venerdì 28 novembre 2008


Senza uguaglianza la democrazia è un regime
di GUSTAVO ZAGREBELSKY


Regime o non-regime? Un confronto su questo dilemma, pur così tanto determinante rispetto al dovere morale che tutti riguarda, ora come sempre, qui come ovunque, di prendere posizione circa la conduzione politica del paese di cui si è cittadini, non è neppure incominciato. La ragione sta, probabilmente, in un' associazione di idee.


Se il "regime", inevitabilmente, è quello del ventennio fascista, allora la domanda se in Italia c' è un regime significa se c' è "il" o "un" fascismo; oppure, più in generale, se c' è qualcosa che gli assomigli in autoritarismo, arbitrio, provincialismo, demagogia, manipolazione del consenso, intolleranza, violenza, ecc. Così, una questione seria, anzi cruciale, viene attratta sul terreno, che non si presta all' analisi, della demonizzazione politica, funzionale all' isteria e allo scontro. Ma "regime" è un termine totalmente neutro, che significa semplicemente modo di reggere le società umane. Parliamo di "Ancien Régime", di regimi repubblicani e democratici, monarchici, parlamentari, presidenziali, liberali, totalitari e, tra gli altri, per l' appunto, di regime fascista.


Senza qualificazione, regime non ci dice nulla su cui ci sia da prendere posizione, perché l' essenziale sta nell' aggettivo. Così, assumendo la parola nel suo significato proprio, isolato dalle reminiscenze, la domanda iniziale cambia di senso: da "esiste attualmente un regime" in "il regime attuale è qualcosa di nuovo, rispetto al precedente"?


Che l' Italia viva un' esperienza costituzionale, forse ancora in divenire e dall' esito non scontato, che mira a non lasciarsi confondere con quella che l' ha preceduta: almeno di questo non c' è da dubitare. Lo pensano, e talora lo dicono, tanto i favorevoli, quanto i contrari, cioè lo pensiamo e lo diciamo tutti, con definizioni ora passatiste ora futuriste. Non lo si dice ufficialmente e a cifra tonda, perché il momento è, o sembra, ancora quello dell' incubazione. La covata è a mezzo. L' esito non è scritto.


La Costituzione del ' 48 non è abolita e, perciò, accredita l' impressione di una certa continuità. Ma è sottoposta a erosioni e svuotamenti di cui nessuno, per ora, può conoscere l' esito. Forze potenti sono all' opera per il suo superamento, ma altre forze possono mobilitarsi per la sua difesa. La Costituzione è in bilico. Che cosa significa "costituzione in bilico"? Innanzitutto, che non si vive in una legittimità costituzionale generalmente accettata, cioè in una sola concezione della giusta costituzione, ma in (almeno) due che si confrontano.


Ogni forma di reggimento politico si basa su un principio essenziale, una molla etica, il ressort di cui parla Montesquieu, trattando delle forme di governo nell' Esprit des lois. Quando questo principio essenziale è in consonanza con l' esprit général di un popolo, allora possiamo dire che la costituzione è legittima e, perciò, solida e accettata. Quando è dissonante, la costituzione è destinata crollare, a essere detronizzata. Se invece lo spirito pubblico è diviso, e dunque non esiste un esprit che possa dirsi général, questo è il momento dell' incertezza costituzionale, il momento della costituzione in bilico e della bilancia che prima o poi dovrà pendere da una parte. È il momento del conflitto latente, che non viene dichiarato perché i fautori della rottura costituzionale come quelli della continuità non si sentono abbastanza sicuri di sé e preferiscono allontanare il chiarimento. I primi aspettano il tempo più favorevole; i secondi attendono che passi sempre ancora un giorno di più, ingannando se stessi, non volendo vedere ciò che temono. Tutti attendono, ma i primi per prudenza, i secondi per ignavia. Non voler vedere, significa scambiare per accidentali deviazioni quelli che sono segni di un mutamento di rotta; significa sbagliare, prendendo per lucciole, cioè per piccole alterazioni che saranno presto dimenticate come momentanee illegalità, quelle che sono invece lanterne, cioè segni premonitori e preparazioni di una diversa legittimità. Così, si resta inerti. L' accumulo progressivo di materiali di costruzione del nuovo regime procede senza ostacoli e, prima o poi, farà massa. Allora, non sarà più possibile non voler vedere, ma sarà troppo tardi. 


Ciò che davvero qualifica e distingue i regimi politici nella loro natura più profonda e che segna il passaggio dall' uno all' altro, è l'atteggiamento di fronte all' uguaglianza, il valore politico, tra tutti, il più importante e, tra tutti però, oggi il più negletto, perfino talora deriso, a destra e a sinistra. Perché il più importante? Perché dall' uguaglianza dipendono tutti gli altri. Anzi, dipende il rovesciamento nel loro contrario.



Senza uguaglianza, la libertà vale come garanzia di prepotenza dei forti, cioè come oppressione dei deboli. Senza uguaglianza, la società, dividendosi in strati, diventa gerarchia. Senza uguaglianza, i diritti cambiano natura: per coloro che stanno in alto, diventano privilegi e, per quelli che stanno in basso, concessioni o carità. Senza uguaglianza, ciò che è giustizia per i primi è ingiustizia per i secondi. Senza uguaglianza, la solidarietà si trasforma in invidia sociale. Senza uguaglianza, le istituzioni, da luoghi di protezione e integrazione, diventano strumenti di oppressione e divisione. Senza uguaglianza, il merito viene sostituito dal patronaggio; le capacità dal conformismo e dalla sottomissione; la dignità dalla prostituzione.


Nell' essenziale: senza uguaglianza, la democrazia è oligarchia, un regime castale. Quando le oligarchie soppiantano la democrazia, le forme di quest' ultima (il voto, i partiti, l' informazione, la discussione, ecc.) possono anche non scomparire, ma si trasformano, anzi si rovesciano: i diritti di partecipazione politica diventano armi nelle mani di gruppi potere, per regolare conti della cui natura, da fuori, nemmeno si è consapevoli. Questi rovesciamenti avvengono spesso sotto la copertura di parole invariate (libertà, società, diritti, ecc.). Possiamo constatare allora la verità di questa legge generale: nel mondo della politica, le parole sono esposte a rovesciamenti di significato a seconda che siano pronunciate da sopra o da sotto della scala sociale.


Ciò vale a iniziare dalla parola "politica": forza sopraffattrice dal punto di vista dei forti, come nel binomio amico-nemico; oppure, dal punto di vista dei deboli, esperienza di convivenza, come suggerisce l' etimo di politéia. Un uso ambiguo, dunque, che giustifica la domanda a chi parla di politica: da che parte stai, degli inermi o dei potenti? La ricomposizione dei significati e quindi l' integrità della comunicazione politica sono possibili solo nella comune tensione all' uguaglianza.


Ritorniamo alla questione iniziale, se sia in corso, o se si sia già realizzato, un cambiamento di regime, dal punto di vista decisivo dell' uguaglianza. In ogni organizzazione di grandi numeri si insinua un potere oligarchico, cioè il contrario dell' uguaglianza. Anzi, più i numeri sono grandi, più questa è una legge "ferrea". E' la constatazione di un paradosso, o di una contraddizione della democrazia. Ma è molto diverso se l' uguaglianza è accantonata, tra i ferri vecchi della politica o le pie illusioni, oppure se è (ancora) valore dell' azione politica.


La costituzione - questa costituzione che assume l' uguaglianza come suo principio essenziale - è in bilico proprio su questo punto. Noi non possiamo non vedere che la società è ormai divisa in strati e che questi strati non sono comunicanti. Più in basso di tutti stanno gli invisibili, i senza diritti che noi, con la nostra legge, definiamo "clandestini", quelli per i quali, obbligati a tutto subire, non c' è legge; al vertice, i privilegiati, uniti in famiglie di sangue e d' interesse, per i quali, anche, non c' è legge, ma nel senso opposto, perché è tutto permesso e, se la legge è d' ostacolo, la si cambia, la si piega o non la si applica affatto. In mezzo, una società stratificata e sclerotizzata, tipo Ancien Régime, dove la mobilità è sempre più scarsa e la condizione sociale di nascita sempre più determina il destino. Se si accetta tutto ciò, il resto viene per conseguenza. Viene per conseguenza che la coercizione dello Stato sia inegualmente distribuita: maggiore quanto più si scende nella scala sociale, minore quanto più si sale; che il diritto penale, di fatto, sia un diritto classista e che, per i potenti, il processo penale non esista più; che nel campo dei diritti sociali la garanzia pubblica sia progressivamente sostituita dall' intervento privato, dove chi più ha, più può. Né sorprende che quello che la costituzione considera il primo diritto di cittadinanza, il lavoro, si riduca a una merce di cui fare mercato.


Analogamente, anche l' organizzazione del potere si sposta e si chiude in alto. L'oligarchia partitica non è che un riflesso della struttura sociale. La vigente legge elettorale, che attribuisce interamente ai loro organi dirigenti la scelta dei rappresentanti, escluso il voto di preferenza, non è che una conseguenza. Così come è una conseguenza l' allergia nei confronti dei pesi e contrappesi costituzionali e della separazione dei poteri, e nei confronti della complessità e della lunghezza delle procedure democratiche, parlamentari. Decidere bisogna, e dall' alto; il consenso, semmai, salirà poi dal basso. E' una conseguenza, infine, non la causa, la concentrazione di potere non solo politico ma anche economico-finanziario e cultural-mediatico. L' indipendenza relativa delle cosiddette tre funzioni sociali, da millenni considerata garanzia di equilibrio, buon governo delle società, è minacciata.


Ma il tema delle incompatibilità, cioè del conflitto di interessi, a destra come a sinistra, è stato accantonato. La causa è sempre e solo una: l' appannamento, per non dire di più, dell' uguaglianza e la rete di gerarchie che ne deriva. Qui si gioca la partita decisiva del "regime". Tutto il resto è conseguenza e pensare di rimettere le cose a posto, nelle tante ingiustizie e nelle tante forzature istituzionali senza affrontare la causa, significa girare a vuoto, anzi farsene complici. Nessun regime politico si riduce a un uomo solo, nemmeno i "dispotismi asiatici", dove tutto sembrava dipendere dall' arbitrio di uno solo, kahn, califfo, satrapo, sultano, o imperatore cinese. Sempre si tratta di potere organizzato in sistemi di relazioni. Alessandro Magno, il più "orientale" dei signori dell' Occidente, perse il suo impero perché (dice Plutarco), mentre trattava i Greci come un capo, cioè come fossero parenti e amici, «si comportava con i barbari come con animali o piante», cioè meri oggetti di dominio, «così riempiendo il suo regno di esìli, destinati a produrre guerre e sedizioni». Sarà pur vero che comportamenti di quest'ultimo genere non mancano, ma non vedere il sistema su cui si innestano e li producono significa trascurarne le cause per restare alla superficie, spesso solo al folklore. - GUSTAVO ZAGREBELSKY - La Repubblica, 26 novembre 2008 - QUI


Aggiornamento del 29 novembre 2008


Berlusconismo (3)


Il mancato rispetto dell'uguaglianza così com'è declinata nella nostra Costituzione è il grande error che riscontro nella politica berlusconista e, in parte, addirittura nella politica della "sinistra". A sinistra, tuttavia, il principio dell' "uguaglianza dei cittadini davanti alla legge" non è disconosciuto nella teoria e nella prassi come dal leader massimo del berlusconismo.


Il partito politico fondato da Berlusconi proprio sulla disuguaglianza si fonda, a cominciare dalle posizioni e dalle azioni, in Parlamento e fuori, del grande capo unico, non eletto ma acclamato in ogni circostanza più o meno decisiva.


Sto pensando, in campo legislativo, a tutta le serie delle leggi ad personam e ad personas, e in particolare alla peggiore in assoluto: il lodo Alfano. Se la Corte Costituzionale dovesse ritenerlo costituzionale, per me sarebbe un momento di gravissimo sconforto, perché nulla impedirebbe poi di allargare la disuguaglianza proclamata dal lodo Alfano a un numero imprevedibile di altri personaggi (ministri, parlamentari e quant'altro) fino a creare una casta di intoccabili dalla legge per legge.


Se non vale il principio "della pari dignità sociale e dell'uguaglianza davanti alla legge" (art. 39), si rafforazano le gerarchie di potere, le famigerate caste che prosperano sul mantenimento di piccoli, grandi e grandissimi conflitti d'interessi. Senza eccessive distinzioni, purtroppo, tra destra e sinistra, ma è il caso di sottolineare che il massimo conflitto d'interessi, quello che stupisce il mondo intero, è concentrato nel leader massimo del berlusconismo: Berlusconi stesso. E così via, quasi questa fosse una "fatalità" caduta sul popolo italiano, una parte del quale sembra contento di questa situazione. Mi domando come sia possibile. e sulla crisi spaventosa provocata da una dottrina economia disumana, recepisco qui l'analisi di Massimo Giannini su La Repubblica di oggi: Una manovra da 10 minuti, a proposito dei rimedi messi in atto dal ministro Tremonti e da un velocissimo Consiglio dei ministri. Ma, tant'è, per dire sì al leader massimo, dieci minuti sono anche troppi. Basta la fiducia. A occhi chiusi, perinde ac cadaver.



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Dalai Lama - Photograph: Murdo MacLeod


«Esiste il male ed esistono i cattivi, certo, ma la maggior parte dei sei miliardi di persone che abitano questo pianeta sono capaci di compassione e gentilezza. Se pensiamo questo, ci sarà futuro per il pianeta». Dalai Lama


Un pensiero del Dalai Lama per dare respiro all'anima e far volare la mente con l'ottimismo della saggezza.

giovedì 27 novembre 2008

Una Nuova Rivoluzione




La crescita infinita? E' finita. Il coraggio di fare la rivoluzione


di Loretta Napoleoni - Internazionale - 25/11/08


loretta napoleoni“Per uscire dalla spirale della crescita infinita c’è bisogno di un gesto radicale: inventare un’altra teoria economica”.

Cos’hanno in comune il nuovo presidente degli Stati Uniti e il pianeta? Tutti e due rischiano di deluderci per mancanza d’idee. Senza una nuova teoria economica, Barack Obama non attuerà il programma di giustizia sociale che l’ha portato alla Casa Bianca e la Terra non riuscirà a soddisfare il nostro bisogno di risorse.



La prima frase del Nuovo testamento economico potrebbe essere: “E poi arrivò la Rivoluzione industriale”. Tutte le teorie economiche moderne, da Adam Smith a Milton Friedman, incluse quelle di stampo marxista, hanno come epicentro questo fenomeno. Ecco perche il moderno capitalismo e il suo opposto, il marxismo, hanno un identico cuore: lo sfruttamento ad infinitum delle risorse, per produrre una crescita economica altrettanto infinita. Ma da Smith a Marx, da Keynes a Friedman, tutti analizzano un mondo che non esiste, un pianeta che possiede risorse illimitate.
Il problema di queste teorie é che sono costruite su ipotesi sbagliate. Per salvare il mondo ci vuole una rivoluzione teorica della stessa portata di quella scatenata dalla rivoluzione industriale. Il nuovo presidente degli Stati Uniti deve incoraggiare gli economisti a guardare al futuro immaginando il mondo del 2050, quando le risorse scarseggeranno ovunque. Fino a oggi nessuno l’ha fatto perche gli sforzi sono concentrati sul settore finanziario, dove negli ultimi vent’anni è successo di tutto e dove confluisce la ricchezza prodotta dalla globalizzazione. Il difficile compito di difendere il pianeta dalla devastazione prodotta dalla crescita economica è ricaduto sulle spalle degli scienziati, che possono solo continuare a denunciare la catastrofe ambientale provocata dall’economia globalizzata.
E inutile cercare la soluzione nelle teorie economiche del passato. Il presidente Obama se ne accorgerà quando dovrà farsi rieleggere: meglio indebitarsi ulteriormente o aumentare le tasse sulla benzina per finanziare il programma di assistenza sanitaria ai poveri? Neanche limitare lo sfruttamento delle risorse è sufficiente, perche il problema non é congiunturale, è di sistema. Anche se gli Stati Uniti diventassero improvvisamente ecologisti come i paesi scandinavi, il pianeta continuerebbe l’inesorabile discesa verso l’inquinamento globale. Il modello di sviluppo economico, per la Cina comunista come per l’India capitalista e per la Norvegia ecologista, poggia sullo sfruttamento illimitato delle risorse. Un modello alternativo non esiste. Per uscire dalla gabbia di questa teoria economica c’è bisogno di un gesto radicale: inventare una teoria nuova.
Neppure le soluzioni utopiche come quella che mette l’individuo al centro di un movimento globale ecologista o quella che vuole creare uno status speciale per chi inquina meno salveranno il mondo. Sono modelli prodotti in occidente, che presuppongono un livello di sviluppo economico molto avanzato. Al contadino indiano che finalmente può permettersi dei fertilizzanti nitrogenati interessa solo il guadagno prodotto dal raccolto più rigoglioso, che userà per meccanizzare la sua azienda.


Un mondo più giusto

Il problema insomma è globale e la soluzione deve essere globale. Ce ne siamo accorti durante la crisi del credito: l’intervento di una nazione, gli Stati Uniti, non è servito a nulla, e anche le nazionalizzazioni e i salvataggi in extremis degli altri paesi non hanno avuto i risultati previsti. Forse l’unico modo per spingere gli economisti a sviluppare una teoria nuova, che funzioni in un pianeta a risorse limitate, è partire proprio dalla crisi del credito, che è stata un pallido anticipo di quello the succederà quando si esauriranno le risorse del pianeta. Non possiamo permetterci di aspettare che la crisi peggiori per poterla risolvere. Oggi dobbiamo farci con la stessa urgenza belle domande scomode: come risolvere il problema dell’acqua? Gli economisti classici questo problema se lo sono posto e una soluzione l’hanno trovata: chi non si può permettere l’acqua morirà di sete, e la popolazione mondiale si ridurrà fino al punto in cui ci sarà acqua a sufficienza per i sopravvissuti.
Malthus non avrebbe problemi con questo scenario, l’aveva analizzato più volte nel corso della storia. Perché la storia economica è scritta da due autori: abbondanza e carestia. La grande sfida di Barack Obama è la stessa del pianeta: trovare la teoria economica che interrompa il ciclo di ricchezza e povertà che ci intrappola, una teoria che produca uno sviluppo equo, equilibrato e sostenibile, e che lo faccia prima che sia troppo tardi. Bisogna aiutare il mondo a riprendersi dalle tragiche conseguenze dello sfruttamento irrazionale the distrugge più ricchezza di quanta ne produca.
Cosi sarà più facile ottenere la giustizia sociale.

Fonte: Internazionale n. 770, 14-20 novembre, pp. 20-21


venerdì 14 novembre 2008

TESTAMENTO BIOLOGICO (2)



 


C'è un passaggio che mi sfugge nel problema della libertà di cura: in quale momento e per quali ragioni io, persona detentrice di diritti costituzionali e del diritto primario chiamato "habeas corpus", dovrei per legge perdere la mia libertà personale e diventare proprietà di uno o più medici?


La perdita della coscienza comporta automaticamente la perdita dei miei diritti costituzionali, fra cui quello all'autodeterminazione?


 

lunedì 10 novembre 2008


Questo sappiamo.
Che tutte le cose sono legate
come il sangue
che unisce una famiglia...
Tutto ciò che accade alla Terra,
accade ai figli e alle figlie della Terra.
L'uomo non tesse la trama della vita;
in essa egli è soltanto un filo.
Qualsiasi cosa fa alla trama,
l'uomo lo fa a se stesso.


Ted Perry, ispirandosi al capo indiano Seattle

domenica 9 novembre 2008


BERLUSCONISMO (2)



 Ancora una volta il nostro Presidente del Consiglio ha messo in atto un comportamento da barzellettiere, per giunta stantìo e inesorabilmente vecchio. In un momento ufficiale, all'estero, mentre rappresentava l'intero popolo italiano, compresi gli "imbecilli" che non ridono mai quando lui si diverte, convinto di essere spiritoso. E ci svergogna  in tutto il mondo. Non avrei voluto parlarne, perché l'hanno fatto in tanti, ma voglio che rimanga nel mio diario questa pagina meschina che mi ha rovinato la gioia di questi giorni.


Anche di questo è fatto il berlusconismo: di comportamenti rozzi, di ignoranza delle cose, di incapacità di capire le situazioni e, in questo caso, la storia. Si verifica un evento grandioso per la democrazia e lui, Berlusconi, ride. E poi insulta buona parte del mondo perché non ride con lui o perché si permette di dissentire, mentre il signorotto si diverte come fosse a una fantozziana festa aziendale.


*



"Abbronzato", e in sala si ride. Piccola cronaca di una conferenza stampa a Mosca di Onofrio Dispenza

Dalle mie parti, un detto recita grosso modo così:"Chi è fesso carnevale o chi ci va appresso?"
Mosca - Il nostro Presidente del Consiglio è seduto accanto all'uomo di Putin che guida la Russia. Fedele al suo modo di fare, il nostro leader dopo aver parlato del fatto che in tanti hanno visto in Obama il Messia e dopo aver promesso che, dall'alto della sua esperienza, si metterà in mezzo a Stati Uniti e Mosca per farli incontrare e dialogare, di Barak dice che "E' bello, giovane a abbronzato". Frase che nelle ore e nei giorni successivi sarà oggetto di critiche e commenti. Di critiche, commenti e contro critiche.
Ma qui non stiamo a parlare di critiche e di contro critiche. Il tema appartiene agli spazi della politica. Della politica italiana.


Quello che ci preme rilevare qui è il fatto che, quando Berlusconi pronuncia la parola"abbronzato", in sala scoppia una gran risata. A ridere sono i tanti ( non tutti, ma troppi ) giornalisti italiani, meno i russi. Non perché i russi abbiano voluto prendere le distanze, ma perché - mi fa sapere una collega russa - il traduttore di turno, come è costume della professione, s'assume il compito diplomatico di ammorbidire il senso di quell'imbarazzante"abbronzato". Pare che, con un pizzico di poesia, la parola"abbronzato"sia stata tradotta in"baciato dal sole". Per questo i giornalisti russi non hanno riso, pensando magari a quanto poetico fosse quell'ospite italiano. Ridono gli italiani ( senza traduzione ), ridono e fan vedere di ridere, facendosi spazio con il busto tra una sedia e l'altra, per porgere il sorriso. La battuta su Obama è di quelle che vanno accompagnate, come quelle di altre missioni, come le barzellette di terza mano. Uno dice "abbronzato" parlando dell'uomo che entra alla Casa Bianca facendo commuovere ed emozionando mezzo mondo, e l'altroi in sala ride e fa in modo che si veda.

Dalle mie parti il detto recitato in apertura, in dialetto fa così:"Chu è fissa carnivali o cu ci va appressu?". (Articolo 21)

giovedì 6 novembre 2008

4.11.2008


Ipotesi di un nuovo mondo


Pangea Ultima (Wikipedia)


Pangea Ultima


La sola speranza che l'elezione di Barack Obama possa avviare un cambiamento nel nostro mondo libera il sogno Basta quasi il fatto che quell'elezione ci sia stata. Un'elezione americana, che è diventata planetaria grazie alla realtà virtuale della rete in cui una grandissima maggioranza di persone di ogni parte del mondo ha votato per Obama.


Speranze e attese, compiti immani in patria ed enormi impegni nel mondo intero.  Il primo a saperlo è lo stesso Obama, che nel discorso dopo la vittoria ha detto:


"Io so che non avete fatto tutto questo solo per vincere un'elezione, e so che non lo avete fatto per me. Lo avete fatto perché siete consapevoli dell'enormità del compito che abbiamo davanti. Perché anche se stanotte festeggiamo, siamo consapevoli che sfide che ci aspettano saranno le più impegnative della nostra vita: due guerre, un pianeta in pericolo, la peggiore crisi finanziaria da un secolo a questa parte. Anche mentre stiamo qui stanotte, sappiamo che ci sono americani coraggiosi che percorrono i deserti dell'Iraq e le montagne dell'Afghanistan rischiando la loro vita per noi. Ci sono madri e padri che rimangono svegli dopo che i loro figli sono andati a dormire e si domandano come riusciranno a rimborsare il mutuo, a pagare i conti dei medici o a risparmiare abbastanza per poter mandare i figli all'università."

 


martedì 4 novembre 2008

Good Morning, America, and Good Luck!



Buongiorno, America, e buona fortuna! Voglio cantare un inno alla speranza. Sarà molto difficile, ma il cambiamento è possibile. Lo spero per gli Stati Uniti e per tutto il mondo. E che sia l'inizio di un nuovo cammino della democrazia.



"Ciao, Chicago!
Se là fuori c'è ancora qualcuno che dubita che l'America sia un luogo dove tutto è possibile, che ancora si chiede se il sogno dei nostri Fondatori sia vivo nella nostra epoca, che ancora mette in dubbio la forza della nostra democrazia, questa notte è la vostra risposta."
  (dal discorso del Presidente Obama.)


"Amici miei, siamo arrivati alla fine di un lungo viaggio. Il popolo americano ha parlato e ha parlato chiaramente. Poco fa, ho avuto l'onore di chiamare il senatore Barack Obama per congratularmi con lui per essere stato eletto come nuovo presidente del paese che entrambi amiamo.

In una sfida lunga e difficile come è stata questa campagna elettorale, il solo fatto che Obama abbia vinto basta a guadagnargli il mio rispetto, per la sua abilità e la sua perseveranza. Ma il fatto che vi sia riuscito incoraggiando la speranza di tantissimi milioni di americani che un tempo credevano, sbagliando, di avere poco da perdere o guadagnare, o di avere poca influenza nell'elezione di un presidente degli Stati Uniti è qualcosa che ammiro profondamente e che mi spinge a elogiarlo per esservi riuscito.

Questa è un'elezione storica e io riconosco l'importanza speciale che essa possiede per gli afroamericani, e il particolare orgoglio che devono provare stanotte." (dal discorso del Senatore McCain)


I discorsi di Obama e McCain


       Il discorso di Obama dopo la vittoria


      Il discorso con cui McCain riconosce la sconfitta


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«L'ora del cambiamento è arrivata». Obama è stato eletto dalle cittadine e dai cittadini statunitensi, il cambiamento è stato voluto coraggiosamento in uno scenario quanto mai disastrato. Non riesco a immaginare un evento come questo nella nostra Europa meno che mai nella nostra Italia. In queste prime ore voglio godermi l'affermazione della democrazia rappresentativa.


"...Sia benedetta l'America che ha ritrovato la forza per credere nella democrazia e la persona per raccogliere in maniera civile e intelligente l'onda dell'antipolitica che anche qui si era alzata." ( da 'La rivincita dell'intelligenza' di Vittorio Zucconi, La Repubblica 5 novembre 2008 )


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Immagini Reuters: 1. Supporters cheer and wave American flags after hearing that U.S. Democratic presidential nominee Senator Barack Obama (D-IL) is projected to win the election during his election night rally in Chicago, November 4, 2008. REUTERS/Jim Young; 2. U.S. President-elect Senator Barack Obama (D-IL) waves to supporters during his election night rally after being declared the winner of the 2008 U.S. Presidential Campaign in Chicago, November 4, 2008. REUTERS/Carlos Barria (UNITED STATES) US PRESIDENTIAL ELECTION CAMPAIGN 2008 (USA)


Il testo dei discorsi si trova nel sito de Il Sole 24ORE, 6 novembre 2008


"...E' in seguito alla forma materiale, sensazioni, percezioni, attività mentali e coscienza che l'uomo esiste come appellativo, nozione comune, denominazione di usa corrente: un semplice nome". (Milindapanha, II, 1)


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Diario del 4 novembre 2008.


Un giorno brumoso, immalinconito da pioggerellina uggiosa e luce fioca. Un frammento di filosofia buddhista mi aiuta a stemperare ansie e preoccupazioni.


Non è un giorno qualsiasi: novanta anni fa per l'Italia finiva ufficialmente la "grande guerra". Che cosa si può celebrare se non la fine della "inutile strage", come la definì Benedetto XV nel 1917? Che cosa si può commemorare se non le vittime che in altissimo numero scesero all'Ade per la follia dei governanti e dei capi militari?


Non è un giorno qualsiasi: comunque vada l'elezione americana, oggi esce dalle nostre vite George W. Bush, anche se gli effetti della sua amministrazione dissennata e sciagurata continueranno a pesare sugli USA e sul mondo intero. L'uomo, infatti, ha compiuto devastazioni con le sue guerre, ha peggiorato le condizione del suo Paese e del mondo e, infine, si lascia dietro una tragica crisi economica determinata dalla folle arroganza dei liberisti senza freni morali e neanche semplicemente razionali.


Non sarà una notte qualsiasi.