martedì 27 novembre 2007


IL CASO DELLA FICTION ''LA VITA RUBATA'' DOPO IL RINVIO AL 24 FEBBRAIO




Graziella Campagna


uccisa a 17 anni dalla mafia e senza giustizia



dal sito RAI fiction


La vita rubata



In onda martedì 27 novembre 2007 alle 21.10 su Rai Uno


In questa storia il valore civile di testimonianza si sposa all'intrattenimento, nel raccontare un "giallo" in piena regola.


Graziella Campagna aveva diciassette anni quando fu assassinata il 12 dicembre 1985, a Villafranca, una paese nel messinese. Graziella era una ragazza tranquilla e serena; la sua unica colpa era stata quella di voler aiutare la famiglia, di modeste condizioni, andando a lavorare in una lavanderia. Qui, per un tragico destino, attraverso un documento lasciato casualmente in un indumento portato a lavare, era venuta a conoscere la vera identità di un pericoloso latitante che si nascondeva nella cittadina.


L'omicidio di Graziella sarebbe rimasto impunito, se non ci fosse stato il sacrificio di chi ha lottato da allora per fare luce su questo crimine: suo fratello Pietro Campagna, il giovane carabiniere, che insieme alla sua famiglia ha speso quasi vent'anni per poter vedere la fine del processo sul delitto di sua sorella.


Nel 2004, finalmente, il tribunale ha condannato i colpevoli dell'omicidio e quelli del favoreggiamento, delle collusioni e dei depistaggi che hanno costellato questa vicenda tragica e amara, un vero specchio di una società avvelenata dal malaffare.


Solo nel 2004, Graziella Campagna è stata riconosciuta vittima di mafia, e per mantenerne il ricordo, si è costituita una fondazione che annovera personalità come lo scrittore Vincenzo Consolo, Carlo Lucarelli e don Ciotti.


All'interno di questa attività di informazione e di memoria, necessaria ad un mondo che "se scorda i suoi errori, è condannato a ripeterli", si colloca l'iniziativa di realizzare un film.


La sceneggiatura è stata scritta l'aiuto della famiglia Campagna e soprattutto di Pietro, e dell'avvocato Fabio Repici che ha curato gli interessi di parte civile della famiglia. I produttori sono Alessandro Jacchia e Maurizio Momi con la loro società Albatross.


Autore della sceneggiatura, e regista del film, è Graziano Diana, al suo debutto nella regia, ma che come sceneggiatore ha al suo attivo film di grande successo popolare e di critica, come Ultrà sul tifo calcistico, La scorta su uno dei momenti più drammatici della lotta dei magistrati contro la mafia nei primi anni '90, Un eroe borghese sulla vicenda dell'avvocato Giorgio Ambrosoli, liquidatore della Banca Privata di Sindone, ucciso da un killer della mafia nel 1979.


Le riprese sono realizzate nei luoghi veri dove la storia ha avuto luogo: Messina, Villafranca e Saponara, il paese dove viveva Graziella e dove ancora vive la famiglia Campagna, e dove il sindaco ha dedicato la piscina comunale alla sua memoria, e ha aderito con interesse all'iniziativa del film.


Far ragionare, testimoniare e far riflettere le persone: tutti doveri questi che ci appartengono come cittadini e come operatori culturali, e appartengono ad un intrattenimento che voglia essere utile, nella tradizione del nostro migliore cinema civile. Crediamo sia importante soprattutto per i più giovani che oggi hanno vent'anni e non ricordano, non possono ricordare, non ne hanno gli strumenti. Per tanti anni, di Graziella Campagna non si parlava più. È invece importante contribuire perché questa memoria sia sempre più forte.


Con  l'obiettivo di ricordare il sacrificio di Graziella Campagna, si sono tenuti nell'Aula Magna dell'Università di Messina, incontri  cui hanno partecipato il presidente del Gruppo Abele e di Libera-Associazioni contro le mafie, don Luigi Ciotti; lo scrittore siciliano Vincenzo Consolo; il giornalista conduttore di Blu Notte Carlo Lucarelli; l'imprenditrice anti-racket Pina Maisano Grassi; il magistrato Giambattista Scidà, già in forza al Tribunale dei minori di Catania.


La società civile ha giocato un ruolo importante nella riapertura del processo per individuare i responsabili della sua morte. È come se la cittadinanza si fosse riappropriata una volta per tutte della drammatica storia di Graziella Campagna e la Fondazione intitolata a suo nome ha significato propriamente "una testimonianza per la verità e la giustizia come strumenti indefettibili di progresso sociale".


E, invece, NO, stasera NON VEDREMO "La vita rubata". Al suo posto: Donna detective. La seconda puntata in onda martedì 27 novembre alle 21.10 su Rai Uno.


Le ragioni sono spiegate in diversi articoli nel sito Articolo 21. Chiedo scusa se non mi sento nemmeno di riassumerle. Il post è dedicato a Graziella Campagna e alla sua memoria, come piccola riparazione. 

domenica 25 novembre 2007


Cara Amica, caro Amico del Tibet

Il 12-14 dicembre prossimo, il Dalai Lama parteciperà a Roma all’ottavo Summit dei Premi Nobel per la Pace. Sarebbe di grande significato politico e morale se, in tale occasione, il Presidente della Repubblica e/o il Presidente del Consiglio ricevessero il Dalai Lama. Invitiamo i soci e tutti coloro che condividono il messaggio di pace del Dalai Lama a unirsi all’Associazione Italia-Tibet e sottoporre la richiesta sia al Capo dello Stato sia al Presidente del Consiglio.
Cliccando sui link sottostanti

http://www.italiatibet.org/download/Lettera_Napolitano2007.pdf

http://www.italiatibet.org/download/Lettera_Prodi2007.pdf

si apriranno le lettere da inviare al Presidente Napolitano e al Presidente Prodi. Ti chiediamo di stamparle (se vuoi anche su carta personalizzata), firmarle e spedirle per raccomandata ai rispettivi indirizzi:

Al Presidente della Repubblica
On. Giorgio Napolitano
Palazzo del Quirinale
00187 Roma

Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Romano Prodi
Palazzo Chigi
Piazza Colonna 370
00187 Roma


Ti chiederemmo inoltre, se sei d'accordo, di inoltrare questo appello insieme al link alla nostra home page (
www.italiatibet.org) a chi ritieni della tua mailing list. Più persone scriveranno e più peso avrà la nostra richiesta!

A tutti un grazie per la collaborazione e molti cordiali saluti,

Associazione Italia-Tibet


Un problema di politica estera, anzi economica. La Cina si arrabbia ogni volta che uno Stato accoglie il Dalai Lama ufficialmente. Le nazioni mettono in atto le loro politiche in ordine sparso, spesso piegando la schiena sotto la pressione degli interessi economici, ed è questa la loro debolezza. A questo dovrebbe servire una politica estera unitaria e coerente della nostra Unione Europea, per questo io continuerò a sperare sull'evoluzione dell'Unione Europea.

sabato 24 novembre 2007

Domani 25 Novembre 2007



Giornata Internazionale per l'Eliminazione della Violenza contro le Donne



Oggi, domani, ogni giorno dell'anno, di tutti gli anni che ci vorranno ancora. Innanzitutto mettere fine all'impunità, che dipende dalle leggi inadeguate e dai costumi sociali, e dalle credenze antropologiche e religiose radicate nella profondità delle menti maschili ma anche di quelle femminili.


 


giovedì 22 novembre 2007

La menzogna come sistema



Clicca qui: www.youtube.com/watch


Il video l'ho copiato dal Blog di Beppe Grillo che ha un post sugli ultimi eventi berlusconiani e italiani: "L'informazione è la base della democrazia ".


L'ultimo "evento mediatico" realizzato da un ultrasettantenne che urlava scompostamente sul predellino di un'automobile mi ha sucitato pena per i suoi capelli bianchi spesi in uno spettacolo così poco dignitoso, incredulità di fronte all'ammissione definitiva di essere l'unico padrone del partito personale (da non farsi estorcere nemmeno sotto tortura), rabbia per il divertimento che l'anziano si concede usando la res publica a suo capriccio. Eppure non ce l'ho con lui. Nonostante i suoi soldi e le sue televisioni, chi sarebbe lui se non fosse sostenuto dal consenso di tanti? Meritava la sceneggiata tutta l'attenzione spasmodica che ha ricevuto? Non sarebbe bastato un trafiletto sulla distruzione del vecchio giocattolo e la costruzione di un nuovo giocattolo politico utile solo al suo padrone? Persino Bertinotti l'ha definito geniale, come tanti altri. Geniale lo sfacciato annullamento di ogni principio democratico? Boh! 


 


Un soldato sleale


di GIUSEPPE D'AVANZO




CHE il generale Roberto Speciale fosse un soldato sleale, s'era avuto già modo di apprezzarlo. Che un militare che giura fedeltà alla Repubblica e all'osservanza della Costituzione potesse spingersi fino a un gesto eversivo di insubordinazione allo Stato democratico, anche il più severo dei suoi critici non avrebbe potuto immaginarlo.

Invece, è accaduto, accade - ed è la vera questione da affrontare - nell'indifferenza di istituzioni distratte o intimidite, nel silenzio di una politica incapace di guardare oltre la propria mediocre convenienza del momento. Come se in questa storia non fossero in gioco le ragioni prime di una democrazia: la legittimità di un governo eletto dal Parlamento; le sue prerogative di organo costituzionale chiamato ad assolvere il compito di direzione politica del Paese.

E' questa legittimità costituzionale che il generale Speciale, con la sua grottesca lettera di dimissioni, nega, rifiuta, disprezza, umilia. E' alquanto minimalista - quasi gregario - definire soltanto "irrituale" quella lettera, come capita a Romano Prodi. Assai poco convenzionale è per il Quirinale dichiarare - nei fatti - ricevibile quella missiva offensiva per il governo, per poi trasmetterla a Palazzo Chigi.

L'iniziativa di Speciale è davvero soltanto irrituale e il destinatario della lettera può essere correttamente il capo dello Stato? E' difficile sostenerlo e pare grave accettarlo senza batter ciglio.

Il generale infedele sostiene di avere conquistato "il diritto" ad essere comandante della Guardia di Finanza: "gli spetta", dice. E' un diritto che nessuno gli ha riconosciuto. Non glielo riconoscono a parole nemmeno i suoi avvocati, figurarsi se poteva riconoscerglielo con una sentenza la magistratura amministrativa.


Non è, infatti, nella disponibilità di un tribunale amministrativo il rapporto fiduciario del governo, di cui il capo di un corpo militare deve godere. Questa fiducia, al di là delle leggerezze amministrative commesse dallo staff di Tommaso Padoa-Schioppa, Roberto Speciale non ce l'ha, l'ha irrimediabilmente perduta. Tanto basta per dire che mai il generale sarebbe ritornato al comando della Finanza, come conferma anche il ministro dell'Economia.

Al contrario, autoproclamatosi "di diritto" comandante - manco fossimo in una Repubblica delle Banane - il generale, bontà sua, decide di dimettersi. La grammatica istituzionale, nelle sue mosse, degrada a boutade.

Prendiamolo sul serio soltanto per un momento. Ritiene di essere ancora il comandante generale della Guardia di Finanza. Vuole abbandonare, offeso nella sua dignità di soldato. Nelle mani di chi deve farlo, di chi ha il dovere di farlo? La legge è lì per essere rispettata. Articolo 1 della legge 23 aprile 1959, n. 159: "Il Corpo della Guardia di Finanza dipende direttamente e a tutti gli effetti dal ministro della Finanze".

Un principio ordinamentale così netto ed esplicito (inconsueto in un sistema giuridico che ama l'indeterminatezza) avrebbe dovuto imporre al generale Speciale di rimettere il mandato - che si è caricaturalmente assegnato - nelle mani del ministro dell'Economia. Non lo fa perché "non vuole collaborare con questo governo", scrive. Poco male, il governo potrà soltanto guadagnarci.

La faccenda si potrebbe liquidare così soltanto se non fosse assai sinistro che un generale, al comando di 59.874 militari in armi, non accetta di essere alle "dirette dipendenze" di un governo che gode della piena fiducia del Parlamento. Roberto Speciale non ne riconosce il potere, la legittimità, il dovere costituzionale di decidere dell'indirizzo politico e amministrativo del Paese e quindi anche di scegliere chi deve essere o non deve essere alla guida di un corpo, "parte integrante delle Forze Armate dello Stato e della forza pubblica".

Scrive al presidente della Repubblica, perché "è al di sopra di tutto, anche della politica, anche del governo". E' uno schiaffo all'Esecutivo, che non sorprende in un soldato infedele. Stupisce che il Quirinale accetti di ricevere la lettera del generale. Che, implicitamente, acconsenta che Speciale possa dimettersi da una responsabilità che non ha più e che nessuno - tanto meno il governo - gli ha riconosciuto.

Meraviglia che il presidente della Repubblica acconsenta che un generale non si dimetta nelle mani dell'autorità politica a cui è sottordinato, di cui è dipendente. Confonde che il capo dello Stato accetti di svolgere il ruolo del tutto improprio di destinatario di una lettera che abusivamente gli è stata consegnata, chiudendo gli occhi sul disprezzo che il generale assegna al governo per di più prendendo per buono un presunto "spirito di servizio verso le istituzioni".

E' un pericoloso, e inedito, precedente nella storia della Repubblica. Dovremo presto attenderci che il capo della polizia rifiuti di dimettersi nelle mani del ministro dell'Interno o che il capo di Stato maggiore della Difesa non consegni il suo addio al ministro della Difesa, tanto del governo si può fare a meno?

La sensazione è che questo "caso Speciale", nato dalla debolezza del governo e dalla volontà di compromesso con un minaccioso network spionistico e illegale, di cui il generale è stato attore di prima fila, moltiplicherà le sue muffe, se non affrontato con energia. Di compromesso in compromesso, di timidezza in timidezza, siamo arrivati alla delegittimazione dei poteri del governo.

Considerare quel soldato sleale e infedele, come pare fare oggi la maggioranza, soltanto un dissipatore di risorse pubbliche per qualche viaggio a sbafo in elicottero non è una buona strada. Meglio sarebbe ricordare la proposta del generale "tutto d'un pezzo" di violare i segreti d'ufficio avanzata al vice-ministro Visco (e rifiutata). O tenere a mente quando, con il governo di centro-destra, i segreti della Guardia di Finanza diventavano pubblici per essere utilizzati, in piena campagna elettorale, da Silvio Berlusconi con denunce alla magistratura. Pensare di lisciare il pelo a quel soldato e ai soldati come lui, è peggio di una cattiva idea. E' un errore politico e istituzionale.

La Repubblica, 18 dicembre 2007 - qui


 

martedì 20 novembre 2007

CONVENZIONE SUI DIRITTI DELL'INFANZIA

Convenzione sui diritti dell'infanzia approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata dall'Italia con legge del 27 maggio 1991 n.176.


"Secondo la definizione della Convenzione sono "bambini" (il termine inglese "children", in realtà, andrebbe tradotto in "bambini e adolescenti") gli individui di età inferiore ai 18 anni (art. 1), il cui interesse deve essere tenuto in primaria considerazione in ogni circostanza (art. 3).
 
Tutela il diritto alla vita (art. 6), nonché il diritto alla salute e alla possibilità di beneficiare del servizio sanitario (art. 24), il diritto di esprimere la propria opinione (art. 12) e ad essere informati (art. 13).
 
I bambini hanno diritto al nome, tramite la registrazione all'anagrafe subito dopo la nascita, nonché alla nazionalità (art.7), hanno il diritto di avere un'istruzione (art. 28 e 29), quello di giocare (art. 31) e quello di essere tutelati da tutte le forme di sfruttamento e di abuso (art. 34)." [ dal sito: UNICEF  ]

domenica 18 novembre 2007

Senatori a vita


"Credo doveroso che l'opinione pubblica esprima gratitudine - al di là delle convinzioni politiche - a quei senatori a vita che si sono sobbarcati ad una scelta di campo non per sostenere un governo ma per assicurare al paese quel minimo di stabilità possibile nelle condizioni esistenti, evitando rischiosissime avventure. Spesso sono stati ricoperti di insulti che hanno affrontato con dignitosa sopportazione.

Nel loro comportamento non c'è e non ci poteva essere alcun tornaconto e alcun calcolo personale né retropensieri di sorta né capricciose meschinità da soddisfare ma soltanto il diritto-dovere di salvaguardare le istituzioni e il tessuto connettivo della nostra società.

Ne faccio i nomi: Andreotti, Ciampi, Colombo, Levi Montalcini, Scalfaro. Ad essi il nostro rispettoso saluto e augurio di buona vita."

Eugenio Scalfari, 18 novembre 2007


Mi associo ai ringraziamenti di Scalfari e alla sua valutazione dell'attuale situazione politica italiana, artatamente costruita da chi "scese in campo" solo ed esclusivamente per i propri interessi personali (che evito di definire). Siamo in democrazia, è vero, le decisioni le ha prese il popolo sovrano con il voto, ma è uno strano immemore popolo sovrano, per quanto sempre rispettabile. Per dirne una, si parla della "porcata elettorale" come se fosse arrivata da chissà dove e senza mai far rilevare con tutta la forza possibile che fu l'ultimo atto politico della precedente ampia maggioranza. Tutti sembrano aver dimenticato. E che opposizione è questa che ha l'unico scopo di "mandare a casa Prodi" e non solo non lavora ma impedisce di svolgere i lavori parlamentari di cui tutti noi abbiamo bisogno? Possibile che la loro unica missione sia stata finore far cadere un governo comunque democraticamente eletto? Prendono stipendi e prebende per fare le leggi e far funzionare lo Stato, controllando e anche ostacolando le scelte della maggioranza, se è il caso. E, invece, no. Unica missione, qualcuno direbbe "mission", mandare a casa Prodi.


mercoledì 14 novembre 2007

VIRTU' (3)  .  Pazienza


      L'etica della virtù


Per trasformare noi stessi, e quindi le nostre abitudini e inclinazioni, per poter agire in modo compassionevole, è necessario che ci impegniamo in ciò che potremmo chiamare un'etica della virtù. Oltre che astenerci dai pensieri e dalle emozioni negative, dobbiamo coltivare e rinforzare le nostre qualità positive. Quali sono? Sono le qualità umane, o spirituali fondamentali.


Dopo la compassione (nying je), la qualità più importante è quella che in tibetano chiamiamo so pa. Ancora una volta, abbiamo un termine che non ha un equivalente in altre lingue, anche se i concetti a cui si riferisce sono universali. Spesso so pa è tradotto semplicemente con il termine "pazienza" sebbene il suo significato letterale sia "capace di sopportare" o "capace di resistere". Esso implica anche una nozione di risolutezza e denota quindi una risposta ponderata (l'opposto di una reazione impulsiva) ai pensieri e alle emozioni fortemente negative quando ci troviamo di fronte al  male. So pa ci dà la forza di resistere alla sofferenza e ci consente un atteggiamento compassionevole anche nei confronti di coloro che vorrebbero nuocerci. ... So pa è quindi il mezzo che ci consente di praticare la vera non violenza. ... So pa non deve essere confuso con passività. Anche l'adozione di contromisure vigorose può essere compatibile con la pratica di so pa. ...


La paziente sopportazione è la qualità grazie alla quale riusciamo a impedire che i pensieri e le emozioni negative facciano presa su di noi. Essa preserva la pace della mente nelle avversità. Se praticheremo la pazienza in questo modo, la nostra condotta sarà corretta dal punto di vista etico. [continua]


Soltanto guardare il volto del Dalai Lama mi rasserena. Così il suo pensiero.


 



da Una rivoluzione per la pace, Sperling & Kupfer, pagg. 89-91

giovedì 8 novembre 2007



Quale sarebbe il mio reato?

Enzo Biagi



Non è un gran giorno per l'Italia: per quello che succede in casa e per quello che si dice fuori.
(...) Ma c'è, anche, chi all'estero parla di crimine. Da Sofia il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, non trova di meglio che segnalare tre biechi individui, in ordine alfabetico: Biagi, Luttazzi, Santoro che, cito tra virgolette: «Hanno fatto un uso della televisione pubblica - pagata con i soldi di tutti - criminoso. Credo sia un preciso dovere della nuova dirigenza Rai di non permettere più che questo avvenga». Chiuse le virgolette.
Quale sarebbe il reato? Stupro, assassinio, rapina, furto, incitamento alla delinquenza, falso e diffamazione? Denunci.
Poi il Presidente Berlusconi, siccome non prevede nei tre biechi personaggi pentimento o redenzione - pur non avendo niente di personale - lascerebbe intendere, se interpretiamo bene, che dovrebbero togliere il disturbo.
Signor Presidente Berlusconi dia disposizione di procedere, perché la mia età e il senso di rispetto che ho per me stesso, mi vietano di adeguarmi ai suoi desideri.
Sono ancora convinto che in questa nostra Repubblica ci sia spazio per la libertà di stampa. E ci sia, perfino, in questa azienda che, essendo proprio di tutti, come lei dice, vorrà sentire tutte le opinioni. Perché questo, signor Presidente, è il principio della democrazia. Sta scritto, dia un'occhiata, nella Costituzione.
(...) Questa, tra l'altro, viene presentata come televisione di stato, anche se qualcuno tende a farla di Governo, ma è il pubblico che giudica.
(...) Lavoro qui dal 1961 e sono affezionato a questa azienda. Ed è la prima volta che un Presidente del Consiglio decide il Palinsesto, cioè i programmi, e chiede che due giornalisti, Biagi e Santoro, dovrebbero entrare nella categoria dei disoccupati.
L'idea poi di cacciare il comico Luttazzi è più da impresario, quale lei è del resto, che da statista.
Cari telespettatori, questa potrebbe essere l'ultima puntata de «Il Fatto». Dopo 814 trasmissioni, non è il caso di commemorarci. Eventualmente, è meglio essere cacciati per aver detto qualche verità, che restare a prezzo di certi patteggiamenti.
(...) Qualcuno mi accuserà di un uso personale del mio programma che, del resto, faccio da anni, ma per raccontare una storia che va al di là della mia trascurabile persona e che coinvolge un problema fondamentale: quello della libertà di espressione. (stralci da «Il Fatto», 18 aprile 2001) Il Manifesto, 7 novembre 2007


*

INFORMAZIONI E FATTI



"L'estremo oltraggio" >>> QUI <<<

Inevitabile parlare di questa amarissima vicenda dopo le omissioni nei servizi televisivi (Tg1 in testa) e dopo aver sentito le ennesime affermazioni dell'uomo dell'editto bulgaro: «Al di là delle vicende che ci hanno qualche volta diviso, rendo omaggio ad uno dei protagonisti del giornalismo italiano cui sono stato per lungo tempo legato da un rapporto di cordialità che nasceva dalla stima». Certo sarebbe più importante parlare di qualcosa di positivo, ma ancora oggi è purtroppo il caso di sottolineare che l'informazione in Italia non è né completa né corretta. Sono sicura che Enzo Biagi non me ne vorrebbe, anzi.

martedì 6 novembre 2007


BIRMANIA LIBERA - TIBET LIBERO


APPUNTAMENTO CON LA BIRMANIA A ROMA IL 6 NOVEMBRE ALLE 18


Informazioni in: BIRMANIA LIBERA - di Pierluigi Mantini* ( Parlamentare italiano, Intergruppo Amici del Tibet ). Da sottolineare:


"Un appuntamento di rilievo è la visita del Dalai Lama a Milano ( 8 dicembre ) e a Roma ( 13 dicembre ) ed in tal senso stiamo preparando iniziative di rilievo, anche nella prospettiva di un meeting mondiale dei parlamentari per il Tibet, a Roma, nella primavera prossima. Sullo sfondo vi sono le iniziative possibili per la democrazia e i diritti umani in occasione dei Giochi Olimpici del 2008 in Cina."



*



Oggi il giorno della morte di Enzo Biagi. L'ho ammirato e seguito molto nel suo lavoro. L'ho anche ringraziato e rimpianto molto negli anni bui dell'editto bulgaro (pensare che erano gli ultimi anni della sua vita e che poco avremmo potuto recuperare!). L'ho ringraziato per aver tenuto la schiena diritta e aver affermato il valore della libertà di pensiero, della dignità personale e della giustizia in ogni occasione. Addio, caro Enzo Biagi, vale atque vale!


domenica 4 novembre 2007

   Serenità Raziocinio Giustizia


Aveva una rosa rossa in mano Giovanni Gumiero mentre assisteva al funerale al funerale della moglie Giovanna Reggiani, la signora trucidata a Roma. Solo pallidamente si può immaginare il suo dolore, forse misto a una giusta umanissima rabbia. Eppure Giovanni Gumiero ha potuto dire queste parole:


"Sappiamo e dobbiamo distinguere le persone, un rom da un rom, un romeno da un romeno, un italiano da un altro italiano".


Il fratello della signora Giovanna, Luca Reggiani, si era poco prima rivolto alla sorella morta dicendo:


 "Cara Giovanna, il babbo e la mamma ci hanno insegnato la tolleranza e l'importanza dell'amore. Noi fratelli abbiamo sempre avuto uno spirito libero, grazie ai nostri genitori. Ricordiamoci che il silenzio non è sempre muto. Ciao sorella".


Ma vorrei offrire una rosa anche a Emilia, la "zingara" che ha tentato di salvare la signora e ha denunciato l'aggressore, esponendosi al pericolo mortale della ritorsione. Una rom anche lei. Per distinguere "un rom da un rom", come ha detto il marito della vittima, alla quale abbiamo il dovere di offrire amore e giustizia, accogliendo l'insegnamento delle persone a lei più care.



Copio e incollo qui di seguito l'articolo di Barbara Spinelli per conservare un'analisi politica straordinaria.


L'Europa e il tabù dei Rom di Barbara Spinelli


La risposta delle autorità pubbliche al massacro di Giovanna Reggiani è stata ferma, netta: non c’è spazio in Italia per chi vive derubando, violando, uccidendo. C’è qualcosa di sacro nel bisogno di sicurezza sempre più acutamente sentito dagli italiani, così come c’è qualcosa di sacro nell’ospitalità, nell’apertura al diverso, nella circolazione libera dentro l’Unione.

Quest’antinomia permane ma comincia a esser vissuta come un ostacolo, anziché come una convivenza di norme contrastanti (di nòmos) che vivifica l’Europa pur essendo ardua. È un’antinomia che educa a vivere con due imperativi: l’apertura delle porte ma anche la loro chiusura se necessario. Molti chiedono negli ultimi giorni di «interrompere i flussi migratori»: la collera suscitata dal crimine di Tor di Quinto ha rotto un argine, anche nel nuovo Partito democratico, e d’un tratto sembra che solo un imperativo conti: le porte chiuse.

Su un quotidiano di sinistra, l’Unità, sono apparse parole strane. Si è parlato, a proposito del quartiere del delitto, di «tutta un’umanità brutta sporca e cattiva»; si è parlato di «città italiane che funzionano come miele per le mosche di uno sciame incontrollato che viene dall’Est Europa». L’umanità sporca, lo sciame di mosche: è vero, un tabù cade a sinistra e tanti se ne felicitano, constatando che finalmente il buonismo è stato smesso e che la sinistra non va più alla ricerca dei motivi sociali della delinquenza ma si concentra sulla repressione e le vittime.

Gli imperativi dell’apertura s’appannano, la tensione vivificante fra norme diverse svanisce, entriamo in un mondo che promette certezze monolitiche: basta interrompere i flussi, e il male scompare. Spesso il capro espiatorio nasce così, con questa riduzione a uno del molteplice, del complesso. Spesso nascono così i pogrom, come quello scatenato venerdì sera contro i romeni nel quartiere romano di Tor Bella Monaca: dall’Ottocento hanno questo nome, in Europa, le spedizioni punitive contro i diversi.

Anche le ideologie nascono così, fantasticando scorciatoie che risolvono tutto subito. Oggi è la destra a sognare utopie simili, e la sinistra riformatrice s’accoda sperando di ricavare guadagni elettorali. La distruzione dei campi rom è parte di quest’ideologia. Un’ideologia irrealistica perché l’immigrazione non sarà fermata e l’Europa ne ha bisogno. La Spagna sembra esserne consapevole e non a caso è diventata il Paese con il più alto numero di immigrati e progetti d’integrazione. La ripresa della natalità iberica è dovuta a questo. Chi parla dell’immigrazione come di male evitabile sbaglia due volte: perché non è evitabile, e perché in sé non è un male.

Se non si vuole che sia un male occorre governarlo bene, il che vuol dire: non solo reprimendo, ma reinventando politiche in Italia e nell’Unione. Perché europei sono i dilemmi ed europeo sarà l’inizio della soluzione. Perché il tabù di cui tanto si discute non è quello indicato (buonismo, tolleranza). Il vero tabù, che impedisce con i suoi interdetti di vedere e dire la realtà, è un altro: è la questione Rom ed è l’inerzia con cui la si affronta nel dialogo con l’Est da dove vengono i cosiddetti nomadi. Fuggiti dall’India nell’anno 1000, giunti in Europa nel Trecento, i Rom assieme ai Sinti sono chiamati spregiativamente zingari, parlano una lingua derivata dal sanscrito, in genere sono cristiani (la parola Rom, come Adamo, significa «persona». I più vivono in Romania). Siamo in emergenza, è vero. Ma non è solo emergenza sicurezza. C’è emergenza europea sui diritti dell’uomo e delle minoranze. C’è una doppia inerzia: nelle strategie d’integrazione e nei rapporti tra Stati europei.

Quest’emergenza è acuta a Est, da quando è finito il comunismo: in Romania è specialmente vistosa ma la malattia s’estende a Slovacchia, Ungheria, Repubblica ceca, Kosovo. Al concetto unificatore di classe è succeduto dopo l’89 il senso d’appartenenza alle etnie, e vecchie passioni come xenofobia e razzismo, non superate ma addormentate durante il comunismo, sono riapparse: i più invisi sono i Rom - oltre agli ungheresi che non vivono in Ungheria - e il loro migrare a Ovest è intrecciato a questa ostilità dentro i Paesi dell’Est e fra diversi emigrati dell’Est.

È quello che i rappresentanti Rom in Europa denunciano ultimamente con forza (sono circa 8 milioni, su 15 nel mondo). La Romania, in particolare, è accusata di attuare un politica sistematica di espulsione di Rom, da quando è entrata nell’Unione all’inizio del 2007. Il ministro dell’Interno, Amato ha evocato a settembre un «vero e proprio esodo di nomadi dalla Romania», e di esodo in effetti si tratta: ma esodo forzato, nell’indifferenza europea. Dicono i rappresentanti Rom che i membri della comunità in Romania son cacciati dagli alloggi, dai lavori, dalle scuole, e per questo preferiscono le topaie italiane. Il ministro Ferrero, responsabile della Solidarietà sociale, dice il vero quando nega che l’esodo sia essenzialmente economico: la Romania non è più così povera, sono xenofobia e razzismo a colpire oggi i Rom.

Queste cose andrebbero ricordate a Bucarest, cosa che hanno tentato di fare Amato e Ferrero in un recente incontro con il ministro romeno dell’Interno, David. Ferrero ha cercato lumi presso il Forum europeo dei Rom e tentato di mettere alle strette David. Dall’incontro è nata la convocazione di un tavolo permanente di negoziato: presto si riunirà a Bucarest. Proprio perché è nell’Unione, la Romania deve rispondere di quel che fa con i propri Rom (2 milioni, secondo stime ufficiose).

Discutere di queste cose con Bucarest e altri governi dell’Est è urgente. Un patto è stato infatti rotto, che pure era assai chiaro. Ai tempi dei negoziati d’adesione, i candidati si erano impegnati a rispettare i criteri di Copenhagen, che non riguardano solo l’economia ma le «istituzioni capaci di garantire democrazia, primato del diritto, diritti dell’uomo, rispetto delle minoranze e loro protezione». Ingenti fondi son devoluti da anni a tale scopo (il programma europeo Phare, cui si aggiungono finanziamenti della Fondazione Soros, della Banca Mondiale) intesi a frenare la «discriminazione fondata sulla razza e l’origine etnica».

È accaduto tuttavia che una volta entrati, numerosi governi dell’Est hanno fatto marcia indietro (il regime Kaczynski in Polonia è stato un esempio). Ed è così che si è riaccesa l’ostilità verso i Rom: questa etnia perseguitata da un millennio e decimata nei campi nazisti. Paragonarli a uno sciame di mosche non è anodino. Significa che l’Italia (per come parla o chiede azioni) comincia ad assomigliare a quegli europei dell’Est che stanno arretrando e riproponendo, ancora una volta nel continente, il dramma Rom. Certo urge controllare meglio i flussi migratori: ma non si può farlo accusando intere etnie (Rom, Romeni, Albanesi) per il delitto di alcuni. Non si può governare alcunché se non si prende distanza dalla strategia di cui Bucarest è oggi sospettata.

La caduta dei tabù comporta anche il formarsi di idee completamente false. Con disinvoltura i Rom son descritti come non integrabili, nomadi, dediti al furto. I dati smentiscono queste nozioni. In Italia la comunità Rom è composta in stragrande maggioranza di sedentari, non di nomadi. E tentativi molto validi di integrazione hanno dimostrato che quest’ultima può riuscire.

Ci sono iniziative della Chiesa: le ha spiegate sul Corriere don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità a Milano. E ci sono iniziative pubbliche preziose: a Pisa, Napoli, Venezia. Pisa è esemplare perché i risultati sono eccezionali: nei campi vivevano 700 Rom, dieci-dodici anni fa. Solo due bambini erano scolarizzati. Il Comune si è incaricato di trovar loro lavoro e alloggi, scegliendo un mediatore per negoziare con i vicini. Appena emancipati, i Rom uscivano dal programma d’assistenza e i fondi servivano a integrare altri loro connazionali. Nel frattempo, si spingevano le famiglie a scolarizzare i figli. In dieci anni, 670 Rom su 700 sono stati inseriti, e tutti i bambini vanno a scuola. Certo la comunità in Italia è divisa: alcuni chiedono più campi, mentre i più vogliono superarli proprio perché il nomadismo è meno diffuso di quel che si dice: il 90 per cento dei Rom (140 mila nel 2005, in parte italiani) non sono camminanti bensì - da decenni - sedentari.

Per riuscire in simili operazioni bisogna abbandonare l’utopia, privilegiando fatti ed esperienze. Ambedue confermano che l’integrazione resta indispensabile, che chiuder le porte non basta, che è necessario far luce sui pericoli che corre non solo la sicurezza ma la democrazia. Dice Franz Kafka: «Bisognerà pure che nel campo dei dormienti qualcuno attizzi il fuoco nella notte». Questo invito a far luce sui veri tabù vale per i dormienti dell’Est e per l’Europa. Vale per i Rom (il loro faro non dovrebbe esser la figura della vittima ma la donna Rom che s’è sdraiata sull’asfalto davanti a un autobus per denunciare il Rom assassino di Giovanna Reggiani) e vale per la destra come per la sinistra italiana. [ La Stampa, 4 novembre 2007. QUI ]

giovedì 1 novembre 2007


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PINK: "Dear Mr. President"  (feat. Indigo Girls)


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Dear Mr. President,    Caro sig Presidente
Come take a walk with me.   
Vieni a fare una passeggiata con me
Let's pretend we're just two people and   
facciamo finta di essere semplicemente due persone
You're not better than me.   
Tu non sei migliore di me
I'd like to ask you some questions if we can speak honestly.
Mi piacerebbe farti alcune domande se possiamo parlarci onestamente

What do you feel when you see all the homeless on the street? 
cosa provi quando vedi I senzatetto nelle strade?
Who do you pray for at night before you go to sleep?
Per chi preghi prima di andare a dormire?
What do you feel when you look in the mirror?
Cosa provi quando guardi nello specchio?
Are you proud? Ti senti orgoglioso?


How do you sleep while the rest of us cry?
Come fai a dormire mentre noi altri gridiamo (urliamo)
How do you dream when a mother has no chance to say goodbye?
Come fai a sognare quando una madre non ha l’occasione di dire addio?
How do you walk with your head held high? Come puoi camminare tenendo la testa alta?

Can you even look me in the eye puoi (almeno) guardarmi neglio occhi
And tell me why?
E dirmi perchè?


Dear Mr. President,
Were you a lonely boy?
Eri un ragazzino solitario
Are you a lonely boy?
Sei un ragazzino solitario
Are you a lonely boy?
How can you say 
come puoi dire

No child is left behind?
Che nessun figlio è lasciato indietro?
We're not dumb and we're not blind.
Noi non siamo muti ne ciechi
They're all sitting in your cells 
sono tutti seduti nelle tue celle
While you pave the road to hell.
Mentre tu lastrichi la strada per l’inferno

What kind of father would take his own daughter's rights away?
Che tipo di padre toglierebbe I diritti alla propria figlia?
And what kind of father might hate his own daughter if she were gay?
Che tipo di padre odierebbe la propri figlia se fosse gay?
I can only imagine what the first lady has to say
posso solo immaginare cosa abbia da dire la first lady
You've come a long way from whiskey and cocaine
. Hai fatto tanta strada dal whiskey e la cocaina

How do you sleep while the rest of us cry?
Come fai a dormire mentre noi altri gridiamo (urliamo, piangiamo)

How do you dream when a mother has no chance to say goodbye?
Come fai a sognare quando una madre non ha l’occasione di dire addio?

How do you walk with your head held high? Come puoi camminare tenendo la testa alta?
Can you even look me in the eye?
Puoi(almeno) guardarmi neglio occhi

Let me tell you 'bout hard work
lasciami parlare di  duro lavoro
Minimum wage with a baby on the way
paga minima con un bambino in arrivo (incinta)
Let me tell you 'bout hard work lasciami parlare di duro lavoro

Rebuilding your house after the bombs took them away
ricostruire la tua casa dopo che le bombe le hanno spazzate via
Let me tell you 'bout hard work
lasciami parlare di duro lavoro
Building a bed out of a cardboard box
costruire un letto con una scatola di cartone
Let me tell you 'bout hard work
lasciami parlare di duro lavoro
Hard work duro lavoro

Hard work
duro lavoro
You don't know nothing 'bout hard work
tu non sai nulla ruguardo al duro lavoro
Hard work
duro lavoro
Hard work duro lavoro
Oh

How do you sleep at night?
Come fai a dormire di notte?
How do you walk with your head held high? Come puoi camminare tenendo la testa alta?

Dear Mr. President,
You'd never take a walk with me.
Tu non faresti mai una passeggiata con me
Would you? Vero?