martedì 30 ottobre 2007

INFORMAZIONE E DISINFORMAZIONE (2)


Prodi come Cartagine (2)


E' il caso di soffermarsi sulla creazione mediatica di  un ambiente favorevole alla caduta di un governo legittimo in vista di un ritorno alle urne al chiaro scopo di rimestare nel torbido. Ai rappresentanti di questo governo che hanno infaustamente e improvvidamente contribuito a darne un'immagine fragile e rissosa assegno una responsabilità enorme che non esito a vedere, con disperazione, come "tradimento" del mandato elettorale. E' altrettanto evidente la difficoltà al Senato, dove comunque bisogna prendere atto che il governo va avanti., nonostante la violenza indecorosa dell'opposizione. Questi problemi, però, non hanno impedito agli eletti di mantenere il loro impegno di fronte al popolo sovrano. Sono state diffuse, invece, alcune idee pericolose per la democrazia: Una per tutte, molto amata dal precedente "premier", la sbandierata supremazia dei sondaggi sulle libere elezioni. Ogni giorno, fin dal primo giorno, la ripetizione ossessiva della stessa idea per cui questo governo non è legittimo e che "deve andare a casa" scopiazzando il celebre Catone il Censore. Ci siamo accorti che il capo dell'opposizione e i suoi scherani parlano a nome nostro e affermano di esporre le nostre idee? La frase variamente modulata è molto semplice: "Gli elettori di centro-sinistra sono stanchi, non vogliono più questo governo, vogliono tornare alle urne." Perché non salta agli occhi questa mistificazione? Perché non ci si ribella a questa espropriazione? E' evidente la strategia da marketing deleteria e ingannevole, ma a lungo andare efficace.  Ma è altrattanto evidente l'impotenza di chi non manovre l'informazione. C'è una lettera di Barbara Spinelli che raccoglie molti punti della questione.


Ma il Governo non va delegittimato  30/10/2007


BARBARA SPINELLI


Caro direttore,
ti scrivo perché la linea editoriale che esprimi non mi trova del tutto consenziente. Non è questione di convinzioni diverse, né di diversa collocazione politica.

Che in un giornale libero si esprimano opinioni anche contrastanti mi pare non solo normale, ma arricchente. Quel che sento davanti al tuo articolo, e a tanti che somigliano al tuo nei giornali indipendenti, non è dissenso, ma un disagio molto profondo. Ho l’impressione di assistere a una sorta di disfacimento della democrazia rappresentativa, e di perdita di senso del voto espresso alle urne dagli elettori. Dalla primavera dell’anno scorso l’Italia ha un governo, scelto dagli italiani per la durata di cinque anni, che è stato messo in questione quasi fin dal primo giorno: non dagli elettori tuttavia, ma da un capo dell’opposizione, Silvio Berlusconi, che il giudizio delle urne non l’ha mai accettato e che ogni sera da diciotto mesi annuncia a televisioni e giornali la fine di Prodi: prima negando i risultati, poi denunciando brogli, poi intimidendo i senatori a vita, poi appellandosi al cattivo umore della gente, in dispregio costante dei dettami costituzionali. Una strategia di delegittimazione del tutto anomala, ma che molto rapidamente è stata banalizzata e fatta propria da tutti coloro che fanno opinione, essenzialmente giornali e televisioni pubbliche oltre che private.

Adesso questo governo ha circa un anno e mezzo ed è giudicato spacciato, finito, senza che io come elettore abbia in alcun modo concorso a questo sviluppo. In un certo senso mi sento defraudata del mio voto: organismi intermedi si sono insediati tra l’elettore e la rappresentanza da esso scelta, e sono questi organismi che hanno deciso e decidono tutto: i giornali appunto e questa o quella corporazione sindacale, questa o quella lobby, questo o quel personaggio della maggioranza, ansioso di cambiar casacca per ottenere posti che non ha avuto nel presente governo. Sono questi organi intermedi che stanno decretando che questo governo è caduto (che è «una carcassa che si trascina», scrivi con linguaggio che, ti confesso, mi ha scosso per la violenza che contiene). Sono questi organi che per la seconda volta nella storia recente - e in modo ancor più inquietante che nel 1998 - accettano che il crimine contro il ministero Prodi venga compiuto. E lo decretano prima che il tempo costituzionalmente assegnato al governo sia concluso. Prima che gli italiani siano chiamati a votare, allo scadere normale della legislatura. Non sono defraudata solo del voto. Mi vien tolta anche la sacralità del tempo conferito col mandato, così preziosa nelle democrazie: la certezza che il tempo che ho dato al governo eleggendolo non sarà interrotto da forze interessate e sondaggi senza rapporto con le urne.

Tu scrivi che il centro-sinistra deve andare a casa perché mai c’è stato in Italia governo impopolare come questo. Anche qui provo vero disagio, non fosse altro perché non manca giorno in cui i riformisti chiedono ai governanti di «rischiare l’impopolarità». I governi non vanno a casa perché a un certo punto (dopo una settimana o un mese o un anno) si constata che non si vendono troppo bene: nella democrazia rappresentativa un governo non è un sapone, né un’automobile, e neppure un giornale che conquista o non conquista lettori. È qualcosa di radicalmente diverso, costruitosi lungo i secoli, reso sempre più complesso da una storia lunga. Il disagio cresce se penso ai Paesi europei che mi è capitato di conoscere negli ultimi decenni: tutti hanno prima o poi traversato periodi anche assai lunghi di impopolarità (è stato così per i governi Schmidt, Kohl, Schröder; per i primi ministri e Presidenti francesi; per i premier inglesi a cominciare dal governo Thatcher) e mai ho visto all’opera il tumulto che esiste da noi: il gusto apocalittico che si espande, l’inestinguibile sete di andare alle urne prima del tempo, trascinati da sondaggi e da opinioni che prevalgono nei salotti. Mai ho visto un così vasto schieramento di forze distruttive, che quasi hanno timore di costruire e pazientare. Forze che prese una per una sembrano aver dimenticato il proprio mestiere, oltrepassandolo sempre. Che confondono, in maniera inaudita, il criticare anche severo con l’esigere, perentorio, che il governo cada al più presto. Neppure George W. Bush, eletto grazie a una decisione indecorosa della Corte Suprema che ha escluso il vero vincitore delle presidenziali, nel 2000, ha avuto davanti a sé una sì intensa volontà demolitrice. Mai ho visto tanta gente uniformemente invocare la fine d’una legislatura, e volontariamente servire il disegno di chi parla di democrazia ma non ne rispetta la regolamentazione. Tra la strategia di riconquista apprestata da Berlusconi fin dal 10 aprile 2006 e quel che mi dicono oggi giornali e tv non riesco, per quanto ci provi, a scorgere più differenza alcuna.

Il fatto è che queste forze distruttive si comportano come se non sapessero la storia che stanno facendo, e cosa precisamente vanno disfacendo.
Hanno anzi l’impressione di essere indipendenti, libere come non lo sono state in passato.

Non mi paiono libere. Tranne alcune eccezioni, ancor più luminose perché rare e solitarie, quasi tutti son sedotti da questo desiderio di dissoluzione, che allarga i cuori e trasforma ogni commentatore critico in governatore dell’universo, oltre che dell’Italia. Commentatori che constatano un disastro che essi stessi, giorno dopo giorno, hanno contribuito a creare. Non è l’idea che mi faccio né della democrazia, né della vocazione di testimone e pensatore affidata alla figura del giornalista.
Un caro saluto.   [ QUI ]

domenica 28 ottobre 2007

INFORMAZIONE E DISINFORMAZIONE


La storia insegna che è possibile far credere quasi qualsiasi cosa o occultare fatti assolutamente evidenti. Non sono pochi i popoli travolti da un consenso a gruppi di potere, consenso totale fino al delirio. Ci sono aziende specializzate in questo lavoro. Al tempo della guerra all'Iraq (ora sappiamo come andò, anche se non sappiamo ancora come andrà a finire) venni a sapere di una compagnia americana che ebbe un ruolo importante nella gestione del tristemente famoso consenso delirante. Ho trovato un paio di articoli che ritengo utili a capire qualcosa dell'informazione oggi da noi, in casa nostra, nella tremenda guerra al governo Prodi. E non intendo difendere Prodi, a me interessa molto di più la libertà di giudizio e il diritto a una informazione corretta. Con una buona dose di spirito critico può essere una lettura utile a drizzare le orecchie e aguzzare l'ingegno. L'azione mediatica a valanga di questi giorni mi aumenta dubbi e sospetti di notevole peso. E' evidente più drammaticamente che mai la forza di chi possiede l'informazione, quando la possiede in misura straripante come il nostro tesserato B-1816, e  la fragilità di chi è in balia di quell'informazione. Vediamo come funziona una compagnia che lavora con le (dis)informazioni.


The Rendon Group



The Rendon Group’s expertise is based on 25 years of political and communications consulting experience, a proven approach to media analysis, and demonstrated success implementing imaginative and multilayered public relations initiatives. ...continua QUI


1. Guerrieri dell'informazione di Pratap Chatterjee - 24 agosto 2004 



La Rendon Group è l’agenzia di consulenza che fornisce servizi di comunicazione politica. I servizi offerti variano dalla creazione di “un ambiente favorevole in vista della privatizzazione” alla giustificazione della guerra. Al suo attivo: la manipolazione dei media durante guerra del Golfo, le reazioni dopo gli attentati dell’11 settembre, la giustificazione dell’invasione in Iraq... “L’informazione è una componente del potere” – dal sito della Rendon Group. ... continua QUI


2. La guerra delle parole di Michael Carmichael - 27 aprile 2007




Il popolo statunitense è diventato la vittima inconsapevole dei suoi guerrieri dell'informazione. 

 


Con precisione da orologio militare, gli statunitensi sono diventati vittime incosapevoli dei loro guerrieri dell'informazione. Gli effetti evidenti di quest'arma di guerra lasciano i cittadini disorientati dal travisamento deliberato dei fatti. Mentre le spinte di propaganda USA sono presumibilmente concepite per fuorviare i loro nemici, sempre più spesso ritornano indietro come boomerang, per immergere le loro radici mortali e profonde nella psiche degli americani.
Sotto Donald Rumsfeld, le campagne di comunicazioni strategiche basate su teorie dell'informazione superate hanno condotto alla distruzione dell'autorità morale degli Stati Uniti. Dopo preoccupazioni crescenti
espresse da personaggi militari principali, alcuni tentativi sono stati lanciati per moderare gli abusi di propaganda, ma è già troppo tardi - dei danni sono stati fatti alla posizione degli USA nel mondo. Peggio ancora, la distruzione della credibilità statunitense è il risultato diretto delle politiche della Casa Bianca Bush-Cheney e della loro amministrazione neo-conservatrice.
Durante la prima fase dell'invasione dell'Iraq, il Pentagono di Rumsfeld ha lanciato un concatenamento di disinformazione sotto forma di reazione a catena di storie false. Queste storie hanno ingannato la grande stampa. CNN, New York Times, Associated Press ed UPI - e molte altre agenzie - hanno cavalcato la propaganda. Ecco giusto alcuni esempi:
- Soldati iracheni hanno progettato di indossare uniformi USA e britanniche per commettere atrocità su altri iracheni per stigmatizzare la coalizione;
- Iracheni hanno ucciso prigionieri di guerra e
- La resa in massa della 51esima Divisione dell'esercito iracheno. ... continua QUI . L'originale,  "The Man Who Sold the War.  Meet John Rendon, Bush's general in the propaganda war" di  James Bamford - 17 novembre 2005, si trova QUI . 





UNA VERGOGNA POLITICA
Solidarietà alle donne e agli uomini che hanno fatto grande l'Italia
di redazione
Esprimiamo piena solidarietà alla senatrice a vita Rita Levi Montalcini che, nei giorni scorsi, è stata oggetto offese irripetibili da alcuni personaggi delle politica italiana di centro destra. Il premio nobel è stata sottoposta ad attacchi feroci che nel passato avevano colpito altri uomini, come il Presidente emerito Oscar Luigi Scalfaro, che incarnano la storia del nostro Paese. Il linguaggio utilizzato contro di lei e la persona che l'ha offesa come ha offeso tutti i senatori a vita, non è certamente degna degli incarichi politici ed istituzionali che ricopre.  Articolo 21 invita tutti i lettori a sottoscrivere quest'appello e ad inviare a Rita Levi Montalcini la loro solidarietà attraverso il forum appositamente attivato. La redazione consegnerà i messaggi di solidarietà alla senatrice Montalcini.




mercoledì 24 ottobre 2007

Prodi come Cartagine


Prodi: Piena fiducia a Mastella


   "Ceterum censeo Carthaginem esse delendam." [ Inoltre ritengo che Cartagine debba essere distrutta ] 


Con questa frase Marco Porcio Catone, detto il Censore, concludeva tutti suoi discorsi in Senato, a prescindere dall'argomento trattato, negli anni dal 149 al 146 a. C., quando finalmente Cartagine venne rasa al suolo alla fine della terza guerra punica.


Con una frase analoga si sono conclusi tutti i "discorsi" ( si fa per dire ) della destra berlusconiana a partire dall'inizio del governo Prodi un anno e mezzo fa: "Prodi deve andare a casa". A prescindere da qualsiasi contesto e, soprattutto, a prescindere dal risultato delle elezioni. Lo scarto minimo di voti è un pretesto illegittimo in un sistema maggioritario e comunque è stato la conseguenza nefasta della vergognosa legge elettorale dal Berlusconi voluta con i suoi soliti intenti pro domo sua ( cosa di cui tutti sembrano dimentichi ).


Oggi Prodi è attaccato da tutti con una veemenza singolare per la quasi assoluta coralità mediatica che tuttavia non lascia spazio a una reale e corretta comprensione della volontà del popolo sovrano. Questa violenza, però, io la sento rivolta anche contro di me, cittadina strattonata e sballottata nello sfarinamento dell'etica pubblica, iniziato con la presa del potere da parte di Berlusconi all'interno della grave crisi politica e morale della cosa pubblica negi primi anni Novanta. Potere che lui, tessera b-1816 della loggia massonica ( occulta ) P2, continua a tenere ben saldo nelle sue mani.


Sono delusa, come molti, e non mi faccio illusioni su una maggioranza che non ha mai avuto coesione. E certo non è colpa di Prodi se il campionario umano e politico con cui ha dovuto lavorare ha tenuto fin dall'inizio un comportamento di folle narcisismo autolesionista. Eppure tante cose importanti sono state fatte con quell'unico voto in più al Senato, e con i voti dei senatori a vita che qualche motivo l'avranno avuto per sostenere il vituperato governo Prodi, in un'arena in cui l'opposizione ha mostrato il peggio della violenza irragionevole e immotivata.


L'opposizione. Guardiamola questa opposizione parlamentare di marca berlusconiana, con contorno di leghisti, ex democristiani ed ex fascisti. Forse che l'opposizione è coesa e ha una missione condivisa oltre alla gestione padronale del cumenda e al "dobbiamo mandare Prodi a casa", calpestando la volontà "maggioritaria" del popolo sovrano? E' la maggioranza di un anno e mezzo fa, quella delle leggi vergogna, dei condoni fiscali, della diminuzione delle tasse ai più abbienti, della legge elettorale attuale. Si può sorvolare sul baco originario di questa legge elettorale, che sarà ricordata per sempre come "una porcata", definizione del suo stesso autore leghista? Non mi pare che la "porcata" venga rinfacciata ai suoi autori come sarebbe giusto fare.


Come si può dimenticare la gestione della res publica nel quinquennio berlusconiano? A Prodi si imputa, infatti, di non aver corretto la miriade di storture legislative di quel periodo, finito poco più di un anno fa, tanto per fare un esempio, dimenticando però gli infiniti problemi creati dalla sua coalizione stessa e quell'unico voto di scarto al Senato. Chi abbia seguito in diretta e con costanza i lavori del Senato si meraviglierà della tenuta di questo governo, sia per l'unico voto di scarto, a cui si sono aggiunti i voti dei senatori a vita, sia per la resistenza all'aggressione continua da parte del bullismo dell'opposizione. I bulli in azione spaventano quando sono ragazzi in età scolare e se la prendono con i compagni più fragili. Figurarsi quando sono senatori della Repubblica, in giacca e cravatta, in piedi, protesi in avanti per inveire peggio con urla e gesti di volgarità impressionante perfino negli angiporti.


L'opposizione. Che opposizione è questa che ha bisogno di bulli in età per bloccare, ritardare, impedire il lavoro del Senato? Se la maggioranza ha tutti i problemi e i torti del mondo, per cui merita il rogo, che opposizione è questa che deve ricorrere all'insulto personale, alla derisione, all'intimidazione dei senatori a vita, ritenuti colpevoli di vecchiaia e, nel caso della senatrice Levi Montalcini, anche di appartenenza ebraica?


A proposito di questi argomenti ho molto apprezzato un pezzo postato dal vecchio della montagna qualche giorno fa: "Proviamo a ricominciare da 3 (milionitrecentomila)."



Aggiornamento di mezzo pomeriggio.


L'amico Enzo ha scritto un bel dialogo nel suo blog "Storia di un Impiegato" :   QUI. Che sia vero che Enzo ha incontrato "lui" sul tram?

lunedì 22 ottobre 2007

Il Dalai Lama e la Cina



"La mia strategia per la pace è di lunga durata: io credo che dovremmo educare i giovani a capire che la violenza non è la soluzione e che l'uso della forza è destinato a fallire, perché crea più problemi di quelli che risolve. L'unica cosa che può funzionare è il dialogo. Viviamo in un mondo che diventa sempre più piccolo: la distruzione del tuo vicino può portare alla tua stessa distruzione. Spero che i paesi coinvolti in questa crisi riflettano su questo".


La sua strada del dialogo non sembra portare a molte soluzioni: solo qualche giorno fa i cinesi hanno sparato a un gruppo di monaci e bambini che cercava di lasciare il Tibet. E sempre più giovani tibetani sono stanchi di aspettare. Non ha mai pensato che possa essere ora di cambiare strategia?

"No, non lo credo. Sono molto preoccupato per quello che sta succedendo in Tibet, l'attitudine cinese è sempre più severa nei confronti della popolazione e molte persone mi parlano di un'atmosfera sempre più simile a quella della rivoluzione culturale. Ma parliamo di un paese in transizione. Ci sono sempre più persone che appoggiano la nostra causa fra i cinesi: la Cina ha bisogno del Tibet e della sua ricchezza spirituale e religiosa. Il Tibet ha bisogno della Cina per svilupparsi. Quello che noi vogliamo è un accordo che benefici entrambe le parti. Quanto ai giovani, alcuni sono impazienti e pensano che battersi per il Tibet sia eroico: io credo che questo creerebbe nuovi problemi, e non ne risolverebbe nessuno".

Crede che la comunità internazionale stia facendo abbastanza per il Tibet o che la necessità di accordi con la Cina stia facendo passare la questione in secondo piano?

"Gli accordi dei paesi stranieri con Pechino sono i benvenuti, perché possono far sviluppare quella parte della popolazione cinese che ancora vive in povertà. I paesi occidentali portano business, ma parlano anche di diritti umani. Credo che sia l'approccio giusto. La maniera migliore per aiutare il Tibet è discutere con i cinesi, non affrontarli di petto: questo genererebbe in loro ancora più paura e sospetto".

Non teme che un'attesa troppo lunga finirà con l'uccidere il Tibet e la sua cultura?

"C'è molta pressione sui tibetani che vivono nella Madre patria, ma i sei milioni di tibetani che sono ancora lì e i quattro milioni che sono fuggiti stanno facendo di tutto per salvare la nostra cultura. Siamo tibetani, e lo resteremo: nell'anima. E questo la Cina non lo può cambiare".   



Da un'intervista a La Repubblica del 13 ottobre 2006 - QUI . Insegnamenti nobili, altissimi, ma anche realistici, concreti ed efficaci, per quanto a lungo o lunghissimo termine. Per la pace ci vorrà una rivoluzione spirituale che porti a un cambiamento radicale delle nostre umane attitudini e strategie relazionali ancora fortemente condizionate da ancestrali istinti violenti. Che fare allora con la Cina? Penso che la via giusta sia dimostrare amicizia mista a determinazione serena nell'esprimere il dissenso nei confronti delle politiche del regime.


Dalla Birmania al Tibet al Darfur e così via, sventuratamente. Ora è di nuovo il turno del riacutizzarsi della "questione curda" dalla parte della Turchia, per non parlare della "questione armena" storicamente risolta ma sempre aperta. Per questo rimando al blog ISTINTIVA MENTE , dove l'amico Tuareg ha pubblicato il post "Cose Turche" con molte informazioni e preoccupazioni serie.

domenica 21 ottobre 2007

Boicottare o no le Olimpiadi di Pechino?



dalla Redazione di ARTICOLO21


Boicottare o no le Olimpiadi di Pechino? Ed eventualmente in che modo? Questa è la domanda che da oggi il sito di Articolo21 rivolgerà ai propri visitatori. Per quanto  ci riguarda, ha dichiarato Giuseppe Giulietti portavoce di Articolo21, non crediamo che si arriverà al boicottaggio perché esistono troppi interessi, soprattutto di tipo economico che impediranno il raggiungimento di un simile obiettivo.


Non vorremmo, tuttavia che il dibattito terminasse paralizzato tra chi legittimamente sostiene le ragioni del boicottaggio e chi, invece vorrebbe far finta di nulla. L’associazione Articolo21 ritiene, invece, che sia possibile realizzare una grande alleanza tra tutte le associazioni dei comunicatori nel Mondo e in Italia per realizzare un vero e proprio osservatorio sui diritti umani violati capace di fornire denunce quotidiane e di costringere il governo cinese non solo a fornire le risposte dovute ma ad eliminare una serie  di restrizioni lesive dei più elementari principi in materia di libera circolazione delle opinioni e delle informazioni.


Boicottare le Olimpiadi di Pechino 2008? Partecipa al sondaggio di Articolo21


Un appello non velleitario perché non si sottrae al senso delle proporzioni e alla concretezza del possibile. Sono convinta anch'io che le Olimpiadi nello Stato che ha in corso ( ora, proprio ora ) l'eliminazione del popolo tibetano, la repressione dello stesso popolo cinese, la complicità e la connivenza con altre sanguinarie dittature, si faranno e saranno un successo. Sono ancora più convinta, appunto per queste ragioni, che ogni più piccolo atto possibile di denuncia e di contestazione con mezzi pacifici debba essere compiuto perché in Cina abbia successo anche l'affermazione dei diritti umani e il diritto dei popoli all'indipendenza e all'autodeterminazione. C'è da augurarsi che abbia successo l'iniziativa di Articolo21 e che si concretizzi l'alleanza tra le associazioni di comunicatori e anche dei singoli blog.


*


... e un'Occasione Felice


   Poesia dal blog Lievi[ta]menti di Lino Di Gianni, amico di web e compagno di viaggio. Le Temps des Cerises, nel sito Feaci Edizioni .

venerdì 19 ottobre 2007

BIRMANIA E TIBET



Le mappe mostrano con brutale evidenza l'incombere della Cina su due paesi ugualmente e diversamente martoriati: Birmania e Tibet. Senza dimenticare gli orrori, almeno quelli di cui si ha notizia, all'interno del grande paese contro lo stesso popolo cinese. Il Dalai Lama, capo spirituale dei tibetani, e Aung San Suu Kyi, capo politico dei birmani, continuano a lottare con i loro popoli rimanendo fermamente fedeli alla pratica della non violenza. Che cosa possiamo fare noi di fronte agli interessi mercantili e territoriali delle grandi potenze interessate, nuove e vecchie (leggi: Cina, India, Russia, ma anche i nostri mercanti a vario titolo)? Non ho molte idee, anzi sempre le solite: informazione accesa (senza odio, come insegna il Dalai Lama), boicottaggio delle amministrazioni e dei potentati economici (non dei popoli), manifestazioni dove e come si può. Ho letto a questo proposito un articolo nel sito Articolo21.


VOCI BIRMANE DESCRIVONO IL TERRORE


Boicottare le Olimpiadi?


I media internazionali continuano a riportare le testimonianze di cittadini anonimi sulla repressione passata e su quella in atto. Sui siti, a partire dalla Cnn, e sui grandi quotidiani internazionali. I media italiani avrebbero solo l’imbarazzo della scelta se solo lo volessero. Non si può spingere la tragedia birmana nel sottoscala dell’informazione, come qualcosa che annoia o non fa ascolto. Ora più che mai  hanno bisogno di noi. Una casalinga ricorda la brutalità che ha visto il 26 settembre mentre faceva la spesa: picchiavano persone, tra cui un ragazzino,  che solo camminavano per strada senza far parte della protesta. Una vecchia che raccoglie la sua pentola di olio caldo (vende frittelle) e si mette a correre spintonata dai soldati. Due ragazzi col cellulare caricati sulle camionette. Una sua conoscente non ha più notizie dell’unico figlio
Un monaco di un monastero dove si insegna (anche inglese) a un centinaio di ragazzini: dice che tre quarti dei monaci del monastero sono fuggiti (anche quelli che insegnano)
Un insegnante che assiste i monaci: i soldati sono entrati e hanno distrutto le foto che ritraevano i monaci  con alcuni turisti con cui facevano pratica di inglese alla Shwedagon Pagoda. Monasteri circondato dai soldati di notte per vedere se i monaci tornano (e arrestarli)
Un giovane uomo: gente terrorizzata che non scambia più parola con alcuno, bar e negozi di te vuoti. Non si parla con gli stranieri al mercato. Nessuno si azzarda ad accendere i transistor per ricevere notizie dall’estero. Ovunque le autorità locali minacciano l’arresto per queste infrazioni.


Se a questi e ai tanti altri racconti si deve associare una parola, l’unica è Terrore. Il regime imposto dopo le brutalità sui cortei. E a questo si aggiungono le gravi notizie degli arresti di leader nazionali ben noti della Lega per la Democrazia. Htay Kywe, attivista dirigente della generazione ’88, era ricercato dal 21 agosto: sospettato con altri per il via alle proteste di strada contro il folle rincaro dei prezzi. La sua clandestinità  è durata poco più di un mese. Giorni prima, di un altro leader politico nazionale vicino ad Aung San Suu Kyi, la giunta ha comunicato alla famiglia il decesso durante la detenzione. Corpo cremato per non lasciare prove.


I raid continuano nelle notti. I centri di detenzione ufficiali e segreti sono pieni di non sappiamo quante persone. Subiscono torture, rischiano la vita o l’hanno già pagata e nessuno riesce a farmare i generali.
La diplomazia batte in ritirata. Ieri l’Unione Europea ha  inasprito le sanzioni all’import per colpire gli interessi dei generali: legno e gemme per lo più. E’ importante, ma non basta.
L’Onu ha fatto impallidire per la flebile richiesta di libertà dei prigionieri politici associata alla condanna di rito. E ha rispedito Gambari nell’area: a novembre tenterà di tornare a Rangoon. La Russia che considera la Birmania testa di ponte nel sud-est asiatico e la Cina che la vorrebbe protettorato,  legano le mani. Se alle due superpotenze si aggiunge l’India che, alla faccia di Gandhi, in Birmania non vuole lasciare campo libero alla Cina, il quadro è completo: Europa e Stati Uniti possono valutare il reale peso che hanno ed esercitano sulla scena internazionale. E’ anche un nostro problema se i governi europei e americano si trovano nell’angolo.
Forse anche loro avrebbero bisogno di nuovi strumenti di fronte al depotenziamento degli organismi internazionali.
Un po’ stupiscono le secche reazioni alla proposta di Goffredo Bettini  che l’Italia boicotti le Olimpiadi in nome della difesa dei diritti del popolo birmano: per esercitare pressioni sulla Cina che si fa scudo della “non interefernza nelle questioni interne”. Tanto più che sono arrivate da Bonino, Craxi e non so chi altri, in nome del “multilateralismo”. E se il mondo dello sport fosse sempre più coinvolto nella battaglia per la difesa dei diritti umani nel mondo? Quante platee si toccano. E se i governi, magari associati tra loro,  provassero nuove mosse oltre alle sanzioni? Magari a dispetto, sarebbe una notiziona, degli interessi nazionali economici in campo ?
Forse campagne di opinione come questa possano supplire alle piazze vuote (e sulla Birmania questa volta non per colpa della stampa!) che però poi si riempiono nella marcia Perugina-Assisi a testimonianza di una parte della società italiana che è impegnata e solidale. Che non chiude gli occhi, vuole sapere e vorrebbe fare.
La stessa proposta, sul Darfur, l’hanno lanciata Bayrou e Segolene Royal , le cosiddette star di Hollywood e tanti altri.
Sono campagne oltretutto che  consentono di usare strumenti non tradizionali della politicacapaci di comunicare con i mondi più diversi e lontani. Il movimento di opinione che si alimenta di iniziative anche creative di forte denuncia ha posto all’attenzione mondiale la tragedia del Darfur esercitando pressioni anche sui politici e sui governi. E questi sono i mesi cruciali per il dispiegamento dei 26 mila peace keepers nela regioner
Lo strumento è sempre lo stesso, chiunque può fare qualcosa: diamo cinque minuti del nostro tempo. Le iniziative sulla Birmania, dopo la marcia perugina-Assisi e i raduni del Campidoglio, continuano. Il prossimo appuntamento e’ alla festa del Cinema di Roma: uno stand per Aung San Suu Kyi e i monaci buddisti che raccoglieranno fondi per il popolo birmano


Alessandra Mancuso - 17/10/2007 - QUI



Da leggere:


DI RITORNO DALLA BIRMANIA
La gente scenderà nuovamente in piazza
di Bruna Iacopino
“La repressione di questi ultimi giorni ha funzionato, almeno per il momento, gli arresti notturni dei leader dell’opposizione sono proseguiti senza sosta” così Oliviero Bergamini esordisce al ritorno dalla Birmania, dove, in compagnia dell’operatore Claudio Rubino, ha seguito per il Tg3 le proteste di piazza che hanno infiammato le strade di Rangoon. Per capire cosa ha condotto migliaia di persone a scendere in piazza nonostante il pericolo della repressione militare è necessario tener conto delle condizioni in cui versa il paese: “La gestione corrotta dell’economia, spiega Bergamini, ha portato ad una situazione di crisi inimmaginabile: la gente è esasperata, il costo della vita è altissimo di contro ad una situazione di povertà tra le peggiori al mondo...


SaveTibet


Per la Birmania ho ricevuto da AminaAmina questi link:


Petizione Avaaz
Petizione Amnesty
Petizione United Nations Security Council
Petizione Campaigning For Human Right in Burma
Petizione CISL,WWF,GREENPEACE E LEGAMBIENTE



giovedì 18 ottobre 2007


SaveTibet




Congressional Gold Medal Ceremony Address
His Holiness the Fourteenth Dalai Lama of Tibet
October 17th, 2007


His Holiness the 14th Dalai Lama His Holiness the 14th Dalai Lama

President Bush, Speaker Pelosi, Senator Byrd, my fellow Laureate Elie Wiesel, Honorable Members of Congress, Brothers and Sisters.


It is a great honor for me to receive the Congressional Gold Medal. This recognition will bring tremendous joy and encouragement to the Tibetan people, for whom I have a special responsibility. Their welfare is my constant motivation and I always consider myself as their free spokesperson. I believe that this award also sends a powerful message to those many individuals who are dedicated to promoting peace, understanding and harmony.


On a personal note, I am deeply touched that this great honor has been given to me, a Buddhist monk born of a simple family from the remote Amdo region of Tibet. As a child I grew up under the loving care of my mother, a truly compassionate woman. And after my arrival in Lhasa at the age of four, all the people around me, my teachers and even the housekeepers, taught me what it means to be kind, honest, and caring. It is in such an environment that I grew up. Later my formal education in Buddhist thought exposed me to concepts such as interdependence and the human potential for infinite compassion. It is these that gave me a profound recognition of the importance of universal responsibility, nonviolence, and inter-religious understanding. Today, it is a conviction in these values that gives me the powerful motivation to promote basic human values. Even in my own struggle for the rights and greater freedom of the Tibetan people, these values continue to guide my commitment to pursuing a nonviolent path.


I have had the honor to be in this hall once before when I visited your country in 1991. Many of the faces that welcomed me then, I can see today, which gives me great joy. Many have retired and some are sadly no longer with us. However, I would like to take this opportunity to recognize their kindness and contribution. Our American friends have stood with us in the most critical of times and under most intense pressure.


Mr. President, thank you for your strong support, and for the warm friendship that Mrs. Bush and you have extended to me personally. I am deeply grateful to you for your sympathy and support for Tibet, and your firm stand on religious freedom and the cause of democracy.


Madam Speaker, you have not only extended an unwavering support to me and the just cause of the Tibetan people, you have also worked hard to promote the cause of democracy, freedom and the respect for human rights in other parts of the world. For this, I would like to offer my special thanks.


The consistency of American support for Tibet has not gone unnoticed in China. Where this has caused some tension in the US-China relations, I feel a sense of regret. Today, I wish to share with you all my sincere hope that the future of Tibet and China will move beyond mistrust to a relationship based on mutual respect, trust and recognition of common interests.


Today we watch China as it rapidly moves forward. Economic liberalization has led to wealth, modernization and great power. I believe that today's economic success of both India and China, the two most populated nations with long history of rich culture, is most deserving. With their new-found status, both of these two countries are poised to play important leading role on the world stage. In order to fulfill this role, I believe it is vital for China to have transparency, rule of law and freedom of information. Much of the world is waiting to see how China's concepts of "harmonious society" and "peaceful rise" would unfold. Today's China, being a state of many nationalities, a key factor here would be how it ensures the harmony and unity of its various peoples. For this, the equality and the rights of these nationalities to maintain their distinct identities are crucial.


With respect to my own homeland Tibet, today many people, both from inside and outside, feel deeply concerned about the consequences of the rapid changes taking place. Every year, the Chinese population inside Tibet is increasing at an alarming rate. And, if we are to judge by the example of the population of Lhasa, there is a real danger that the Tibetans will be reduced to an insignificant minority in their own homeland. This rapid increase in population is also posing serious threat to Tibet's fragile environment. Being the source of many of Asia's great rivers, any substantial disturbance in Tibet's ecology will impact the lives of hundreds of millions. Furthermore, being situated between India and China, the peaceful resolution of the Tibet problem also has important implications for lasting peace and friendly relation between these two great neighbors.


On the future of Tibet, let me take this opportunity to restate categorically that I am not seeking independence. I am seeking a meaningful autonomy for the Tibetan people within the People's Republic of China. If the real concern of the Chinese leadership is the unity and stability of PRC, I have fully addressed their concerns. I have chosen to adopt this position because I believe, given the obvious benefits especially in economic development, this would be in the best interest of the Tibetan people. Furthermore, I have no intention of using any agreement on autonomy as a stepping stone for Tibet's independence.


I have conveyed these thoughts to successive Chinese leaders. In particular, following the renewal of direct contact with the Chinese government in 2002, I have explained these in detail through my envoys. Despite all this, Beijing continues to allege that my "hidden agenda" is separation and restoration of Tibet?s old socio-political system. Such a notion is unfounded and untrue.


Even in my youth, when I was compelled to take on the full responsibility of governance, I began to initiate fundamental changes in Tibet. Unfortunately, these were interrupted because of the political upheavals that took place. Nevertheless, following our arrival in India as refugees, we have democratized our political system and adopted a democratic charter that sets guidelines for our exile administration. Even our political leadership is now directly chosen by the people on a five-year term basis. Moreover, we have been able to preserve and practice most of the important aspects of our culture and spirituality in exile. This is due largely to the kindness of India and its people.


Another major concern of the Chinese government is its lack of legitimacy in Tibet. While I cannot rewrite the past, a mutually agreeable solution could bring legitimacy, and I am certainly prepared to use my position and influence among the Tibetan people to bring consensus on this question. So I would also like to restate here that I have no hidden agenda. My decision not to accept any political office in a future Tibet is final.


The Chinese authorities assert that I harbor hostility towards China and that I actively seek to undermine China's welfare. This is totally untrue. I have always encouraged world leaders to engage with China; I have supported China's entry into WTO and the awarding of summer Olympics to Beijing. I chose to do so with the hope that China would become a more open, tolerant and responsible country.


A major obstacle in our ongoing dialogue has been the conflicting perspectives on the current situation inside Tibet. So in order to have a common understanding of the real situation, my envoys in their sixth meeting with their Chinese counterparts suggested that we be given an opportunity to send study groups to look at the actual reality on the ground, in the spirit of "seeking truth from facts." This could help both sides to move beyond each other's contentions.


The time has come for our dialogue with the Chinese leadership to progress towards the successful implementation of a meaningful autonomy for Tibet, as guaranteed in the Chinese constitution and detailed in the Chinese State Council "White Paper on Regional Ethnic Autonomy of Tibet." Let me take this opportunity to once again appeal to the Chinese leadership to recognize the grave problems in Tibet, the genuine grievances and deep resentments of the Tibetan people inside Tibet, and to have the courage and wisdom to address these problems realistically in the spirit of reconciliation. To you, my American friends, I appeal to you to make every effort to seek ways to help convince the Chinese leadership of my sincerity and help make our dialogue process move forward.


Since you have recognized my efforts to promote peace, understanding and nonviolence, I would like to respectfully share a few related thoughts. I believe this is precisely the time that the United States must increase its support to those efforts that help bring greater peace, understanding and harmony between peoples and cultures. As a champion of democracy and freedom, you must continue to ensure the success of those endeavors aimed at safeguarding basic human rights in the world. Another area where we need US leadership is environment. As we all know, today our earth is definitely warming up and many scientists tell us that our own action is to a large part responsible. So each one of us must, in whatever way we can, use our talents and resources to make a difference so that we can pass on to our future generations a planet that is at least safe to live on.


Many of world's problems are ultimately rooted in inequality and injustice, whether economic, political or social. Ultimately, this is a question of the wellbeing of all of us. Whether it is the suffering of poverty in one part of the world, or whether it is the denial of freedom and basic human rights in another part, we should never perceive these events in total isolation. Eventually their repercussions will be felt everywhere. I would like to appeal to you to take a leadership role in an effective international action in addressing these problems, including the huge economic imbalance. I believe the time has now come to address all these global issues from the perspective of the oneness of humanity, and from a profound understanding of the deeply interconnected nature of our today's world.


In conclusion, on behalf of six million Tibetan people, I wish to take this opportunity to recognize from the depth of my heart the support extended to us by the American people and their government. Your continued support is critical. I thank you once again for the high honor that you have bestowed on me today. Thank you.


E' un discorso storico di alta politica, in cui si manifesta una grandezza spirituale unica nel mondo di oggi. Non ci sono rivendicazioni astiose, anzi sempre il massimo rispetto per il paese invasore e oppressore. Il Dalai Lama non chiede nemmeno l'indipendenza del Tibet, chiede solo una "significativa autonomia", il minimo vitale perché il popolo tibetano non venga completamente spazzato via.

lunedì 15 ottobre 2007




Lord Ganesha


OTTIMISMO


Ganesha è una delle divinità più conosciute e più venerate dell' Hinduismo, divinità della conoscenza, divinità che rimuove gli ostacoli. E di ostacoli vorrei parlare, quelli della nostra vita politica, qualcuno dei quali forse ieri è stato rimosso. Mi sento ottimista stasera, dopo aver partecipato al voto ed essermi sentita parte, dopo tanto tempo, di una vicenda democratica che inizia. E Ganesha è anche il Signore degli Inizi.


In un post toscanamente incisivo il vecchio della montagna ha scritto: "Un libro e un comico sputtanano la casta dei politici, che d'altra parte fanno di tutto per meritarsi cachinni e pernacchi. Poi  si chiama la gente a pagare e a mettersi in coda di Domenica per fondare un Partito, facendone uno di due, e arrivano tremilionitrecentomila persone qualunque a versare l'obolo e scegliere. 
Credo che l'Italia del buon senso e della buona volontà, quella che sa come sia difficile fare, che non crede agli uomini della Provvidenza, che diffida dei comici  che vaffanculano sulle piazze come di chi non è contento mai ( perchè ben altro è il problema, e si doveva fare di più ) , quell'Italia lì tiene ancora duro. Merita il meglio, e speriamo non si stanchi...." [ QUI ]




Aiutiamo il popolo Birmano aggiungendo questo post e queste immagini al proprio blog.(Questo è un nuovo tipo di protesta on line che usa i blog per diffondere globalmente una petizione, per partecipare seguite le istruzioni del post) si tratta di democrazia e diritti umani basilari. Per favore aiutate a prevenire una   tragedia umana in Birmania (Myanmar) aggiungendo il vostro blog e chiedendo ad altri di fare lo stesso. Passando il testimone attraverso la blogosfera, speriamo di generare maggiore consapevolezza e di evitare un massacro. In quanto attenti cittadini del mondo, questo è quanto noi bloggers possiamo fare.               come partecipare:


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sabato 13 ottobre 2007

Guerra all'Iran? Siamo a questo punto?



Personalità Americane chiedono ai Militari USA di rifiutarsi di eseguire l'ordine di attacco contro l'Iran



Willie Nelson, leggenda della musica country, Gore Vidal, icona della letteratura, Cindy Sheehan, la madre di un caduto Stella al Merito, Daniel Ellsberg, informatore su documenti del Pentagono, Ann Wright, Colonnello a riposo dell'Esercito USA, Cynthia McKinney, ex membro del Congresso, Elizabeth de la Vega, ex procuratore federale, Thom Hartmann, autore e conduttore di programmi radiofonici, Michael Lerner e Steven Jacobs, rabbini, e decine di altre personalità Americane hanno firmato una lettera che chiede ai Capi di Stato Maggiore Riuniti e a tutto il personale militare USA di rifiutarsi di eseguire gli ordini di attacco contro l'Iran in una guerra di aggressione.


La lettera è stata messa in diffusione perché altri la possano sottoscrivere a http://www.dontattackiran.org  . Questo il testo della lettera:


All'attenzione dei Capi di Stato Maggiore Riuniti e a tutto il personale militare USA


Non attaccate l'Iran!
Ogni attacco preventivo contro l'Iran sarebbe illegale.


Ogni attacco preventivo contro l'Iran sarebbe criminale.


Noi, cittadini degli Stati Uniti, rispettosamente raccomandiamo a voi, donne e uomini di coraggio del nostro esercito, di rifiutare di adempiere ad ordini di attacco preventivo contro l'Iran, una nazione che non rappresenta alcuna seria od immediata minaccia per gli Stati Uniti. Attaccare l'Iran, una nazione sovrana di 70 milioni di persone, costituirebbe un crimine di grandezza immensa. Quali le basi legali della nostra petizione, di non attaccare l'Iran?


I Principi di Norimberga, che sono parte integrante del diritto degli Stati Uniti, indicano che tutto il personale militare ha l'obbligo di non obbedire ad ordini non legittimi. Il Manuale 27-10, sec.609, per gli Ufficiali Superiori dell'Esercito e l'UCMJ (Uniform Code of Military Justice-Codice Uniforme per la Magistratura Militare), art. 92, includono questo principio. L'Articolo 92 afferma: “Un ordine o una disposizione generale sono conformi alla legge, se non risultano contrari alla Costituzione, alla legge degli Stati Uniti.”


Ogni provvedimento assunto da un trattato internazionale ratificato dagli Stati Uniti diventa legge degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti sono membri e firmatari della Carta delle Nazioni Unite, di cui l'Articolo II, sezione 4, stabilisce: “Tutti i membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dal mettere in atto minacce o dall'uso della forza contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi stato.” Stabilito che l'Iran non ha aggredito gli Stati Uniti, e che gli Stati Uniti sono membri e firmatari della Carta, ogni attacco all'Iran da parte degli Stati Uniti sarebbe illegale non solo secondo il diritto internazionale ma anche secondo la Costituzione Statunitense, che considera i patti da noi sottoscritti come Legge Suprema della Nazione.


Quando voi siete diventati militari, avete giurato di difendere la nostra Costituzione. Secondo il diritto internazionale, seguire gli ordini del governo o dei vostri superiori non vi esenta dalle responsabilità. Secondo i Principi di Diritto Internazionale che informano la Carta del Tribunale di Norimberga, la complicità nell'ordinare un crimine di guerra, secondo il diritto internazionale è per se stessa un crimine.


Panorama ambientale:


Le accuse dell'Amministrazione Bush contro l'Iran non sono state provate. Ne' lo sviluppo di armamenti nucleari, nemmeno le forniture di assistenza all'Iraq, se provate, possono costituire una giustificazione per una guerra illegale. Un'aggressione contro l'Iran può indurre il formidabile apparato militare Iraniano ad attaccare le truppe degli Stati Uniti di stanza in Iraq. Migliaia dei nostri soldati potrebbero essere uccisi o catturati come prigionieri di guerra. Inoltre, un attacco Statunitense contro le strutture nucleari Iraniane potrebbe significare la morte per avvelenamento da radiazioni di decine di migliaia di civili innocenti Iraniani. Il popolo dell'Iran non ha un grande controllo su coloro che lo governano, tuttavia dovrebbe subire il tremendo attacco Statunitense. Incursioni aeree con bombardamenti sarebbero equivalenti ad una punizione collettiva, cosa che rappresenta una violazione della Convenzione di Ginevra, e di sicuro spargerebbero i semi dell'odio per generazioni a venire. Un quarto della popolazione dell'Iran è costituito da bambini.


Soprattutto, noi vi lanciamo questo appello, di esaminare con cura la documentazione delle nostre azioni in Iraq, azioni che hanno creato la spinta ideale per gli jihadisti, per i fautori delle guerre sante, questo per ammissione dell'intelligence USA, una situazione che non esisteva prima della nostra aggressione. Noi dobbiamo prendere atto che il nostro uso sconsiderato delle soluzioni militari ci ha creato molti più nemici e reso le famiglie Americane meno sicure. La diplomazia, non la guerra, è la risposta!


Indicazioni sui rischi a cui si incorre rifiutando un ordine illegale o firmando questo documento:


Noi, in piena consapevolezza e volontà, lanciamo questo appello, consci del rischio che, in violazione dei nostri diritti contemplati dal Primo Emendamento, noi potremmo essere messi sotto accusa secondo gli articoli ancora in vigore dell'incostituzionale Espionage Act o per qualche altra legge incostituzionale, e che potremmo essere sanzionati, imprigionati o banditi per azione governativa.
Noi lanciamo questo appello, consci anche che voi non avete facili alternative. Se voi obbedirete ad un ordine illegale di partecipare all'aggressione contro l'Iran, potenzialmente potrete essere accusati di crimini di guerra. Se voi presterete attenzione al nostro appello e disobbedirete ad un ordine illegale, potrete essere falsamente accusati di crimini, compreso il tradimento. Voi potrete falsamente essere giudicati da una Corte Marziale. Voi potrete essere incarcerati. (Per consultare un giurista e rendersi il più possible consapevoli sulle conseguenze, contattare “The Central Committee for Conscientious Objectors”, “Courage to Resist”, “Center on Conscience and War”, “Military Law Task Force of the National Lawyers Guild” 415-566-3732, o “GI Rights Hotline” a 877-447-4487.)


Istanza finale: I nostri dirigenti spesso affermano che le nostre forze armate sono la nostra ultima risorsa. Noi vi preghiamo che voi rendiate questa affermazione politica una realtà, e perciò di rifiutare gli ordini illegali di aggressione contro l'Iran. Noi vi promettiamo di assicurarvi tutto il nostro appoggio perché voi possiate proteggere in patria i cittadini Americani e all'esterno i civili innocenti. Il nostro futuro, il futuro dei nostri figli e dei loro figli è depositato sulle vostre mani. Voi conoscete bene gli orrori della guerra. Voi potete bloccare i prossimi.


Sinceramente,


Daniel Ellsberg, Thom Hartmann, Rabbi Michael Lerner, Rabbi Steven
Jacobs, Cynthia McKinney, Willie Nelson, Cindy Sheehan, Norman Solomon,
Elizabeth de la Vega, Gore Vidal, Ann Wright, ... continua QUI


*


Operazione sciame di fuoco


di Fabio Mini ( generale, ex comandante delle forze della Nato in Kosovo ) 

Tutto è pronto per la guerra. E l'offensiva non colpirà soltanto gli impianti nucleari ma cancellerà tutta la potenza iraniana. Concentrando le forze d'attacco più moderne in orde come quelle di Gengis Khan


Chi pensava che il via libera all'attacco israelo-statunitense all'Iran sarebbe venuto dal Congresso americano si sbagliava. E si sbagliava anche chi pensava che un presidente Bush frustrato dal caos iracheno, dallo stallo afghano e dalle pressioni delle lobby industriali avrebbe finito per decidere da solo. L'attacco all'Iran si farà grazie alle dichiarazioni del neo ministro degli Esteri francese Kouchner. In questi anni di minacce e controminacce, di scuse e pretesti per fare la guerra le uniche parole 'rivelatrici' sono state quelle della laconica frase "ci dobbiamo preparare al peggio". Molti le hanno prese come uno scivolone, altri le hanno considerate una provocazione scaramantica, altri come un incitamento e altri ancora come una rassegnazione ad un evento ineluttabile. Può essere che la frase contenga tutto ciò ma l'essenza profonda delle parole di Kouchner è diversa.

In questi ultimi 15 anni di interventi militari di vario tipo e in tutte le parti del mondo si sono stabilite strane connessioni e affinità. Gli eserciti sono integrati dai privati, gli idealisti dai mercenari, gli affari dall'ideologia, la verità si è intrisa di menzogne che neppure la logica della propaganda riesce più a scusare. Ed una delle connessioni più insolite è quella che si è realizzata tra militari, operatori umanitari e politica estera arrivando a permettere che ognuna delle tre componenti si possa spacciare per le altre due. Il collante principale di questo connubio è la concezione dell'emergenza. La politica estera ha perduto il carattere di continuità dei rapporti fra gli Stati e nell'ambito delle organizzazioni internazionali. Si dedica ormai da tempo a gestire rapporti di emergenza, rapporti temporanei legati ad interessi o posizioni transitorie e mutevoli e a geometrie variabili. D'altra parte, la politica dell'emergenza è l'unica che permette l'impegno limitato e selettivo. Inoltre, siccome la dimensione dell'emergenza può essere manipolata o interpretata, può essere costruita o smontata a piacimento. Seguendo la stessa logica, gli eserciti di questi ultimi quindici anni si sono dedicati esclusivamente all'emergenza, preferibilmente esterna e per motivi cosiddetti umanitari in modo da garantirsi consenso e sostegno. Non ci sono più eserciti capaci di difendere i propri territori o di assicurare la difesa in caso di guerra. È sempre più difficile trovare uno Stato che sia minacciato di guerra da un altro Stato e tutti gli eserciti del mondo oggi contano su un preavviso di almento 12 mesi per mobilitare le risorse idonee alla difesa nazionale. Si sono perciò specializzati nell'emergenza sia come tipo sia come tempo e ritmo degli interventi.

Quando Kouchner dice candidamente che ci dobbiamo 'preparare al peggio' non fa altro che interpretare una filosofia che non si pone come obiettivo la ricerca del meglio, della soluzione meno traumatica, ma che invoca la gestione dell'emergenza da parte della politica, dello strumento militare e delle organizzazioni umanitarie ormai legate a doppio filo. È anche l'ammissione dell'incapacità della stessa politica nel pensare e trovare soluzioni durature, dell'incapacità degli strumenti militari di gestire situazioni conflittuali fino alla completa stabilizzazione e dell'incapacità delle organizzazioni umanitarie di risolvere i problemi della gente in una prospettiva un po' più lunga di quella offerta dall'emergenza. Infine Kouchner ammette anche che la somma di queste incapacità conduce ineluttabilmente alla guerra. E allora guerra sia.

È evidente che in queste condizioni sono necessarie alcune forzature che garantiscano la realizzazione dell'emergenza e degli interventi delle varie componenti: deve succedere qualcosa - quello che gli analisti chiamano 'trigger' - che determini l'emergenza politica, deve essere in immediato pericolo la sicurezza collettiva e si deve prevedere una catastrofe umanitaria (più grande è meglio è). Si deve in sostanza possedere un apparato gestibile capace di 'inventare' l'emergenza e di inventarne la fine che consente il distacco e il disimpegno a prescindere dalla soluzione dei problemi. L'attacco all'Iran rientra perfettamente in questo quadro e, a ben vedere, è un quadro ormai quasi completo. L'Espresso, 1 ottobre 2007


BIRMANIA



Sanzioni da Tiffany


Bulgari, Tiffany, Cartier. Ma anche OviEsse, le assicurazioni della compagnia aerea. Le aziende voltano le spalle al  Regime birmano



Cresce la ripulsa per la repressione violenta del regime birmano, anche nel mondo del lusso e degli affari. Gli almeno  200 morti – tutti cremati per non lasciar tracce – gli oltre 7mila arrestati e i 2mila monaci deportati ai lavori forzati come replica a una manifestazione di protesta gandhiana e pacifica fanno breccia anche nei cuori di chi solitamente è obbligato dai doveri aziendali a anteporre le ragioni del profitto a scelte etiche. Gioiellieri, catene di grande distribuzione, aziende tessili, grandi compagnie assicurative, negozi specializzati nel lusso d’élite. Fioccano giorno dopo giorno le sfilze di “Senza di me” pronunciati da manager in gessato e tailleur di alta moda.   CONTINUA QUI

giovedì 11 ottobre 2007


Aiutiamo il popolo Birmano aggiungendo questo post e queste immagini al proprio blog.(Questo è un nuovo tipo di protesta on line che usa i blog per diffondere globalmente una petizione, per partecipare seguite le istruzioni del post) si tratta di democrazia e diritti umani basilari. Per favore aiutate a prevenire una   tragedia umana in Birmania (Myanmar) aggiungendo il vostro blog e chiedendo ad altri di fare lo stesso. Passando il testimone attraverso la blogosfera, speriamo di generare maggiore consapevolezza e di evitare un massacro. In quanto attenti cittadini del mondo, questo è quanto noi bloggers possiamo fare.


come partecipare:


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Dopo qualche giorno cerca su Google questo numero per cercare tutti i blog che partecipano alla protesta e petizione. Potrebbe occorrere qualche giorno in più perchè il tuo blog appaia nei risultati a causa del modo in cui google indicizza i blogs.


Da: Le Favole Private - QUI


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VELI




Il sito BBC News offre questa rassegna grafica di veli islamici con relative didascalie: QUI . Ma l'informazione sull'argomento, molto ampia, l'ho trovata a partire da BBC religion: Islamic dress . E a questo link sono arrivata dalla mia ricerca sull'Iran, e in particolare sulle "donne malvelate" che incorrono nelle durezze del regime islamico: 'Bad hijab'  -  Iranians face a severe crackdown over un-Islamic dress: QUI . Qualche cognizione in più per parlare del burqa in Italia con mente aperta e senza pregiudizi da ignoranza.


Le mie convinzioni sull'uguaglianza degli esseri umani mi porterebbero a una immediata chiusura mentale di fronte all'argomento velo, che leggo come imposizione maschile tesa a limitare la libertà femminile fino a chiuderla completamente col burqa col pretesto della legge coranica, che pure esiste anche se ci sono delle controversie tra gli islamici sull'interpretazione dei dettami riguardanti l'abbigliamento delle donne e degli uomini. Ma le convinzioni personali devono essere accantonate, almeno in parte, quando entra in gioco la necessità della convivenza e dell'armonizzazione con altre culture. Mi faccio soccorrere ancora una volta da un articolo della BBC su come è stato affrontato il problema in Europa, The Islamic veil across Europe , e sul punto di vista dei musulmani  in Gran Bretagna, UK Muslim panel on the veil row . (In italiano non ho trovato nulla di così ampio e sistematico, accetto suggerimenti con gratitudine anticipata).


Mi pare che il problema più grosso sia rappresentato dal burqa che copre tutto il corpo e tutto il viso, compresi gli occhi, davanti ai quali c'è una fitta grata di tessuto che evita la cecità completa di chi lo indossa ma non evita la mortificazione dello sguardo costretto a una visione del mondo estremamente ridotta e parcellizzata in piccolissimi quadrati infaustamente simili alle grate crudelmente ravvicinate di una prigione. Qui la mia capacità, ma anche la mia volontà di comprensione e di armonizzazione si arresta, perché mi riesce concettualmente impossibile armonizzarmi con una simile violazione dei diritti umani, così come ritengo doveroso non avere nessuna, ma proprio nessuna, comprensione per la diversità rappresentata dalle mutilazioni genitali.


Il burqa viene presentato come simbolo religioso: che cosa dice il Corano al riguardo? Ricorro ancora una volta al sito BBC: Hijab in scripture . Dalla faticosa lettura in inglese mi pare che non ci sia nulla di dirimente sui veli in generale, ma nulla sull'obbligo del sudario tipo burqa. Che cos'è allora il burqa? Lascio la risposta a Giuliana Sgrena che scrive:


"Basterebbe leggere uno dei libri che vanno per la maggiore di questi tempi - «I mille splendidi soli» di Hosseini - per capire l'uso del burqa nel paese di origine, l'Afghanistan, negli anni sessanta e settanta. Non di religione si tratta ma di oppressione patriarcale. La più tremenda, che relega le donne dietro una grata, attraverso la quale guardare il mondo a quadretti senza essere osservate.
Mentre nel mondo islamico è aperto lo scontro sul velo: è islamico oppure no, e nemmeno il Corano è sufficiente a redimere il quesito, in Italia si avalla come dovere religioso l'uso del burqa. Che non solo non è citato nei testi religiosi, ma proprio in Afghanistan era stato abolito fin dal 1923 dal re Amanullah con la nuova costituzione che doveva servire a modernizzare il paese anche attraverso l'istruzione delle donne e l'abolizione della poligamia. Naturalmente il re Amanullah aveva scatenato le ire dei fondamentalisti che l'avevano estromesso dal trono e solo nel 1959 le donne della famiglia reale, ai tempi di re Zahir Shah, si sarebbero presentate in pubblico a capo scoperto. A riportare in voga, si fa per dire, il velo e anche il burqa ci avrebbero pensato i fondamentalisti mujahidin e i taleban.
La decisione del prefetto di Treviso, appoggiata purtroppo anche dalla ministra Rosi Bindi (salvo smentite) e da altre parlamentari, è basata evidentemente su un relativismo culturale molto diffuso anche nella sinistra - ma non riguarda la ministra Barbara Pollastrini, che si è espressa decisamente contro il burqa - che vuole condannare popoli e soprattutto le donne di paesi del sud a subire le imposizioni più conservatrici e tribali di alcuni leader religiosi o politici locali.
È eramente molto triste dover ammettere che non solo la guerra in Afghanistan non ha liberato le donne afghane dal burqa - e questo ce lo aspettavamo - ma che la talebanizzazione è arrivata anche in Italia. Forse anche per questo non alziamo un dito contro le nuove milizie religiose irachene che uccidono le donne che si rifiutano di portare un velo che non avevano mai portato. E che dire della nuova polizia religiosa che controlla la moralità dei comportamenti dei palestinesi non solo nella Gaza di Hamas ma anche nella Ramallah di Fatah? Il nostro sostegno a queste donne deve partire da subito, da qui, aiutando quelle che vivono nel nostro paese a sottrarsi al giogo dell'oppressione e della violenza, di cui, altrimenti, diventiamo complici.
Non è accettando il burqa che riconosciamo un diritto alle donne: sottolineando la loro «diversità» santifichiamo la loro ghettizzazione. E quando si parla di libera scelta occorrerebbe tenere in considerazione che l'unica scelta di cui godono queste donne è quella di portare il velo e molte di loro hanno così interiorizzato l'idea che la loro sicurezza passa attraverso l'annullamento del proprio corpo che non si sono ancora liberate del burqa." ( Il Manifesto, 10 ottobre 2007,
La vita sotto il burqa )



E, infine, che dire della violazione dei diritti dell'infanzia? Giocare, correre, avere le mani libere, sentire il vento fra i capelli, sentirsi uguali ai più fortunati maschietti ... Argomento spinoso, lo so, e complesso, ma la complessità non può essere invocata per eludere problemi etici di questa portata. Perché di etica si tratta, cari musulmani e musulmane e cari prefetti italiani, l'etica della libertà personale e dell'in-nocenza.


Aggiornamento 12 ottobre 2007



Accordo al consiglio di sicurezza Onu

WASHINGTON. I quindici ambasciatori deplorano la repressione della giunta militare

Gli ambasciatori all’Onu dei quindici membri del Consiglio di sicurezza si sono messi d’accordo sui principali punti di un progetto di dichiarazione non vincolante che «deplora» la repressione in Birmania. I quindici ambasciatori si incontreranno di nuovo oggi per esaminare le risposte delle loro capitali, secondo quanto appreso da fonti diplomatiche.

L’ambasciatore americano presso l’Onu Zalmay Khalilzad ha riferito alla stampa al termine delle consultazioni a porte chiuse che i rappresentanti al Consiglio di sicurezza si incontreranno questa mattina (pomeriggio in Italia) per esaminare le risposte delle loro capitali sperando di ottenere una approvazione formale del testo. Cominciata nel pomeriggio, la riunione era stata sospesa per permettere ai tre membri permanenti occidentali del Consiglio di sicurezza (Usa, Francia, Gran Bretagna) di rivedere il testo. Una prima versione del testo, proposta venerdì dai tre paesi occidentali, era già stata emendata su richiesta della Cina, principale alleata della Birmania. La prima versione proponeva di «condannare» la repressione che ha fatto tredici morti secondo il bilancio ufficiale.

Nella versione emendata, il testo «deplorava fermamente» la «violenta repressione da parte del governo di Birmania delle manifestazioni pacifiche, compreso l’uso della forza contro rappresentanti religiosi» e invitava la giunta a liberare l’insieme dei prigionieri politici, tra cui la leader dell’opposizione democratica Aung Sang Suu Kyi. Contrariamente a una risoluzione, una dichiarazione non può essere approvata che all’unanimità dei quindici membri del Consiglio.

La Stampa, 11/10/2007 (7:50), qui 

mercoledì 10 ottobre 2007

FREE BURMA



FREE IRAN



Chi sa qualcosa dell'Iran? Chi sa qualcosa del composito complesso popolo iraniano? Chi c'è in Iran oltre al tragico Ahmadinejad? Esiste un dissenso in Iran?


Due giorni fa circa cento studenti dell'Università di Tehran hanno trovato il necessario smisurato coraggio di contestato il presidente Mahmoud Ahmadi Nejad. Era già successo meno di un anno fa. Che fine hanno fatto quegli studenti? Che cosa succederà a questi autori della nuova protesta? Alcuni sono stati sicuramente ingoiati dalle spaventose prigioni della repubblica islamica. E' il rischio mortale della repressione che richiede un coraggio immane, il coraggio che si sprigiona in un essere umano quando l'ingiustizia supera il limite della paura. 


Dove siamo noi, liberi e fortunati, in questa vicenda? Siamo pronti a commuoverci per la libertà dell'Iran? Nel 1979 il mondo intero si lasciò ingannare dalla cosidetta rivoluzione islamica che avrebbe portato all'orrendo regime degli ayatollah che da allora ha sfruttato la terribile della religione al potere. Qual è il punto della situazione oggi, tra le deliranti minacce nucleari del dittatore "devoto" e le altrettanto deliranti minacce di guerra dell'amministrazione Bush? Ho trovato qualche risposta in una intervista pubblicata da Il Manifesto: Le minacce all'Iran colpiscono il dissenso.


Solidarietà per la senatrice Rita Levi Montalcini



Il fascismo eterno di Storace e dei suoi seguaci si è manifestato ancora una volta. Questa volta, nel tentativo inane di colpire la scienziata e senatrice Rita Levi Montalcini, ha scelto come obiettivi l'ebraismo, la vecchiaia, la legge costituzionale italiana. La statura di Rita Levi Montalcini è tale che gli squallidi fascistelli non possono certo sfirorarla, tuttavia è necessario opporsi a questa rinnovata barbarie, anche per opporsi alla barbarie diffusa nella nostra società e, purtroppo, in molti rappresentanti della classe politica.