS regna sul caso Englaro, trasforma il dibattito in una guerra di parole. Eluana è viva o non è viva; i trattamenti sono cure o accanimento; l'esito della sua storia è una questione medica, giuridica o politica. Eppure ha parlato semplicemente e chiaramente Eluana: "Io non voglio esistere così", diceva indicando il suo amico in coma vegetativo, riferendosi inequivocabilmente a quel corpo che stava davanti a lei, a come lo vedeva e lo percepiva, provandone terrore. Non ci sono giochi di parole: proprio quello ad ogni costo non voleva Eluana , e da lì dobbiamo ripartire, per non perderci nella "tragedia degli equivoci".

La confusione è sempre una cattiva consigliera perché alla fine delle polemiche abbandona la gente alla sfiducia sconsolata nella capacità della società, attraverso le sue istituzioni, di aiutare i suoi cittadini proprio nelle situazioni più complesse e drammatiche, quando la collettività e i suoi servizi dovrebbero invece essere di sostegno e di incoraggiamento.

Occorre allora riconcentrarsi sul tema: la volontà di Eluana. Se qualcuno ha dei dubbi deve fermarsi lì: se effettivamente quella del rifiuto della vita vegetativa fosse davvero la scelta lucida della ragazza. Resta da vedere perché mai dovremmo mettere in dubbio il lavoro paziente e meticoloso dei nostri giudici che hanno ricostruito questa volontà, emettendo una sentenza che sapevano perfettamente sarebbe stata altamente impopolare. E perché mai un padre adorante verso la propria "bambina", come dice Beppe Englaro, avrebbe dovuto battersi per anni per realizzare tale volontà, affrontando la gogna mediatica e la distruzione della sua vita personale?

A prescindere dalle considerazioni puramente umane, però, i dubbi sono legittimi perché non esiste purtroppo un documento firmato che riporti il pensiero di Eluana. Ma se invece siamo d'accordo che la volontà di Eluana è quella ricostruita dalla magistratura, allora la confusione su chi decide che cosa è subito dissipata. Decide Eluana e la sua decisione va rispettata. Se io scelgo che preferisco morire piuttosto che farmi amputare un arto, come è successo pochi anni fa nel caso della signora siciliana, nessuno può tagliarmi una gamba, esercitando una violenza che per me è tortura. Su questo punto non si può transigere perché significherebbe accettare che nel nostro paese la società è autorizzata a perpetrare violenza nei confronti dei suoi cittadini. E questo non è vero né per la magistratura, né per la scienza , né per il Vaticano, né per la politica. Come ricorda Carlo Casonato, grande esperto di diritto costituzionale comparato e responsabile del Progetto Biodiritto "il diritto di disporre della propria vita esiste. E' sancito dall'articolo 13 sulla libertà personale e dall'articolo 32 della Costituzione, secondo il quale nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario e anche dall'articolo 35 del Codice di Deontologia Medica che conferma che non è consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona.".

Sappia quindi la gente che c'è un punto fermo : nessuno può violare questo diritto e c'è chi si impegna a farlo rispettare sempre e comunque nella sua sostanza. La confusione si crea piuttosto sulla forma e si alimenta delle definizioni e delle prese di posizione politiche e ideologiche. Sono mesi che dalle pagine dei giornali e dagli schermi di televisioni e computer ci ossessiona la figura di una donna nella dirompente bellezza dei suoi vent'anni: Eluana con il cappello nero, Eluana in tuta rossa fiammante sulla neve, Eluana che esce dalla doccia e ride. Eluana oggi non è quella delle foto. E' una donna di quasi quarant'anni anni, senza sorriso, senza espressione negli occhi, senza vita di relazione, senza coscienza, senza controllo di un corpo, che è ormai un involucro in disfacimento. La sua vita meravigliosa si è spenta per sempre 16 anni fa.

Cronaca:


La Repubblica, 18 dicembra 2008: Clinica e famiglia: "Così morirà Eluana"  I giudici a Sacconi: decreto definitivo

martedì 16 dicembre 2008

TESTAMENTO BIOLOGICO (3)


Vita, disporne liberamente


Vittorio Possenti, filosofo cattolico, esprime il suo libero pensiero

In questo intervento affronto tre problemi: 1) quale fondamento possiede l’assunto che la propria vita è assolutamente indisponibile? 2) nel rapporto tra Persona e Tecnica (medica e biologica) non stiamo entrando in una zona di rischio e confusione? 3) esiste un obbligo assoluto di curare e di curarsi a qualsiasi costo? Basta aver articolato le domande per coglierne l’onnipresenza nei dilemmi biopolitici dell’ora, concernenti la futura legge sulla fine della vita, la portata delle indicazioni anticipate di trattamento, il rapporto medico-paziente, il dettato della nostra Costituzione in merito.


1) Nell’eccitata discussione in corso da anni, e ultimamente infiammatasi, in ordine ad una legge che stabilisca alcuni (pochi) criteri per la fase finale della vita, decisiva è la questione se la propria vita sia entro certi limiti disponibile o viceversa totalmente indisponibile. Quale che sia la risposta, essa deve essere sostenuta da argomenti riconoscibili e sottoposti ad esame. Vale la pena di sottolineare che si tratta della propria vita, non di quella altrui che in linea di principio è e rimane indisponibile: anche questo supremo criterio non è senza eccezioni, potendo lo stato domandare per motivi di difesa e di solidarietà sociale il sacrificio della vita dei cittadini in vista del bene comune, come accade nelle guerre presumibilmente giuste. In Italia vi sono culture che sostengono che la propria vita è sotto certe condizioni disponibile per il soggetto, ed altre che viceversa ritengono che la propria vita sia un bene del tutto indisponibile e che addirittura la nostra Carta costituzionale abbia stabilito una volta per tutte tale indisponibilità.
I sostenitori della prima posizione dicono ‘la vita è mia e la gestisco io’, un’affermazione diversa da quella che dice ‘l’utero è mio e lo gestisco io’, poiché nell’utero ci può essere un altro che non sono io. Al contrario la seconda posizione ritiene che il soggetto non abbia diritto a decidere sulla propria vita: non spetterebbe alla persona stabilire alcunché sulla fine della propria vita, né sussisterebbe un diritto ad essere ascoltato in merito. La prima tesi è in genere diffusa tra la cultura laica e liberale, l’altra sembra oggi prevalente nella cultura cattolica e cerca ultimamente di imporsi come indiscutibile attraverso una martellante ripetitività.
Su questi temi rifiuto il termine ‘testamento biologico’, infelice tanto dal lato del sostantivo poiché la vita non è un bene patrimoniale cui solo si applica il concetto di testamento, quanto dal lato dell’aggettivo in quanto la vita umana eccede l’elemento biologico. La disponibilità/indisponibilità della propria vita non va commisurata con lo status di un bene patrimoniale, ma di quel supremo ‘bene vita’ che rimane misterioso nonostante le invasioni della tecnologia e in cui è legittimo ascoltare la volontà del singolo, poiché non si tratta di un bene esclusivamente biologico ma spirituale e personalistico. Naturalmente in questa determinazione entra in maniera forte il rapporto della persona con la trascendenza: una prospettiva religiosa valorizza di primo acchito il rapporto dialogico con Dio entro cui viene considerata la propria vita. Viceversa una prospettiva religiosamente agnostica non possiede un’alterità trascendente con cui entrare in rapporto: la partita si gioca nella volontà del soggetto all’interno di un rapporto ‘orizzontale’ con se stessi e i simili.


La questione dell’autodeterminazione va impostata in modo coerente con l’idea di persona e l’antropologia del personalismo. Noi non siamo né il nostro genoma (tesi biologistica e materialistica) e neppure siamo solo la nostra libertà (tesi libertaria): siamo esseri dotati di anima intellettuale che include in sé quella sensitiva e vegetativa, e l’anima è più che la libertà.


La vita umana e la persona umana hanno valore non soltanto in quanto vita di un essere libero (di modo che sospesa la sua libertà la persona non sarebbe più tale), né in quanto vita biologica, ma appunto in quanto vita di un essere dotato di anima spirituale che è compos sui. In tal senso spetta alla persona decidere, e non perché – ripeto – l’affermazione dell’autodeterminazione dia fiato ad un’antropologia libertaria (o la sua negazione ad un’antropologia biologistica). Lo specifico personale sta nel sinolo individuale e irripetibile tra anima e corpo, per cui la persona è anima incorporata o corpo vivificato dall’anima.
Posizioni teologiche accreditate presentano la vita come un dono di Dio che a lui appartiene, di cui il soggetto non ha alcuna disponibilità.
Deve allora trattarsi di un dono sui generis poiché ogni dono appartiene al donatario e non più al donante, per cui meglio sarebbe parlare della vita come bene dato in impiego responsabile al soggetto. Di fatto poi le considerazioni religiose a favore dell’assoluta indisponibilità della propria vita si muovono su un terreno etico-giuridico. Numerosi giuristi (cattolici) osservano che autodeterminarsi ha un valore, poiché la persona è dotata di libero arbitrio e padrona dei suoi propri atti, e che esiste un diritto costituzionale all’autodeterminazione – ad es. quello al rifiuto/rinuncia di trattamenti sanitari – ma che tale diritto ha dei limiti che conviene fissare. Naturalmente tutto si gioca sul modo con cui vengono fissati tali limiti. Non si può che concordare quando si chiede che nell’autodeterminarsi il soggetto non rechi danno agli altri, e quando si sostiene che ogni vita umana è sempre dotata di dignità. Per esemplificare, tale dignità è pari in Eluana in condizione di grave disabilità ed in me passabilmente sano: conseguentemente occorre prendersi cura di chi è fragile, non abbandonarlo. Ma il riconoscere la dignità della vita ferita da salvaguardare non contraddice la liceità di autodeterminarsi in vicende di fine vita e di cure salvavita, che appunto possono essere accolte o rifiutate. Ancor meno rilevante è l’argomento secondo cui l’autodeterminazione, nel caso in cui decida a favore del rifiuto/rinuncia a trattamenti salvavita, opera per indebolire socialmente il diritto alla cura. Questo atteggiamento non lede il diritto del malato che intenda essere curato sino all’estremo limite del possibile e ricorrendo a tutte le risorse del sistema sanitario e della tecnologia medica. In realtà il dovere di cura dello stato rimane intatto e parimenti il diritto del malato di non essere lasciato solo e di venire consolato.


Ripetere che la propria vita è totalmente indisponibile non fa avanzare il problema ma blocca una saggia ricerca di soluzione. Il blocco dipende dal fatto che sul piano razionale il criterio di un’assoluta indisponibilità della propria vita non è fondato. Diverso appare il discorso della fede che non possiamo dare per valido in modo cogente per tutti. Notevole per la sua implausibilità appare poi l’assunto che l’indisponibilità della propria vita sarebbe un chiaro dettato della nostra Carta. E’ lecito nutrire molti dubbi sull’assunto. Forse si può ricordare per affinità che la nostra Carta lascia il suicidio in un’area non rilevante costituzionalmente. Pertinente è invece il dettato dell’art. 32: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. In tal senso la legge non potrà rendere legale l’eutanasia, che contraddice la dignità della persona, ma potrà rispettare chiare indicazioni di trattamento.


Rimane comunque aperto l’interrogativo sull’accertamento della reale volontà del paziente. Problema difficile che sposta la questione da una controversia sul criterio della disponibilità/indisponibilità della vita alla questione di come effettivamente verificare quale reale volontà di cura o non cura sia stata emessa dal soggetto. La difficoltà è multipla: non solo quella di accertare che cosa ha veramente chiesto in modo documentato e obiettivo il soggetto in passato, ma quale sarebbe attualmente la sua volontà se potesse esprimersi ora, e quale valore si dovrebbe dare alla volontà espressa nella situazione presente, dato che la volontà in situazione può essere alterata da paura, angoscia, sofferenza, ritorno del desiderio di vivere.


2) Il secondo interrogativo riguarda il delicatissimo rapporto tra Persona e Tecnica. Reputo necessario integrare l’art. 3 della Dichiarazione universale sul diritto alla vita con l’aggiunta: “dal concepimento alla morte naturale”. Poi mi interrogo: che cosa significa oggi morte naturale? Non sta la Tecnica mutando la morte naturale in morte artificiale? Un tema urgente da pensare e poco approfondito anche da parte di vedette di vario genere. Ci troviamo spiazzati perché esiste una sottovalutazione della sfida posta dalla Tecnica alla Persona. La Tecnica rischia di diventare la nostra signora e padrona, quella che ci detta che cosa dobbiamo pensare e operare, quello che dobbiamo osare, quello che è obbligatorio fare o non fare; insomma la Tecnica come la nostra guida più vera e sicura, quella che ci offrirà salute, immortalità corporea e saggezza. Essa ci offrirà la Vera Vita quaggiù, al posto dell’aldilà celeste sperato e atteso. Sotto la sua guida nulla ci è risparmiato, neppure l’idea che occorra dilazionare senza fine il morire in attesa che la scienza inventi nuove tecniche di rivitalizzazione. Sembra che il vivere indefinitamente quaggiù sia diventato il bene supremo.
Una fiducia così larga è mal riposta, perché la tecnica è aperta sui contrari, può essere usata per il bene e per il male (lo insegnava già Aristotele). Non è di per sé né solo benefica né solo malefica. Essa cura ed essa uccide; mantiene la vita e la toglie. Sulla questione della tecnica l’attuale posizione della chiesa, o forse meglio di uomini di chiesa, non è esente da distonie. Si nutre una più che giustificata perplessità sulla tecnologizzazione delle fasi dell’inizio della vita, esprimendosi con ottimi motivi contro la manipolazione dell’embrione, la sua clonazione per qualsiasi scopo, il prelievo di cellule staminali embrionali, ma poi ci si affida troppo alla tecnica e alla macchina nelle fasi terminali, interferendo profondamente col processo naturale del morire. La macchina non può sostituirsi al Creatore né nella fase iniziale né in quella terminale della vita. Che senso ha una Peg inflitta ad un malato terminale in agonia per nutrirlo a forza? Negli hospice ai malati terminali di cancro nutrizione e idratazione possono essere sospese onde evitare un inutile prolungamento di un’agonia dall’esito comunque segnato.


Per rappresentarci la situazione dobbiamo tener presente che non pochi casi di coma vegetativo persistente sono l’effetto – inintenzionale ma realissimo – delle metodologie sempre più perfezionate e accanite di rianimazione e di terapie intensive, che non riescono a guarire ma solo a mantenere in vita. Questo elemento è ignorato da posizioni tese a riaffermare con toni vibranti l’assoluta indisponibilità della propria vita. In tal modo ci si pone in uno spazio di falsa sicurezza, che solleva dalla fatica di considerare le inedite possibilità di vita e di morte cui le nuove tecniche ci conducono. Neppure si considera che l’equipe medica che tenta il tutto per tutto per trattenere a qualunque costo, può operare un atto di maleficenza invece che di beneficenza verso il malato.


3) Anche il terzo punto è connesso al problema Tecnica. Non sussiste alcun dovere/obbligo assoluto di curare e di curarsi a qualsiasi costo, in particolare quando l’invasività crescente delle tecnologie mediche nella sfera corporea della persona travalica ogni forma di rispetto dovutole, e si fonde con una concezione accanitamente tecnologizzata della vita e della morte che viola i limiti imposti dalla dignità della persona umana. La disattenzione in merito proviene dal timore che ogni minima apertura sul rifiuto/rinuncia ai trattamenti sanitari aprirebbe la strada a prassi eutanasiche, indubbiamente da scongiurare. La depenalizzazione dell’eutanasia costituirebbe una tragedia non inferiore alla depenalizzazione e legalizzazione dell’aborto. Tuttavia chiarezza vuole che “diritto di morire” e “diritto al rifiuto/rinuncia a trattamenti sanitari” siano cose diversissime. Il “diritto di morire” è un falso diritto o un diritto che non sussiste, non perché sia contraddittorio ma in quanto è qualcosa che non è dovuto alla persona. Anche per questo non fa parte dell’elenco comunemente riconosciuto dei diritti umani. Ogni autentico diritto dà voce a quanto è dovuto al soggetto umano, esprime il suum che gli altri sono tenuti a riconoscergli. Alla base di ogni diritto non vi è la mera vita biologica, ma la natura umana e la persona umana. Se non esiste un diritto di morire, è ragionevole invece riconoscere al soggetto una sfera di autonomia nel modo di affrontare la morte in maniera naturale e non come un combattimento all’ultimo sangue. Se la morte è il massimo limite umano che va riconosciuto, l’interruzione del trattamento non vale come rifiuto della vita ma come accettazione del limite naturale ad essa inerente. Non si rinuncia alla vita, non si rifiuta la vita, ma si accetta di non potere impedire la morte o di non doverla ulteriormente procrastinare.
Naturalmente occorre prendere le distanze dall’abbandono terapeutico con tutte le sue tristi occorrenze, che tuttavia forse sono meno frequenti dei casi di accanimento terapeutico, cui spinge la medicina tecnologizzata. Più negativo dell’abbandono terapeutico è l’abbandono dell’accompagnamento, ossia la presenza di troppe macchine e di poche persone nell’itinerario di cura del malato che può sentirsi terribilmente solo.
Concludo. Non sussiste un diritto di morire, ma un diritto di rifiutare cure e terapie invasive, avvertite come particolarmente onerose, degradanti, anche se dall’esercizio di tale diritto scaturisse la morte. E’ sempre stato difficile, e particolarmente oggi, stabilire quando c’è o non c’è accanimento terapeutico, che purtroppo è come l’araba fenice: che ci sia ciascun lo dice, che cosa sia nessun lo sa. Da tale obiettiva difficoltà dovrebbero trarsi ulteriori argomenti a favore dell’espressione della volontà del paziente. E’ lui che deve dire quando la misura è colma.
Dall’insieme di queste considerazioni si ricava che il Parlamento ha dinanzi un compito immane e onorabile con estrema difficoltà nel preparare una legge sulla fine della vita. Una legge che non potrà che essere molto succinta e lasciare adeguato spazio all’interpretazione saggia e alla casistica concreta, affidata in ultima analisi al rapporto medico-paziente ed alle indicazioni anticipate di trattamento. Dell’estrema delicatezza del problema è segno il fatto che esso si trascina senza soluzione da diverse legislature.


Vittorio Possenti


Il Foglio, 15 dicembre 2008

sabato 13 dicembre 2008

La Chiesa il denaro e la spinetta di Ratzinger



L' anticipazione del documento papale per la giornata mondiale della pace che si celebrerà il 1° gennaio giunge in un momento di diffuse preoccupazioni per le società di tutto il mondo, quello economicamente sviluppato e quello delle più disperate società africane. Processi giganteschi stanno ridisegnando le economie mondiali e travolgono senza pietà le nostre piccole economie domestiche. Giorno dopo giorno scopriamo che niente è più come prima. Uno stato d' animo inquieto, una sensazione di paura del futuro sono i sentimenti che colorano l' orizzonte del tempo presente. Parlare di economia in questi giorni è un esercizio obbligato a tutti i livelli e in tutti gli ambienti. Non poteva mancare la voce della Chiesa.


Il messaggio papale indica alcuni temi di indiscutibile e sempre più drammatica importanza: fondamentale fra tutti lo squilibrio economico tra i paesi dove la povertà è un abisso di disperazione senza fine e i bambini dalle membra emaciate aprono sull' osservatore occhi grandi e spauriti, e l' isola dorata del mondo ricco, quello per raggiungere il quale si rischia e si perde la vita. Regolamentazione dell' economia per raggiungere una più equilibrata distribuzione delle risorse; questo il problema che viene evocato per i commerci internazionali e per la finanza. Evocato, non certo risolto.


La questione è, formalmente, la pace, il nesso che esiste tra disarmo e sviluppo, la minaccia per la pace che nasce dalla povertà e dalla denutrizione di intere parti del mondo. Il testo inanella considerazioni morali, avvertimenti e inviti a tutti i soggetti a fare la loro parte, senza indugi, citando le parole di Leone XIII nella enciclica "Rerum novarum". L' intarsio di citazioni sulle quali si appoggia il testo papale offrirà agli esegeti sicura materia di riflessione ma non permette al lettore comune di ricavare ricette concrete su come affrontare i problemi della pace nel mondo.


Come al solito i documenti papali obbediscono a una precisa regola di composizione, simile a quella dei documenti che uscivano un tempo dagli organismi direttivi dei grandi partiti di massa: si tratta di riuscire a mettere le novità del mondo nell' antico sacco di un discorso senza tempo, di una dottrina superiore ed eterna, dotata di una indeformabile e rassicurante fissità. Eppure sembrerebbe piuttosto difficile ricavare dalla dottrina della collaborazione tra le classi offerta nel 1893 all' Europa della rivoluzione industriale e del nascente socialismo da Leone XIII una qualche ricetta valida per i problemi di un mondo globalizzato e di una finanza internazionale che ha cancellato ogni confine di stato. Comunque non di questo si tratta nel documento in questione.


Qui un soggetto che si vuole immutabile, la Chiesa, si confronta con un oggetto storicamente e geograficamente mutevole, la povertà. Questa è una Chiesa che non cambia opinioni e che ha sempre fatto la sua parte: "Da sempre la dottrina sociale della Chiesa si è interessata dei poveri". La dottrina è dunque la stessa, sono i poveri che cambiano. La povertà non è più quella di una volta. Ci sono diverse forme di povertà, quella dell' emarginazione, della "povertà relazionale, morale e spirituale" che le società ricche e progredite conoscono e quella che si definisce "assoluta", sofferta dalle masse umane carenti di cibo e di acqua. Qui si parla della povertà del secondo tipo. Ma non senza segnalare che anche la fame spirituale, quella sofferta dalle folle "sazie e disperate" delle città del mondo ricco - per usare una celebre espressione del cardinal Biffi - ha un' origine comune: il "mancato rispetto della trascendente dignità della persona umana". Mancano indicazioni su chi sia il responsabile: o almeno così sembrerebbe, perché poi un responsabile emerge, come vedremo. Non si fanno nomi di enti, stati, organizzazioni, né si danno indicazioni su storture economiche e finanziarie responsabili delle guerre in atto.


Vengono in mente per contrasto altri discorsi sulla pace che sono stati avanzati dall' interno della Chiesa cattolica. E ci accorgiamo a questo punto di qualche omissione quanto meno singolare: per esempio, non viene citata la "Pacem in terris" di papa Giovanni XXIII, il celebre documento papale che affrontò di petto il tema della pace. Né compaiono citazioni dai documenti del concilio Vaticano II. Né vi affiora la questione dell' ingiustizia dei rapporti di classe e il rapporto tra giustizia sociale e pace. Il cardinale Carlo Maria Martini in un libro del 1999 sulla giustizia scrisse ad esempio che "la pace è perduta ... quando c' è sfruttamento economico e sociale" e che la pace può essere garantita solo da "una giusta distribuzione delle ricchezze" . Di fatto la giustizia sociale resta sullo sfondo remoto di questo documento che ha il suo centro non nella questione della pace, della guerra o della fame ma nel problema dello sviluppo demografico e del controllo delle nascite.


La geografia della fame, la scienza triste inaugurata dal grande libro di José De Castro che gli italiani lessero nel remoto 1954 con prefazione di Carlo Levi, è oggi una disciplina di assoluto rilievo tra quelle che ci raccontano il mutare del mondo visto dall' angolo fondamentale della privazione del cibo. E' una strana geografia che non disegna più confini netti tra i continenti o all' interno di essi, che vede processi di rapida evoluzione, con una contabilità degli affamati non priva di dati positivi. E' su questi che si concentra il messaggio papale. Dopo aver segnalato che nell' arco degli ultimi decenni la percentuale della popolazione in condizioni di povertà assoluta si è dimezzata. Si osserva che l' uscita dalla povertà è avvenuta in certi paesi senza bisogno di controllare la crescita demografica. E qui tocchiamo finalmente il punto centrale del messaggio. Se non è l' aumento della popolazione a creare la carenza di risorse, questo vuol dire che non c' è bisogno di ricorrere alla contraccezione e tanto meno alla pratica dell' aborto.


I nemici da combattere sono quelle agenzie del mondo globalizzato che condizionano gli aiuti economici alla "attuazione di politiche contrarie alla vita" (leggi: uso dei contraccettivi). Il rimedio? Avviare "campagne che educhino specialmente i giovani a una sessualità pienamente rispondente alla dignità della persona". Questo vuol dire forse che tra le medicine e le cure necessarie, tra le "innovazioni terapeutiche" per combattere l' Aids sarà da intendersi incluso anche l' uso degli anticoncezionali? Sembra proprio di no.


I poveri del mondo mutano di quantità e di qualità ma restano quelli di sempre nel discorso atemporale di questa Chiesa; così pure i flagelli dell' umanità. Era da peste, fame e guerra che nelle chiese del passato si invocava il "Libera nos, Domine". Il problema urgente da affrontare è uno solo: quello del sesso. Che dire? Viene alla mente il brevissimo raccontino, la "scorciatoia" che nel momento più tragico della seconda guerra mondiale il poeta Umberto Saba dedicò alla figura di Benedetto Croce: in una casa dove c' è chi uccide, chi stupra, chi muore, si apre una porta e si vede una vecchia signora che suona - molto bene - una spinetta. - ADRIANO PROSPERI


Mi è sembrata interessante questa analisi dello speciale approccio vaticanista al problema della fame e dell'inaccettabile diseguaglianza tra gli esseri umani. Penso che solo le leggi internazionali e un potere sovranazionale in grado di farle rispettare potranno arrivare, chissà quando, alla soluzione della pari dignità sociale e dell'uguaglianza. La Chiesa Cattolica, intesa come potere e gerarchia di poteri, difficilmente potrà raggiungere scopi che si prefigge solo teoricamente, mentre nella prassi ha ben altro in mente. Per capire e farsi delle idee, tuttavia, è necessario leggere il documento papale integralmente. Ecco il link:  Il testo integrale dell'Istruzione "Dignitas personae. Su alcune questioni di bioetica" .


Repubblica — 12 dicembre 2008   - Foto: Il Papa al suo pianoforte nella villetta di Les Combes (Aosta): suona brani di Bach e Mozart, da Repubblica, 16 luglio 2006