Questo referendum sarà un referendum sulla democrazia, un referendum
sul carattere tendenzialmente autocratico, oppure democratico e
pluralista della democrazia costituzionale. La Costituzione che è stata
proposta e già votata più volte alle Camere, è un’altra Costituzione.
Per il metodo con cui è stata approvata è un oltraggio non tanto e non
solo alla Costituzione del ’48, ma al costituzionalismo in quanto tale,
cioè all’idea stessa di Costituzione.
Le Costituzioni rigide sono nate nel secondo dopoguerra per unire, ma
soprattutto sono nate come limiti e come vincoli ai poteri di
maggioranza. Questa è la grande novità. Le Costituzioni dopo le tragedie
del fascismo, del nazismo, dei totalitarismi nascono come “mai più”:
mai più l’onnipotenza di qualunque potere costituito, anche se di
maggioranza; esse nascono come sistema di limiti, di vincoli, di regole
ai poteri, a qualunque potere. La Costituzione di Renzi si caratterizza
sin dal metodo come una Costituzione non di maggioranza ma di minoranza.
Grazie a una legge dichiarata incostituzionale, il porcellum, un
partito che aveva il 25% non degli elettori ma dei votanti, ha preso la
maggioranza assoluta; e in questo 25% che equivarrà ad un 15% della
popolazione, la maggioranza è costituita da meno della metà perché molti
sono diventati “governativi” a seguito del cambiamento di equilibri
interni al partito, quindi abbiamo un’infima minoranza a sostegno di
questa riforma che è stata approvata, anzi è stata imposta, attraverso
operazioni veramente scandalose: la fiducia, il taglio di emendamenti,
forme di Aventino fino all’ultima gravissima deformazione consistente
nel carattere plebiscitario che si vorrebbe imporre al referendum come
referendum non sulla Costituzione ma su Renzi.
Ma se c’è una questione che non ha niente a che fare con le funzioni di
governo è precisamente la Costituzione. Già questo, qualunque cosa dica
la nuova Costituzione, è un fattore di discredito della nuova Carta.
Noi abbiamo una Costituzione che è nata dall’antifascismo, dalla
Liberazione, votata praticamente quasi all’unanimità da partiti che
avevano combattuto il fascismo; quindi anche sul piano simbolico essa ha
un enorme valore aggregante e democratico. L’oltraggio al
costituzionalismo e alla Costituzione come momento storico di rottura
avrà come risultato l’instaurazione di una Costituzione di minoranza,
una Costituzione regressiva, una Costituzione che non ha più il
prestigio, il valore che deve avere la Costituzione in un sistema
democratico.
Del resto questo declino è accompagnato e segnalato dalle
innumerevoli violazioni costituzionali che si sono sviluppate in questi
anni anche nella procedura di riforma o revisione costituzionale; esse
sono il sintomo di un generale declino della Costituzione e dei principi
costituzionali dall’orizzonte della politica.
E questo vale soprattutto per quel che riguarda i contenuti. In
questi anni è stato smantellato lo Stato sociale, è stato distrutto il
diritto del lavoro – i lavoratori non hanno più diritti, il lavoro è
diventato precario – la sanità non è più una sanità universalistica e
gratuita perché è diventata una sanità monetizzata che pesa sulle spalle
soprattutto dei più poveri, con tempi lunghissimi di prestazione che
rendono di fatto incurabile gran parte delle malattie dei più poveri,
che rinunciano alle cure.
Si parla sempre del PIL come fattore e misura della crescita e del
progresso, si parla dello 0,7, 0,8 per cento: però contemporaneamente
per la prima volta nella storia recente, abbiamo avuto una riduzione
delle aspettative di vita; le aspettative di vita si sono ridotte,
credo, di sei mesi, per effetto di un crollo delle garanzie della
salute.
Le controriforme che sono state fatte sia nell’epoca berlusconiana
che adesso, sono un’aggressione: un’aggressione alla scuola,
un’aggressione alle pensioni, ai diritti di sussistenza, per il motivo
che costano troppo; ma dobbiamo essere consapevoli che costa molto di
più la mancata garanzia di questi diritti, le cui tutele sono il primo
investimento produttivo; l’Italia è diventata più ricca rispetto al suo
passato, e in generale l’Europa rispetto agli altri Paesi, perché hanno
garantito i minimi vitali, l’istruzione, la salute, in assenza dei quali
non c’è produttività individuale e non c’è chiaramente crescita
economica e produttività collettiva.
Unità tra prima e seconda parte della Costituzione
Uno degli argomenti che viene proposto a sostegno di questa riforma
costituzionale è che essa riguarderebbe soltanto la parte organizzativa e
non inciderebbe sulla prima parte. Questa è una falsità, perché le due
parti sono fortemente connesse e perché la parte “organizzativa” mette
insieme strumenti istituzioni e tecniche di garanzia idonei ad
assicurare l’attuazione dei principi della prima parte, in particolare,
l’uguaglianza, i diritti fondamentali, i diritti sociali.
Io credo che per capire il nesso che esiste tra la prima e la seconda
parte della Costituzione e quindi gli effetti che la modifica della
seconda parte avrà sulla prima parte, basti prendere in parola quello
che dice il governo, e lo stesso presidente Renzi: “ce lo chiede
l’Europa”. L’Europa ci chiede queste riforme. Questa è una frase che a
prima vista può sembrare senza senso. Che senso ha, che vuol dire che
l’Europa è interessata all’abolizione del Senato oppure alla riforma
della legge elettorale? Sembra soltanto una mistificazione, ma purtroppo
è vero. Ce lo chiede l’Europa, cioè ce lo chiedono i mercati, perché
l’obiettivo di questa riforma è un obiettivo perseguito da tanti anni,
dalla riforma di Berlusconi, dalla riforma di Craxi: è la governabilità.
Che cosa vuol dire governabilità? Nel lessico dei nostri governi, non
soltanto in Italia, governabilità vuol dire onnipotenza dell’esecutivo
rispetto al Parlamento e ovviamente rispetto alla società; vuol dire
mani libere, possibilità di aggredire lo Stato sociale, possibilità di
aggredire la scuola, aggredire la sanità, sulla base unicamente di un
consenso senza alternative: perché ci si presenta alle elezioni, e
certamente non ci sarà più la quantità di voti del passato, ci sarà una
crescita dell’astensionismo, perché è crollata la qualità del voto, non
si vota per convinzione ma solo per paura del peggio; si ha disprezzo,
disgusto, si vota per il meno peggio, e tuttavia questo è il consenso, è
la fonte di legittimazione veicolata da una riduzione della politica a
spettacolo che richiede non, come vorrebbe l’articolo 49, il concorso
dei cittadini nel determinare la politica nazionale, ma semplicemente il
consenso degli spettatori al meno peggio.
Al meno peggio significa che tutti devono assomigliarsi, perché non
ci sono alternative, perché la politica dei mercati è una sola, la
politica si sta trasformando in tecnocrazia, in modo tale che non si
spiega perché ci debba essere un ceto politico di un milione di persone
che evidentemente è diventato totalmente parassitario perché deve
soltanto eseguire i dettami dei mercati.
Onnipotenza e impotenza della politica
Ebbene questa onnipotenza è ciò che si richiede alla politica perché
la politica possa essere impotente nei confronti dei mercati, subalterna
nei confronti dell’economia, perché per l’appunto si trasformi in
tecnocrazia, perché abdichi al proprio ruolo di governo della finanza,
dell’economia, perché possa obbedire alle ingiunzioni, fare i compiti a
casa, unicamente mediante la riduzione dello Stato sociale e non
certamente mediante la crescita della progressività delle imposte, non
certamente applicando imposte del 70/90% a redditi ultramilionari, non
certamente attuando norme costituzionali sulla redistribuzione della
ricchezza, non certamente facendo ciò che la politica, secondo la
Costituzione, deve fare.
Si deve semplicemente eseguire, ottemperare. I governi di destra e i
governi di sinistra sono in questo senso uguali, tant’è vero che gli
scontri sono di carattere personale, sono caratterizzati dagli insulti
reciproci più che dai diversi programmi e nel dibattito politico ciò che
non viene mai messo in questione è il sistema di limiti e di vincoli ai
poteri economici e ai poteri della finanza, che dovrebbero essere
governati dalla politica.
Questo governo della politica fa parte del costituzionalismo profondo
dello Stato moderno che nasce come sfera pubblica separata in grado di
governare l’economia, che altrimenti sarebbe guidata naturalmente dagli
istinti predatori; infatti ovviamente i diritti politici, i diritti
civili, i diritti di iniziativa economica, i diritti di iniziativa
privata, sono diritti esercitati in funzione degli interessi personali;
ciò fa parte della logica del capitalismo, non possiamo pretendere che
il capitalismo abbia una logica diversa, per questo è necessaria la
politica, è necessario redistribuire la ricchezza, per limitare il
carattere predatorio attraverso un conflitto sociale che è stato un
fattore di civilizzazione.
Lo smantellamento di tutto questo è possibile solo se prima di tutto
si disarma la società, e cioè si smobilitano i partiti, e i cittadini
sono ridotti a spettatori davanti alle televisioni a guardare gli
scontri fra i politici, che naturalmente si scontrano su questioni
marginali. Dunque ciò che viene perseguito è prima di tutto la
neutralizzazione del controllo dal basso, del radicamento sociale, e in
secondo luogo la neutralizzazioni dei limiti e dei vincoli dall’alto, e
cioè da parte delle Costituzioni, perché le Costituzioni sono ormai
scomparse dall’orizzonte della politica.
Nessuno infatti grida più all’incostituzionalità di fronte ai ticket e
alla monetizzazione dei diritti fondamentali in materia di salute che
si distinguono dai diritti patrimoniali perché sono per l’appunto
gratuiti, universali, sono la base dell’uguaglianza, dovrebbero essere
garantiti a tutti nella stessa maniera, non ci dovrebbero essere
differenze in materia di sanità. Naturalmente la cosa costa, ma non è
neanche un costo troppo grave, se si pensa che su centodieci miliardi –
queste sono le statistiche che abbiamo avuto modo di leggere sulla spesa
pubblica in materia di sanità – tutti i ticket con tutto l’apparato
burocratico che comportano, producono un introito di tre miliardi, cioè
praticamente una parte irrilevante della spesa.
Una spesa però che pesa interamente sulle spalle delle persone più
povere e produce un’enorme mediazione burocratica che rende spesso
ineffettivi i tempi delle cure; i tempi sono ormai diventati
praticamente un fattore di crollo di una delle sanità pubbliche più
avanzate del mondo.
Lo stesso fenomeno si sta verificando in Inghilterra, si sta
verificando in Europa; stiamo assistendo ad un crollo delle nostre
democrazie legato precisamente a questa involuzione autocratica; essa
merita di essere chiamata così, perché il meccanismo che è stato
introdotto attraverso la congiunzione della riforma costituzionale e
della legge elettorale consegna il potere politico a una minoranza
parlamentare di fatto fortemente vincolata al capo del governo; è un
fatto che già in parte è avvenuto tant’è vero che questa riforma
costituzionale è una costituzionalizzazione dell’esistente, perché già
oggi tra decreti legge, leggi delegate, leggi di iniziativa governativa,
la produzione legislativa è per il 90% di produzione governativa.
Già oggi noi abbiamo avuto un Parlamento esautorato, ma con queste
riforme il Parlamento non conterà più niente, sarà per l’appunto una
maggioranza di parlamentari, fortemente vincolati da chi deciderà della
loro successiva elezione, a causa anche della disarticolazione sociale
dei partiti, della loro neutralizzazione come fonti di legittimazione
titolari delle funzioni di indirizzo politico, di controllo e di
responsabilizzazione.
Il risultato quindi è un’involuzione autocratica, ed è su questo che
dobbiamo decidere. Dobbiamo decidere non tanto se vogliamo la
Costituzione del ’48 a causa del suo prestigio e del suo valore
simbolico, ma dobbiamo decidere tra democrazia parlamentare e sistema
sostanzialmente autocratico, monocratico, che non è una questione di
forma: questa forma è funzionale a una governabilità indirizzata a dare
mani libere in materia soprattutto di diritti sociali, di diritti
fondamentali di uguaglianza.
Del resto la crescita della disuguaglianza è un fatto sotto gli occhi
di tutti che viene incoraggiato dalle politiche governative non solo in
Italia. Quindi il nostro voto è una scelta o a favore della democrazia
pluralistica costituzionale oppure a favore di un’involuzione
personalistica, verticalistica e autocratica del sistema politico.
Questo intervento ha fatto parte di quelli presentati alla conferenza stampa dei cattolici del NO tenutasi il 21 marzo 2016
FONTE: Il Manifesto di Bologna