Pensieri sparsi in una domenica referendaria
Caro diario,
Torno or ora dal mio seggio elettorale. Una camminata sotto il cielo grigio chiaro e l'aria frizzante di una domenica particolare. Sono immersa in una nuvola di riflessioni e di emozioni e di ricordi. Ero molto emozionata la prima volta che andai a votare, sono molto emozionata anche oggi, anche se per motivi diversi. Intanto so che oggi il mio voto non ha lo stesso valore di sempre: "una persona, un voto". Oggi il mio voto vale di meno a causa del "non expedit" clericale di credenti e miscredenti, ritornato in auge in questo terzo millennio, in cui molti dei fantasmi dei secoli scorsi si stanno rimaterializzando contro ogni speranza. Penso alla guerra "giusta", alla tortura e alla sua teorizzazione, al darwinismo sociale, alla preponderanza del potere economico su qualsiasi altra considerazione, compreso il rispetto dei Diritti Umani.
E' triste andare a votare pensando che il mio seggio è praticamente attaccato a una parrocchia. Perché oggi devo interessarmi alla locazione di seggi e parrocchie? Mi sento assurda. Poi cerco di non drammatizzare. Se vincerà l'illegale invito all'astensione, bisognerà ingoiare un grosso rospo antidemocratico, ma solo per un periodo. L'oscurantismo clericale ha compiuto molti errori e ha portato a compiere crimini orrendi (santa inquisizione et similia) nel passato, ma non è riuscito a bloccare il progresso culturale e civile dell'umanità.
Sono le 10:50: un'agenzia ANSA dice che Florence Aubenas e Hussein Hanoun al-Saadi sono stai liberati. Le prime parole di Clementina Cantoni, sono state appunto per gli altri sequestrati e sequestrate. Ci sono anche persone dimenticate in mano a criminali vari.
Bentornata Clementina, bentornata Florence, bentornato Hussein!
Come non pensare a tutte le persone a cui non potremo dare esprimere questa gioia e questo augurio? Ne nomino uno per tutti, il nostro amico Enzo Baldoni, di cui forse oggi abbiamo le spoglie ma sulla cui rapidissima esecuzione il mistero rimane fitto. Mistero come sull'uccisione di Nicola Calipari. Ma "nel mio cuore nessuna croce manca", e mi riferisco a tutte le vittime della guerra a cui non potremo dire "bentornate".
Pomeriggio di attesa
Ho trovato il discorso che il presidente del Senato Pera ha pronunciato all' Università Europea il 7 giugno scorso.
Ripensando il principio di separazione. Religione e politica in Europa
1. Il principio di separazione
"... È noto che da quattro secoli l'Europa si basa su quella che è stata definita la "sintesi di Westfalia". Lì, nel 1648, si affermò un principio che ha fatto epoca, il principio di separazione tra sfera politica dello Stato, autonomo nei suoi poteri, e sfera religiosa dei cittadini, libera e indipendente dentro i confini dello Stato. ...
... Dal principio della separazione, a trarre più vantaggi è stato lo spirito positivo che si è esteso a tutti i campi, mentre a subire più perdite è stata la religione, la quale si è invece gradualmente ritirata in recinti sempre più piccoli, fino a trovarsi rinchiusa in quella che, prima di diventare Benedetto XVI, il cardinale Ratzinger aveva definito il "ghetto della soggettività".
... la novità di oggi in Europa è duplice. Da un lato, avanza una richiesta di identità del cittadino europeo, in parallelo ai processi di allargamento, di unificazione, di immigrazione. Dall'altro lato, si afferma una crescente domanda religiosa come componente di tale identità. In giro per il vecchio Continente c'è un risveglio spirituale, un bisogno di credere, una necessità di definirsi.
... Gruppi sempre più vasti di popolazione si interrogano su se stessi e cercano guide spirituali. Il laicismo imposto con la legge è sempre meno accettato.
La tolleranza vissuta come indifferenza è sempre più respinta. ...
2. La separazione come imperativo
Per evitare di trovarci impreparati, dobbiamo ripensare quelle categorie interpretative del mondo che si sono affermate con la cultura di Westfalia e che abbiamo bevuto col latte materno. In particolare, dobbiamo interrogarci sul principio di separazione e cercare risposte nuove e diverse da quelle della frammentazione, della ghettizzazione e della incomunicabilità delle competenze, delle fonti e delle autorità cui alla fine esso ha dato luogo. Personalmente, come contributo alla discussione, avanzo le risposte che seguono.
In primo luogo, non dovremmo mettere in discussione la separazione fra Stato e Chiesa. Al contrario, questa separazione dobbiamo mantenerla, perché è preziosa per la nostra convivenza e tolleranza. Gli Stati teocratici, quelli in cui il precetto religioso è legge statale, sono dispotici e illiberali, e comunque sono più dispotici e più illiberali degli Stati democratici.
In secondo luogo, non dovremmo respingere la separazione fra politica e religione. La proliferazione dei saperi e il loro progresso si deve a questa separazione, così come ad essa si deve una relativamente pacifica convivenza tra le sfere culturali separate. Se altri casi Galileo non si sono più presentati, neppure quando avrebbero potuto sorgere, si deve proprio, oltre che alla prudenza dei soggetti, allo spirito di convivenza che la separazione ha indotto.
E però, in terzo luogo, dopo tanta desuetudine e di fronte al fenomeno della rinascita religiosa, dobbiamo tornare a porci una domanda. Che cosa, propriamente, significa "separazione"? Due risposte credo dovrebbero essere escluse.
La prima: separazione non può significare divisione. ...
Vediamo la seconda risposta. Più o meno per le stesse ragioni per cui separazione non significa divisione, non significa neppure estraneità. ...
Ma, allora, se non è né divisione né estraneità, come altrimenti dobbiamo considerare la separazione fra politica e religione? Credo che il modo intellettualmente più appropriato e praticamente più utile sia di concepirla come un imperativo o un avvertimento: non oltrepassare un certo limite perché altrimenti i valori della tolleranza, del rispetto, della convivenza sono a rischio.
Così inteso, il principio di separazione fra religione e politica dice che c'è un certo limite oltre il quale una fede religiosa trasportata nell'àmbito politico produce intolleranza e diminuisce la libertà di tutti e ciascuno. Il principio di separazione però non fissa quel limite in astratto e una volta per tutte. Esso non dice dove deve essere posto. Il "dove" - ad esempio, dove la scienza si deve fermare davanti alla religione o dove il diritto si deve fermare davanti alla morale - è un punto da stabilire di volta in volta, è un confine che si sposta continuamente con il cambiare storico delle circostanze, delle convenienze, delle opportunità, delle sensibilità. È a causa di questo spostamento che ciò che oggi, su un determinato tema, ad esempio di bioetica, sembra una interferenza intollerabile della religione sulla politica o sulla scienza, domani potrà apparire una convivenza opportuna, o al contrario, ciò che oggi sembra una tolleranza reciproca conveniente domani potrà essere avvertito come una intrusione e una prevaricazione inaccettabile.
Insomma, il principio di separazione pone la laicità dello Stato e della politica come consapevolezza di un limite da non oltrepassare. Ma il limite è affidato alla nostra prudenza. Laico è quello Stato che avverte l'esigenza di questo limite, e prudente è quello Stato laico che, al momento giusto, fissa il confine al punto giusto.
3. Una sfida per laici e credenti
La domanda che ora mi pongo è: noi politici e intellettuali e cittadini degli Stati europei lo stiamo mettendo, questo limite, nel confine giusto? Abbiamo consapevolezza che la cultura separatista di Westfalia è in crisi e perciò occorre dare spazio diverso ai sentimenti religiosi dei nostri popoli?
Per quanto riguarda l'Europa, la risposta è dubbia. Posti di fronte alle domande: "Chi sei tu, vecchio Continente?", "Chi fur li maggior tua?", "Sei ancora il continente cristiano di Pietro e Paolo, di Cirillo e Metodio, di San Benedetto, e di tanti altri protagonisti della evangelizzazione?", i cento padri della Costituzione europea hanno preferito tirarsi fuori d'impaccio e imboccare la vecchia strada della separazione. ...
... Oggi l'uomo europeo e occidentale sembra un penitente che si batte in continuazione il petto. Se ci sono fondamentalisti e terroristi che gli hanno dichiarato la jihad, allora - pensa il penitente - deve esserci una ragione. Se c'è una ragione, allora essa nasce da uno squilibrio sociale. Se c'è uno squilibrio sociale, allora qualcuno l'ha provocato deliberatamente. Se qualcuno l'ha provocato deliberatamente, allora l'Occidente nazionalista, imperialista, colonialista è colpevole. E se l'Occidente, alla fine, è colpevole di aver provocato la jihad, allora si merita la jihad.
Io credo che questo modo di pensare e agire debba essere respinto. ...
Il dialogo fra credenti e laici, soprattutto laici liberali, che da noi, in Italia più che altrove, è cominciato in modo promettente dovrebbe aiutare a respingere la cultura della resa e dell'indifferenza. Ma un dialogo, se è autentico, è una sfida intellettuale che richiede coraggio da entrambe le parti. Ce l'hanno, questo coraggio, i laici o si sentono ancora confortati dai pigri recinti di Westfalia? Ce l'hanno, lo stesso coraggio, i credenti o si sentono ancora protetti dalle gabbie dei concordati? Vogliono gli uni e gli altri procedere in mare aperto, confrontarsi davvero, interrogarsi davvero, mettersi in discussione davvero?
Io spero di sì, che lo vogliano, perché la posta è alta: con la nostra identità, è in gioco il nostro futuro.
Convegno "L'Europa: radici e confini"
Università Europea di Roma, 7 giugno 2005
Fonte: http://www.senato.it/presidente/21572/21575/47912/composizioneattopresidente.htm
Il discorso è molto lungo e le estrapolazioni vanno sempre prese con le molle. Per questo consiglio di leggere tutto il documento. Dopo aver letto e copiato l'articolo "Westfalia addio" (post precedente), ho dovuto cercare il discorso di Pera. Ora, a maggior ragione, mi domando se questo è un Presidente del Senato della Repubblica Italiana ...
Per esempio: "Deutschland uber alles" non è affatto uno slogan nazista (?!?). Dando del nazista a destra e a manca con tanta leggerezza ci si mette esattamente sullo stesso piano dei vari Giovanardi.
"Deutschalnd uber alles" è la prima strofa di "Das Deutschlandlied", cioé l'inno nazionale tedesco cos'ì come proclamato nel 1922, dal primo presidente della Repubblica di Weimar, Friedrich Ebert (le parole: la musica invece, bellissima, è quella dell'inno imperiale austriaco - Kaiserimn - composto da Haydn).
Oltretutto, quella frase per chi la scrisse (Heinrich Hoffmann von Fallersleben) significava un'esortazione a superare la divisione particolaristica della Germania in staterelli e principati per fondersi in un'entità più grande, esattamente come nel nostro risorgimento mazziniano.
ale tap