giovedì 29 marzo 2007

LA NOTA

.


Era attesa con un'ansia tanto grande quanto ingiustificata, visto che siamo uno Stato libero e sovrano. E' arrivata, puntualmente e perfettamente in linea con le aspettative. E allora? Va bene , i Vescovi del Consiglio Permanente della C.E.I. hanno scritto e diffuso il proprio pensiero. Educatamente ne prendiamo atto e possiamo anche accettare eventuali indicazioni positive dell'importante documento. Possiamo addirittura ringraziare per tanta sollecitudine "pastorale" (metafora che non  mi piace, sorry). E infine ci prendiamo il diritto, anzi, ci assumiamo il dovere di valutarlo quel pensiero e di verificarne la compatibilita' con la nostra Legge Costituzionale e con i molti documenti internazionali che prescrivono il rispetto dei diritti umani.


Per questo mi pare giusto partire dalla lettura attenta del testo integrale della "NOTA". 

La mia lettura personale e' quella che segue. Ho sottolineato le affermazioni che mi sono sembrate di assoluta ovvieta', ho invece evidenziato in rosso le affermazioni che sono in contrasto con le leggi del nostro libero Stato e della comunita' internazionale, e che comunque stridono con il rispetto che anche i Vescovi devono a chi ha idee diverse dalle loro. Per esempio, mi sembra in contrasto con le nostre leggi chiamare i "legislatori cattolici" a venir meno alla lealta' dovuta alla Costituzione, mentre mi sembra offensivo parlare di "contesto culturale come quello attuale, nel quale la visione autenticamente umana della persona è contestata in modo radicale" per chi di quel contesto fa parte e certamente ha una visione "autenticamente umana della persona", nonostante le divergenze con i Vescovi. 


Ma il vero problema non e' la "nota" dei Vescovi, nonostante la violenza di alcune sue parti e l'ingerenza manifesta nei nostri affari interni. Il vero problema italiano e' l'indipendenza dei legislatori, perche' la certezza del diritto si fonda sulla loro fedelta' alle leggi della Repubblica Italiana. Saranno in grado di mantenere saldi questi due valori democratici?






Conferenza Episcopale Italiana, Nota del Consiglio Episcopale Permanente a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto 28.3.2007

L’ampio dibattito che si è aperto intorno ai temi fondamentali della vita e della famiglia ci chiama in causa come custodi di una verità e di una sapienza che traggono la loro origine dal Vangelo e che continuano a produrre frutti preziosi di amore, di fedeltà e di servizio agli altri, come testimoniano ogni giorno tante famiglie. Ci sentiamo responsabili di illuminare la coscienza dei credenti, perché trovino il modo migliore di incarnare la visione cristiana dell’uomo e della società nell’impegno quotidiano, personale e sociale, e di offrire ragioni valide e condivisibili da tutti a vantaggio del bene comune.


La Chiesa da sempre ha a cuore la famiglia e la sostiene con le sue cure e da sempre chiede che il legislatore la promuova e la difenda. Per questo, la presentazione di alcuni disegni di legge che intendono legalizzare le unioni di fatto ancora una volta è stata oggetto di riflessione nel corso dei nostri lavori, raccogliendo la voce di numerosi Vescovi che si sono già pubblicamente espressi in proposito. È compito infatti del Consiglio Episcopale Permanente "approvare dichiarazioni o documenti concernenti problemi di speciale rilievo per la Chiesa o per la società in Italia, che meritano un’autorevole considerazione e valutazione anche per favorire l’azione convergente dei Vescovi" (Statuto C.E.I., art. 23, b).


Non abbiamo interessi politici da affermare; solo sentiamo il dovere di dare il nostro contributo al bene comune, sollecitati oltretutto dalle richieste di tanti cittadini che si rivolgono a noi. Siamo convinti, insieme con moltissimi altri, anche non credenti, del valore rappresentato dalla famiglia per la crescita delle persone e della società intera. Ogni persona, prima di altre esperienze, è figlio, e ogni figlio proviene da una coppia formata da un uomo e una donna. Poter avere la sicurezza dell’affetto dei genitori, essere introdotti da loro nel mondo complesso della società, è un patrimonio incalcolabile di sicurezza e di fiducia nella vita. E questo patrimonio è garantito dalla famiglia fondata sul matrimonio, proprio per l’impegno che essa porta con sé: impegno di fedeltà stabile tra i coniugi e impegno di amore ed educazione dei figli.


Anche per la società l’esistenza della famiglia è una risorsa insostituibile, tutelata dalla stessa Costituzione italiana (cfr artt. 29 e 31). Anzitutto per il bene della procreazione dei figli: solo la famiglia aperta alla vita può essere considerata vera cellula della società perché garantisce la continuità e la cura delle generazioni. È quindi interesse della società e dello Stato che la famiglia sia solida e cresca nel modo più equilibrato possibile.


A partire da queste considerazioni, riteniamo la legalizzazione delle unioni di fatto inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo. Quale che sia l’intenzione di chi propone questa scelta, l’effetto sarebbe inevitabilmente deleterio per la famiglia. Si toglierebbe, infatti, al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro. Del resto, la storia insegna che ogni legge crea mentalità e costume.


Un problema ancor più grave sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile.


Queste riflessioni non pregiudicano il riconoscimento della dignità di ogni persona; a tutti confermiamo il nostro rispetto e la nostra sollecitudine pastorale. Vogliamo però ricordare che il diritto non esiste allo scopo di dare forma giuridica a qualsiasi tipo di convivenza o di fornire riconoscimenti ideologici: ha invece il fine di garantire risposte pubbliche a esigenze sociali che vanno al di là della dimensione privata dell’esistenza.


Siamo consapevoli che ci sono situazioni concrete nelle quali possono essere utili garanzie e tutele giuridiche per la persona che convive. A questa attenzione non siamo per principio contrari. Siamo però convinti che questo obiettivo sia perseguibile nell’ambito dei diritti individuali, senza ipotizzare una nuova figura giuridica che sarebbe alternativa al matrimonio e alla famiglia e produrrebbe più guasti di quelli che vorrebbe sanare.


Una parola impegnativa ci sentiamo di rivolgere specialmente ai cattolici che operano in ambito politico. Lo facciamo con l’insegnamento del Papa nella sua recente Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis: "i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana", tra i quali rientra "la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna" (n. 83). "I Vescovi – continua il Santo Padre – sono tenuti a richiamare costantemente tali valori; ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato" (ivi). Sarebbe quindi incoerente quel cristiano che sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto.


In particolare ricordiamo l’affermazione precisa della Congregazione per la Dottrina della Fede, secondo cui, nel caso di "un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge" (Considerazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 3 giugno 2003, n. 10).


Il fedele cristiano è tenuto a formare la propria coscienza confrontandosi seriamente con l’insegnamento del Magistero e pertanto non "può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società" (Nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24 novembre 2002, n. 5).


Comprendiamo la fatica e le tensioni sperimentate dai cattolici impegnati in politica in un contesto culturale come quello attuale, nel quale la visione autenticamente umana della persona è contestata in modo radicale. Ma è anche per questo che i cristiani sono chiamati a impegnarsi in politica.


Affidiamo queste riflessioni alla coscienza di tutti e in particolare a quanti hanno la responsabilità di fare le leggi, affinché si interroghino sulle scelte coerenti da compiere e sulle conseguenze future delle loro decisioni. Questa Nota rientra nella sollecitudine pastorale che l’intera comunità cristiana è chiamata quotidianamente ad esprimere verso le persone e le famiglie e che nasce dall’amore di Cristo per tutti i nostri fratelli in umanità.


Roma, 28 marzo 2007


I Vescovi del Consiglio Permanente della C.E.I.

LA NOTA

.


Era attesa con un'ansia tanto grande quanto ingiustificata, visto che siamo uno Stato libero e sovrano. E' arrivata, puntualmente e perfettamente in linea con le aspettative. E allora? Va bene , i Vescovi del Consiglio Permanente della C.E.I. hanno scritto e diffuso il proprio pensiero. Educatamente ne prendiamo atto e possiamo anche accettare eventuali indicazioni positive dell'importante documento. Possiamo addirittura ringraziare per tanta sollecitudine "pastorale" (metafora che non  mi piace, sorry). E infine ci prendiamo il diritto, anzi, ci assumiamo il dovere di valutarlo quel pensiero e di verificarne la compatibilita' con la nostra Legge Costituzionale e con i molti documenti internazionali che prescrivono il rispetto dei diritti umani.


Per questo mi pare giusto partire dalla lettura attenta del testo integrale della "NOTA". 

La mia lettura personale e' quella che segue. Ho sottolineato le affermazioni che mi sono sembrate di assoluta ovvieta', ho invece evidenziato in rosso le affermazioni che sono in contrasto con le leggi del nostro libero Stato e della comunita' internazionale, e che comunque stridono con il rispetto che anche i Vescovi devono a chi ha idee diverse dalle loro. Per esempio, mi sembra in contrasto con le nostre leggi chiamare i "legislatori cattolici" a venir meno alla lealta' dovuta alla Costituzione, mentre mi sembra offensivo parlare di "contesto culturale come quello attuale, nel quale la visione autenticamente umana della persona è contestata in modo radicale" per chi di quel contesto fa parte e certamente ha una visione "autenticamente umana della persona", nonostante le divergenze con i Vescovi. 


Ma il vero problema non e' la "nota" dei Vescovi, nonostante la violenza di alcune sue parti e l'ingerenza manifesta nei nostri affari interni. Il vero problema italiano e' l'indipendenza dei legislatori, perche' la certezza del diritto si fonda sulla loro fedelta' alle leggi della Repubblica Italiana. Saranno in grado di mantenere saldi questi due valori democratici?






Conferenza Episcopale Italiana, Nota del Consiglio Episcopale Permanente a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto 28.3.2007

L’ampio dibattito che si è aperto intorno ai temi fondamentali della vita e della famiglia ci chiama in causa come custodi di una verità e di una sapienza che traggono la loro origine dal Vangelo e che continuano a produrre frutti preziosi di amore, di fedeltà e di servizio agli altri, come testimoniano ogni giorno tante famiglie. Ci sentiamo responsabili di illuminare la coscienza dei credenti, perché trovino il modo migliore di incarnare la visione cristiana dell’uomo e della società nell’impegno quotidiano, personale e sociale, e di offrire ragioni valide e condivisibili da tutti a vantaggio del bene comune.


La Chiesa da sempre ha a cuore la famiglia e la sostiene con le sue cure e da sempre chiede che il legislatore la promuova e la difenda. Per questo, la presentazione di alcuni disegni di legge che intendono legalizzare le unioni di fatto ancora una volta è stata oggetto di riflessione nel corso dei nostri lavori, raccogliendo la voce di numerosi Vescovi che si sono già pubblicamente espressi in proposito. È compito infatti del Consiglio Episcopale Permanente "approvare dichiarazioni o documenti concernenti problemi di speciale rilievo per la Chiesa o per la società in Italia, che meritano un’autorevole considerazione e valutazione anche per favorire l’azione convergente dei Vescovi" (Statuto C.E.I., art. 23, b).


Non abbiamo interessi politici da affermare; solo sentiamo il dovere di dare il nostro contributo al bene comune, sollecitati oltretutto dalle richieste di tanti cittadini che si rivolgono a noi. Siamo convinti, insieme con moltissimi altri, anche non credenti, del valore rappresentato dalla famiglia per la crescita delle persone e della società intera. Ogni persona, prima di altre esperienze, è figlio, e ogni figlio proviene da una coppia formata da un uomo e una donna. Poter avere la sicurezza dell’affetto dei genitori, essere introdotti da loro nel mondo complesso della società, è un patrimonio incalcolabile di sicurezza e di fiducia nella vita. E questo patrimonio è garantito dalla famiglia fondata sul matrimonio, proprio per l’impegno che essa porta con sé: impegno di fedeltà stabile tra i coniugi e impegno di amore ed educazione dei figli.


Anche per la società l’esistenza della famiglia è una risorsa insostituibile, tutelata dalla stessa Costituzione italiana (cfr artt. 29 e 31). Anzitutto per il bene della procreazione dei figli: solo la famiglia aperta alla vita può essere considerata vera cellula della società perché garantisce la continuità e la cura delle generazioni. È quindi interesse della società e dello Stato che la famiglia sia solida e cresca nel modo più equilibrato possibile.


A partire da queste considerazioni, riteniamo la legalizzazione delle unioni di fatto inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo. Quale che sia l’intenzione di chi propone questa scelta, l’effetto sarebbe inevitabilmente deleterio per la famiglia. Si toglierebbe, infatti, al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro. Del resto, la storia insegna che ogni legge crea mentalità e costume.


Un problema ancor più grave sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile.


Queste riflessioni non pregiudicano il riconoscimento della dignità di ogni persona; a tutti confermiamo il nostro rispetto e la nostra sollecitudine pastorale. Vogliamo però ricordare che il diritto non esiste allo scopo di dare forma giuridica a qualsiasi tipo di convivenza o di fornire riconoscimenti ideologici: ha invece il fine di garantire risposte pubbliche a esigenze sociali che vanno al di là della dimensione privata dell’esistenza.


Siamo consapevoli che ci sono situazioni concrete nelle quali possono essere utili garanzie e tutele giuridiche per la persona che convive. A questa attenzione non siamo per principio contrari. Siamo però convinti che questo obiettivo sia perseguibile nell’ambito dei diritti individuali, senza ipotizzare una nuova figura giuridica che sarebbe alternativa al matrimonio e alla famiglia e produrrebbe più guasti di quelli che vorrebbe sanare.


Una parola impegnativa ci sentiamo di rivolgere specialmente ai cattolici che operano in ambito politico. Lo facciamo con l’insegnamento del Papa nella sua recente Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis: "i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana", tra i quali rientra "la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna" (n. 83). "I Vescovi – continua il Santo Padre – sono tenuti a richiamare costantemente tali valori; ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato" (ivi). Sarebbe quindi incoerente quel cristiano che sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto.


In particolare ricordiamo l’affermazione precisa della Congregazione per la Dottrina della Fede, secondo cui, nel caso di "un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge" (Considerazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 3 giugno 2003, n. 10).


Il fedele cristiano è tenuto a formare la propria coscienza confrontandosi seriamente con l’insegnamento del Magistero e pertanto non "può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società" (Nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24 novembre 2002, n. 5).


Comprendiamo la fatica e le tensioni sperimentate dai cattolici impegnati in politica in un contesto culturale come quello attuale, nel quale la visione autenticamente umana della persona è contestata in modo radicale. Ma è anche per questo che i cristiani sono chiamati a impegnarsi in politica.


Affidiamo queste riflessioni alla coscienza di tutti e in particolare a quanti hanno la responsabilità di fare le leggi, affinché si interroghino sulle scelte coerenti da compiere e sulle conseguenze future delle loro decisioni. Questa Nota rientra nella sollecitudine pastorale che l’intera comunità cristiana è chiamata quotidianamente ad esprimere verso le persone e le famiglie e che nasce dall’amore di Cristo per tutti i nostri fratelli in umanità.


Roma, 28 marzo 2007


I Vescovi del Consiglio Permanente della C.E.I.

domenica 25 marzo 2007

Buon Compleanno, Europa!



Dove è stato possibile fondare una terra di pace.



Dove è realistica la speranza che tutto il pianeta diventi un mondo di pace e di bellezza.



Dove liberamente accettati e inalienabili sono i valori autentici della democrazia e il rigoroso rispetto dei diritti umani.



Dove ci si augura l'arrivo, dopo quello dell'economia, dell'uomo europeo della politica e della cultura.


Dove sarà necessario lavorare d'intelletto e di sentimento e di senso morale per affermare uno stato etico ricco di identità multidimensionali e di vicendevole rispettosa concordia.



Aggiornamento delle 20:00.


Il documento sottoscritto alla presenza dei rappresentanti dei 27 Paesi dell'Ue in occasione dei 50 anni dei Trattati di Roma























Il testo della Dichiarazione (Afp)

Il testo della Dichiarazione (Afp)


Noi mettiamo all'opera i nostri ideali comuni in seno all'Unione europea. L'uomo è al cuore della nostra azione. La sua dignità è inviolabile. I suoi diritti inalienabili. Le donne e gli uomini sono uguali. Noi aspiriamo alla pace e alla libertà, alla democrazia e allo stato di diritto, al rispetto reciproco e alla responsabilità, alla prosperità e alla sicurezza, alla tolleranza alla partecipazione, alla giustizia e alla solidarietà. Il modo in cui viviamo e lavoriamo insieme nel quadro dell'Unione europea è unico nel suo genere, come testimonia la cooperazione democratica degli Stati membri e delle istituzioni europee.


L'Unione europea poggia sull'uguaglianza dei diritti e sulla solidarietà. Così, conciliamo in maniera equa i differenti interessi degli Stati membri. Noi proteggiamo l'identità e le tradizioni diverse degli Stati membri in seno all'Unione europea. Le frontiere aperte e la formidabile diversità delle nostre lingue, delle nostre culture e delle nostre regioni sono per noi una fonte di arricchimento reciproco. Sono numerosi gli obiettivi che non possiamo che raggiungere insieme e non da soli. I compiti sono divisi tra l'Unione europea, gli Stati membri e le loro autorità regionali e locali. Noi dobbiamo raccogliere le grandi sfide che non conoscono frontiere nazionali. La nostra risposta è l'Unione europea. Solamente insieme potremo preservare il nostro ideale europeo di società nell'interesse di tutti i cittadini dell'Unione europea. Questo modello europeo concilia la riuscita economica e la solidarietà sociale. Il mercato unico e l'euro ci rendono forti. Noi possiamo così gestire, nell'interesse, nel rispetto dei nostri valori, l'internazionalizzazione crescente dell'economia e una concorrenza sempre più viva sui mercati internazionali.

L'Europa è ricca di conoscenza e di saperi dei suoi cittadini; questa è la chiave della crescita, dell'occupazione e della coesione sociale. Noi lotteremo insieme contro il terrorismo, la criminalità organizzata e l'immigrazione illegale, difendendo le libertà e i diritti dei cittadini, compresi quelli di coloro che li minacciano. Il razzismo e la xenofobia non devono mai più avere una possibilità di imporsi. Noi ci mobiliteremo affinchè i conflitti nel mondo si regolino in maniera pacifica e affinchè gli uomini non siano vittime della guerra, del terrorismo o della violenza. L'Unione europea vuole incoraggiare la libertà e lo sviluppo nel mondo. Vogliamo contrastare la povertà, la fame e la malattia e continuare a giocare un ruolo principale in questo campo. Abbiamo la ferma intenzione di progredire insieme del campo della politica energetica e della protezione del clima e contribuire a lottare contro la minaccia del cambiamento climatico nel pianeta. L'Unione europea continuerà a nutrirsi allo stesso tempo della sua apertura e della volontà dei suoi Stati membri di approfondire il suo sviluppo interno. Essa continuerà a promuovere la democrazia, la stabilità e la prosperità al di là delle sue frontiere. Grazie all'unificazione europea il sogno delle generazioni precedenti è divenuto realtà. La nostra storia ci impone di preservare questa possibilità per le generazioni future. Per questo dobbiamo adattare sempre la costruzione politica dell'Europa alle nuove realtà. È per questa ragione che oggi, cinquant'anni dopo la firma dei trattati di Roma, noi condividiamo l'obiettivo di rinnovare le fondamenta dell'Unione europea da qui alle elezioni del Parlamento europeo del 2009. Perchè noi lo sappiamo bene, l'Europa è il nostro futuro.







25 marzo 2007



Immagini dell'Europa dal sito Planetary Visions 


Il documento da Il Corriere della Sera


Buon Compleanno, Europa!



Dove è stato possibile fondare una terra di pace.



Dove è realistica la speranza che tutto il pianeta diventi un mondo di pace e di bellezza.



Dove liberamente accettati e inalienabili sono i valori autentici della democrazia e il rigoroso rispetto dei diritti umani.



Dove ci si augura l'arrivo, dopo quello dell'economia, dell'uomo europeo della politica e della cultura.


Dove sarà necessario lavorare d'intelletto e di sentimento e di senso morale per affermare uno stato etico ricco di identità multidimensionali e di vicendevole rispettosa concordia.



Aggiornamento delle 20:00.


Il documento sottoscritto alla presenza dei rappresentanti dei 27 Paesi dell'Ue in occasione dei 50 anni dei Trattati di Roma























Il testo della Dichiarazione (Afp)

Il testo della Dichiarazione (Afp)


Noi mettiamo all'opera i nostri ideali comuni in seno all'Unione europea. L'uomo è al cuore della nostra azione. La sua dignità è inviolabile. I suoi diritti inalienabili. Le donne e gli uomini sono uguali. Noi aspiriamo alla pace e alla libertà, alla democrazia e allo stato di diritto, al rispetto reciproco e alla responsabilità, alla prosperità e alla sicurezza, alla tolleranza alla partecipazione, alla giustizia e alla solidarietà. Il modo in cui viviamo e lavoriamo insieme nel quadro dell'Unione europea è unico nel suo genere, come testimonia la cooperazione democratica degli Stati membri e delle istituzioni europee.


L'Unione europea poggia sull'uguaglianza dei diritti e sulla solidarietà. Così, conciliamo in maniera equa i differenti interessi degli Stati membri. Noi proteggiamo l'identità e le tradizioni diverse degli Stati membri in seno all'Unione europea. Le frontiere aperte e la formidabile diversità delle nostre lingue, delle nostre culture e delle nostre regioni sono per noi una fonte di arricchimento reciproco. Sono numerosi gli obiettivi che non possiamo che raggiungere insieme e non da soli. I compiti sono divisi tra l'Unione europea, gli Stati membri e le loro autorità regionali e locali. Noi dobbiamo raccogliere le grandi sfide che non conoscono frontiere nazionali. La nostra risposta è l'Unione europea. Solamente insieme potremo preservare il nostro ideale europeo di società nell'interesse di tutti i cittadini dell'Unione europea. Questo modello europeo concilia la riuscita economica e la solidarietà sociale. Il mercato unico e l'euro ci rendono forti. Noi possiamo così gestire, nell'interesse, nel rispetto dei nostri valori, l'internazionalizzazione crescente dell'economia e una concorrenza sempre più viva sui mercati internazionali.

L'Europa è ricca di conoscenza e di saperi dei suoi cittadini; questa è la chiave della crescita, dell'occupazione e della coesione sociale. Noi lotteremo insieme contro il terrorismo, la criminalità organizzata e l'immigrazione illegale, difendendo le libertà e i diritti dei cittadini, compresi quelli di coloro che li minacciano. Il razzismo e la xenofobia non devono mai più avere una possibilità di imporsi. Noi ci mobiliteremo affinchè i conflitti nel mondo si regolino in maniera pacifica e affinchè gli uomini non siano vittime della guerra, del terrorismo o della violenza. L'Unione europea vuole incoraggiare la libertà e lo sviluppo nel mondo. Vogliamo contrastare la povertà, la fame e la malattia e continuare a giocare un ruolo principale in questo campo. Abbiamo la ferma intenzione di progredire insieme del campo della politica energetica e della protezione del clima e contribuire a lottare contro la minaccia del cambiamento climatico nel pianeta. L'Unione europea continuerà a nutrirsi allo stesso tempo della sua apertura e della volontà dei suoi Stati membri di approfondire il suo sviluppo interno. Essa continuerà a promuovere la democrazia, la stabilità e la prosperità al di là delle sue frontiere. Grazie all'unificazione europea il sogno delle generazioni precedenti è divenuto realtà. La nostra storia ci impone di preservare questa possibilità per le generazioni future. Per questo dobbiamo adattare sempre la costruzione politica dell'Europa alle nuove realtà. È per questa ragione che oggi, cinquant'anni dopo la firma dei trattati di Roma, noi condividiamo l'obiettivo di rinnovare le fondamenta dell'Unione europea da qui alle elezioni del Parlamento europeo del 2009. Perchè noi lo sappiamo bene, l'Europa è il nostro futuro.







25 marzo 2007



Immagini dell'Europa dal sito Planetary Visions 


Il documento da Il Corriere della Sera


martedì 20 marzo 2007

                                                                                              Noruz 1386



                                                            


 


Equinozio di Primavera - 21 marzo ore 1:08


Noruz [Nuovo Giorno] - Capodanno Zoroastriano in Iran


1 farvardin 1386 ore 3:37 minuti e 26 secondi ora iraniana



Auguri! Auguri al popolo persiano e


auguri a tutte le amiche e a tutti gli amici in tutto il mondo.


 








Per sapere di più sul Noruz: QUI

                                                                                              Noruz 1386



                                                            


 


Equinozio di Primavera - 21 marzo ore 1:08


Noruz [Nuovo Giorno] - Capodanno Zoroastriano in Iran


1 farvardin 1386 ore 3:37 minuti e 26 secondi ora iraniana



Auguri! Auguri al popolo persiano e


auguri a tutte le amiche e a tutti gli amici in tutto il mondo.


 








Per sapere di più sul Noruz: QUI

domenica 18 marzo 2007

Contatore


visitato 200014 volte


 



.


E' domenica e ho voglia di giocare.  Una sorpresa per me: questo blog ha superato i 200000 contatti. Mi sembrano moltissimi e ne sono felice. Non l'avrei mai detto e neppure immaginato. Anch'io ho vagato molto per la blogosfera, ma non potrò mai sapere il numero dei miei viaggi. Ringrazio tutte le viandanti e tutti i viandanti del web che sono passati da queste parti. Sono grata in particolare alle amiche e agli amici che mi hanno spesso lasciato commenti e contributi straordinari.




Questo spazio immateriale continua a incuriosisrmi e ad affascinarmi. Una piazza grande quanto il mondo intero avvolto in una rete di connessioni che tecnicamente sono sempre un mistero per me. Una piazza che spero non venga ristretta, limitata, soffocata, come in parte già avviene da qualche parte, perché chi detiene il "potere" non può non temere questa enorme possibilità di interrelazione e interazione tra le persone. So che non è tutto bello e trasparente, il rischio è ineliminabile, come nel mondo "reale". Ma si può rinunciare a un'occasione di libertà come questa per paura del rischio? La blogosfera mi piace immaginarla come "la riva di mondi sconfinati" di una famosa poesia di Tagore.



I bambini si incontrano sulla riva
di mondi sconfinati. Su di loro

l’infinito cielo sta silenzioso, e l’acqua
increspa il velo. Con gridi
e salti si incontrano i bambini
sulla riva di mondi sconfinati.

Innalzano castelli di sabbia sulla spiaggia
e giocano con le conchiglie vuote.
Intrecciano barchette con le foglie secche
e ridendo le fanno veleggiare
sull’immensa distesa del mare. I bambini
giocano così sulla riva del mondo.

Non sanno nuotare e neppure gettare
le reti. I pescatori si tuffano a strappare
le perle dal fondo del mare,
sulle navi
veleggiano i mercanti,
mentre i bambini raccolgono sassolini che poi gettano via.
Non vanno a cercare tesori nascosti,
non sanno gettare le reti.

Il mare si increspa di mille sorrisi,
e la spiaggia risuona del dolce rumore.
L’onda che porta la morte canta invece
ninne nanne senza senso ai bambini,
come fa ogni mamma cullando suo figlio.
Il mare si perde a giocare coi bambini,
e la spiaggia risuona del dolce rumore.

I bambini si incontrano sulla riva
di mondi sconfinati. Si aggira la tempesta
nel cielo dalle molte rotte, fanno naufragio
le navi sul mare dalle molte mete, la morte
corre e giocano i bambini. Si sono radunati
sulla riva di mondi sconfinati.


Rabindranath Tagore

Traduzione di Paolo Ruffilli



Contatore


visitato 200014 volte


 



.


E' domenica e ho voglia di giocare.  Una sorpresa per me: questo blog ha superato i 200000 contatti. Mi sembrano moltissimi e ne sono felice. Non l'avrei mai detto e neppure immaginato. Anch'io ho vagato molto per la blogosfera, ma non potrò mai sapere il numero dei miei viaggi. Ringrazio tutte le viandanti e tutti i viandanti del web che sono passati da queste parti. Sono grata in particolare alle amiche e agli amici che mi hanno spesso lasciato commenti e contributi straordinari.




Questo spazio immateriale continua a incuriosisrmi e ad affascinarmi. Una piazza grande quanto il mondo intero avvolto in una rete di connessioni che tecnicamente sono sempre un mistero per me. Una piazza che spero non venga ristretta, limitata, soffocata, come in parte già avviene da qualche parte, perché chi detiene il "potere" non può non temere questa enorme possibilità di interrelazione e interazione tra le persone. So che non è tutto bello e trasparente, il rischio è ineliminabile, come nel mondo "reale". Ma si può rinunciare a un'occasione di libertà come questa per paura del rischio? La blogosfera mi piace immaginarla come "la riva di mondi sconfinati" di una famosa poesia di Tagore.



I bambini si incontrano sulla riva
di mondi sconfinati. Su di loro

l’infinito cielo sta silenzioso, e l’acqua
increspa il velo. Con gridi
e salti si incontrano i bambini
sulla riva di mondi sconfinati.

Innalzano castelli di sabbia sulla spiaggia
e giocano con le conchiglie vuote.
Intrecciano barchette con le foglie secche
e ridendo le fanno veleggiare
sull’immensa distesa del mare. I bambini
giocano così sulla riva del mondo.

Non sanno nuotare e neppure gettare
le reti. I pescatori si tuffano a strappare
le perle dal fondo del mare,
sulle navi
veleggiano i mercanti,
mentre i bambini raccolgono sassolini che poi gettano via.
Non vanno a cercare tesori nascosti,
non sanno gettare le reti.

Il mare si increspa di mille sorrisi,
e la spiaggia risuona del dolce rumore.
L’onda che porta la morte canta invece
ninne nanne senza senso ai bambini,
come fa ogni mamma cullando suo figlio.
Il mare si perde a giocare coi bambini,
e la spiaggia risuona del dolce rumore.

I bambini si incontrano sulla riva
di mondi sconfinati. Si aggira la tempesta
nel cielo dalle molte rotte, fanno naufragio
le navi sul mare dalle molte mete, la morte
corre e giocano i bambini. Si sono radunati
sulla riva di mondi sconfinati.


Rabindranath Tagore

Traduzione di Paolo Ruffilli



venerdì 16 marzo 2007

IDENTITA'  [senza]  VIOLENZA


(terza puntata)


L'identità religiosa è certamente importante, magari molto importante, ma non comporta automaticamente atteggiamenti violenti, anzi. Tra gli appartenenti a una stessa religione possono trovarsi sia portatori di pace e comprensione che fautori di conflitti e intolleranza. Voglio parlare ancora della "identità cattolica" per sostenere ancora una volta che non è una entità monodimensionale e che il "dialogo" fra cattolici e laici è non solo possibile ma doveroso. Se ieri ho citato Enzo Mazzi, sacerdote delle comunità cristiane di base, oggi sono felice di citare il cardinal Martini che continua a dire parole di grande condivisione per credenti cattolici, non cattolici e non credenti.


Intervista al cardinale Martini dopo la messa per i pellegrini milanesi a Gerusalemme
"Bisogna parlare di cose che la gente capisce e ascoltare le sue sofferenze"


"La Chiesa non dia ordini serve il dialogo laici-cattolici"


dal nostro inviato ZITA DAZZI





<B>"La Chiesa non dia ordini<br>serve il dialogo laici-cattolici"</B>



Il cardinale Carlo Maria Martini


GERUSALEMME - "Credo che la chiesa italiana debba dire cose che la gente capisce, non tanto come un comando ricevuto dall'alto, al quale bisogna obbedire perché si è comandati. Ma cose che si capiscono perché hanno una ragione, un senso. Prego molto per questo". Raramente, il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano, 80 anni compiuti da poco, ha fatto un accenno così diretto, così esplicito, durante un'omelia pronunciata in chiesa, a temi che agitano anche il dibattito politico nazionale. Ma non lasciavano molti dubbi di interpretazione, le frasi pronunciate ieri sera, durante la messa celebrata nella basilica della Natività di Betlemme, davanti a 1300 pellegrini arrivati al seguito del suo successore, l'arcivescovo Dionigi Tettamanzi. Il cardinal Martini, parlando a braccio, fra gli applausi dei fedeli, ha sollecitato la chiesa italiana a credere nel dialogo "fra chi è religioso e chi è non religioso, fra credenti e non credenti" aggiungendo di pregare "perché si raggiunga quel livello di verità delle parole per cui tutti si sentano coinvolti".

Eminenza, a cosa si riferiva quando parlava della necessità di usare un linguaggio che la gente possa intendere non come un comando ma come una verità quotidiana?


"Credo che la chiesa debba farsi comprendere, innanzitutto ascoltando la gente, le sue sofferenze, le sue necessità, i problemi, lasciando che le parole rimbalzino nel cuore, lasciando che queste sofferenze della gente risuonino nelle nostre parole. In questo modo le nostre parole non sembreranno cadute dall'alto, o da una teoria, ma saranno prese per quel quello che la gente vive. E porteranno la luce del Vangelo, che non porta parole strane, incomprensibili, ma parla in modo che tutti possono intendere. Anche chi non pratica la religione, o chi ha un'altra religione".


Lei ha sempre auspicato la nascita di una pubblica opinione nella chiesa, con la possibilità di discutere, anche di non essere d'accordo.


"Venendo a vivere qui a Gerusalemme io mi sono posto come se fossi in pensione, fuori dai doveri pubblici. Mi sono posto l'impegno di osservare rigorosamente il precetto del vangelo di Matteo, quello che dice non giudicare e non sarai giudicato. Quindi io non giudico, perché con quella misura sarei giudicato. Ma il mio auspicio va in quella direzione".

Molti pensano che la Chiesa sia in difficoltà di fronte ai cambiamenti imposti dalla modernità.


"La modernità non è una cosa astratta. In verità ci siamo dentro, ciascuno di noi è moderno se vive autenticamente ciò che vive. Non è questione di tempi. Il problema è essere realmente presenti alle situazioni in cui si vive, essere in ascolto, lasciare risuonare le parole degli altri dentro di sé e valutarle alla luce del Vangelo".

Lei ha parlato recentemente della necessità di promuovere la famiglia, un compito che ha definito "più urgente" rispetto alla difesa della famiglia. Con quali azioni si può raggiungere lo scopo?


"Promuovere la famiglia significa sottolineare che si tratta di un'istituzione che ha una forza intrinseca, che non è data dall'esterno, o da chissà dove. La famiglia ha una sua forza e bisogna che questa forza sia messa in rilievo, che quindi appaia la bellezza, la nobiltà, l'utilità, la ricchezza, la pienezza di soddisfazioni di una vera vita di famiglia. Bisognerà che la gente la desideri, la gusti, la ami e faccia sacrifici per essa".

Invece, in questa fase del dibattito politico, della famiglia attuale vengono più facilmente lamentati i modi in cui essa si discosta rispetto al modello ideale.


"Durante l'omelia ho parlato delle comunità che troppo spesso rimangono prigioniere della lamentosità. Il Signore vuole che noi guardiamo alla vita con gratitudine, riconoscenza, fiducia, vedendo le vie che si aprono davanti a noi. Quando andavo nelle parrocchie a Milano, trovavo sempre chi si lamentava delle mancanze, del fatto che non ci sono giovani. E io dicevo di cui ringraziare Dio per i beni che ci ha concesso, non per quelli che mancano. Dicevo che la fede, in una situazione così secolarizzata, è già un miracolo. Bisogna partire dalle cose belle che abbiamo e ampliarle. L'elenco delle cose che mancano è senza fine. E i piani pastorali che partono dall'elenco delle lacune sono destinati a dare frustrazioni e non speranze".

>>>La Repubblica, (16 marzo 2007)<<<

IDENTITA'  [senza]  VIOLENZA


(terza puntata)


L'identità religiosa è certamente importante, magari molto importante, ma non comporta automaticamente atteggiamenti violenti, anzi. Tra gli appartenenti a una stessa religione possono trovarsi sia portatori di pace e comprensione che fautori di conflitti e intolleranza. Voglio parlare ancora della "identità cattolica" per sostenere ancora una volta che non è una entità monodimensionale e che il "dialogo" fra cattolici e laici è non solo possibile ma doveroso. Se ieri ho citato Enzo Mazzi, sacerdote delle comunità cristiane di base, oggi sono felice di citare il cardinal Martini che continua a dire parole di grande condivisione per credenti cattolici, non cattolici e non credenti.


Intervista al cardinale Martini dopo la messa per i pellegrini milanesi a Gerusalemme
"Bisogna parlare di cose che la gente capisce e ascoltare le sue sofferenze"


"La Chiesa non dia ordini serve il dialogo laici-cattolici"


dal nostro inviato ZITA DAZZI





<B>"La Chiesa non dia ordini<br>serve il dialogo laici-cattolici"</B>



Il cardinale Carlo Maria Martini


GERUSALEMME - "Credo che la chiesa italiana debba dire cose che la gente capisce, non tanto come un comando ricevuto dall'alto, al quale bisogna obbedire perché si è comandati. Ma cose che si capiscono perché hanno una ragione, un senso. Prego molto per questo". Raramente, il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano, 80 anni compiuti da poco, ha fatto un accenno così diretto, così esplicito, durante un'omelia pronunciata in chiesa, a temi che agitano anche il dibattito politico nazionale. Ma non lasciavano molti dubbi di interpretazione, le frasi pronunciate ieri sera, durante la messa celebrata nella basilica della Natività di Betlemme, davanti a 1300 pellegrini arrivati al seguito del suo successore, l'arcivescovo Dionigi Tettamanzi. Il cardinal Martini, parlando a braccio, fra gli applausi dei fedeli, ha sollecitato la chiesa italiana a credere nel dialogo "fra chi è religioso e chi è non religioso, fra credenti e non credenti" aggiungendo di pregare "perché si raggiunga quel livello di verità delle parole per cui tutti si sentano coinvolti".

Eminenza, a cosa si riferiva quando parlava della necessità di usare un linguaggio che la gente possa intendere non come un comando ma come una verità quotidiana?


"Credo che la chiesa debba farsi comprendere, innanzitutto ascoltando la gente, le sue sofferenze, le sue necessità, i problemi, lasciando che le parole rimbalzino nel cuore, lasciando che queste sofferenze della gente risuonino nelle nostre parole. In questo modo le nostre parole non sembreranno cadute dall'alto, o da una teoria, ma saranno prese per quel quello che la gente vive. E porteranno la luce del Vangelo, che non porta parole strane, incomprensibili, ma parla in modo che tutti possono intendere. Anche chi non pratica la religione, o chi ha un'altra religione".


Lei ha sempre auspicato la nascita di una pubblica opinione nella chiesa, con la possibilità di discutere, anche di non essere d'accordo.


"Venendo a vivere qui a Gerusalemme io mi sono posto come se fossi in pensione, fuori dai doveri pubblici. Mi sono posto l'impegno di osservare rigorosamente il precetto del vangelo di Matteo, quello che dice non giudicare e non sarai giudicato. Quindi io non giudico, perché con quella misura sarei giudicato. Ma il mio auspicio va in quella direzione".

Molti pensano che la Chiesa sia in difficoltà di fronte ai cambiamenti imposti dalla modernità.


"La modernità non è una cosa astratta. In verità ci siamo dentro, ciascuno di noi è moderno se vive autenticamente ciò che vive. Non è questione di tempi. Il problema è essere realmente presenti alle situazioni in cui si vive, essere in ascolto, lasciare risuonare le parole degli altri dentro di sé e valutarle alla luce del Vangelo".

Lei ha parlato recentemente della necessità di promuovere la famiglia, un compito che ha definito "più urgente" rispetto alla difesa della famiglia. Con quali azioni si può raggiungere lo scopo?


"Promuovere la famiglia significa sottolineare che si tratta di un'istituzione che ha una forza intrinseca, che non è data dall'esterno, o da chissà dove. La famiglia ha una sua forza e bisogna che questa forza sia messa in rilievo, che quindi appaia la bellezza, la nobiltà, l'utilità, la ricchezza, la pienezza di soddisfazioni di una vera vita di famiglia. Bisognerà che la gente la desideri, la gusti, la ami e faccia sacrifici per essa".

Invece, in questa fase del dibattito politico, della famiglia attuale vengono più facilmente lamentati i modi in cui essa si discosta rispetto al modello ideale.


"Durante l'omelia ho parlato delle comunità che troppo spesso rimangono prigioniere della lamentosità. Il Signore vuole che noi guardiamo alla vita con gratitudine, riconoscenza, fiducia, vedendo le vie che si aprono davanti a noi. Quando andavo nelle parrocchie a Milano, trovavo sempre chi si lamentava delle mancanze, del fatto che non ci sono giovani. E io dicevo di cui ringraziare Dio per i beni che ci ha concesso, non per quelli che mancano. Dicevo che la fede, in una situazione così secolarizzata, è già un miracolo. Bisogna partire dalle cose belle che abbiamo e ampliarle. L'elenco delle cose che mancano è senza fine. E i piani pastorali che partono dall'elenco delle lacune sono destinati a dare frustrazioni e non speranze".

>>>La Repubblica, (16 marzo 2007)<<<

mercoledì 14 marzo 2007

IDENTITA'  E  VIOLENZA


(seconda puntata)


Questi sono i giorni della identità cattolica.


Identità cattolica. Presuppone altre identità presenti oggi in Italia.


Se l'identità cattolica deve essere affermata con determinazione, ne deduco che debba esserlo in concorrenza o in contrapposizione con altre identità, religiose e no. Ma non voglio fare la gnorri, è chiaro che sto parlando dello scontro di identità che siamo costretti a vivere nella nostra società o, meglio, dell'attacco violento della identità cattolica alla identità laica della nostra nazione.


La libertà di parola è fuori discussione, anzi è ottima cosa conoscere con precisione idee e fini di un capo importante e influente come il pontefice cattolico, anche per difendersi quando è necessario. E non sono mancate le occasioni in cui è stato necessario difendersi. Se si parla di "leggi contro natura", che si fa? Si ingoia l'insulto e si tace?


L'attacco allo laicità dello stato, tuttavia,  ormai non è nemmeno più mascherato dalle esigenze del magistero religioso, visto che il sovrano (assoluto) della Città del Vaticano si rivolge direttamente ai parlamentari della Repubblica Italiana per condizionarne pesantemente l'attività legislativa, secondo la propria visione della vita e della politica. Certo sarà responsabilità dei parlamentari scegliere fra la lealtà alle leggi del proprio Paese e l'imposizione del proprio credo religioso a tutto il variegato popolo italiano.


Identità cattolica? Unica, monolitica, senza sfumature?


Le paure del Vaticano
Enzo Mazzi
Paura chiama paura e insieme, tenendosi per mano nell'intento di sostenersi reciprocamente, precipitano nel baratro. Non trovo altra spiegazione a questa politica fondamentalista e aggressiva praticata dai vertici della Chiesa cattolica. Perfino la tradizionale austera nobiltà dell'Osservatore Romano, il giornale istituzionale per eccellenza, si sta piegando alle esigenze dell'esorcismo della paura. Ne è un esempio l'attacco smodato con cui il quotidiano della Santa Sede si è scagliato ieri contro la manifestazione di sabato scorso in favore dei Dico, parlando di «manifestazione carnevalesca e irrispettosa».
Ma che sta succedendo nei sacri palazzi si domandano increduli in tanti, non solo cristiani critici ma cattolici devoti, teologi, preti, religiosi, suore e anche vescovi delle periferie. Un immenso assordante silenzio nasconde lo sconcerto del mondo cattolico.
Una gerarchia resa insicura dal procedere inarrestabile della secolarizzazione e della libertà di coscienza nell'insieme della società e all'interno della Chiesa stessa, aggredita dalla paura che si sgretoli dalle fondamenta, come le mura di Gerico, l'imponente potere accumulato nei secoli, tenta disperatamente di salvarsi aggrappandosi alle angosce esistenziali, etiche, materiali, di una società altrettanto insicura.
Il cristianesimo è nato da un grande movimento popolare di liberazione dalla paura e ora il dominio della paura rischia di portarlo alla rovina. «Non abbiate paura, il crocifisso è risorto», dice l'apparizione di un messaggero celeste alle donne davanti al sepolcro vuoto. Il crocifisso è, nel Vangelo, il simbolo di una società nuova che risorge dalla paura ed è destinata a soppiantare il vecchio mondo il quale per esorcizzare la paura della fine si allea ma inutilmente con la morte. Così nacque il cristianesimo. Così si sviluppò nei primi secoli quando i cristiani affrontarono impavidi le persecuzioni. Finché la croce divenne esibizione della sofferenza del Dio fatto uomo e fu usata quale chiave strategica con cui il cristianesimo si è imposto come religione universale vincente, offrendosi al tempo stesso all'Impero come strumento di stabilità e unità. E arrivò Costantino che s'impadronì di quella religione nata dalla liberazione della paura per rovesciarla in strumento essa stessa di paura: In hoc signo vinces, in questo segno vincerai, cioè nel segno della croce come sacrificio perenne.
Dopo due millenni è il cristianesimo che sta usando la crocifissione per salvarsi dalla paura: crocifigge le donne, i gay, i tanti Welby, le coppie di fatto, perfino preti e teologi che si appellano alla libertà di coscienza.
Ci vorrebbe anche oggi un «angelo» che di fronte ai sepolcri vuoti gridasse ai vertici ecclesiastici e in fondo a tutti noi: «Non abbiate paura, quelle e quelli che avete crocifisso sono risorti». [
Il Manifesto, 13 marzo 2007


Non il Cristianesimo, caro coraggioso don Mazzi, non il Cristianesimo, e nemmeno il Cristianesimo cattolico, ma il cattolicesimo alla Ratzinger, alla Ruini, alla Bagnasco e compagnia cantando.



Prima puntata

IDENTITA'  E  VIOLENZA


(seconda puntata)


Questi sono i giorni della identità cattolica.


Identità cattolica. Presuppone altre identità presenti oggi in Italia.


Se l'identità cattolica deve essere affermata con determinazione, ne deduco che debba esserlo in concorrenza o in contrapposizione con altre identità, religiose e no. Ma non voglio fare la gnorri, è chiaro che sto parlando dello scontro di identità che siamo costretti a vivere nella nostra società o, meglio, dell'attacco violento della identità cattolica alla identità laica della nostra nazione.


La libertà di parola è fuori discussione, anzi è ottima cosa conoscere con precisione idee e fini di un capo importante e influente come il pontefice cattolico, anche per difendersi quando è necessario. E non sono mancate le occasioni in cui è stato necessario difendersi. Se si parla di "leggi contro natura", che si fa? Si ingoia l'insulto e si tace?


L'attacco allo laicità dello stato, tuttavia,  ormai non è nemmeno più mascherato dalle esigenze del magistero religioso, visto che il sovrano (assoluto) della Città del Vaticano si rivolge direttamente ai parlamentari della Repubblica Italiana per condizionarne pesantemente l'attività legislativa, secondo la propria visione della vita e della politica. Certo sarà responsabilità dei parlamentari scegliere fra la lealtà alle leggi del proprio Paese e l'imposizione del proprio credo religioso a tutto il variegato popolo italiano.


Identità cattolica? Unica, monolitica, senza sfumature?


Le paure del Vaticano
Enzo Mazzi
Paura chiama paura e insieme, tenendosi per mano nell'intento di sostenersi reciprocamente, precipitano nel baratro. Non trovo altra spiegazione a questa politica fondamentalista e aggressiva praticata dai vertici della Chiesa cattolica. Perfino la tradizionale austera nobiltà dell'Osservatore Romano, il giornale istituzionale per eccellenza, si sta piegando alle esigenze dell'esorcismo della paura. Ne è un esempio l'attacco smodato con cui il quotidiano della Santa Sede si è scagliato ieri contro la manifestazione di sabato scorso in favore dei Dico, parlando di «manifestazione carnevalesca e irrispettosa».
Ma che sta succedendo nei sacri palazzi si domandano increduli in tanti, non solo cristiani critici ma cattolici devoti, teologi, preti, religiosi, suore e anche vescovi delle periferie. Un immenso assordante silenzio nasconde lo sconcerto del mondo cattolico.
Una gerarchia resa insicura dal procedere inarrestabile della secolarizzazione e della libertà di coscienza nell'insieme della società e all'interno della Chiesa stessa, aggredita dalla paura che si sgretoli dalle fondamenta, come le mura di Gerico, l'imponente potere accumulato nei secoli, tenta disperatamente di salvarsi aggrappandosi alle angosce esistenziali, etiche, materiali, di una società altrettanto insicura.
Il cristianesimo è nato da un grande movimento popolare di liberazione dalla paura e ora il dominio della paura rischia di portarlo alla rovina. «Non abbiate paura, il crocifisso è risorto», dice l'apparizione di un messaggero celeste alle donne davanti al sepolcro vuoto. Il crocifisso è, nel Vangelo, il simbolo di una società nuova che risorge dalla paura ed è destinata a soppiantare il vecchio mondo il quale per esorcizzare la paura della fine si allea ma inutilmente con la morte. Così nacque il cristianesimo. Così si sviluppò nei primi secoli quando i cristiani affrontarono impavidi le persecuzioni. Finché la croce divenne esibizione della sofferenza del Dio fatto uomo e fu usata quale chiave strategica con cui il cristianesimo si è imposto come religione universale vincente, offrendosi al tempo stesso all'Impero come strumento di stabilità e unità. E arrivò Costantino che s'impadronì di quella religione nata dalla liberazione della paura per rovesciarla in strumento essa stessa di paura: In hoc signo vinces, in questo segno vincerai, cioè nel segno della croce come sacrificio perenne.
Dopo due millenni è il cristianesimo che sta usando la crocifissione per salvarsi dalla paura: crocifigge le donne, i gay, i tanti Welby, le coppie di fatto, perfino preti e teologi che si appellano alla libertà di coscienza.
Ci vorrebbe anche oggi un «angelo» che di fronte ai sepolcri vuoti gridasse ai vertici ecclesiastici e in fondo a tutti noi: «Non abbiate paura, quelle e quelli che avete crocifisso sono risorti». [
Il Manifesto, 13 marzo 2007


Non il Cristianesimo, caro coraggioso don Mazzi, non il Cristianesimo, e nemmeno il Cristianesimo cattolico, ma il cattolicesimo alla Ratzinger, alla Ruini, alla Bagnasco e compagnia cantando.



Prima puntata

sabato 10 marzo 2007

"TIBET: PER NON DIMENTICARE"



10 MARZO 2007 - ROMA



Celebrazione del 48° anniversario dell'insurrezione di Lhasa



...............


- ricordare l'insurrezione popolare di Lhasa del marzo 1959
- sostenere l'avvio di negoziati, senza precondizioni da ambo le parti, tra Pechino e il Governo Tibetano in Esilio
- per il rispetto dei Diritti Umani, dell'identità storica e culturale del popolo tibetano
- per la liberazione di tutti i prigionieri politici, a partire dal giovane Panchen Lama e Tenzin Delek Rinpoche



Organizzazione:
Comunità Tibetana in Italia,
Associazione Donne Tibetane
in collaborazione con Associazione Amici del Tibet.



Il popolo tibetano è quasi completamente scomparso dall'informazione ufficiale, dalla stampa e, quel che conta di più, dalle televisioni. Chi si ricorda più del Tibet e dei crimini cinesi? Il Tibet e i tibetani sembrano ingoiati dall'immensa Cina, circondati da un mare di silenzio e d'indifferenza. E' tardi per continuare a lottare per la vita e la civiltà dei tibetani? Molto è andato perduto nelle ondate di distruzione e morte dei fanatici maoisti.  E ora? Una prospettiva è stata aperta dal Parlamento Europeo.


IL PARLAMENTO EUROPEO APPROVA UNA RISOLUZIONE SUL TIBET

Strasburgo, 15 febbraio 2007. (ICT/Phayul)
Con un’astensione e settantuno voti a favore su un totale di settantadue eurodeputati presenti, il Parlamento Europeo ha approvato una “Risoluzione sul Dialogo tra il Governo Cinese e gli Inviati del Dalai Lama”. Il documento, nei primi tre punti, afferma che il Parlamento Europeo:

- Chiede al Governo della Repubblica Popolare Cinese e al Dalai Lama di riprendere e continuare il dialogo senza precondizioni e in modo lungimirante tale da consentire una soluzione pratica che rispetti l’integrità territoriale della Cina e soddisfi le aspirazioni del popolo tibetano

- Si dichiara soddisfatto delle leggi e dei regolamenti sull’autonomia etnica regionale adottati dal Governo della Repubblica Popolare ma teme che molte di queste leggi contengano condizioni che ne impediscono o ne rendono difficile l’applicazione

- Chiede alla Commissione Europea, al Consiglio d’Europa e agli Stati Membri di sostenere attivamente il consolidarsi del dialogo e, in assenza di tangibili risultati su questioni di fondo e dopo aver consultato entrambe le parti, definiscano il futuro ruolo che l’Unione Europea potrà svolgere per facilitare una soluzione negoziata del problema tibetano, compresa la nomina di uno Speciale Rappresentante dell’Unione Europea per il Tibet. ... continua QUI


Link: Associazione Italia - Tibet