http://www.repubblica.it/politica/2016/05/08/news/i_magistrati_e_il_diritto-dovere_di_schierarsi_al_referendum-139327862/
I magistrati e il diritto dovere di schierarsi al referendum
Pubblichiamo l'intervento del procuratore della Repubblica di Torino a proposito della consultazione sulla riforma costituzionale
CARO
direttore, ebbene sì, lo confesso: ho aderito da subito al Comitato
promotore per il "No" in vista del referendum confermativo della recente
riforma costituzionale.
E non basta: l'ho fatto anche per il "No" alla riforma bocciata nel
giugno del 2006, allorché ho girato l'Italia in ogni possibile weekend,
parlando di fronte ad ogni tipo di uditorio. Grazie ad una capillare
opera di informazione, vinse il "No", con il 61,3% degli oltre 25
milioni di votanti.
Avendo qui confessato queste
colpe, potrei oggi essere accusato, secondo un pensiero che si va
diffondendo, di appartenenza ad associazione per delinquere, con la
qualifica di promotore e con l'aggravante della recidiva specifica:
sembra, infatti, che sia quasi illegale che i magistrati possano
"schierarsi" in un referendum di natura costituzionale. Tradirebbero, si
dice, la loro terzietà e così confermerebbero la loro politicizzazione,
una tesi di assoluta infondatezza. Dico subito che questo
diritto-dovere di "schierarsi" non ha nulla a che fare con la contesa
partitica-politica che si sviluppa nei periodi di campagna elettorale ed
alla quale, certo, i magistrati devono rimanere estranei, come prevede
anche il nostro codice deontologico. Qui si tratta, invece, di un
diritto costituzionale di cui anche il magistrato - come ogni cittadino -
è titolare e che viene oggi contestato, in misura ben più dura di
quanto avvenne nel 2006, quasi che una "militanza civica" comporti
rinuncia alla propria libertà morale e di giudizio, quasi che una simile
testimonianza abbia il significato dello schierarsi "contro" qualcuno,
piuttosto che "per" valori e principi.
Bisogna invece chiedersi perché mai un premier debba proporre una interpretazione impropria del referendum governativo: "per me" o "contro di me", annunciando l'impegno di dimettersi in caso di vittoria del "No"! Perché mai questa scelta, visto che si tratta di una riforma voluta da una oscillante maggioranza di governo e non certo da un vasto schieramento trasversale, politicamente e culturalmente solido? La risposta pare risiedere nelle modalità di comunicazione per spot e tweet che l'attuale contesto storico sociale sembra imporre, sicché conviene - secondo alcuni - proporsi ai cittadini invocando fiducia nella propria immagine e nella propria capacità manageriale (con brand del tipo: "meno spese e tempi rapidi per le leggi! Via i laccioli del bicameralismo che compromettono la governabilità del paese e l'azione dell'esecutivo!") senza doversi far carico di un difficile e motivato confronto con le preoccupazioni di chi ricorda che la nostra Costituzione fu approvata dopo diciotto mesi di lavoro da 556 parlamentari e giuristi di ogni estrazione, mentre questa riforma, anche attraverso mozioni di fiducia e tagli di emendamenti, ricorda piuttosto, almeno quanto al metodo, quella bocciata nel 2006, scritta da quattro "saggi" durante alcuni giorni estivi trascorsi a Lorenzago di Cadore. Occorre che dal "Fronte del NO" sia respinta, invece, ogni deriva che tenda alla politicizzazione del confronto per trasformarlo in scontro: "NO", dunque, anche al mistificante spot pubblicitario di un futuro paese modernizzato ed efficiente grazie a questa riforma! Non esiste un "Governo costituente", specie se nato da una maggioranza partorita da una legge dichiarata incostituzionale, anche perché - come ha scritto L. Ferrajoli - "se c'è una questione che non ha niente a che fare con le funzioni di Governo è precisamente la Costituzione".
Bisogna attivarsi, allora, spiegando le ragioni del "No" ovunque sia possibile, nelle università, nei centri sociali, nei circoli di quartieri, anche attraverso strumenti informatici e moderne tecnologie, auspicando che il mondo dell'informazione televisiva e della carta stampata assicuri eguali possibilità di confronto alle due parti in causa. Bisogna ricordare a tutti che ben 56 costituzionalisti, tra cui 11 ex presidenti della Consulta e molti "saggi" in precedenza nominati per contribuire alla riforma della Costituzione, si sono schierati pubblicamente per il "NO", pur con rilievi ricchi di spunti propositivi. Bisogna far conoscere le argomentate ragioni dei numerosi altri professori del Comitato per il NO che hanno criticato il futuro pericolo di squilibrio tra le componenti del Parlamento, quello di indebolimento delle autonomie regionali, nonché il rischio di influenza del Presidente del Consiglio nelle nomine degli organi di garanzia (dal Capo dello Stato ad una parte dei membri della Consulta e del CSM). E tanto altro potrebbe dirsi.
Bisogna invece chiedersi perché mai un premier debba proporre una interpretazione impropria del referendum governativo: "per me" o "contro di me", annunciando l'impegno di dimettersi in caso di vittoria del "No"! Perché mai questa scelta, visto che si tratta di una riforma voluta da una oscillante maggioranza di governo e non certo da un vasto schieramento trasversale, politicamente e culturalmente solido? La risposta pare risiedere nelle modalità di comunicazione per spot e tweet che l'attuale contesto storico sociale sembra imporre, sicché conviene - secondo alcuni - proporsi ai cittadini invocando fiducia nella propria immagine e nella propria capacità manageriale (con brand del tipo: "meno spese e tempi rapidi per le leggi! Via i laccioli del bicameralismo che compromettono la governabilità del paese e l'azione dell'esecutivo!") senza doversi far carico di un difficile e motivato confronto con le preoccupazioni di chi ricorda che la nostra Costituzione fu approvata dopo diciotto mesi di lavoro da 556 parlamentari e giuristi di ogni estrazione, mentre questa riforma, anche attraverso mozioni di fiducia e tagli di emendamenti, ricorda piuttosto, almeno quanto al metodo, quella bocciata nel 2006, scritta da quattro "saggi" durante alcuni giorni estivi trascorsi a Lorenzago di Cadore. Occorre che dal "Fronte del NO" sia respinta, invece, ogni deriva che tenda alla politicizzazione del confronto per trasformarlo in scontro: "NO", dunque, anche al mistificante spot pubblicitario di un futuro paese modernizzato ed efficiente grazie a questa riforma! Non esiste un "Governo costituente", specie se nato da una maggioranza partorita da una legge dichiarata incostituzionale, anche perché - come ha scritto L. Ferrajoli - "se c'è una questione che non ha niente a che fare con le funzioni di Governo è precisamente la Costituzione".
Bisogna attivarsi, allora, spiegando le ragioni del "No" ovunque sia possibile, nelle università, nei centri sociali, nei circoli di quartieri, anche attraverso strumenti informatici e moderne tecnologie, auspicando che il mondo dell'informazione televisiva e della carta stampata assicuri eguali possibilità di confronto alle due parti in causa. Bisogna ricordare a tutti che ben 56 costituzionalisti, tra cui 11 ex presidenti della Consulta e molti "saggi" in precedenza nominati per contribuire alla riforma della Costituzione, si sono schierati pubblicamente per il "NO", pur con rilievi ricchi di spunti propositivi. Bisogna far conoscere le argomentate ragioni dei numerosi altri professori del Comitato per il NO che hanno criticato il futuro pericolo di squilibrio tra le componenti del Parlamento, quello di indebolimento delle autonomie regionali, nonché il rischio di influenza del Presidente del Consiglio nelle nomine degli organi di garanzia (dal Capo dello Stato ad una parte dei membri della Consulta e del CSM). E tanto altro potrebbe dirsi.
Perché mai, in questo quadro, sarebbe
inaccettabile che i magistrati si impegnino e si espongano pubblicamente
nella campagna per spingere i cittadini a votare "No"? A tanti di noi,
piuttosto, tale impegno appare doveroso anche se, come ha detto Paolo
Borgna, esso va attuato, "rifuggendo da atteggiamenti di schieramento e
da logiche di amico-nemico" e ricordando quanto avvenne nel gennaio del
2005 e del 2010, in occasione delle cerimonie di inaugurazione dell'anno
giudiziario, allorché tutti i magistrati italiani vi parteciparono
stringendo in mano, ben visibile, una copia della Costituzione, quel
pezzo di carta - disse Calamandrei - che non va lasciato cadere inerte
al suolo.
P.S.: a chiunque avesse dei dubbi, consiglio di confrontare il vecchio ed il nuovo art. 70 della Costituzione, un rigo il primo, una pagina il secondo, riscritto questo - come ha detto G. Zagrebelsky - con tecnica da "decreto milleproroghe".
P.S.: a chiunque avesse dei dubbi, consiglio di confrontare il vecchio ed il nuovo art. 70 della Costituzione, un rigo il primo, una pagina il secondo, riscritto questo - come ha detto G. Zagrebelsky - con tecnica da "decreto milleproroghe".
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