giovedì 29 marzo 2007

LA NOTA

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Era attesa con un'ansia tanto grande quanto ingiustificata, visto che siamo uno Stato libero e sovrano. E' arrivata, puntualmente e perfettamente in linea con le aspettative. E allora? Va bene , i Vescovi del Consiglio Permanente della C.E.I. hanno scritto e diffuso il proprio pensiero. Educatamente ne prendiamo atto e possiamo anche accettare eventuali indicazioni positive dell'importante documento. Possiamo addirittura ringraziare per tanta sollecitudine "pastorale" (metafora che non  mi piace, sorry). E infine ci prendiamo il diritto, anzi, ci assumiamo il dovere di valutarlo quel pensiero e di verificarne la compatibilita' con la nostra Legge Costituzionale e con i molti documenti internazionali che prescrivono il rispetto dei diritti umani.


Per questo mi pare giusto partire dalla lettura attenta del testo integrale della "NOTA". 

La mia lettura personale e' quella che segue. Ho sottolineato le affermazioni che mi sono sembrate di assoluta ovvieta', ho invece evidenziato in rosso le affermazioni che sono in contrasto con le leggi del nostro libero Stato e della comunita' internazionale, e che comunque stridono con il rispetto che anche i Vescovi devono a chi ha idee diverse dalle loro. Per esempio, mi sembra in contrasto con le nostre leggi chiamare i "legislatori cattolici" a venir meno alla lealta' dovuta alla Costituzione, mentre mi sembra offensivo parlare di "contesto culturale come quello attuale, nel quale la visione autenticamente umana della persona è contestata in modo radicale" per chi di quel contesto fa parte e certamente ha una visione "autenticamente umana della persona", nonostante le divergenze con i Vescovi. 


Ma il vero problema non e' la "nota" dei Vescovi, nonostante la violenza di alcune sue parti e l'ingerenza manifesta nei nostri affari interni. Il vero problema italiano e' l'indipendenza dei legislatori, perche' la certezza del diritto si fonda sulla loro fedelta' alle leggi della Repubblica Italiana. Saranno in grado di mantenere saldi questi due valori democratici?






Conferenza Episcopale Italiana, Nota del Consiglio Episcopale Permanente a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto 28.3.2007

L’ampio dibattito che si è aperto intorno ai temi fondamentali della vita e della famiglia ci chiama in causa come custodi di una verità e di una sapienza che traggono la loro origine dal Vangelo e che continuano a produrre frutti preziosi di amore, di fedeltà e di servizio agli altri, come testimoniano ogni giorno tante famiglie. Ci sentiamo responsabili di illuminare la coscienza dei credenti, perché trovino il modo migliore di incarnare la visione cristiana dell’uomo e della società nell’impegno quotidiano, personale e sociale, e di offrire ragioni valide e condivisibili da tutti a vantaggio del bene comune.


La Chiesa da sempre ha a cuore la famiglia e la sostiene con le sue cure e da sempre chiede che il legislatore la promuova e la difenda. Per questo, la presentazione di alcuni disegni di legge che intendono legalizzare le unioni di fatto ancora una volta è stata oggetto di riflessione nel corso dei nostri lavori, raccogliendo la voce di numerosi Vescovi che si sono già pubblicamente espressi in proposito. È compito infatti del Consiglio Episcopale Permanente "approvare dichiarazioni o documenti concernenti problemi di speciale rilievo per la Chiesa o per la società in Italia, che meritano un’autorevole considerazione e valutazione anche per favorire l’azione convergente dei Vescovi" (Statuto C.E.I., art. 23, b).


Non abbiamo interessi politici da affermare; solo sentiamo il dovere di dare il nostro contributo al bene comune, sollecitati oltretutto dalle richieste di tanti cittadini che si rivolgono a noi. Siamo convinti, insieme con moltissimi altri, anche non credenti, del valore rappresentato dalla famiglia per la crescita delle persone e della società intera. Ogni persona, prima di altre esperienze, è figlio, e ogni figlio proviene da una coppia formata da un uomo e una donna. Poter avere la sicurezza dell’affetto dei genitori, essere introdotti da loro nel mondo complesso della società, è un patrimonio incalcolabile di sicurezza e di fiducia nella vita. E questo patrimonio è garantito dalla famiglia fondata sul matrimonio, proprio per l’impegno che essa porta con sé: impegno di fedeltà stabile tra i coniugi e impegno di amore ed educazione dei figli.


Anche per la società l’esistenza della famiglia è una risorsa insostituibile, tutelata dalla stessa Costituzione italiana (cfr artt. 29 e 31). Anzitutto per il bene della procreazione dei figli: solo la famiglia aperta alla vita può essere considerata vera cellula della società perché garantisce la continuità e la cura delle generazioni. È quindi interesse della società e dello Stato che la famiglia sia solida e cresca nel modo più equilibrato possibile.


A partire da queste considerazioni, riteniamo la legalizzazione delle unioni di fatto inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo. Quale che sia l’intenzione di chi propone questa scelta, l’effetto sarebbe inevitabilmente deleterio per la famiglia. Si toglierebbe, infatti, al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro. Del resto, la storia insegna che ogni legge crea mentalità e costume.


Un problema ancor più grave sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile.


Queste riflessioni non pregiudicano il riconoscimento della dignità di ogni persona; a tutti confermiamo il nostro rispetto e la nostra sollecitudine pastorale. Vogliamo però ricordare che il diritto non esiste allo scopo di dare forma giuridica a qualsiasi tipo di convivenza o di fornire riconoscimenti ideologici: ha invece il fine di garantire risposte pubbliche a esigenze sociali che vanno al di là della dimensione privata dell’esistenza.


Siamo consapevoli che ci sono situazioni concrete nelle quali possono essere utili garanzie e tutele giuridiche per la persona che convive. A questa attenzione non siamo per principio contrari. Siamo però convinti che questo obiettivo sia perseguibile nell’ambito dei diritti individuali, senza ipotizzare una nuova figura giuridica che sarebbe alternativa al matrimonio e alla famiglia e produrrebbe più guasti di quelli che vorrebbe sanare.


Una parola impegnativa ci sentiamo di rivolgere specialmente ai cattolici che operano in ambito politico. Lo facciamo con l’insegnamento del Papa nella sua recente Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis: "i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana", tra i quali rientra "la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna" (n. 83). "I Vescovi – continua il Santo Padre – sono tenuti a richiamare costantemente tali valori; ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato" (ivi). Sarebbe quindi incoerente quel cristiano che sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto.


In particolare ricordiamo l’affermazione precisa della Congregazione per la Dottrina della Fede, secondo cui, nel caso di "un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge" (Considerazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 3 giugno 2003, n. 10).


Il fedele cristiano è tenuto a formare la propria coscienza confrontandosi seriamente con l’insegnamento del Magistero e pertanto non "può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società" (Nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24 novembre 2002, n. 5).


Comprendiamo la fatica e le tensioni sperimentate dai cattolici impegnati in politica in un contesto culturale come quello attuale, nel quale la visione autenticamente umana della persona è contestata in modo radicale. Ma è anche per questo che i cristiani sono chiamati a impegnarsi in politica.


Affidiamo queste riflessioni alla coscienza di tutti e in particolare a quanti hanno la responsabilità di fare le leggi, affinché si interroghino sulle scelte coerenti da compiere e sulle conseguenze future delle loro decisioni. Questa Nota rientra nella sollecitudine pastorale che l’intera comunità cristiana è chiamata quotidianamente ad esprimere verso le persone e le famiglie e che nasce dall’amore di Cristo per tutti i nostri fratelli in umanità.


Roma, 28 marzo 2007


I Vescovi del Consiglio Permanente della C.E.I.

14 commenti:

  1. Harmonia, io non sono d'accordo nemmeno su questa frase che tu hai sottolineato:
    il fedele cattolico "
    è tenuto a formare la propria coscienza confrontandosi seriamente con l’insegnamento del Magistero"
    NO
    la coscienza non si forma, la coscienza c'è già, precede essa stessa la forma della persona in cui si incarna: va svelata, riconosciuta e "agita" in base alla nostra percezione.
    Nessuno può formarcela o illuminarcela, sennò non è più la nostra coscienza è solo il riflesso della volontà altrui.
    Lorenz

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  2. Cara Harmonia, mi ha molto colpito l'aneddoto pubblicato oggi si Repubblica, di un politico cattolico interpellato a muso duro-in tempi passati- da un vescovo che gli chiese: "si deve ascoltare il magistero o la coscenza? " (Questo è in fondo il succo del problema.) La risposta fu : il magistero, Eminenza, che dice che si deve solo e sempre ascoltare la propria coscenza...( vale per chi ce l'ha, naturalmente...)

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  3. Quoto l'amico Vecchiodella montagna, che in poche righe ha sintetizzato efficacemente sia il mio pensiero sia quanto, secondo me, rimane da fare di essenziale e l'atteggiamento opportuno da tenere.
    Un bacio ( parto domani)

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  4. Quoto l'amico Vecchiodella montagna, che in poche righe ha sintetizzato efficacemente sia il mio pensiero sia quanto, secondo me, rimane da fare di essenziale e l'atteggiamento opportuno da tenere.
    Un bacio ( parto domani)

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  5. Sono per la libertà di decisione e scelta...senza intrusioni da parte di nessuno^^

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  6. Non posso che cndividere con te lo sdegno e direi quasi la rabbia che sgorga spontanea dal mio cuore in merito all'atteggiamento "ingerente" della chiesa cattolica nella vita dello Stato Italiano.D'altro canto questi signori si concedono molti più lissi di quanti ne siano concessi a Noi membri di una comunità di cittadini e principalmente di Donne e Uomini.Se vuoi conoscere le mie idee ho pubblicato una poesia a febbraio dal titolo "Fratello di Latta".Dobbiamo lottare senza mollare affinchè l'Italia non diventi una copia dell'Iran.

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  7. Io penso che se fossi ancora cattolica, me ne andrei un'altra volte disgustata. Ciao Giulia

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  8. toh, imparo ora da Pistorius che non esiste coscienza nel cattolicesimo. In settant'anni di frequentazioni non me ne ero mai accorto...

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  9. vecchio, meglio tardi che mai.
    lorenz

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  10. vecchio, meglio tardi che mai.
    lorenz

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  11. vecchio, meglio tardi che mai.
    lorenz

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  12. vecchio, meglio tardi che mai.
    lorenz

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  13. Caro Pistorius, tu confondi il cattolicesimo con la Gerarchia- Papa e Cardinali di Curia. E' un errore. Sono sicuro che prima o poi te ne renderai conto. Non è mai troppo tardi!

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