sabato 27 giugno 2009

"Bisogna zittire i catastrofisti"


FOTO: Putin smentisce la relazione con la bella Kabaeva e Berlusconi ...www.americaoggi.info/node/4601


Uno sguardo ai giornali di oggi mi spinge a raccogliere impressioni varie sulle ultime affermazioni e azioni del Presidente del Consiglio. Il titolo l'ho preso dalla Stampa, il ricordo della fotografia dall'Unità, la fotografia dal sito Americaoggi. Dalla Repubblica, infine, a futura memoria, il documento audiovisivo:


VIDEO


"Per combattere davvero la crisi economica bisogna «chiudere la bocca a tutti questi organismi internazionali che ogni giorno dicono la crisi di qua e la crisi di là» e anche «agli organi di stampa che tutti i giorni danno incentivi alla paura e diffondono il panico». Lo dice il premier Silvio Berlusconi in conferenza stampa a Palazzo Chigi per l’approvazione del Dl manovra.


«Gli organi di stampa - ha insistito Berlusconi - riprendono le posizioni del tanto peggio tanto meglio delle opposizioni e danno incentivi alla paura». ...


«Occorre incentivare l'azione affinchè editori e direttori dei giornali non contribuiscano a diffondere pessimismo» ...


«L'ho detto a Santa Margherita anche se ha fatto scandalo e lo ripeto: gli imprenditori devono minacciare di non dare pubblicità a quei media che sono essi stessi fattori di crisi».


 Al G8 e G27 che «presiederò dirò agli imprenditori di non avere paura, di pubblicizzare i loro prodotti e di essere più convincenti con i direttori e i responsabili degli organi di stampa, incentivandoli affinchè non diffondano la paura».


«Bisogna rilanciare i consumi come prima. E per risollevarli bisogna far sì che prima di tutto il governo e in secondo luogo tutte le organizzazioni internazionali, lavorino per rilanciare la fiducia». Secondo il Cavaliere queste organizzazioni internazionali «un giorno si» e uno no escono e dicono che il deficit è al 5%, meno consumi del 5%, crisi di qui, crisi di lá, la crisi ci sará perfino al 2010, la crisi si chiuderà nel 2011... un disastro. Dovremmo - avverte - veramente chiudere la bocca a tutti questi signori che parlano, magari perché di cose che i loro uffici studi gli dicono possono verificarsi, ma che così facendo, distruggono la fiducia dei cittadini dell'Europa e del mondo». Tra gli altri, a parlare del pil a meno 5% era stato giovedì il governatore di Bankitalia Mario Draghi.


«Gli italiani ci hanno votato e continuano a darci consenso nonostante tutti i miasmi, le calunnie e i veleni che tentano di lanciarci addosso per sommergerci. Gli italiani ne vengono fuori con un maggiore attaccamento a noi, alla nostra parte politica e a me personalmente. Io credo che gli italiani ci premino perché rispettiamo gli impegni assunti, questa è la vera moralità che abbiamo portato nella politica. Con il testo di questo decreto guardiamo al domani perché è un decreto di spinta all'economia»."


Citazioni da: Corriere della Sera, 27 giugno 2009


Una pagina di diario, per me amarissima. Non faccio parte di quegli italiani, lo so, ma esisto ugualmente come cittadina. Il "premier" dimentica il dovere di governare per tutti gli italiani e non solo per il suo 35% del 65%. Le idee che esprime sono inaccettabili in qualsiasi democrazia, il fatto che le teorizzi così apertamente contro tutto il mondo si colloca negli episodi che passano alla Storia. Non positivamente. Non invidio Berlusconi, anzi, sono felice della mia posizione di semplice onesta cittadina. Non lo odio, perché odio e disistima non vanno d'accordo. Mi fa pena, come mi fanno pena e rabbia i "suoi italiani", miei concittadini e concittadine, per nulla sensibili queste ultime alle offese inferete a noi donne dal cosiddetto "sultano".


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DONNE ITALIANE: DIFESA DELLA DIGNITA' FEMMINILE


Appello di donne alle first ladies:
"Non venite al G8 italiano"


"Siamo profondamente indignate per il modo in cui il presidente del Consiglio italiano tratta le donne sulla scena pubblica e privata" 


FIRMA L'APPELLO 


Le firme - Le adesioni prima della pubblicazione dell'appello L'appello sulla stampa estera: BBC - New York Times - Times El País - Daily Telegraph - El Mundo


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TRE LETTERE


 A proposito di donne italiane e sultanato, la lettera esemplificatrice del pensiero femminile berlusconista di una deputata del PdL, Melania Rizzoli, a Veronica Berlusconi:


«Cara Veronica, parli con suo marito» Dia ai suoi figli un vero esem­pio di vita, esca da quella ca­sa dorata e si faccia vedere tra le donne italiane... [ Corriere della Sera, 23 maggio 2009 ]


Angelo Rizzoli, marito della suddetta Melania, scrive molte cose anche lui al Corriere della Sera e, a proposito di Veronica Berlusconi dice:


«Veronica vi­ve in un castello dorato, si sposta con aerei pri­vati, non frequenta nessuno tranne quattro amiche milanesi che vanno bene giusto per lo shopping ma se chiedi chi è Obama non lo san­no. Veronica è condizionabile; e probabilmen­te è stata condizionata. Dicendo che il marito non sta bene ed è inaffidabile, non si è accorta di far male ai suoi figli, di destabilizzarli. So­prattutto il più piccolo, Luigi, che andrebbe in­vece sostenuto: a volte ci si ritira nella religio­ne come fuga dal mondo». ... [ da: L’amico del Cavaliere: molti altri fanno le cose imputate a Berlusconi: «Un complotto, Silvio reagisca. È come la vicenda Montesi» Angelo Rizzoli: alle feste romane anche leader di sinistra con ragazze di poca virtù, Corriere della Sera, 25 giugno 2009 ]


A cotanti sostenitori della morale pubblica e privata, incentrata particolarmente su concezione e ruolo delle donne, risponde oggi Veronica Berlusconi:


Come mai tante persone giudicano senza sapere? Veronica Berlusconi risponde ad Angelo Rizzoli e sua moglie in merito alla propria vicenda [ Corriere della Sera, 27 giugno 2009 ]


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Al Cavaliere serve una vacanza di EUGENIO SCALFARI, La Repubblica, 5 luglio 2009


lunedì 22 giugno 2009

Gli occhi di Neda



ندا




L'ultimo lampo della vita di Neda, una ragazza che muore, in jeans, maglietta e scarpe da ginnastica.  L'ultimo lampo tra vita e morte. Nella storia, per sempre, infelicemente e gloriosamente. Nella storia a testimoniare la ferocia degli assassini che uccidono in nome di uomini che gestiscono il potere in nome di una loro volontà divina. In vicende come questa è indifferente, quasi, che si tratti di cosiddette democrazie o teocrazie. E' il potere che si esercita sulla vita e sulla morte, meglio se in nome di un "dio" inventato, mistificazione del concetto stesso di Dio.


"Questa è la disperata testimonianza del medico che ha assistito la ragazza nei suoi ultimi momenti; testimonianza subito cancellata, ma ritrovabile come il link sul blog cui è stata inviata: «I “Basij” hanno sparato e ucciso una giovane donna in Teheran, il 20 giugno mentre protestava. Alle ore 19:05. Posto: Carekar Ave., all’angolo con la strada Khosravi e la strada Salelhi. La giovane donna era accanto al padre ed è stata sparata da un Basij che si nascondeva sul tetto di una casa civile. Ha avuto una vista perfetta della ragazza, e dunque non avrebbe potuto mancarla. Ha sparato diritto al cuore. Sono un dottore e mi sono precipitato immediatamente a cercare di salvarla. Ma l’impatto del proiettile è stato così forte che è esploso nel suo petto e la vittima è morta in meno di due minuti. Il video è stato girato da un amico che mi stava accanto. Per favore, fatelo sapere al mondo»." [ Neda la prima martire di Lucia Annunziata, Corriere della Sera 22 giugno 2009 ]


Neda, con i suoi occhi, con quel suo ultimo sguardo, con la perdita della sua vita, è una testimone, ma disgraziatamente non è la prima martire della teocrazia iraniana, non la prima in ordine cronologico. I teocrati islamici cominciarono subito a uccidere. Hanno poi continuato a farlo senza misura e senza giustiziza, anche in modi esecrabili, esaltando la funzione della morte lenta tra i tormenti. La lapidazione come strumento della pena di morte è solo un esempio orribile e non dei peggiori.


I giorni della cosiddetta rivoluzione islamica tra il 1978 e il 1979, anno della vittoria khomeinista, furono vissuti con partecipazione  cieca dall'Occidente ignorante. Michel Foucault è stato uno dei personaggi esemplari di una simpatia fondata sull'ignoranza delle cose iraniane in generale e sciite in particolare. Solo a pochi fu chiaro in quei giorni che le conseguenze di quella rivoluzione e del sangue di innocenti martiri le avrebbero pagate i bambini e le bambine dell'epoca e quelli che sarebbero nati dopo, per almeno 25 o 30 anni. Ne sono passati 30 di anni.


Quanti di noi sanno o possono anche soltanto immaginare il coraggio fisico e morale che è necessario per opporsi ai tiranni in quel modo nelle strade, rischiando la vita, la prigionia, le orrende torture dei teocrati criminali? E, infatti, non è solo coraggio, è disperazione.


Che cosa faremo noi adesso, oltre a tesimoniare la nostra vicinanza con messaggi nel WEB? Non m'illudo. Noi siamo impotenti. Le persiane e i persiani sono soli.


IL VIDEO DELLA MORTE DI NEDA



cartolina 001 017


 


LA PREMIO NOBEL PER LA PACE


Ripetere il voto e aiutare le vittime
Solo così la calma tornerà in Iran


Indire nuove elezioni con osservatori internazionali, liberare tutti gli arrestati, fermare la repressione


di SHIRIN EBADI


Il malcontento popolare per i risultati elettorali non riguarda esclusivamente le recenti votazioni. Anche quattro anni fa furono sollevati non pochi sospetti di brogli, quando Ahmadinejad venne eletto presidente. All’epoca, i suoi oppositori politici erano Mehdi Karroubi e Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, due noti e potenti personaggi della Repubblica islamica. L’incarico principale di Ahmadinejad fino a quel momento era stato solo quello di sindaco di Teheran, ma godeva dell’appoggio della milizia Basiji e dell’Ayatollah Khamenei, guida suprema a vita della Repubblica islamica. Karroubi presentò in quell’occasione ripetuti reclami al Consiglio dei Guardiani della rivoluzione, l’istituzione governativa incaricata di vigilare sul processo elettorale, ma senza ottenere alcun intervento fattivo. Il presidente Mohammad Khatami annunciò che erano state riscontrate numerose violazioni. Per di più, Hashemi Rafsanjani dichiarò che avrebbe presentato ricorso a Dio in persona, poiché nessuno in Iran era disposto ad ascoltare le sue rimostranze.


I quattro anni di Ahmadinejad alla guida del Paese hanno causato profonda insoddisfazione nella popolazione. In questo periodo, l’inflazione ha raggiunto il 25 per cento, i prezzi aumentano di giorno in giorno e il potere d’acquisto della gente continua a calare. Molti giornali sono stati chiusi, un gran numero di attivisti politici e per i diritti umani è finito in prigione, è stato soppresso il Centro dei difensori dei diritti umani, e via dicendo. Il capo supremo della rivoluzione continua ad appoggiare il premier, malgrado i crescenti malumori della popolazione, anche dopo l’annuncio del Majles (il parlamento) che un miliardo di dollari sono stati utilizzati senza alcuna approvazione legale. L’opinione pubblica iraniana è indignata. Queste le principali obiezioni sollevate:
1. Nella maggior parte dei seggi elettorali è stato vietato l’accesso ai rappresentanti di Mir Hossein Mousavi e di Mehdi Karroubi.
2. Da più parti è stata denunciata la manomissione delle urne.
3. Ahmadinejad ha ottenuto 14 milioni di voti nelle precedenti elezioni.


Stavolta, però, ha vantato 24 milioni di preferenze. Mehdi Karroubi, dal canto suo, ha dichiarato che i suoi voti sono risultati inferiori al numero dei componenti della sua circoscrizione elettorale e dei sostenitori del partito «Etemad Melli» da lui fondato. Quando milioni di persone a Teheran e in altre città si sono riversati nelle strade per protestare contro i risultati elettorali, è apparso chiaro che i 24 milioni di preferenze attribuite ad Ahmadinejad non potevano essere veritiere. Un gran numero di attivisti politici e sociali, tra cui Saeed Hajjarian, Mostafa Tajzadeh, Abdolfattah Soltani e Reza Tajik sono stati arrestati. Sono stati soppressi i collegamenti internet e ai giornalisti stranieri è stato ordinato di lasciare l’Iran al più presto possibile. Le reti televisive e di telefonia mobile, come Voa e la Bbc, sono state oscurate e interrotte, nel tentativo del governo di tagliare le linee di comunicazione tra la popolazione. La situazione ha spinto molti deputati a presentare una lettera di protesta al presidente della Camera, Larijani, il quale ha addossato al ministro dell’Interno la responsabilità dei disordini e delle violenze.


Mir Hossein Mousavi e Mehdi Karroubi hanno però incoraggiato i loro sostenitori a mantenere la calma e organizzare manifestazioni pacifiche, incitandoli a dar voce alla loro insoddisfazione con il grido di Allah-o-Akbar (Dio è il più grande) tra le 9 e le 10 di sera, invocazione che riecheggia ogni notte nell’intera città e riporta alla mente le notti della rivoluzione. L’intensificarsi delle proteste popolari ha convinto il capo supremo della Repubblica islamica a ordinare un’inchiesta sui ricorsi presentati e il Consiglio dei Guardiani ha annunciato un nuovo conteggio dei voti in alcuni seggi elettorali. Questo, tuttavia, a quanto pare, non basterà a calmare gli animi. La migliore soluzione per riportare la pace in Iran sarebbe invece:
1. La liberazione incondizionata di ogni persona arrestata o imprigionata per aver contestato il risultato elettorale.
2. L’immediata cessazione della repressione contro i manifestanti da parte della polizia e delle milizie del Basiji.
3. Annullare le elezioni.
4. Indire nuove elezioni con la presenza di osservatori internazionali.
5. Risarcire i feriti e le famiglie di quanti hanno perso la vita.
Solo se queste condizioni saranno rispettate la calma tornerà a regnare nella società iraniana.

(traduzione di Rita Baldassarre)






Corriere della Sera, 22 giugno 2009


domenica 21 giugno 2009

Citizen Berlusconi



55 min - 30 mar 2006 - Documentario della trasmissione americana "Wide Angle". Sottotitoli in italiano.
video.google.com/videoplay?docid=-7507586179468920585

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Citizen Berlusconi (il presidente e la stampa) è un documentario del 2003, diretto da Andrea Cairola e Susan Gray.


Questo documento è stato trasmesso per la prima volta il 21 agosto 2003 nel corso del programma Wide Angle di Thirteen/Wnet New York, la maggior emittente della TV pubblica americana PBS.


Come si nasconde una notizia


Come si nasconde una notizia : i TG italiani


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Ne ha fatta di strada il cittadino Berlusconi dal lontano 2003. Oggi ha il lodo Alfano e, fra poco, grandi limitazioni per le indagini della magistratura con la legge contro le intercettazioni e la libertà di stampa, legge non ancora approvata, ma non ci sono dubbi. Lui dice che il popolo italiano è tutto con lui, anzi no, il 72% (come da sondaggio su approvazione B.)?  anzi no, il 35% (voti ricevuti dal PdL alle europee intese come referendum per B.).


Come fa il 72% a essere uguale al 100% e come fa il 35%  del 61% (votanti europee) a essere uguale al 72%?


Corrono veloci questi giorni e ancor più veloci le vicende che andiamo scoprendo. Non tutti, però. I fruitori del TG1 e altri TG del genere come unico mezzo di informazione non hanno ancora scoperto niente. Beati loro e la loro innocenza. Lo dico con ironia bonaria nei loro confronti ma con rabbia nei confronti del neodirettore  del TG1 Minzolini. L'informazione ricavata dalla stampa a dalle rete mi ha dato un'idea precisa del lavoro di quest'ultimo e del diritto che si è arrogato di decidere che cosa i cittadini devono o non sapere, nonostante paghino la tassa denominata "canone". Io difendo le persone che non sanno nemmeno di essere defraudate del loro diritto a un'informazione completa. 


Per l'uomo Berlusconi provo compassione, penso che stia soffrendo, anche se il suo modo di reagire mi sembra sconveniente: silenzi, battute fuori luogo, aggressività incontrollata. Per la sua politica, le sue incoerenze, il suo essere di cattivo esempio e, in una parola, per la sua ybris provo avversione. La storia del cittadino Berlusconi, dal primo decreto Mammì in era caxiana (1984) a oggi, si è sviluppata soprattutto in spregio alla giustizia e a vari principi costituzionali. Ma mi sono sempre presenti le responsabilità di tutti coloro che hanno reso possibile la vicenda politica berlusconiana, le responsabilità di ogni elettrice ed elettore, le responsabiltà di uomini e donne di potere, le responsabilità di rappresentanti del popolo che si sono messi al suo servizio.


Furio Colombo parla dell'ultimo Parlamento italiano riferendosi alle votazioni sul decreto per l'Abruzzo. Ho seguito con crescente infelicità la discussione (?) alla Camera, emendamento dopo emendamento, bocciatura dopo bocciatura, così, inesorabilmente, come fosse un dovere indiscutibile, anche quando si travva di proposte minime e di assoluta ragionevolezza. Non c'era da aspettare il responso della votazione: gli emendamenti dell'opposizione dovevano essere bocciati, tutti (o quasi, non so, non sono stata attenta al 100%). Colombo riferisce con precisione lo svolgimento di quest'ultima (in ordine cronologico) vicenda parlamentare. Eppure nulla può sostituire l'esperienza diretta, sia pure per radio.



"La vergogna era questa: la legge in discussione era per “Gli interventi urgenti in Abruzzo” e mancava di tutto. Mancava di soldi, di progetti, di idee, aveva saltato interi settori di attività essenziale (le scuole) e interi blocchi di cittadini, i cosiddetti proprietari di “seconde case” che non saranno ricostruite benché siano al secondo e al quarto piano dell’edificio la cui ricostruzione è teoricamente prevista. Non fissava date e non garantiva scadenze.


Tutta l’opposizione (Pd, Italia dei valori, Udc) si è impegnata, emendamento dopo emendamento, a riempire le inaccettabili omissioni, le inspiegabili incompetenze, a correggere l’ovvia e offensiva inutilità della legge. Lo spettacolo triste, durato per tre giorni, è stato il silenzio disciplinato della maggioranza di governo, uomini e donne solitamente vivi e aggressivi ridotti a una assemblea ottusa che non ascolta, non vede, non decide. Ha già deciso il governo. E così, come se questo fosse l’ultimo Parlamento, come se nessuno di questi parlamentari avesse un dopo in cui rendere conto e un elettorato che vorrà sapere, ogni emendamento dell’opposizione, per quanto utile e necessario è stato respinto, anche se diceva che non c’è più università, che è urgente ricostruire la Casa dello studente, che l’ospedale va rimesso in grado di funzionare, che dopo un simile terremoto è assurdo e impossibile distinguere fra prime e seconde case, che i soldi non bastano per cominciare, che occorrono date certe della ricostruzione, fasi realistiche, dati veri, sia per buona organizzazione sia per dare speranza. Lo spettacolo di ciò che è accaduto dentro Montecitorio, mentre fuori una folla di cittadini normali e per bene, ècostretta a gridare la sua indignazione, era anche più desolante. Una parte sorda, cieca e muta del Parlamento taceva, evitava ogni confronto, si auto-proibiva qualunque discussione, respingeva in silenzio anche le proposte ispirate a esperienza, mitezza, buon senso. Il governo dello spettacolo aveva già fatto la sua tournée all’Aquila. Sta preparando, a carico dei disperati cittadini dell’Aquila il nuovo mega-spettacolo del G8. I parlamentari del partito di governo sono stati declassati a loggione. Tacciano, ignorino, lascino lavorare chi sa fare spettacolo. L’ultimo Parlamento ha abbassato la testa in segno di umile assenso. Per fortuna non tanti nell’opposizione pensano ancora che sia estremista dire «no». In tanti si rendono conto, finalmente, che «no» è l’unica risposta possibile."



Eugenio Scalfari, invece, parla della Suburra, appunto, ma non ha sottolineato abbastanza il ruolo dei comprimari, dei sostenitori, dei collaboratori, tutti volenterosi e tetragoni nel sottomettersi ed eseguire le volontà del capo, fino al ridicolo che segna il punto massimo di certe tragedie politiche. Cita la difesa messa in atto da Deborah Bergamini, la dirigente licenziata dalla RAI, poco leale ma anche poco informate dei fatti storici a cui con comica prosopopea si appoggia (Il Cavaliere, moderno Catilina e le persecuzioni dei riformatori. Pubblicato il 18 giugno 2009 - Corriere della Sera. Autore: Bergamini Deborah).


Un esempio la  Deborah Bergamini , quella che fa dire a ragione: " La vendetta di Deborah Bergamini che dalla Rai è finita in parlamento: è suo l'emendamento che prevede il carcere per i giornalisti che rivelino intercettazioni telefoniche da distruggere." QUI . Ed  è solo una tra tanti, molti, troppi.


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sabato 20 giugno 2009

«Ci sono cose che non ho mai detto»


«Ci sono cose che non ho mai detto, non ho mai parlato di complotto oscuro, non ho mai detto di temere di essere spiato e non ho mai detto che il mio avvocato è uscito pazzo (queste uscite io non le ho sentite, ma non vuol dir nulla)». Soprattutto, chiarisce di non aver mai detto che risponderà "colpo su colpo": «È veramente incredibile, questi sono dei disgraziati». (Avvenire, 20 giugno 2009)


"Le calunnie contro di me, quattro calunnie filate, le veline, le minorenni, Mills, i voli di Stato, hanno costituito una campagna di scandalo molto negativa all'estero per il nostro Paese e credo sia un comportamento colpevole da chi l'ha pensato e organizzato, un progetto eversivo perché la finalità è quella di costringere a far decadere un presidente del Consiglio eletto dagli italiani e a mettere un'altra persona non eletta dagli italiani". "Avete visto come hanno costruito su quattro calunnie filate una campagna di scandalo molto negativa all'estero per il nostro Paese? Se questa non è eversione, ditemi voi cos'è". (Santa Margherita Ligure (Genova), 13 giugno 2009)

 BERLUSCONI ALL'ATTACCO: PIANO EVERSIVO CONTRO DI ME - Video ...Video - QUI


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venerdì 19 giugno 2009

BUON COMPLEANNO, AUNG SAN SUU KYI !


http://newsimg.bbc.co.uk/media/images/45945000/jpg/_45945561_-4.jpg


The European Union is taking part in the campaign to free Ms Suu Kyi


http://newsimg.bbc.co.uk/media/images/45776000/gif/_45776076_insein_466.gif


Compleanno in carcere, dopo i molti compleanni agli arresti domiciliari.


Aumenta la repressione, perché aumenta la paura dei vili omaccioni al potere in Birmania. Non si sa quanto tempo ci vorrà, ma i vili omaccioni finiranno e le cittadine e i cittadini birmani godranno dei diritti umani e civili e democratici. Per merito anche di una donna tanto fragile quanto forte, simbolo lucente di civiltà umana.


http://img.timeinc.net/time/daily/2009/0905/aung_san_suu_kyi_0514.jpg


Aung San Suu Kyi_Dominique Aubert / Sygma / Corbis _ TIME


Buon compleanno, Aung San Suu Kyi! Buona fortuna, Birmania!

martedì 16 giugno 2009

INTERCETTAZIONI di ECCLESIASTICI o RELIGIOSI del CULTO CATTOLICO


Istruzioni per l'uso


* ? *


«2. Quando l'azione penale è esercitata nei confronti di un ecclesiastico o di un


 


Pag. 27




religioso del culto cattolico, l'informazione è inviata all'autorità ecclesiastica di cui ai commi 2-ter e 2-quater»;

          c) dopo il comma 2 sono inseriti i seguenti:


      «2-bis. Il pubblico ministero invia l'informazione anche quando taluno dei soggetti indicati nei commi 1 e 2 è stato arrestato o fermato, ovvero quando è stata applicata nei suoi confronti la misura della custodia cautelare; nei casi in cui risulta indagato un ecclesiastico o un religioso del culto cattolico invia, altresì, l'informazione quando è stata applicata nei suoi confronti ogni altra misura cautelare personale, nonché quando procede all'invio dell'informazione di garanzia di cui all'articolo 369 del codice.
      2-ter. Quando risulta indagato o imputato un vescovo diocesano, prelato territoriale, coadiutore, ausiliare, titolare o emerito, o un ordinario di luogo equiparato a un vescovo diocesano, abate di un'abbazia territoriale o sacerdote che, durante la vacanza della sede, svolge l'ufficio di amministratore della diocesi, il pubblico ministero invia l'informazione al cardinale Segretario di Stato.
      2-quater. Quando risulta indagato o imputato un sacerdote secolare o appartenente a un istituto di vita consacrata o a una società di vita apostolica, il pubblico ministero invia l'informazione all'ordinario diocesano nella cui circoscrizione territoriale ha sede la procura della Repubblica competente»; [ Progetto di legge: 1415 (Fase iter Camera: 1^ lettura) pagg. 26-27 ]


* ??? *


... così, spulciando il celeberrimo urgentissimo vitale DDL 1415 "Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione del giudice e degli atti di indagine. Integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche" , testè approvato dalla Camera dei Deputati, ho trovato questa chicca ... non capisco e non mi capacito ... urge spiegazione


che cos'è?  


un lodo Alfano per le gerarchie cattoliche? altri culti e diversamente credenti astenersi? sempre in nome dell'Art. 3 della Costituzione Italiana?


*


Aggiornamento pomeridiano.


Masso57 mi ha cortesemente indicato l'editoriale che poteva farmi capire questa vicenda di ulteriore non uguaglianza. Eccolo:


Intercettazioni telefoniche


Caro dottor Letta, no grazie


F C E I - Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, 18 giugno 2008


*


Aggiornamento del 18 giugno 2009


Gli ultimi accadimenti stanno rendendo sempre più chiara l'urgenza della legge sulle intercettazioni...abbandono l'argomento, limitandomi a qualche link:




domenica 14 giugno 2009

GIOVANI INDUSTRIALI ITALIANI APPLAUDONO...


piccoli collaboratori crescono


Santa Margherita Ligure (Genova), 13 giugno 2009


Berlusconi, Marcegaglia, Guidi_La Stampa


"Penso che avrete peso atto che posiamo e che io poso con due signore che probabilmente non sono minorenni".


All'ingresso le due signore, Marcegaglia e Guidi, ridono di gusto alla battuta.  Ma Noemi e Roberta erano minorenni, quindi che ci trovano da ridere le due signore? Perché Berlusconi ripete dovunque vada la battuta sulle minorenni? Crede di sminuire il peso dello scandalo? Certo le risate compiacenti delle signore e gli applausi delle platee degli imprenditori sembrano dargli ragione. [ BERLUSCONI ALL'ATTACCO: PIANO EVERSIVO CONTRO DI ME - Video ...Video ]



Dice Berlusconi dal podio: "Le calunnie contro di me, quattro calunnie filate, le veline, le minorenni, Mills, i voli di Stato, hanno costituito una campagna di scandalo molto negativa all'estero per il nostro Paese e credo sia un comportamento colpevole da chi l'ha pensato e organizzato, un progetto eversivo perché la finalità è quella di costringere a far decadere un presidente del Consiglio eletto dagli italiani e a mettere un'altra persona non eletta dagli italiani". "Avete visto come hanno costruito su quattro calunnie filate una campagna di scandalo molto negativa all'estero per il nostro Paese? Se questa non è eversione, ditemi voi cos'è".


Qui i giovani industriali applaudono.


Le affermazioni di Berlusconi sono di un'estrema gravità, ancorché generiche. Che cosa vogliono dire gli applausi dei giovani ma non ingenui industriali? Sanno di che cosa si tratta ed esprimono la loro solidarietà con gli applausi? Hanno contezza di quel piano eversivo e con gli applausi sostengono Berlusconi? O, più semplicemente, applaudono perché questo richiede la convenienza mercantile?  [ Berlusconi: ''Piano eversivo contro di me'' ... video ]


Continua Berlusconi dal podio: «La situazione della crisi è quella che conoscete, bisognerebbe non avere una opposizione e dei media che tutti i giorni cantano la canzone del pessimismo, del disfattismo, del catastrofismo. Penso che anche voi dovreste operare di più in questa direzione, per esempio non date pubblicità a chi si comporta così. Credo che sia una difesa logica e assolutamente fondata sulla realtà dei fatti».


Qui ancora applausi dei giovani industriali.


Sono d'accordo anche con queste affermazioni? Ma bravi, bravi davvero, bravi questi giovani liberisti. Non sentono la stonatura di quegli applausi prodotti da chi fa impresa rivolti all'invito aberrante di Berlusconi che approfitta del suo potere per schiacciare dei concorrenti. Non dovrebbero essere loro, i giovani fortunati rampolli della borghesia produttiva a sostenere la libera concorrenza e a stupirsi della minaccia lanciata dal più grosso imprenditore italiano, nonché presidente del governo? No, loro applaudono, come hanno già fatto i loro omologhi "adulti": confindustria e confesercenti.    
 [
Poi attacca i giornali: ''Industriali, niente pubblicità ai disfattisti''. ... Video ]


Nota dello staff berlusconiano: "Mi riferivo al leader del Pd Franceschini".


Smentisce e conferma Berlusconi: Ma dopo la conferma: "Intendevo proprio Repubblica" [ Video ]



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Il Cavaliere e il suo fantasma di EZIO MAURO
La sconfitta del capo di EUGENIO SCALFARI
Quelle calunnie che sono bugie di GIUSEPPE D'AVANZO


 


giovedì 11 giugno 2009

Art. 21.


Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.


La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. [...]


*


La Stampa, 10 giugno 2009. Scrive Anna Masera:


Obbligo di rettifica entro 48 ore
"per tutti i titolari di siti informatici"


Il maxi-emendamento sulle intercettazioni viola la libertà di espressione in Rete


Oggi non sono al lavoro, ma mi sembra importante riportare la notizia della fiducia che il governo ha chiesto sul maxi-emendamento in materia di intercettazioni.
Come scrive l'avvocato
Guido Scorza, «ha un significato sinistro e preoccupante per la Rete: il testo maxi-emendato, infatti, introduce nel nostro Ordinamento l'obbligo di rettifica entro 48 ore a pena di una sanzione pecuniaria tra il 15 e i 25 milioni di vecchie lire per tutti i titolari di siti informatici...Il Governo sta mostrando una volta di più di non conoscere la Rete ma di temerla incredibilmente almeno fintanto che sarà diversa da una televisione...il maxi-emendamento rischia di cambiare molto le dinamiche dell'informazione in Rete ed è un inutile sacrificio della libertà di espressione che comprimerà i diritti di molti senza arrecare alcun vantaggio neppure a pochi».

Insomma, come avevamo scritto già
a febbraio, con il pacchetto sicurezza, il governo imbavaglia la Rete, rendendo possibile la censura.

Ne stiamo discutendo con Marco Pancini, capo di Google Italia - coinvolta perchè Google rientra tra i "siti informatici" così come tutti i blogger e persino gli utenti di Facebook, per intenderci... -, al mercoledì di Nexa.


La Corte costituzionale francese censura la legge Hadopi


*


Confessione: Ho dato uno sguardo veloce a tutto, ma non sono sicura di aver capito bene le questioni. Si deve ritrattare solo un'eventuale diffamazione a mezzo blog o qualsiasi cosa? Si tratta di un grimaldello legale per poi arrivare alla censura vera e propria? Chi può imporre la ritrattazione entro le 48 ore? Chiunque, senza intervento del giudice? Che succede se i giudici dovranno sentenziare anche su tutto questo mare magnum? Non so, non ho capito, ma so che devo informarmi meglio e capire bene.


Per precauzione: ritratto tutto quello che ho scritto finora, nego tutte le mie idee, sono pronta a sottoscrivere qualsiasi cosa mi venga detta da chiunque sia più potente di me.

domenica 7 giugno 2009

CONSENSI ELETTORALI



Pare che italiane e italiani in gran numero stiano per dare il proprio voto a questo povero anziano che mima il saluto militare strizzando occhi e labbra nella celebre forma a  "culo di gallina", certo di essere spiritoso e incurante di apparire penosamente ridicolo. De gustibus non est disputandum, meno che mai dei gusti politici. Ma c'è da fidarsi di uno che sonnecchia e fa le smorfie con senile irriverenza durante i festeggiamenti per l'anniversario della fondazione della Repubblica Italiana? Non voglio irridere la vecchiaia, anzi.  Ritengo che la vecchiaia ben preparata e ben vissuta sia una grande opportunità per costruirsi un patrimonio di saggezza e di bellezza. Ma la vecchiaia senza saggezza incorre nel rischio del ridicolo, soprattutto quando tenta, ahimè quanto invano, di mettere la maschera della giovinezza.


Il consenso elettorale è uno dei fondamenti della democrazia, ma non l'unico, come è dimostrato dalle vicende sciagurate di talune dittature del passato, e anche del presente. Allo stesso modo il consenso elettorale non è garanzia di etica politica e nemmeno può diventare lavacro di eventuali colpe di coloro che vengono designati dalle scelte della maggioranza. Il presidente del consiglio pro tempore e tutti gli altri eletti dal popolo dovrebbero avere ben chiari questi argomenti. 



Chiunque detenga il diritto di voto, a sua volta, non è esente dal dovere di considerarsi responsabile per quel suo unico prezioso voto del bene della res publica.

venerdì 5 giugno 2009

"I have come here
to seek a new beginning"


di BARACK OBAMA


SONO onorato di trovarmi qui al Cairo, in questa città eterna, e di essere ospite di due importantissime istituzioni. Da oltre mille anni Al-Azhar rappresenta il faro della cultura islamica e da oltre un secolo l'Università del Cairo è la culla del progresso dell'Egitto. Insieme, queste due istituzioni rappresentano il connubio di tradizione e progresso.

Sono grato di questa ospitalità e dell'accoglienza che il popolo egiziano mi ha riservato. Sono altresì orgoglioso di portare con me in questo viaggio le buone intenzioni del popolo americano, e di portarvi il saluto di pace delle comunità musulmane del mio Paese: assalaamu alaykum.

Ci incontriamo qui in un periodo di forte tensione tra gli Stati Uniti e i musulmani in tutto il mondo, tensione che ha le sue radici nelle forze storiche che prescindono da qualsiasi attuale dibattito politico. Il rapporto tra Islam e Occidente ha alle spalle secoli di coesistenza e cooperazione, ma anche di conflitto e di guerre di religione. In tempi più recenti, questa tensione è stata alimentata dal colonialismo, che ha negato diritti e opportunità a molti musulmani, e da una Guerra Fredda nella quale i Paesi a maggioranza musulmana troppo spesso sono stati trattati come Paesi che agivano per procura, senza tener conto delle loro legittime aspirazioni. Oltretutto, i cambiamenti radicali prodotti dal processo di modernizzazione e dalla globalizzazione hanno indotto molti musulmani a considerare l'Occidente ostile nei confronti delle tradizioni dell'Islam.


Violenti estremisti hanno saputo sfruttare queste tensioni in una minoranza, esigua ma forte, di musulmani. Gli attentati dell'11 settembre 2001 e gli sforzi continui di questi estremisti volti a perpetrare atti di violenza contro civili inermi ha di conseguenza indotto alcune persone nel mio Paese a considerare l'Islam come inevitabilmente ostile non soltanto nei confronti dell'America e dei Paesi occidentali in genere, ma anche dei diritti umani. Tutto ciò ha comportato maggiori paure, maggiori diffidenze.

Fino a quando i nostri rapporti saranno definiti dalle nostre differenze, daremo maggior potere a coloro che perseguono l'odio invece della pace, coloro che si adoperano per lo scontro invece che per la collaborazione che potrebbe aiutare tutti i nostri popoli a ottenere giustizia e a raggiungere il benessere. Adesso occorre porre fine a questo circolo vizioso di sospetti e discordia.

Io sono qui oggi per cercare di dare il via a un nuovo inizio tra gli Stati Uniti e i musulmani di tutto il mondo; l'inizio di un rapporto che si basi sull'interesse reciproco e sul mutuo rispetto; un rapporto che si basi su una verità precisa, ovvero che America e Islam non si escludono a vicenda, non devono necessariamente essere in competizione tra loro. Al contrario, America e Islam si sovrappongono, condividono medesimi principi e ideali, il senso di giustizia e di progresso, la tolleranza e la dignità dell'uomo.

Sono qui consapevole che questo cambiamento non potrà avvenire nell'arco di una sola notte. Nessun discorso o proclama potrà mai sradicare completamente una diffidenza pluriennale. Né io sarò in grado, nel tempo che ho a disposizione, di porre rimedio e dare soluzione a tutte le complesse questioni che ci hanno condotti a questo punto. Sono però convinto che per poter andare avanti dobbiamo dire apertamente ciò che abbiamo nel cuore, e che troppo spesso viene detto soltanto a porte chiuse. Dobbiamo promuovere uno sforzo sostenuto nel tempo per ascoltarci, per imparare l'uno dall'altro, per rispettarci, per cercare un terreno comune di intesa. Il Sacro Corano dice: "Siate consapevoli di Dio e dite sempre la verità". Questo è quanto cercherò di fare: dire la verità nel miglior modo possibile, con un atteggiamento umile per l'importante compito che devo affrontare, fermamente convinto che gli interessi che condividiamo in quanto appartenenti a un unico genere umano siano molto più potenti ed efficaci delle forze che ci allontanano in direzioni opposte.

In parte le mie convinzioni si basano sulla mia stessa esperienza: sono cristiano, ma mio padre era originario di una famiglia del Kenya della quale hanno fatto parte generazioni intere di musulmani. Da bambino ho trascorso svariati anni in Indonesia, e ascoltavo al sorgere del Sole e al calare delle tenebre la chiamata dell'azaan. Quando ero ragazzo, ho prestato servizio nelle comunità di Chicago presso le quali molti trovavano dignità e pace nella loro fede musulmana.

Ho studiato Storia e ho imparato quanto la civiltà sia debitrice nei confronti dell'Islam. Fu l'Islam infatti - in istituzioni come l'Università Al-Azhar - a tenere alta la fiaccola del sapere per molti secoli, preparando la strada al Rinascimento europeo e all'Illuminismo. Fu l'innovazione presso le comunità musulmane a sviluppare scienze come l'algebra, a inventare la bussola magnetica, vari strumenti per la navigazione; a far progredire la maestria nello scrivere e nella stampa; la nostra comprensione di come si diffondono le malattie e come è possibile curarle. La cultura islamica ci ha regalato maestosi archi e cuspidi elevate; poesia immortale e musica eccelsa; calligrafia elegante e luoghi di meditazione pacifica. Per tutto il corso della sua Storia, l'Islam ha dimostrato con le parole e le azioni la possibilità di praticare la tolleranza religiosa e l'eguaglianza tra le razze.

So anche che l'Islam ha avuto una parte importante nella Storia americana. La prima nazione a riconoscere il mio Paese è stato il Marocco. Firmando il Trattato di Tripoli nel 1796, il nostro secondo presidente, John Adams, scrisse: "Gli Stati Uniti non hanno a priori alcun motivo di inimicizia nei confronti delle leggi, della religione o dell'ordine dei musulmani". Sin dalla fondazione degli Stati Uniti, i musulmani americani hanno arricchito il mio Paese: hanno combattuto nelle nostre guerre, hanno prestato servizio al governo, si sono battuti per i diritti civili, hanno avviato aziende e attività, hanno insegnato nelle nostre università, hanno eccelso in molteplici sport, hanno vinto premi Nobel, hanno costruito i nostri edifici più alti e acceso la Torcia Olimpica. E quando di recente il primo musulmano americano è stato eletto come rappresentante al Congresso degli Stati Uniti, egli ha giurato di difendere la nostra Costituzione utilizzando lo stesso Sacro Corano che uno dei nostri Padri Fondatori - Thomas Jefferson - custodiva nella sua biblioteca personale.

Ho pertanto conosciuto l'Islam in tre continenti, prima di venire in questa regione nella quale esso fu rivelato agli uomini per la prima volta. Questa esperienza illumina e guida la mia convinzione che una partnership tra America e Islam debba basarsi su ciò che l'Islam è, non su ciò che non è. Ritengo che rientri negli obblighi e nelle mie responsabilità di presidente degli Stati Uniti lottare contro qualsiasi stereotipo negativo dell'Islam, ovunque esso possa affiorare.

Ma questo medesimo principio deve applicarsi alla percezione dell'America da parte dei musulmani. Proprio come i musulmani non ricadono in un approssimativo e grossolano stereotipo, così l'America non corrisponde a quell'approssimativo e grossolano stereotipo di un impero interessato al suo solo tornaconto. Gli Stati Uniti sono stati una delle più importanti culle del progresso che il mondo abbia mai conosciuto. Sono nati dalla rivoluzione contro un impero. Sono stati fondati sull'ideale che tutti gli esseri umani nascono uguali e per dare significato a queste parole essi hanno versato sangue e lottato per secoli, fuori dai loro confini, in ogni parte del mondo. Sono stati plasmati da ogni cultura, proveniente da ogni remoto angolo della Terra, e si ispirano a un unico ideale: E pluribus unum. "Da molti, uno solo".

Si sono dette molte cose e si è speculato alquanto sul fatto che un afro-americano di nome Barack Hussein Obama potesse essere eletto presidente, ma la mia storia personale non è così unica come sembra. Il sogno della realizzazione personale non si è concretizzato per tutti in America, ma quel sogno, quella promessa, è tuttora valido per chiunque approdi alle nostre sponde, e ciò vale anche per quasi sette milioni di musulmani americani che oggi nel nostro Paese godono di istruzione e stipendi più alti della media.

E ancora: la libertà in America è tutt'uno con la libertà di professare la propria religione. Ecco perché in ogni Stato americano c'è almeno una moschea, e complessivamente se ne contano oltre 1.200 all'interno dei nostri confini. Ecco perché il governo degli Stati Uniti si è rivolto ai tribunali per tutelare il diritto delle donne e delle giovani ragazze a indossare l'hijab e a punire coloro che vorrebbero impedirglielo.

Non c'è dubbio alcuno, pertanto: l'Islam è parte integrante dell'America. E io credo che l'America custodisca al proprio interno la verità che, indipendentemente da razza, religione, posizione sociale nella propria vita, tutti noi condividiamo aspirazioni comuni, come quella di vivere in pace e sicurezza, quella di volerci istruire e avere un lavoro dignitoso, quella di amare le nostre famiglie, le nostre comunità e il nostro Dio. Queste sono le cose che abbiamo in comune. Queste sono le speranze e le ambizioni di tutto il genere umano.

Naturalmente, riconoscere la nostra comune appartenenza a un unico genere umano è soltanto l'inizio del nostro compito: le parole da sole non possono dare risposte concrete ai bisogni dei nostri popoli. Questi bisogni potranno essere soddisfatti soltanto se negli anni a venire sapremo agire con audacia, se capiremo che le sfide che dovremo affrontare sono le medesime e che se falliremo e non riusciremo ad avere la meglio su di esse ne subiremo tutti le conseguenze.

Abbiamo infatti appreso di recente che quando un sistema finanziario si indebolisce in un Paese, è la prosperità di tutti a patirne. Quando una nuova malattia infetta un essere umano, tutti sono a rischio. Quando una nazione vuole dotarsi di un'arma nucleare, il rischio di attacchi nucleari aumenta per tutte le nazioni. Quando violenti estremisti operano in una remota zona di montagna, i popoli sono a rischio anche al di là degli oceani. E quando innocenti inermi sono massacrati in Bosnia e in Darfur, è la coscienza di tutti a uscirne macchiata e infangata. Ecco che cosa significa nel XXI secolo abitare uno stesso pianeta: questa è la responsabilità che ciascuno di noi ha in quanto essere umano.

Si tratta sicuramente di una responsabilità ardua di cui farsi carico. La Storia umana è spesso stata un susseguirsi di nazioni e di tribù che si assoggettavano l'una all'altra per servire i loro interessi. Nondimeno, in questa nuova epoca, un simile atteggiamento sarebbe autodistruttivo. Considerato quanto siamo interdipendenti gli uni dagli altri, qualsiasi ordine mondiale che dovesse elevare una nazione o un gruppo di individui al di sopra degli altri sarebbe inevitabilmente destinato all'insuccesso.

Indipendentemente da tutto ciò che pensiamo del passato, non dobbiamo esserne prigionieri. I nostri problemi devono essere affrontati collaborando, diventando partner, condividendo tutti insieme il progresso.

Ciò non significa che dovremmo ignorare i motivi di tensione. Significa anzi esattamente il contrario: dobbiamo far fronte a queste tensioni senza indugio e con determinazione. Ed è quindi con questo spirito che vi chiedo di potervi parlare quanto più chiaramente e semplicemente mi sarà possibile di alcune questioni particolari che credo fermamente che dovremo in definitiva affrontare insieme.

Il primo problema che dobbiamo affrontare insieme è la violenza estremista in tutte le sue forme. Ad Ankara ho detto chiaramente che l'America non è - e non sarà mai - in guerra con l'Islam. In ogni caso, però, noi non daremo mai tregua agli estremisti violenti che costituiscono una grave minaccia per la nostra sicurezza. E questo perché anche noi disapproviamo ciò che le persone di tutte le confessioni religiose disapprovano: l'uccisione di uomini, donne e bambini innocenti. Il mio primo dovere in quanto presidente è quello di proteggere il popolo americano.

La situazione in Afghanistan dimostra quali siano gli obiettivi dell'America, e la nostra necessità di lavorare insieme. Oltre sette anni fa gli Stati Uniti dettero la caccia ad Al Qaeda e ai Taliban con un vasto sostegno internazionale. Non andammo per scelta, ma per necessità. Sono consapevole che alcuni mettono in dubbio o giustificano gli eventi dell'11 settembre. Cerchiamo però di essere chiari: quel giorno Al Qaeda uccise circa 3.000 persone. Le vittime furono uomini, donne, bambini innocenti, americani e di molte altre nazioni, che non avevano commesso nulla di male nei confronti di nessuno. Eppure Al Qaeda scelse deliberatamente di massacrare quelle persone, rivendicando gli attentati, e ancora adesso proclama la propria intenzione di continuare a perpetrare stragi di massa. Al Qaeda ha affiliati in molti Paesi e sta cercando di espandere il proprio raggio di azione. Queste non sono opinioni sulle quali polemizzare: sono dati di fatto da affrontare concretamente.

Non lasciatevi trarre in errore: noi non vogliamo che le nostre truppe restino in Afghanistan. Non abbiamo intenzione di impiantarvi basi militari stabili. È lacerante per l'America continuare a perdere giovani uomini e giovani donne. Portare avanti quel conflitto è difficile, oneroso e politicamente arduo. Saremmo ben lieti di riportare a casa anche l'ultimo dei nostri soldati se solo potessimo essere fiduciosi che in Afghanistan e in Pakistan non ci sono estremisti violenti che si prefiggono di massacrare quanti più americani possibile. Ma non è ancora così.

Questo è il motivo per cui siamo parte di una coalizione di 46 Paesi. Malgrado le spese e gli oneri che ciò comporta, l'impegno dell'America non è mai venuto e mai verrà meno. In realtà, nessuno di noi dovrebbe tollerare questi estremisti: essi hanno colpito e ucciso in molti Paesi. Hanno assassinato persone di ogni fede religiosa. Più di altri, hanno massacrato musulmani. Le loro azioni sono inconciliabili con i diritti umani, il progresso delle nazioni, l'Islam stesso.

Il Sacro Corano predica che chiunque uccida un innocente è come se uccidesse tutto il genere umano. E chiunque salva un solo individuo, in realtà salva tutto il genere umano. La fede profonda di oltre un miliardo di persone è infinitamente più forte del miserabile odio che nutrono alcuni. L'Islam non è parte del problema nella lotta all'estremismo violento: è anzi una parte importante nella promozione della pace.

Sappiamo anche che la sola potenza militare non risolverà i problemi in Afghanistan e in Pakistan: per questo motivo stiamo pianificando di investire fino a 1,5 miliardi di dollari l'anno per i prossimi cinque anni per aiutare i pachistani a costruire scuole e ospedali, strade e aziende, e centinaia di milioni di dollari per aiutare gli sfollati. Per questo stesso motivo stiamo per offrire 2,8 miliardi di dollari agli afgani per fare altrettanto, affinché sviluppino la loro economia e assicurino i servizi di base dai quali dipende la popolazione.

Permettetemi ora di affrontare la questione dell'Iraq: a differenza di quella in Afghanistan, la guerra in Iraq è stata voluta, ed è una scelta che ha provocato molti forti dissidi nel mio Paese e in tutto il mondo. Anche se sono convinto che in definitiva il popolo iracheno oggi viva molto meglio senza la tirannia di Saddam Hussein, credo anche che quanto accaduto in Iraq sia servito all'America per comprendere meglio l'uso delle risorse diplomatiche e l'utilità di un consenso internazionale per risolvere, ogniqualvolta ciò sia possibile, i nostri problemi. A questo proposito potrei citare le parole di Thomas Jefferson che disse: "Io auspico che la nostra saggezza cresca in misura proporzionale alla nostra potenza e ci insegni che quanto meno faremo ricorso alla potenza tanto più saggi saremo".

Oggi l'America ha una duplice responsabilità: aiutare l'Iraq a plasmare un miglior futuro per se stesso e lasciare l'Iraq agli iracheni. Ho già detto chiaramente al popolo iracheno che l'America non intende avere alcuna base sul territorio iracheno, e non ha alcuna pretesa o rivendicazione sul suo territorio o sulle sue risorse. La sovranità dell'Iraq è esclusivamente sua. Per questo ho dato ordine alle nostre brigate combattenti di ritirarsi entro il prossimo mese di agosto. Noi onoreremo la nostra promessa e l'accordo preso con il governo iracheno democraticamente eletto di ritirare il contingente combattente dalle città irachene entro luglio e tutti i nostri uomini dall'Iraq entro il 2012. Aiuteremo l'Iraq ad addestrare gli uomini delle sue Forze di Sicurezza, e a sviluppare la sua economia. Ma daremo sostegno a un Iraq sicuro e unito da partner, non da dominatori.

E infine, proprio come l'America non può tollerare in alcun modo la violenza perpetrata dagli estremisti, essa non può in alcun modo abiurare ai propri principi. L'11 settembre è stato un trauma immenso per il nostro Paese. La paura e la rabbia che quegli attentati hanno scatenato sono state comprensibili, ma in alcuni casi ci hanno spinto ad agire in modo contrario ai nostri stessi ideali. Ci stiamo adoperando concretamente per cambiare linea d'azione. Ho personalmente proibito in modo inequivocabile il ricorso alla tortura da parte degli Stati Uniti, e ho dato l'ordine che il carcere di Guantánamo Bay sia chiuso entro i primi mesi dell'anno venturo.

L'America, in definitiva, si difenderà rispettando la sovranità altrui e la legalità delle altre nazioni. Lo farà in partenariato con le comunità musulmane, anch'esse minacciate. Quanto prima gli estremisti saranno isolati e si sentiranno respinti dalle comunità musulmane, tanto prima saremo tutti più al sicuro.

La seconda più importante causa di tensione della quale dobbiamo discutere è la situazione tra israeliani, palestinesi e mondo arabo. Sono ben noti i solidi rapporti che legano Israele e Stati Uniti. Si tratta di un vincolo infrangibile, che ha radici in legami culturali che risalgono indietro nel tempo, nel riconoscimento che l'aspirazione a una patria ebraica è legittimo e ha anch'esso radici in una storia tragica, innegabile.

Nel mondo il popolo ebraico è stato perseguitato per secoli e l'antisemitismo in Europa è culminato nell'Olocausto, uno sterminio senza precedenti. Domani mi recherò a Buchenwald, uno dei molti campi nei quali gli ebrei furono resi schiavi, torturati, uccisi a colpi di arma da fuoco o con il gas dal Terzo Reich. Sei milioni di ebrei furono così massacrati, un numero superiore all'intera popolazione odierna di Israele.

Confutare questa realtà è immotivato, da ignoranti, alimenta l'odio. Minacciare Israele di distruzione - o ripetere vili stereotipi sugli ebrei - è profondamente sbagliato, e serve soltanto a evocare nella mente degli israeliani il ricordo più doloroso della loro Storia, precludendo la pace che il popolo di quella regione merita.

D'altra parte è innegabile che il popolo palestinese - formato da cristiani e musulmani - ha sofferto anch'esso nel tentativo di avere una propria patria. Da oltre 60 anni affronta tutto ciò che di doloroso è connesso all'essere sfollati. Molti vivono nell'attesa, nei campi profughi della Cisgiordania, di Gaza, dei Paesi vicini, aspettando una vita fatta di pace e sicurezza che non hanno mai potuto assaporare finora. Giorno dopo giorno i palestinesi affrontano umiliazioni piccole e grandi che sempre si accompagnano all'occupazione di un territorio. Sia dunque chiara una cosa: la situazione per il popolo palestinese è insostenibile. L'America non volterà le spalle alla legittima aspirazione del popolo palestinese alla dignità, alle pari opportunità, a uno Stato proprio.

Da decenni tutto è fermo, in uno stallo senza soluzione: due popoli con legittime aspirazioni, ciascuno con una storia dolorosa alle spalle che rende il compromesso quanto mai difficile da raggiungere. È facile puntare il dito: è facile per i palestinesi addossare alla fondazione di Israele la colpa del loro essere profughi. È facile per gli israeliani addossare la colpa alla costante ostilità e agli attentati che hanno costellato tutta la loro storia all'interno dei confini e oltre. Ma se noi insisteremo a voler considerare questo conflitto da una parte piuttosto che dall'altra, rimarremo ciechi e non riusciremo a vedere la verità: l'unica soluzione possibile per le aspirazioni di entrambe le parti è quella dei due Stati, dove israeliani e palestinesi possano vivere in pace e in sicurezza.

Questa soluzione è nell'interesse di Israele, nell'interesse della Palestina, nell'interesse dell'America e nell'interesse del mondo intero. È a ciò che io alludo espressamente quando dico di voler perseguire personalmente questo risultato con tutta la pazienza e l'impegno che questo importante obiettivo richiede. Gli obblighi per le parti che hanno sottoscritto la Road Map sono chiari e inequivocabili. Per arrivare alla pace, è necessario ed è ora che loro - e noi tutti con loro - facciamo finalmente fronte alle rispettive responsabilità.

I palestinesi devono abbandonare la violenza. Resistere con la violenza e le stragi è sbagliato e non porta ad alcun risultato. Per secoli i neri in America hanno subito i colpi di frusta, quando erano schiavi, e hanno patito l'umiliazione della segregazione. Ma non è stata certo la violenza a far loro ottenere pieni ed eguali diritti come il resto della popolazione: è stata la pacifica e determinata insistenza sugli ideali al cuore della fondazione dell'America. La stessa cosa vale per altri popoli, dal Sudafrica all'Asia meridionale, dall'Europa dell'Est all'Indonesia. Questa storia ha un'unica semplice verità di fondo: la violenza è una strada senza vie di uscita. Tirare razzi a bambini addormentati o far saltare in aria anziane donne a bordo di un autobus non è segno di coraggio né di forza. Non è in questo modo che si afferma l'autorità morale: questo è il modo col quale l'autorità morale al contrario cede e capitola definitivamente.

È giunto il momento per i palestinesi di concentrarsi su quello che possono costruire. L'Autorità Palestinese deve sviluppare la capacità di governare, con istituzioni che siano effettivamente al servizio delle necessità della sua gente. Hamas gode di sostegno tra alcuni palestinesi, ma ha anche delle responsabilità. Per rivestire un ruolo determinante nelle aspirazioni dei palestinesi, per unire il popolo palestinese, Hamas deve porre fine alla violenza, deve riconoscere gli accordi intercorsi, deve riconoscere il diritto di Israele a esistere.

Allo stesso tempo, gli israeliani devono riconoscere che proprio come il diritto a esistere di Israele non può essere in alcun modo messo in discussione, così è per la Palestina. Gli Stati Uniti non ammettono la legittimità dei continui insediamenti israeliani, che violano i precedenti accordi e minano gli sforzi volti a perseguire la pace. È ora che questi insediamenti si fermino.

Israele deve dimostrare di mantenere le proprie promesse e assicurare che i palestinesi possano effettivamente vivere, lavorare, sviluppare la loro società. Proprio come devasta le famiglie palestinesi, l'incessante crisi umanitaria a Gaza non è di giovamento alcuno alla sicurezza di Israele. Né è di giovamento per alcuno la costante mancanza di opportunità di qualsiasi genere in Cisgiordania. Il progresso nella vita quotidiana del popolo palestinese deve essere parte integrante della strada verso la pace e Israele deve intraprendere i passi necessari a rendere possibile questo progresso.

Infine, gli Stati Arabi devono riconoscere che l'Arab Peace Initiative è stato sì un inizio importante, ma che non pone fine alle loro responsabilità individuali. Il conflitto israelo-palestinese non dovrebbe più essere sfruttato per distogliere l'attenzione dei popoli delle nazioni arabe da altri problemi. Esso, al contrario, deve essere di incitamento ad agire per aiutare il popolo palestinese a sviluppare le istituzioni che costituiranno il sostegno e la premessa del loro Stato; per riconoscere la legittimità di Israele; per scegliere il progresso invece che l'incessante e autodistruttiva attenzione per il passato.

L'America allineerà le proprie politiche mettendole in sintonia con coloro che vogliono la pace e per essa si adoperano, e dirà ufficialmente ciò che dirà in privato agli israeliani, ai palestinesi e agli arabi. Noi non possiamo imporre la pace. In forma riservata, tuttavia, molti musulmani riconoscono che Israele non potrà scomparire. Allo stesso modo, molti israeliani ammettono che uno Stato palestinese è necessario. È dunque giunto il momento di agire in direzione di ciò che tutti sanno essere vero e inconfutabile.

Troppe sono le lacrime versate; troppo è il sangue sparso inutilmente. Noi tutti condividiamo la responsabilità di dover lavorare per il giorno in cui le madri israeliane e palestinesi potranno vedere i loro figli crescere insieme senza paura; in cui la Terra Santa delle tre grandi religioni diverrà quel luogo di pace che Dio voleva che fosse; in cui Gerusalemme sarà la casa sicura ed eterna di ebrei, cristiani e musulmani insieme, la città di pace nella quale tutti i figli di Abramo vivranno insieme in modo pacifico come nella storia di Isra, allorché Mosé, Gesù e Maometto (la pace sia con loro) si unirono in preghiera.
       
Terza causa di tensione è il nostro comune interesse nei diritti e nelle responsabilità delle nazioni nei confronti delle armi nucleari. Questo argomento è stato fonte di grande preoccupazione tra gli Stati Uniti e la Repubblica islamica iraniana. Da molti anni l'Iran si distingue per la propria ostilità nei confronti del mio Paese e in effetti tra i nostri popoli ci sono stati episodi storici violenti. Nel bel mezzo della Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno avuto parte nel rovesciamento di un governo iraniano democraticamente eletto. Dalla Rivoluzione Islamica, l'Iran ha rivestito un ruolo preciso nella cattura di ostaggi e in episodi di violenza contro i soldati e i civili statunitensi. Tutto ciò è ben noto. Invece di rimanere intrappolati nel passato, ho detto chiaramente alla leadership iraniana e al popolo iraniano che il mio Paese è pronto ad andare avanti. La questione, adesso, non è capire contro cosa sia l'Iran, ma piuttosto quale futuro intenda costruire.

Sarà sicuramente difficile superare decenni di diffidenza, ma procederemo ugualmente, con coraggio, con onestà e con determinazione. Ci saranno molti argomenti dei quali discutere tra i nostri due Paesi, ma noi siamo disposti ad andare avanti in ogni caso, senza preconcetti, sulla base del rispetto reciproco. È chiaro tuttavia a tutte le persone coinvolte che riguardo alle armi nucleari abbiamo raggiunto un momento decisivo. Non è unicamente nell'interesse dell'America affrontare il tema: si tratta qui di evitare una corsa agli armamenti nucleari in Medio Oriente, che potrebbe portare questa regione e il mondo intero verso una china molto pericolosa.

Capisco le ragioni di chi protesta perché alcuni Paesi hanno armi che altri non hanno. Nessuna nazione dovrebbe scegliere e decidere quali nazioni debbano avere armi nucleari. È per questo motivo che io ho ribadito con forza l'impegno americano a puntare verso un futuro nel quale nessuna nazione abbia armi nucleari. Tutte le nazioni - Iran incluso - dovrebbero avere accesso all'energia nucleare a scopi pacifici se rispettano i loro obblighi e le loro responsabilità previste dal Trattato di Non Proliferazione. Questo è il nocciolo, il cuore stesso del Trattato e deve essere rispettato da tutti coloro che lo hanno sottoscritto. Spero pertanto che tutti i Paesi nella regione possano condividere questo obiettivo.

Il quarto argomento di cui intendo parlarvi è la democrazia. Sono consapevole che negli ultimi anni ci sono state controversie su come vada incentivata la democrazia e molte di queste discussioni sono riconducibili alla guerra in Iraq. Permettetemi di essere chiaro: nessun sistema di governo può o deve essere imposto da una nazione a un'altra.

Questo non significa, naturalmente, che il mio impegno in favore di governi che riflettono il volere dei loro popoli, ne esce diminuito. Ciascuna nazione dà vita e concretizza questo principio a modo suo, sulla base delle tradizioni della sua gente. L'America non ha la pretesa di conoscere che cosa sia meglio per ciascuna nazione, così come noi non presumeremmo mai di scegliere il risultato in pacifiche consultazioni elettorali. Ma io sono profondamente e irremovibilmente convinto che tutti i popoli aspirano a determinate cose: la possibilità di esprimersi liberamente e decidere in che modo vogliono essere governati; la fiducia nella legalità e in un'equa amministrazione della giustizia; un governo che sia trasparente e non si approfitti del popolo; la libertà di vivere come si sceglie di voler vivere. Questi non sono ideali solo americani: sono diritti umani, ed è per questo che noi li sosterremo ovunque.

La strada per realizzare questa promessa non è rettilinea. Ma una cosa è chiara e palese: i governi che proteggono e tutelano i diritti sono in definitiva i più stabili, quelli di maggior successo, i più sicuri. Soffocare gli ideali non è mai servito a farli sparire per sempre. L'America rispetta il diritto di tutte le voci pacifiche e rispettose della legalità a farsi sentire nel mondo, anche qualora fosse in disaccordo con esse. E noi accetteremo tutti i governi pacificamente eletti, purché governino rispettando i loro stessi popoli.

Quest'ultimo punto è estremamente importante, perché ci sono persone che auspicano la democrazia soltanto quando non sono al potere: poi, una volta al potere, sono spietati nel sopprimere i diritti altrui. Non importa chi è al potere: è il governo del popolo ed eletto dal popolo a fissare l'unico parametro per tutti coloro che sono al potere. Occorre restare al potere solo col consenso, non con la coercizione; occorre rispettare i diritti delle minoranze e partecipare con uno spirito di tolleranza e di compromesso; occorre mettere gli interessi del popolo e il legittimo sviluppo del processo politico al di sopra dei propri interessi e del proprio partito. Senza questi elementi fondamentali, le elezioni da sole non creano una vera democrazia.
       
Il quinto argomento del quale dobbiamo occuparci tutti insieme è la libertà religiosa. L'Islam ha una fiera tradizione di tolleranza: lo vediamo nella storia dell'Andalusia e di Cordoba durante l'Inquisizione. Con i miei stessi occhi da bambino in Indonesia ho visto che i cristiani erano liberi di professare la loro fede in un Paese a stragrande maggioranza musulmana. Questo è lo spirito che ci serve oggi. I popoli di ogni Paese devono essere liberi di scegliere e praticare la loro fede sulla sola base delle loro convinzioni personali, la loro predisposizione mentale, la loro anima, il loro cuore. Questa tolleranza è essenziale perché la religione possa prosperare, ma purtroppo essa è minacciata in molteplici modi.

Tra alcuni musulmani predomina un'inquietante tendenza a misurare la propria fede in misura proporzionale al rigetto delle altre. La ricchezza della diversità religiosa deve essere sostenuta, invece, che si tratti dei maroniti in Libano o dei copti in Egitto. E anche le linee di demarcazione tra le varie confessioni devono essere annullate tra gli stessi musulmani, considerato che le divisioni di sunniti e sciiti hanno portato a episodi di particolare violenza, specialmente in Iraq.

La libertà di religione è fondamentale per la capacità dei popoli di convivere. Dobbiamo sempre esaminare le modalità con le quali la proteggiamo. Per esempio, negli Stati Uniti le norme previste per le donazioni agli enti di beneficienza hanno reso più difficile per i musulmani ottemperare ai loro obblighi religiosi. Per questo motivo mi sono impegnato a lavorare con i musulmani americani per far sì che possano obbedire al loro precetto dello zakat.

Analogamente, è importante che i Paesi occidentali evitino di impedire ai cittadini musulmani di praticare la religione come loro ritengono più opportuno, per esempio legiferando quali indumenti debba o non debba indossare una donna musulmana. Noi non possiamo camuffare l'ostilità nei confronti di una religione qualsiasi con la pretesa del liberalismo.

È vero il contrario: la fede dovrebbe avvicinarci. Ecco perché stiamo mettendo a punto dei progetti di servizio in America che vedano coinvolti insieme cristiani, musulmani ed ebrei. Ecco perché accogliamo positivamente gli sforzi come il dialogo interreligioso del re Abdullah dell'Arabia Saudita e la leadership turca nell'Alliance of Civilizations. In tutto il mondo, possiamo trasformare il dialogo in un servizio interreligioso, così che i ponti tra i popoli portino all'azione e a interventi concreti, come combattere la malaria in Africa o portare aiuto e conforto dopo un disastro naturale.
       
Il sesto problema di cui vorrei che ci occupassimo insieme sono i diritti delle donne. So che si discute molto di questo e respingo l'opinione di chi in Occidente crede che se una donna sceglie di coprirsi la testa e i capelli è in qualche modo "meno uguale". So però che negare l'istruzione alle donne equivale sicuramente a privare le donne di uguaglianza. E non è certo una coincidenza che i Paesi nei quali le donne possono studiare e sono istruite hanno maggiori probabilità di essere prosperi.

Vorrei essere chiaro su questo punto: la questione dell'eguaglianza delle donne non riguarda in alcun modo l'Islam. In Turchia, in Pakistan, in Bangladesh e in Indonesia, abbiamo visto Paesi a maggioranza musulmana eleggere al governo una donna. Nel frattempo la battaglia per la parità dei diritti per le donne continua in molti aspetti della vita americana e anche in altri Paesi di tutto il mondo.

Le nostre figlie possono dare un contributo alle nostre società pari a quello dei nostri figli, e la nostra comune prosperità trarrà vantaggio e beneficio consentendo a tutti gli esseri umani - uomini e donne - di realizzare a pieno il loro potenziale umano. Non credo che una donna debba prendere le medesime decisioni di un uomo, per essere considerata uguale a lui, e rispetto le donne che scelgono di vivere le loro vite assolvendo ai loro ruoli tradizionali. Ma questa dovrebbe essere in ogni caso una loro scelta. Ecco perché gli Stati Uniti saranno partner di qualsiasi Paese a maggioranza musulmana che voglia sostenere il diritto delle bambine ad accedere all'istruzione, e voglia aiutare le giovani donne a cercare un'occupazione tramite il microcredito che aiuta tutti a concretizzare i propri sogni.

Infine, vorrei parlare con voi di sviluppo economico e di opportunità. So che agli occhi di molti il volto della globalizzazione è contraddittorio. Internet e la televisione possono portare conoscenza e informazione, ma anche forme offensive di sessualità e di violenza fine a se stessa. I commerci possono portare ricchezza e opportunità, ma anche grossi problemi e cambiamenti per le comunità località. In tutte le nazioni - compresa la mia - questo cambiamento implica paura. Paura che a causa della modernità noi si possa perdere il controllo sulle nostre scelte economiche, le nostre politiche, e cosa ancora più importante, le nostre identità, ovvero le cose che ci sono più care per ciò che concerne le nostre comunità, le nostre famiglie, le nostre tradizioni e la nostra religione.

So anche, però, che il progresso umano non si può fermare. Non ci deve essere contraddizione tra sviluppo e tradizione. In Paesi come Giappone e Corea del Sud l'economia cresce mentre le tradizioni culturali sono invariate. Lo stesso vale per lo straordinario progresso di Paesi a maggioranza musulmana come Kuala Lumpur e Dubai. Nei tempi antichi come ai nostri giorni, le comunità musulmane sono sempre state all'avanguardia nell'innovazione e nell'istruzione.

Quanto ho detto è importante perché nessuna strategia di sviluppo può basarsi soltanto su ciò che nasce dalla terra, né può essere sostenibile se molti giovani sono disoccupati. Molti Stati del Golfo Persico hanno conosciuto un'enorme ricchezza dovuta al petrolio, e alcuni stanno iniziando a programmare seriamente uno sviluppo a più ampio raggio. Ma dobbiamo tutti riconoscere che l'istruzione e l'innovazione saranno la valuta del XXI secolo, e in troppe comunità musulmane continuano a esserci investimenti insufficienti in questi settori. Sto dando grande rilievo a investimenti di questo tipo nel mio Paese. Mentre l'America in passato si è concentrata sul petrolio e sul gas di questa regione del mondo, adesso intende perseguire qualcosa di completamente diverso.

Dal punto di vista dell'istruzione, allargheremo i nostri programmi di scambi culturali, aumenteremo le borse di studio, come quella che consentì a mio padre di andare a studiare in America, incoraggiando un numero maggiore di americani a studiare nelle comunità musulmane. Procureremo agli studenti musulmani più promettenti programmi di internship in America; investiremo sull'insegnamento a distanza per insegnanti e studenti di tutto il mondo; creeremo un nuovo network online, così che un adolescente in Kansas possa scambiare istantaneamente informazioni con un adolescente al Cairo.

Per quanto concerne lo sviluppo economico, creeremo un nuovo corpo di volontari aziendali che lavori con le controparti in Paesi a maggioranza musulmana. Organizzerò quest'anno un summit sull'imprenditoria per identificare in che modo stringere più stretti rapporti di collaborazione con i leader aziendali, le fondazioni, le grandi società, gli imprenditori degli Stati Uniti e delle comunità musulmane sparse nel mondo.

Dal punto di vista della scienza e della tecnologia, lanceremo un nuovo fondo per sostenere lo sviluppo tecnologico nei Paesi a maggioranza musulmana, e per aiutare a tradurre in realtà di mercato le idee, così da creare nuovi posti di lavoro. Apriremo centri di eccellenza scientifica in Africa, in Medio Oriente e nel Sudest asiatico; nomineremo nuovi inviati per la scienza per collaborare a programmi che sviluppino nuove fonti di energia, per creare posti di lavoro "verdi", monitorare i successi, l'acqua pulita e coltivare nuove specie. Oggi annuncio anche un nuovo sforzo globale con l'Organizzazione della Conferenza Islamica mirante a sradicare la poliomielite. Espanderemo inoltre le forme di collaborazione con le comunità musulmane per favorire e promuovere la salute infantile e delle puerpere.
       
Tutte queste cose devono essere fatte insieme. Gli americani sono pronti a unirsi ai governi e ai cittadini di tutto il mondo, le organizzazioni comunitarie, gli esponenti religiosi, le aziende delle comunità musulmane di tutto il mondo per permettere ai nostri popoli di vivere una vita migliore.

I problemi che vi ho illustrato non sono facilmente risolvibili, ma abbiamo tutti la responsabilità di unirci per il bene e il futuro del mondo che vogliamo, un mondo nel quale gli estremisti non possano più minacciare i nostri popoli e nel quale i soldati americani possano tornare alle loro case; un mondo nel quale gli israeliani e i palestinesi siano sicuri nei loro rispettivi Stati e l'energia nucleare sia utilizzata soltanto a fini pacifici; un mondo nel quale i governi siano al servizio dei loro cittadini e i diritti di tutti i figli di Dio siano rispettati. Questi sono interessi reciproci e condivisi. Questo è il mondo che vogliamo. Ma potremo arrivarci soltanto insieme.

So che molte persone - musulmane e non musulmane - mettono in dubbio la possibilità di dar vita a questo nuovo inizio. Alcuni sono impazienti di alimentare la fiamma delle divisioni, e di intralciare in ogni modo il progresso. Alcuni lasciano intendere che il gioco non valga la candela, che siamo predestinati a non andare d'accordo, e che le civiltà siano avviate a scontrarsi. Molti altri sono semplicemente scettici e dubitano fortemente che un cambiamento possa esserci. E poi ci sono la paura e la diffidenza. Se sceglieremo di rimanere ancorati al passato, non faremo mai passi avanti. E vorrei dirlo con particolare chiarezza ai giovani di ogni fede e di ogni Paese: "Voi, più di chiunque altro, avete la possibilità di cambiare questo mondo".

Tutti noi condividiamo questo pianeta per un brevissimo istante nel tempo. La domanda che dobbiamo porci è se intendiamo trascorrere questo brevissimo momento a concentrarci su ciò che ci divide o se vogliamo impegnarci insieme per uno sforzo - un lungo e impegnativo sforzo - per trovare un comune terreno di intesa, per puntare tutti insieme sul futuro che vogliamo dare ai nostri figli, e per rispettare la dignità di tutti gli esseri umani.

È più facile dare inizio a una guerra che porle fine. È più facile accusare gli altri invece che guardarsi dentro. È più facile tener conto delle differenze di ciascuno di noi che delle cose che abbiamo in comune. Ma nostro dovere è scegliere il cammino giusto, non quello più facile. C'è un unico vero comandamento al fondo di ogni religione: fare agli altri quello che si vorrebbe che gli altri facessero a noi. Questa verità trascende nazioni e popoli, è un principio, un valore non certo nuovo. Non è nero, non è bianco, non è marrone. Non è cristiano, musulmano, ebreo. É un principio che si è andato affermando nella culla della civiltà, e che tuttora pulsa nel cuore di miliardi di persone. È la fiducia nel prossimo, è la fiducia negli altri, ed è ciò che mi ha condotto qui oggi.

Noi abbiamo la possibilità di creare il mondo che vogliamo, ma soltanto se avremo il coraggio di dare il via a un nuovo inizio, tenendo in mente ciò che è stato scritto. Il Sacro Corano dice: "Oh umanità! Sei stata creata maschio e femmina. E ti abbiamo fatta in nazioni e tribù, così che voi poteste conoscervi meglio gli uni gli altri". Nel Talmud si legge: "La Torah nel suo insieme ha per scopo la promozione della pace". E la Sacra Bibbia dice: "Beati siano coloro che portano la pace, perché saranno chiamati figli di Dio".

Sì, i popoli della Terra possono convivere in pace. Noi sappiamo che questo è il volere di Dio. E questo è il nostro dovere su questa Terra. Grazie, e che la pace di Dio sia con voi.

(Traduzione di Anna Bissanti.
La Repubblica, 4 giugno 2009. Testo originale in inglese) Tutti gli articoli di esteri