Toponomastica e Teopolitica
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Questo uno dei titoli del Riformista di oggi. L'articolo non è disponibile online, ma evidentemente pone un problema vecchio e non ancora risolto.
Sono all'oscuro dei fatti, quindi mi rivolgo a google, dove trovo un articolo di Mario Pirani, sicuramente tratto da La Repubblica e risalente al maggio dell'anno scorso. Potrebbe sembrare una cosa di poco conto se si pensa agli stravolgimenti e agli orrori di questi giorni in molte parti del mondo, ma non lo è. Sul piano storico, simbolico e politico ritengo quella targa una vicenda enorme per una città italiana, non importa quale. Una vicenda vergognosa per la sua carica razzismo in generale e di antisemitismo in particolare. E che dire del fatto che la richiesta è stata fatta dal vescovo di Arezzo e che i nostri politicanti di sinistra hanno lasciato fare, sia pure come opposizione, per le solite questioni di convenienze elettorali? .
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Linea di confine
Mario Pirani
QUELLA TARGA DA TOGLIERE SENZA SE E SENZA MA
Domenica prossima, assieme a molte altre città, anche Arezzo rinnoverà il Consiglio comunale. L´amministrazione, attualmente sotto commissario, era in Toscana una delle poche di centro destra (Forza Italia, An e Udc), vincente nel 1999 e nel 2004, dopo un cinquantennio dominato dalle sinistre. Il motivo per cui ne parlo è apparentemente minore ma di grande valore simbolico. Poco dopo il suo insediamento la giunta di centrodestra, malgrado l´opposizione dei laici, si affrettò, su richiesta del vescovo, a intitolare la piazzetta prospiciente la Casa di Petrarca, in pieno centro, alla «insurrezione popolare dei Viva Maria». I partiti di centrosinistra si rassegnarono.
Solo Rifondazione comunista presentò un odg per la rimozione della targa, rimasto senza seguito. Un piccolo gruppo di storici e di intellettuali laici, sostenuti da un coraggioso giornalista, Marco Caneschi, dalle colonne del settimanale Arezzo, seguitò a documentare l´infamia dell´iniziativa e a riportare i messaggi indignati delle comunità ebraiche in Italia e all´estero.
Nell´attuale campagna elettorale è stata la Rosa nel Pugno a riportare sul piano politico la questione mentre il resto del centro sinistra svicola per timore che la Margherita e il capolista, nipote di Amintore Fanfani, patisca qualche reazione della Curia.
Ricordo di che si tratta anche per chi non ha letto o ha dimenticato un articolo del 1999 in cui ne parlai su queste colonne, ancor prima che divampasse la polemica aretina.
Ero stato sollecitato dalla rivalutazione che Il Foglio aveva fatto, anticipando la sua più recente svolta cattolico-ortodossa, del movimento delle Insorgenze, come vengono battezzati i moti sanfedisti del 1796-1799. Le «armate della santa fede», così venivano denominate, organizzate dal cardinale Ruffo di Calabria, agirono a Napoli e nel Mezzogiorno, ma anche nel Granducato di Toscana, nello Stato pontificio e altrove.
Ovunque, in concomitanza con il ritorno dei sovrani assoluti sostenuti dalle armate austro-russe, dopo il primo ritiro di Napoleone dall´Italia, si abbandonarono a sanguinosi massacri dei giacobini italiani che avevano dato vita alle effimere repubbliche locali e a municipalità provvisorie, degli esponenti simpatizzanti del ceto medio emergente e dei pochi aristocratici che avevano abbracciato la Carta dei Diritti dell´Uomo. Ma soprattutto l´odio veniva indirizzato contro gli ebrei che gli eserciti della Rivoluzione francese avevano appena liberato dai ghetti dove erano rinchiusi.
Veri e propri pogrom vennero effettuati non nel Sud, dove non vi erano ebrei, almeno palesi, ma in Toscana, nelle Marche (Senigaglia fu teatro di un massacro), mentre a Roma il ghetto appena aperto venne assaltato. Ora, è pur vero che le Insorgenze, animate e guidate dal rancore nobiliar-clericale, riuscirono a far presa sulla disperazione atavica di masse contadine poverissime, rese ancor più insofferenti dalle tasse introdotte da francesi e giacobini, ma far passar tutto questo, come abbiamo letto, per un eroico moto di popolo di «uomini e donne di ogni ceto sociale che eroicamente impugnarono falci e forconi in nome della propria identità, della religione cattolica e dei legittimi sovrani», è qualcosa che solo qualche prete forcaiolo dell´800, spogliato dei benefici ecclesiastici o qualche legittimista nostalgico dei sovrani assoluti, avrebbe potuto scrivere.
Soprattutto non è dato ignorare gli aspetti tragici che assunse in quel frangente l´odio antiebraico di marca cristiana, ispirando, appunto, nel caso in questione, le bande aretine dei "Viva Maria". Queste, dapprima scacciarono violentemente gli ebrei da Monte San Savino, quindi, saputo che alcuni si erano rifugiati presso i correligionari di Siena, si precipitarono in quella città.
Era la notte dello shabbat. Guidati da un prete, tal Romanelli, devastarono la sinagoga uccidendo tre ebrei che vi si erano rifugiati, altri vennero pugnalati nella strade. Sulle gradinate della chiesa di S. Martino ne fu assassinato un altro con la moglie incinta, accorsa al suo fianco. Il culmine dell´orrore venne raggiunto al mattino del sabato 28 giugno 1799, quando un gruppo di ebrei e un soldato francese ferito vennero bruciati su un falò a piazza del Campo. sotto lo sguardo del vescovo che assisteva da una finestra.
In tutto 14 ebrei vennero massacrati. Due secoli dopo, in un´altra notte di shabbat, tra il 5 e il 6 novembre 1943 altri 14 ebrei senesi che non erano riusciti a nascondersi vennero deportati senza ritorno ad Auschwitz.
Quella lapide è una offesa intollerabile ai martiri dell´uno e dell´altro eccidio. Va cancellata senza se e senza ma.
22/05/2006