martedì 29 luglio 2003






Peace P a c e


13 novembre 2002


La festa dei veterani


di Howard Zinn


La festa dei veterani si chiamava originariamente festa dell’armistizio perchè fu l’undici novembre del 1918, alle 11 – l’undicesima ora, dell’undicesimo giorno, dell’undicesimo mese – che la prima guerra mondiale giunse al termine.


Sarebbe bene ricordare alcune cose di questa guerra ora che il Paese si stà per imbarcare in ancora un’altra guerra. Primo, che le guerre non si “vincono”. Abbiamo “vinto” la prima guerra mondiale, ma ne abbiamo seminata un’altra. La guerra ha un rapido effetto, come il crack. Un’inebriatura che fa esultare – abbiamo vinto! – e poco dopo arriva nuovamente il calo, e c’è bisogno di un’altra dose, un’altra guerra.







Durante la prima guerra mondiale, il Kaiser tedesco fu presentato come la personificazione del male – una minaccia per il mondo – che andava eliminato per la nostra sicurezza. In verità, si trattava di un poco di buono, ma la sua minaccia fu enormemente esagerata, come con Saddam Hussein. Così gli Alleati sconfissero la Germania, tolsero di mezzo il Kaiser, e dieci milioni di persone morirono sui campi di battaglia.



Possiamo togliere di mezzo Saddam Hussein. L’Iraq è una potenza militare di quinto grado, senza aviazione di cui poter parlare, il suo esercito un ricordo di ciò che era dieci anni fa, il Paese ancora in rovina, le sue infrastrutture devastate da due guerre, la sua popolazione indebolita da dieci anni di sanzioni che deprivano le persone di cibo e gli ospedali di medicinali, e che hanno causato centinaia di migliaia di morti. E gli Stati Uniti, com la loro invincibile aviazione, vinceranno.



Nel corso di questa, decine di migliaia di iraqeni moriranno – molti di loro civili innocenti, altri poveri, miserabili coscritti dell’esercito iraqeno. Uccideremo le vittime di Saddam Hussein. Grazie alla sua schiacciante superiorità militare, l’America perderà pochi soldati. Ma perderà la sua anima.



La prima guerra mondiale, presentata al pubblico come una guerra per la democrazia, per la libertà, fu infatti una Guerra combattuta da poteri imperiali (Francia, Inghilterra, Russia) contro un rivale imperiale, la Germania. Questa portò, non alla liberazione dei popoli coloniali, ma al cambiamento di chi avrebbe dominato il Medio Oriente, l’Africa, e l’Europa dell’Est.



Adesso, la guerra in Iraq viene presentata come una crociata morale per porre fine alle “armi di distruzione di massa”, le prove su queste lontane dall’esser chiare. L’assunto secondo cui Saddam le userà causando il proprio annientamento (visto che la maggior parte delle armi di distruzione di massa nel mondo sono in possesso degli Stati Uniti) non ha senso.



Come nella prima guerra, vi sono motivi imperiali alla base, e la sconfitta di Saddam porterà al cambiamento di chi controllerà le preziose riserve petrolifere dell’Iraq. Verranno stipulati accordi con Russia, Francia, e Inghilterra per dividere il bottino. Le discussioni sono in atto adesso.



La prima guerra mondiale fu venduta al pubblico americano come “la guerra per porre fine a tutte le guerre”. Ma ventun’anni dopo ci fu la seconda guerra mondiale, nella quale cinquanta milioni di persone vennero uccise. Le Nazioni Unite furono create, come dice il suo statuto, per “salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all'umanità”.



Invece no, per gli Stati Uniti è stata una guerra dopo l’altra: Corea, Vietnam, Grenada, Panama, Iraq, Yugoslavia. Tutte accompagnate da dichiarazioni dicendo che andavamo in guerra per una qualche giusta causa, tutte causando la perdita di vite umane, tutte esigendo l’accettazione delle motivazioni del governo, la maggior parte delle quali si sono rivelate menzogne. Dal Vietnam avremmo dovuto imparare che il patriottismo vero non significa marciare verso il fronte semplicemente perchè il governo ci dice di farlo. I 58.000 nomi sul monumento commemorativo di Washington dovrebbero renderlo chiaro.



Da veterano della seconda guerra mondiale, da studente della storia delle nostre guerre, e contemplando ancora un’altra guerra, vorrei suggerire di tenere certe cose in mente. Primo, che bisogna essere estremamente scettici di ciò che gli ufficiali del governo ci dicono circa le motivazioni sulla necessità di questa guerra. Secondo, che ciò che è certo della guerra è che un largo numero di persone innocenti moriranno, inclusi molti bambini, e ciò che è incerto della guerra è che ne venga fuori qualcosa di buono.



Infine, che quando si va in guerra, vi si va con l’assunto che le vite delle persone in un’altro Paese non hanno lo stesso valore delle vite dei nostri compatrioti. Se crediamo veramente, così come i nostri più fondamentali principi morali ci costringono a credere, che i bambini in altri Paesi hanno lo stesso diritto di vivere dei nostri bambini, allora dobbiamo rifiutare la chiamata alla guerra. È ora, a richiesta generale, a protesta generale, di porre fine al “flagello della guerra.”



La miglior cosa che possiamo fare per la festa dei veterani e di promettere:


“mai più veterani di guerra”.


Negli Stati Uniti gli amanti e i 'costruttori di pace' lavorano intensamente

contro l'imposizione della logica della guerra.

Il Dr. Howard Zinn, Professor Emeritus of Political Science at Boston University,


è un acuto critico dei fatti sociali e un insigne accademico di studi storici.











1 commento:

  1. il biancospino/ così parla di pace/ a primavera

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