Famiglia e pretesti
di Barbara Spinelli
Quel che toglie il respiro, nelle parole che Gesù pronuncia nei Vangeli, è il precipizio drammatico in cui getta la famiglia. È vero che l’uomo non può separare quel che Dio unisce, in Matteo la prescrizione è chiara, ma questo è l’unico punto fermo del suo messaggio. Intorno a questo punto ogni cosa trema a cominciare dalla famiglia, vista come tormento sempre imminente: al pari dell’appartenenza etnica, delle tradizioni, dei riti canonici, l’istituto familiare può trasformarsi in gabbia che incatena l’uomo alla natura, alla carne. Quando Nicodemo va a trovarlo, nel Vangelo di Giovanni, per sapere come sia possibile entrare una seconda volta nel grembo della madre e rinascere, Gesù gli dice che non è nel legame di sangue e nella natura che l’uomo rinasce cristiano ma in altro modo: dall’alto, dallo spirito.
Dalla famiglia naturale si deve uscire, per avvicinarsi a Dio. «Che ho da fare con te, o donna?», chiede alla madre. E fin da adolescente risponde ai genitori che lo cercano e s’angosciano: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». E il giorno che madre e fratelli lo visitano insorge: «Chi è mia madre e chi i miei fratelli?», per poi volgere lo sguardo a chi gli sta intorno e dire: «Ecco mia madre e i miei fratelli». E in Luca: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo». Gli è discepolo chi «ascolta la parola di Dio e la mette in azione». Chi «beve il calice». Chi «porta la croce». Gesù è erede di Giobbe. Nella tribolazione nessun parente ama Giobbe, e meno di tutti la sposa che urla: «Rimani ancor fermo nella tua integrità?
Benedici Dio e muori!». Chi evoca le radici cristiane d’Europa non può non ricordare questa rottura profetica con ogni genealogia, che caratterizza il cristianesimo e che non promette a nessuno stabilità, durata naturale. Chi cerca stabilità ha bisogno della politica e di uno Stato autonomi da fedi, privati interessi e insurrezioni del cuore. Non è inutile ricordare le parole bibliche, all’indomani dell’immensa manifestazione cui è stato dato il nome, chissà perché inglese, di Family Day. Una manifestazione aperta ai laici ma che dalla Chiesa è stata suscitata, favorita, in opposizione alla legge che vuol tutelare i conviventi. Una manifestazione che ha difeso nei fatti un interesse privato, mettendo in concorrenza famiglie dette normali e unioni dette anormali, famiglie che s’avvalgono d’un supposto diritto naturale e unioni senza tutele. A Piazza Navona c’erano i laici e i cattolici che chiedevano diritti per tutti, matrimoni e Dico: non potevano vantare il successo numerico d’un Family Day che ha alle spalle la capacità organizzativa dell’associazionismo cattolico. Ma anche i dimostranti del Coraggio Laico erano lì a testimoniare una tradizione antica e forte.
Le parole dei Vangeli aiutano a separare il profondo dalla superficie, il profetico dai calcoli di potere. La famiglia come dramma costante, la predilezione di Gesù per il vincolo che non è quello del sangue e per l’amore del prossimo «messo in azione»: questo linguaggio profetico era assente nel Giorno della Famiglia. C’erano le masse oceaniche che hanno magnificato la famiglia come unica cellula naturale della società, e le masse oceaniche - la storia l’attesta - non sono profetiche. I propugnatori dicono d’aver voluto difendere una famiglia italiana poco protetta, e hanno ragione di dirlo. Ma la polemica contro i Dico era evidente. Come lo era la polemica contro una legge che, secondo gran parte del clero, infrange il sacramento coniugale. Altrimenti non sarebbe stato scelto il 12 maggio, anniversario del referendum sul divorzio.
La maggioranza che governa è divisa su questo punto. Un partito sta nascendo - il partito democratico - che vorrebbe essere egemonico a sinistra ma che non ha trovato un accordo sull’autonomia della politica, cioè sull’essenziale. È stato detto che la sinistra è prigioniera di tradizioni troppo libertarie, allo stesso modo in cui è insensibile ai temi della sicurezza. Cosa solo in parte vera: la famiglia esaltata dai comunisti era un collettivo castigatore di costumi, la sicurezza repressiva fu un fondamento nel comunismo. Non è con la sinistra storica che oggi si regolano i conti ma con le metamorfosi sociali e dei diritti individuali inaugurate dal Sessantotto. È quel che oggi accomuna le destre in Italia e Francia. Queste destre usano la religione e il clero, quando invocano il ritorno a autorità forti e a un ordine naturale. Quando proclamano, come ieri Berlusconi, che «un cattolico non può esser di sinistra». Il dibattito su natura contro cultura, su diritto naturale contro diritto positivo è una trappola per il legislatore. La famiglia non è diritto naturale: è figlia di una tradizione, non della natura. E il matrimonio è un sacramento a partire dal XIII secolo, non è iscritto nella Bibbia e non è condiviso da tutti i cristiani. Dice giustamente Gustavo Zagrebelsky che ci si aggrappa al diritto naturale come a un’assicurazione, che «non c’è nulla di meno produttivo e di più pericoloso che collocare i drammatici problemi dell’esistenza nel nostro tempo sul terreno della natura. A partire dal momento in cui in nome di questa natura e del sacramento si incita a disobbedire alle leggi non solo i cittadini, non solo categorie di esercenti funzioni pubbliche (medici, paramedici, farmacisti) ma addirittura i giudici, cioè proprio i garanti della convivenza civile, la Chiesa diventa elemento di confusione e nei fatti sovversiva, ponendosi unilateralmente al di sopra delle leggi e della Costituzione» (la Repubblica, 4 aprile 2007).
Le divisioni nel governo e la maniera in cui i vertici ecclesiastici ne profittano hanno oscurato quel che sta accadendo nelle nostre società, e che ha portato anche l’Italia - dopo più di dieci Paesi europei - a legiferare sulle unioni di fatto. Non è un estendersi dei mali moderni paventati in Vaticano: del relativismo, dell’edonismo. Quel che vivono i cittadini è una trasformazione e una crisi profonda della famiglia, ed è l’aumento di unioni che si formano fuori dal matrimonio anche perché la famiglia è tanto degradata. Le unioni di fatto oggi non reclamano solo diritti, né sono corrotte da edonismo: nel duro mondo del lavoro precario, delle abitazioni introvabili, dei figli squattrinati costretti a restare in famiglia, c’è una sete immensa di legge, di norme, che rendano salde e durevoli unioni timidamente sperimentate. C’è domanda di diritti, sì, ma anche di doveri: ad esempio il dovere di non lasciare soli in ospedale l’amico o l’amica, o di donar loro un’eredità. Quel diritto-dovere di stare accanto al convivente senza esser cacciati dall’ospedale non distrugge la famiglia classica, e dirlo è molto crudele. I matrimoni si degradano da soli, non per colpa di chi pensa, vive, ama, muore in modo diverso.
L’opposizione ai Dico, compresa l’opposizione alla convivenza fra persone dello stesso sesso, non può pretendere a incarnare una civiltà. Viene presentata come tale, ma quel che esprime è piuttosto spirito del tempo, parere categorico d’una maggioranza, difesa d’un interesse privato fatta propria da una parte della popolazione che si sente minacciata dalla concorrenza di altri interessi. Così come sono ingredienti dello spirito del tempo alcuni valori etici chiamati non negoziabili perché qualcuno, fuori dalla politica, pretende imporli d’autorità. Il mainstream o spirito del tempo è descritto come legge di natura: in realtà è una corrente di pensiero che senza più complessi ignora i patimenti di minoranze. Non ci sono più doveri di solidarietà verso queste ultime, non ci sono errori o offese da riparare. È parte dello spirito del tempo anche l’offensiva, generalizzata, contro la «cultura del pentimento». Nicolas Sarkozy l’ha addirittura messa al centro del proprio programma presidenziale. Un’epoca è finita: quella degli Stati europei che riesaminavano con una certa vergogna la propria storia; quella di Giovanni Paolo II fondata sul mea culpa. Oggi si passa alla controffensiva, il ministro Mastella si proclama fieramente guelfo, e la Chiesa partecipa non senza slancio a questo pentirsi della penitenza, a questo diffuso fascino del risentimento: anche il risentimento verso quel che in passato si è pensato, detto. La Chiesa spagnola che insorge contro i matrimoni omosessuali non ha nulla da rimproverarsi, ma è tanto più cieca: gli anni di connivenza con il familismo oppressivo di Franco non le spiegano nulla. La battaglia sui valori è assertiva e rancorosa, non aspira a spiegare né a capire. In un’intervista a Michel Onfray, Sarkozy dice: «Non ho mai udito una frase assurda come il Conosci te stesso di Socrate». Il Family Day gli fa eco: il suo punto di forza non è la profezia, ma la privatizzazione-confessionalizzazione della politica.
La Stampa, 13 maggio 2007