sabato 26 febbraio 2011


  MEDITERRANEO
la poesia del lago di luce 
di Tahar Ben Jelloun 
2005

 

Mediterraneo_da Wikipedia

 



Il Mediterraneo è una perla. Come le pietre preziose, è sorto dalle viscere della Storia, attraversando molte prove e difficoltà. E' un' area geografica, certo, e una parte importante della storia dell' umanità: un mare con le sue sponde, con diversi paesi e popolazioni; e una serie di stereotipi, usati a proprio vantaggio dall' industria turistica.
Ed è anche un comodo gadget per organizzare colloqui, che consentono ai promotori di giustificare le sovvenzioni di cui fruiscono. Ciò che si dice in quei convegni - ovviamente non sempre, ma in alcuni casi - se ne va via col vento, trattenendo al massimo l'attenzione di pochi isolati, o appassionati della realtà mediterranea.
E' ormai un filone, una buona ricetta per parlare senza dir nulla, o magari per proclamare frasi generiche del tipo «il Mediterraneo lago di pace», pur sapendo benissimo che pochi altri luoghi hanno visto esplodere tante guerre civili e conflitti tra stati. Ma questo lago che non è un lago, per quanto calme possano essere le sue acque, è un enigma, un mistero che affascina e intriga.
Il Mediterraneo, prima ancora che un modo di vivere, è un modo di essere. Per comprendere bene quest' affermazione basta immaginare un asiatico o un nordico condannati a lavorare a Napoli o a Beirut: troverebbero difficile, se non impossibile, assimilare l' immaginario dei mediterranei, e soprattutto la loro concezione del tempo, il loro modo di consumarlo. Qui il concetto della durata, così preciso e sempre misurato altrove, è vago, estensibile, e a volte anche poetico, nel senso che i punti di riferimento dell' essere si perdono o si confondono, mescolando le necessità tecniche e amministrative con l' affettività, gli interessi familiari, le pulsioni irrazionali ecc. è una questione di grammatica e di sintassi, che nel Mediterraneo non sono come altrove. Si può parlare la stessa lingua, farsi capire passando per l' inglese o lo spagnolo, ma il modo di fare e di comportarsi, i gesti, i simboli cui ci si richiama sfuggono inevitabilmente alla struttura della lingua propriamente detta.
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Nel mondo arabo, il Mediterraneo è chiamato «il mare bianco di mezzo». Di fatto non è bianco, né sta nel mezzo. Al limite, lo si può collocare al centro della carta del mondo: tutto dipende dal luogo in cui si sta, da dove lo si guarda. Bianco, perché il suo azzurro è talmente luminoso da confondersi con la luce lunare, quando la luna è piena. Il mondo arabo non si è fatto una fama di tradizioni marittime, benché i suoi scambi commerciali siano sempre passati per il Mediterraneo. Oggi però i leader politici lo citano di rado. Forse perché appartengono alla sua area più povera e sovrappopolata, che più segna la differenza rispetto alle nazioni del Nord. Un' area che certo avrebbe voluto poter godere delle stesse ricchezze dei dirimpettai dell' altra sponda.
Il dramma è che il Mediterraneo è multiplo e squilibrato, sia sul piano economico che su quello demografico. La sua area settentrionale è ricca, ma scarsamente popolata; e ha bisogno della manodopera dell' altra sponda, meno sviluppata ma sovraffollata di gente che sogna di emigrare, lasciandosi alle spalle la povertà in cui vegeta da molti lustri. Questa disuguaglianza è anormale.
Si contava sull' Europa perché ristabilisse l' equilibrio, facendo del Mediterraneo un' entità armonica, forte, bella e di sangue misto. Ma l' Europa ha preferito rivolgersi ad Est, e ha integrato vari paesi di quell' area con sconcertante rapidità. Ha dimenticato il Sud, gli ha voltato le spalle. Ma il Sud continua a guardare all' Ue, ad osservarla. E se non è l' Europa a venire al Sud, è la sua gente ad andare, per vie legali o clandestine, verso quell' Europa che l' ha trascurata.
I ministri dell' interno del G5, che comprende tre paesi mediterranei, si sono riuniti a Evian, nell' Alta Savoia, per mettere in comune le loro infrastrutture e concordare i voli organizzati per espellere gli immigrati clandestini, raggruppati a seconda dei paesi di provenienza. Come ha detto il ministro francese Nicolas Sarkozy, si tratta di «coordinare i nostri sforzi finanziari e politici» (Le Monde, 5 luglio 2005). Inoltre, per meglio sottolineare il legame di quell' Europa del Nord con gli stati dell' Est, Sarkozy ha proposto di trasformare il G5 in G6, inserendo nel gruppo anche la Polonia. La migrazione rimane una costante del Mediterraneo povero. Un tempo erano i portoghesi, gli spagnoli e gli italiani a lasciare il proprio paese per cercare lavoro sull' altra sponda; mentre oggi questi stessi paesi - e soprattutto i due ultimi - sono divenuti terre d' immigrazione. Nel 2004 si contavano in Spagna 375.767 immigrati marocchini regolari, di cui 128.686 nella sola Catalogna. Dal 1996 la popolazione straniera si è triplicata. Con la regolarizzazione di varie centinaia di migliaia di immigrati privi di documenti, la Spagna e l' Italia hanno voluto risanare una situazione in cui il lavoro nero faceva comodo a molti imprenditori, ma insidiava lo statuto dei lavoratori e defraudava lo Stato dei contributi non versati per questi lavoratori clandestini, inesistenti sul piano legale. Un gesto che è stato criticato dalla Francia, e usato persino come argomento per incitare al voto contro il progetto di Costituzione europea. Uno dei leader di destra di questa campagna è arrivato a dire che presto «i marocchini e gli albanesi regolarizzati verranno da noi, a creare disoccupazione nella nostra società». * * *
Il Mediterraneo è tutte queste cose: variegato e uguale a se stesso, complesso e irrazionale, seducente e contraddittorio. Ma come farne un' entità unita e forte, una sorta di blocco ove le ricchezze siano distribuite con equilibrio e giustizia, la demografia si sviluppi in maniera armonica e la violenza sia messa al bando? L' Europa avrebbe potuto fare la scelta di orientarsi verso il Mediterraneo, tenendo in giusta considerazione l' importanza di questa sua componente, con le sue debolezze e i suoi punti di forza. Ma l' Ue è ancora incompleta, e sta attraversando una seria crisi. Potrebbe darsi che il no al progetto di costituzione - un rifiuto molto ambiguo - rappresenti un' opportunità per il Mediterraneo. Ma per renderla realizzabile occorrerebbe convertire alla "religione" mediterranea paesi quali la Germania, l' Olanda, il Belgio, la stessa Gran Bretagna. è questo il vero problema: un problema che non è né politico né economico, ma culturale. La cultura mediterranea è cresciuta attraverso incontri, scambi, passioni, commistioni di razze, duttilità, ma anche forti ambizioni. Agli arabi si deve la traduzione di Aristotele in arabo e in latino. E sono stati viaggiatori arabi come Ibn Batouta, o italiani come Marco Polo, a portare nel mondo lo spirito di questo Mediterraneo. I viaggi, i commerci, le vicende di guerra e pace, i ritrovamenti e i matrimoni, le successive simbiosi culturali, nella musica come nella pittura o nell' arte culinaria: ecco ciò che più fedelmente definisce il Mediterraneo di oggi e di ieri.
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Saranno forse la letteratura e la poesia a unificare il Mediterraneo, dandogli una voce in grado di arrivare lontano e di parlare al mondo. è con la cultura e con la poesia che il Mediterraneo resisterà - poiché si tratta di resistere a una globalizzazione che sacrifica il Sud. Non possiamo contare sui politici, più preoccupati della propria carriera che del futuro del Mediterraneo. La resistenza, la fanno i visionari, coloro che portano nel cuore questa luce mediterranea e la celebrano, la cantano al di là del tempo e delle contingenze. I poeti ci parlano di giardini che non hanno più un paese ove fiorire, e ci rammentano «i frutti nella poesia e nel mare». Sono parole di un poeta libanese francofono, Georges Schéhadé, che ci dice ancora: «Quando avremo Spiagge dolci da toccare con lo sguardo E una vita ove l' ombra si scosta dalla luce Verrà il riposo con i suoi tesori Tu ed io sulla Terra delle spiagge O amore mio che i viaggi Al sonno stai domandando». E come per rispondergli, il poeta greco Yannis Ritsos scrive, nel marzo 1972: «Il nudo sentiero, il sole, i ramoscelli secchi, le pietre. Raggiunta infine la sorgente, al meriggio, Davanti al fragore e all' abbondanza dell' acqua, Comprendiamo quanto la nostra sete Sia poca cosa». L' andaluso Vicente Aleixandre evoca il sole, che è l' altra faccia enigmatica e immobile del mare, in una poesia intitolata Figli del sole: «La luce, bella luce del sole, Crudele messaggio dell' impossibile, Annuncio dorato di un fuoco sottratto all' uomo, Ci invia la sua folgorante promessa strappata Sempre e per sempre in cielo, serenamente statico (Sombras del paraiso; 1939-1943). Nel settembre 1941, l' altro premio Nobel della letteratura, il greco Georges Seferis, descriveva con parole semplici la quotidiana bellezza di questo Mediterraneo: «Il mare ti appartiene e il vento Con un astro sospeso al firmamento. Signore, essi non sanno che noi Siamo solo ciò che possiamo Curando le nostre piaghe con erbe Raccolte sui verdi pendii, Non laggiù ma qui, molto vicino. Respiriamo come possiamo, Con la timida preghiera d' ogni mattino Che si fa strada verso la riva Lungo le faglie della memoria Signore, non con loro. Sia fatta altrimenti la tua volontà».
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Come già disse il poeta francese René Char, «gli uccelli non hanno cuore di cantare in un cespuglio di domande». Il bacino mediterraneo, e più precisamente la sua parte più povera, il Sud, somiglia a una foresta di interrogativi, di problemi, di destini contrastati. I poeti sono i migliori analisti di una situazione strutturale. Vedono lontano e in profondità. Perciò bisogna consultarli - cioè leggerli in via prioritaria, se si vuole che questa parte del mondo possa divenire un luogo in cui far vivere e cantare i valori dell' umanesimo. Sarebbe difficile chiedere al cancelliere tedesco, al presidente del consiglio italiano o al premier britannico di tener conto della voce dei poeti. Ma già Platone, e in seguito anche Nietsche, molto prima di quest' epoca moderna così violenta e manichea, avevano detto quanto i politici hanno bisogno della filosofia e della poesia. Viviamo in un mondo bipolare, dove per il momento domina l' asse anglosassone; e il mondo asiatico sta avanzando. L' uno e l' altro hanno in comune una cosa: del Mediterraneo non sanno neppure dove si trovi. Per alcuni è un club di vacanze, per altri un supermercato che vende prodotti coltivati a migliaia di chilometri di distanza. Ragione di più perché i mediterranei prendano coscienza dell' eccezione culturale che rappresentano, dell' opportunità di essere diversi, del loro interesse a rafforzare i reciproci legami politici, economici e culturali. (Traduzione di Elisabetta Horvat)


La Repubblica - 04 settembre 2005 —   pagina 34-35   sezione: DOMENICALE 
 

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