domenica 30 settembre 2007

Appelli per il Popolo Birmano



An appeal to the UN Security Council to protect the people of Burma


  Myanmar: appello per cessare la repressione  di Amnesty International


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    L'appello del Dalai Lama:


"Estendo il mio sostegno e la mia solidarietà al recente movimento pacifico per la democrazia in Birmania."


"Sostengo pienamente la loro richiesta di libertà e democrazia e colgo questa opportunità per chiedere alla gente amnate della libertà in tutto il mondo di supportare questi movimenti non violenti."


"Da monaco buddhista mi sto appellando ai membri del regime militare che crede nel Buddhismo perché agiscano in accordo con il sacro dharma nello spirito della compassione e della non violenza."


"Prego per il successo di questo movimento pacifico e la pronta liberazione del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi."


   


Fonte: The Government of Tibet in exile . Foto dal sito BBCNews.


Aggiornamento 1 ottobre 2007


Da Leira è arrivato questo suggerimento per firmare un altro appello:


Avaaz.org - The World in Action - Stand with the Burmese Protesters


   After decades of military dictatorship, the people of Burma are rising – and they need our help. Marches begun by monks and nuns have snowballed, bringing hundreds of thousands to the streets. Now the crackdown has begun...

When the Burmese last marched in 1988, the military massacred thousands. But if the world stands up and supports their struggle, this time they could succeed. We'll send our petition to United Nations Security Council members (including the dictatorship's main backer China) and to media at the UN, while also alerting the Burmese to our support:
Take action now »

giovedì 27 settembre 2007


Una maglietta rossa per la Birmania
"In tutto il mondo, venerdì 28"


Un messaggio sta circolando in queste ore per sms e sui blog per chiedere a tutti un segno di solidarietà per i monaci buddisti e per il popolo birmano. (La Repubblica)


Ricordiamoci di collegarci con i blogger birmani (i link sono un po' su tutti i giornali online). Nel sito BBCNews ho trovato questo: Ko Htike's blog .


Il sito di notizie dal punto di vista dei birmani:  "The Irrawaddy News Magazine [Covering Burma and Southeast Asia] . Un altro sito suggerito da Linodigianni : http://www.mizzima.com/





"L'intera popolazione guidata dai monaci attua una protesta pacifica per la liberazione dalle generali crisi politiche economiche e sociali recitando la Metta Sutta". Questa è la frase con cui si apre la dichiarazione dell'Alleanza dei Monaci Birmani e degli Studenti della generazione del 1988.


Metta Sutta



Parole del Buddha sulla gentilezza amorevole



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Questo dovrebbe fare
chi pratica il bene
e conosce il sentiero della pace:
essere abile e retto,
chiaro nel parlare,
gentile e non vanitoso,
contento e facilmente appagato;
non oppresso da impegni e di modi frugali,
calmo e discreto, non altero o esigente;
incapace di fare
ciò che il saggio poi disapprova
ciò che il saggio poi disapprova.
continua qui



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Sulla Metta Sutta: La pratica di "Metta" nella meditazione di visione profonda [ ivi ] nel sito Santacittarama . La maglietta dal blog di Rosalba.


mercoledì 26 settembre 2007


  


Protests are visible via pictures posted by bloggers like Ko Htike

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Burma blogger Ko Htike - Ko Htike's blog

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27 settembre 2007. L'informazione da un punto di vista birmano è offerta dalla pubblicazione indipendente   "The Irrawaddy News Magazine [Covering Burma and Southeast Asia]

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COMPLICITA'


Ci si chiede sempre come facciano questi regimi dittatoriali ad andare avanti per così lunghi periodi storici e come mai la comunità internazionale non intervenga, magari con le famose sanzioni, che generalmente si ritorcono contro le popolazioni. La risposta quasi sempre la si trova cercando i "complici". In questo caso, secondo varie agenzie d'informazione, sono tre: CINA, RUSSIA e INDIA. I monaci buddhisti e il popolo birmano non hanno solo la giunta militare di fronte, quindi, ma ben alri giganti, forti della loro potenza e della loro posizione in quei famosi organi internazionali.





 

lunedì 24 settembre 2007

Il Dalai Lama e Angela Merkel



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I Monaci Buddhisti del Myanmar



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Aung San Suu Kyi sulla soglia della sua casa, sabato, e poi in fotografia durante le proteste a Roma oggi.



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Quattro fotografie per ricordare queste giornate eccezionali. Il destino del Tibet e della cultura tibetana sembra segnato, la Cina ha i mezzi per mantenere l'invasione ma non ha i mezzi per capire che è fuori di ogni diritto umano e internazionale. Rifulgono nella loro tragedia il popolo del Tibet e il Dalai Lama. Per il Myanmar so solo sperare.

giovedì 20 settembre 2007




Il diritto di morire di fame


di


Chiara Saraceno


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Sarebbe facile trovare contraddizioni sorprendenti nel documento vaticano che nega la liceità morale di qualsiasi atto ponga fine a una vita anche ridotta allo stato vegetativo.



La più vistosa riguarda l’eccezione concessa in casi di «regioni molto isolate o di estrema povertà» che non consentirebbero l’alimentazione e l’idratazione artificiale. Non solo sembra che la vita umana abbia in questi casi meno valore, non debba essere difesa a ogni costo. In questa eccezione si nasconde il dilemma che si pretende di risolvere una volta per tutte: che fare quando è la tecnica a mantenere forzatamente in vita al di là della vita stessa, quando un processo avviato a fini curativi prosegue al di là dello scopo iniziale. I poveri, i molti che vivono lontani da ogni ospedale tecnologicamente avanzato, rischiano di morire anche quando potrebbero essere curati (è questo il vero scandalo); ma certo non rischiano d’essere mantenuti in vita anche quando sono ridotti allo stato vegetale. Non è chiaro neppure come un essere in stato vegetale possa far valere una delle altre eccezioni previste: quando «l’alimentazione e l’idratazione artificiali possano comportare per il paziente un’eccessiva gravosità o un rilevante disagio fisico».

Al di là delle contraddizioni e dell’inconciliabilità delle diverse posizioni su che cosa s’intenda per vita umana, sul suo inizio e sulla sua fine, la questione di quando cessare il mantenimento in vita a ogni costo, quindi anche dell’alimentazione forzata, pone questioni molto simili a quelle che si sono presentate in occasioni che non avevano a che fare con la definizione di vita umana, ma con problemi di libertà e dignità individuale anche in condizioni estreme. Ricordo due casi scoppiati in Inghilterra, patria del diritto che sta alla base d’ogni altro diritto civile: l’habeas corpus, il diritto alla propria integrità fisica.


Il primo caso riguarda alcune femministe inglesi incarcerate all’inizio del ’900 con l’accusa di terrorismo in seguito alle loro azioni violente per rivendicare il diritto di voto. Quelle che in carcere fecero lo sciopero della fame vennero sottoposte ad alimentazione forzata suscitando pubbliche proteste perché tale procedimento si configurava come una violazione sia della libertà interiore delle prigioniere che della loro integrità corporea. Anche una prigioniera ha diritto a non essere violata nei confini del proprio corpo.

Lo stesso principio negli Anni 70 fu alla base d’un drammatico conflitto tra i prigionieri per terrorismo irlandesi nelle carceri inglesi e il governo inglese, allorché i primi iniziarono uno sciopero della fame di massa contro le condizioni di prigionia e si trovarono a dover combattere anche contro l’alimentazione forzata. I prigionieri irlandesi ottennero, sulla base del principio dell’habeas corpus, il diritto a non essere alimentati contro la loro volontà e quindi anche a morire. Non risulta che l’episcopato inglese e lo stesso Vaticano appoggiassero il governo di Londra in nome del principio dell’obbligo a non lasciar morire di fame. Anzi, gran parte della Chiesa irlandese era dalla parte dei prigionieri.

Perché non possiamo concedere a un essere umano che non ha altra colpa che quella di non poter più essere tale il diritto a non essere alimentato forzatamente concesso ai prigionieri terroristi irlandesi e rivendicato prima di loro dalle prigioniere femministe inglesi? Nutrire gli affamati è un obbligo umano fondamentale. Ma non prevaricare su chi - per circostanze diverse - non è in grado di rifiutare ciò che non vuole è un obbligo altrettanto forte. Almeno per chi, in possesso delle proprie capacità intellettive, dichiara esplicitamente di non voler più essere nutrito e tenuto in vita in casi di riduzione allo stato vegetale o di gravissime sofferenze prodotte dalle stesse procedure di mantenimento in vita, cessare l’alimentazione e idratazione forzata, e più in generale cessare l’invasività delle macchine, non è solo un atto di carità e forse un gesto estremo di autentico accudimento. È anche il rispetto del principio dell’habeas corpus, uno dei diritti di base della civiltà occidentale. Perciò, più che discutere di eutanasia, occorre urgentemente porre la questione del testamento biologico. [
La Stampa, 19/9/2007 ]




E' la prima volta che sento tirare in ballo il principio dell' habeas corpus, a me non era mai venuto in mente. Mi sembra un argomento di legge forte e ineccepibile. 



E' andato in onda l'ultimo atto, in ordine di tempo, del dibattito sul diritto della persona di decidere che cosa fare se dovesse trovarsi in quella terra di nessuno tra la vita e la morte, i cui confini si sono allargati in virtù dei progressi della medicina e della tecnologia. Nel documento "Risposte a quesiti della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti circa l'alimentazione e l'idratazione artificiali" il Vaticano ha affermato in via definitiva e assoluta che la persona "in stato vegetativo permenente" rimane sempre tale (c'è forse qualcuno che dice il contrario, magari fra gli orridi laicisti?) e che l'alimentazione e l'idratazione artificiali sono "mezzi ordinari e proporzionati di conservazione della vita" e quindi non è mai lecito interromperli.


 


Il Vaticano ha ovviamente tutto il diritto di diffondere la dottrina che ritiene fondata sulle sue verità assolute, pertanto il problema italiano è tutto nostro e dei nostri legislatori. Non ho notizie recenti sull'iter del testamento biologico, ma temo le pressioni del Vaticano sui nostri parlamentari e allo stesso tempo spero che i miei timori siano infondati. Per me questo è un problema grande che ho deciso di risolverlo, per quanto mi è concesso, seguendo i suggerimenti della Fondazione Veronesi [ modulo per il testamento biologico ]


 




Come dice il Vaticano, sono convinta che anche "in stato vegetativo permanente" continuerei a essere una persona e avrei il diritto di essere trattata come tale. E' evidente che in quello stato non potrei dare alcun consenso informato, quindi, per ovviare a questo "inconveniente", mi premuro di affermare la mia volontà e le mie decisioni nel momento in cui sono in salute, lucida e pienamente responsabile di ciò che penso e faccio. Il testamento biologico eviterebbe i temuti abusi sulla persona e solleverebbe i curatori dalla immane responsabilità della scelta sulla prosecuzione dell'accanimento terapeutico. Ai nostri legislatori indico il ragionamento legale della Saraceno e faccio sapere che rivendico con tutta la determinazione possibile il mio inviolabile diritto all' habeas corpus.


 




Non appartengo allo Stato e tantomeno a una qualsivoglia Chiesa. E dicendo questo voglio ricordare Piergiorgio Welby e Giovanni Nuvoli, due eroi del nostro tempo.


.


Ieri a Roma si è celebrato l'anniversario del 20 settembre 1870 all'insegna di una parafrasi azzeccatissima del motto "Libera Chiesa in Libero Stato".


.



LIBERI TUTTI IN LIBERO STATO


.




 


Un post interessante sul 20 settembre 2007 da Rosalba Sgroia:  QUI



Il diritto di morire di fame


di


Chiara Saraceno


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Sarebbe facile trovare contraddizioni sorprendenti nel documento vaticano che nega la liceità morale di qualsiasi atto ponga fine a una vita anche ridotta allo stato vegetativo.



La più vistosa riguarda l’eccezione concessa in casi di «regioni molto isolate o di estrema povertà» che non consentirebbero l’alimentazione e l’idratazione artificiale. Non solo sembra che la vita umana abbia in questi casi meno valore, non debba essere difesa a ogni costo. In questa eccezione si nasconde il dilemma che si pretende di risolvere una volta per tutte: che fare quando è la tecnica a mantenere forzatamente in vita al di là della vita stessa, quando un processo avviato a fini curativi prosegue al di là dello scopo iniziale. I poveri, i molti che vivono lontani da ogni ospedale tecnologicamente avanzato, rischiano di morire anche quando potrebbero essere curati (è questo il vero scandalo); ma certo non rischiano d’essere mantenuti in vita anche quando sono ridotti allo stato vegetale. Non è chiaro neppure come un essere in stato vegetale possa far valere una delle altre eccezioni previste: quando «l’alimentazione e l’idratazione artificiali possano comportare per il paziente un’eccessiva gravosità o un rilevante disagio fisico».

Al di là delle contraddizioni e dell’inconciliabilità delle diverse posizioni su che cosa s’intenda per vita umana, sul suo inizio e sulla sua fine, la questione di quando cessare il mantenimento in vita a ogni costo, quindi anche dell’alimentazione forzata, pone questioni molto simili a quelle che si sono presentate in occasioni che non avevano a che fare con la definizione di vita umana, ma con problemi di libertà e dignità individuale anche in condizioni estreme. Ricordo due casi scoppiati in Inghilterra, patria del diritto che sta alla base d’ogni altro diritto civile: l’habeas corpus, il diritto alla propria integrità fisica.


Il primo caso riguarda alcune femministe inglesi incarcerate all’inizio del ’900 con l’accusa di terrorismo in seguito alle loro azioni violente per rivendicare il diritto di voto. Quelle che in carcere fecero lo sciopero della fame vennero sottoposte ad alimentazione forzata suscitando pubbliche proteste perché tale procedimento si configurava come una violazione sia della libertà interiore delle prigioniere che della loro integrità corporea. Anche una prigioniera ha diritto a non essere violata nei confini del proprio corpo.

Lo stesso principio negli Anni 70 fu alla base d’un drammatico conflitto tra i prigionieri per terrorismo irlandesi nelle carceri inglesi e il governo inglese, allorché i primi iniziarono uno sciopero della fame di massa contro le condizioni di prigionia e si trovarono a dover combattere anche contro l’alimentazione forzata. I prigionieri irlandesi ottennero, sulla base del principio dell’habeas corpus, il diritto a non essere alimentati contro la loro volontà e quindi anche a morire. Non risulta che l’episcopato inglese e lo stesso Vaticano appoggiassero il governo di Londra in nome del principio dell’obbligo a non lasciar morire di fame. Anzi, gran parte della Chiesa irlandese era dalla parte dei prigionieri.

Perché non possiamo concedere a un essere umano che non ha altra colpa che quella di non poter più essere tale il diritto a non essere alimentato forzatamente concesso ai prigionieri terroristi irlandesi e rivendicato prima di loro dalle prigioniere femministe inglesi? Nutrire gli affamati è un obbligo umano fondamentale. Ma non prevaricare su chi - per circostanze diverse - non è in grado di rifiutare ciò che non vuole è un obbligo altrettanto forte. Almeno per chi, in possesso delle proprie capacità intellettive, dichiara esplicitamente di non voler più essere nutrito e tenuto in vita in casi di riduzione allo stato vegetale o di gravissime sofferenze prodotte dalle stesse procedure di mantenimento in vita, cessare l’alimentazione e idratazione forzata, e più in generale cessare l’invasività delle macchine, non è solo un atto di carità e forse un gesto estremo di autentico accudimento. È anche il rispetto del principio dell’habeas corpus, uno dei diritti di base della civiltà occidentale. Perciò, più che discutere di eutanasia, occorre urgentemente porre la questione del testamento biologico. [
La Stampa, 19/9/2007 ]




E' la prima volta che sento tirare in ballo il principio dell' habeas corpus, a me non era mai venuto in mente. Mi sembra un argomento di legge forte e ineccepibile. 



E' andato in onda l'ultimo atto, in ordine di tempo, del dibattito sul diritto della persona di decidere che cosa fare se dovesse trovarsi in quella terra di nessuno tra la vita e la morte, i cui confini si sono allargati in virtù dei progressi della medicina e della tecnologia. Nel documento "Risposte a quesiti della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti circa l'alimentazione e l'idratazione artificiali" il Vaticano ha affermato in via definitiva e assoluta che la persona "in stato vegetativo permenente" rimane sempre tale (c'è forse qualcuno che dice il contrario, magari fra gli orridi laicisti?) e che l'alimentazione e l'idratazione artificiali sono "mezzi ordinari e proporzionati di conservazione della vita" e quindi non è mai lecito interromperli.


 


Il Vaticano ha ovviamente tutto il diritto di diffondere la dottrina che ritiene fondata sulle sue verità assolute, pertanto il problema italiano è tutto nostro e dei nostri legislatori. Non ho notizie recenti sull'iter del testamento biologico, ma temo le pressioni del Vaticano sui nostri parlamentari e allo stesso tempo spero che i miei timori siano infondati. Per me questo è un problema grande che ho deciso di risolverlo, per quanto mi è concesso, seguendo i suggerimenti della Fondazione Veronesi [ modulo per il testamento biologico ]


 




Come dice il Vaticano, sono convinta che anche "in stato vegetativo permanente" continuerei a essere una persona e avrei il diritto di essere trattata come tale. E' evidente che in quello stato non potrei dare alcun consenso informato, quindi, per ovviare a questo "inconveniente", mi premuro di affermare la mia volontà e le mie decisioni nel momento in cui sono in salute, lucida e pienamente responsabile di ciò che penso e faccio. Il testamento biologico eviterebbe i temuti abusi sulla persona e solleverebbe i curatori dalla immane responsabilità della scelta sulla prosecuzione dell'accanimento terapeutico. Ai nostri legislatori indico il ragionamento legale della Saraceno e faccio sapere che rivendico con tutta la determinazione possibile il mio inviolabile diritto all' habeas corpus.


 




Non appartengo allo Stato e tantomeno a una qualsivoglia Chiesa. E dicendo questo voglio ricordare Piergiorgio Welby e Giovanni Nuvoli, due eroi del nostro tempo.


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Ieri a Roma si è celebrato l'anniversario del 20 settembre 1870 all'insegna di una parafrasi azzeccatissima del motto "Libera Chiesa in Libero Stato".


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LIBERI TUTTI IN LIBERO STATO


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Un post interessante sul 20 settembre 2007 da Rosalba Sgroia:  QUI



Il diritto di morire di fame


di


Chiara Saraceno


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Sarebbe facile trovare contraddizioni sorprendenti nel documento vaticano che nega la liceità morale di qualsiasi atto ponga fine a una vita anche ridotta allo stato vegetativo.



La più vistosa riguarda l’eccezione concessa in casi di «regioni molto isolate o di estrema povertà» che non consentirebbero l’alimentazione e l’idratazione artificiale. Non solo sembra che la vita umana abbia in questi casi meno valore, non debba essere difesa a ogni costo. In questa eccezione si nasconde il dilemma che si pretende di risolvere una volta per tutte: che fare quando è la tecnica a mantenere forzatamente in vita al di là della vita stessa, quando un processo avviato a fini curativi prosegue al di là dello scopo iniziale. I poveri, i molti che vivono lontani da ogni ospedale tecnologicamente avanzato, rischiano di morire anche quando potrebbero essere curati (è questo il vero scandalo); ma certo non rischiano d’essere mantenuti in vita anche quando sono ridotti allo stato vegetale. Non è chiaro neppure come un essere in stato vegetale possa far valere una delle altre eccezioni previste: quando «l’alimentazione e l’idratazione artificiali possano comportare per il paziente un’eccessiva gravosità o un rilevante disagio fisico».

Al di là delle contraddizioni e dell’inconciliabilità delle diverse posizioni su che cosa s’intenda per vita umana, sul suo inizio e sulla sua fine, la questione di quando cessare il mantenimento in vita a ogni costo, quindi anche dell’alimentazione forzata, pone questioni molto simili a quelle che si sono presentate in occasioni che non avevano a che fare con la definizione di vita umana, ma con problemi di libertà e dignità individuale anche in condizioni estreme. Ricordo due casi scoppiati in Inghilterra, patria del diritto che sta alla base d’ogni altro diritto civile: l’habeas corpus, il diritto alla propria integrità fisica.


Il primo caso riguarda alcune femministe inglesi incarcerate all’inizio del ’900 con l’accusa di terrorismo in seguito alle loro azioni violente per rivendicare il diritto di voto. Quelle che in carcere fecero lo sciopero della fame vennero sottoposte ad alimentazione forzata suscitando pubbliche proteste perché tale procedimento si configurava come una violazione sia della libertà interiore delle prigioniere che della loro integrità corporea. Anche una prigioniera ha diritto a non essere violata nei confini del proprio corpo.

Lo stesso principio negli Anni 70 fu alla base d’un drammatico conflitto tra i prigionieri per terrorismo irlandesi nelle carceri inglesi e il governo inglese, allorché i primi iniziarono uno sciopero della fame di massa contro le condizioni di prigionia e si trovarono a dover combattere anche contro l’alimentazione forzata. I prigionieri irlandesi ottennero, sulla base del principio dell’habeas corpus, il diritto a non essere alimentati contro la loro volontà e quindi anche a morire. Non risulta che l’episcopato inglese e lo stesso Vaticano appoggiassero il governo di Londra in nome del principio dell’obbligo a non lasciar morire di fame. Anzi, gran parte della Chiesa irlandese era dalla parte dei prigionieri.

Perché non possiamo concedere a un essere umano che non ha altra colpa che quella di non poter più essere tale il diritto a non essere alimentato forzatamente concesso ai prigionieri terroristi irlandesi e rivendicato prima di loro dalle prigioniere femministe inglesi? Nutrire gli affamati è un obbligo umano fondamentale. Ma non prevaricare su chi - per circostanze diverse - non è in grado di rifiutare ciò che non vuole è un obbligo altrettanto forte. Almeno per chi, in possesso delle proprie capacità intellettive, dichiara esplicitamente di non voler più essere nutrito e tenuto in vita in casi di riduzione allo stato vegetale o di gravissime sofferenze prodotte dalle stesse procedure di mantenimento in vita, cessare l’alimentazione e idratazione forzata, e più in generale cessare l’invasività delle macchine, non è solo un atto di carità e forse un gesto estremo di autentico accudimento. È anche il rispetto del principio dell’habeas corpus, uno dei diritti di base della civiltà occidentale. Perciò, più che discutere di eutanasia, occorre urgentemente porre la questione del testamento biologico. [
La Stampa, 19/9/2007 ]




E' la prima volta che sento tirare in ballo il principio dell' habeas corpus, a me non era mai venuto in mente. Mi sembra un argomento di legge forte e ineccepibile. 



E' andato in onda l'ultimo atto, in ordine di tempo, del dibattito sul diritto della persona di decidere che cosa fare se dovesse trovarsi in quella terra di nessuno tra la vita e la morte, i cui confini si sono allargati in virtù dei progressi della medicina e della tecnologia. Nel documento "Risposte a quesiti della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti circa l'alimentazione e l'idratazione artificiali" il Vaticano ha affermato in via definitiva e assoluta che la persona "in stato vegetativo permenente" rimane sempre tale (c'è forse qualcuno che dice il contrario, magari fra gli orridi laicisti?) e che l'alimentazione e l'idratazione artificiali sono "mezzi ordinari e proporzionati di conservazione della vita" e quindi non è mai lecito interromperli.


 


Il Vaticano ha ovviamente tutto il diritto di diffondere la dottrina che ritiene fondata sulle sue verità assolute, pertanto il problema italiano è tutto nostro e dei nostri legislatori. Non ho notizie recenti sull'iter del testamento biologico, ma temo le pressioni del Vaticano sui nostri parlamentari e allo stesso tempo spero che i miei timori siano infondati. Per me questo è un problema grande che ho deciso di risolverlo, per quanto mi è concesso, seguendo i suggerimenti della Fondazione Veronesi [ modulo per il testamento biologico ]


 




Come dice il Vaticano, sono convinta che anche "in stato vegetativo permanente" continuerei a essere una persona e avrei il diritto di essere trattata come tale. E' evidente che in quello stato non potrei dare alcun consenso informato, quindi, per ovviare a questo "inconveniente", mi premuro di affermare la mia volontà e le mie decisioni nel momento in cui sono in salute, lucida e pienamente responsabile di ciò che penso e faccio. Il testamento biologico eviterebbe i temuti abusi sulla persona e solleverebbe i curatori dalla immane responsabilità della scelta sulla prosecuzione dell'accanimento terapeutico. Ai nostri legislatori indico il ragionamento legale della Saraceno e faccio sapere che rivendico con tutta la determinazione possibile il mio inviolabile diritto all' habeas corpus.


 




Non appartengo allo Stato e tantomeno a una qualsivoglia Chiesa. E dicendo questo voglio ricordare Piergiorgio Welby e Giovanni Nuvoli, due eroi del nostro tempo.


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Ieri a Roma si è celebrato l'anniversario del 20 settembre 1870 all'insegna di una parafrasi azzeccatissima del motto "Libera Chiesa in Libero Stato".


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LIBERI TUTTI IN LIBERO STATO


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Un post interessante sul 20 settembre 2007 da Rosalba Sgroia:  QUI



Il diritto di morire di fame


di


Chiara Saraceno


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Sarebbe facile trovare contraddizioni sorprendenti nel documento vaticano che nega la liceità morale di qualsiasi atto ponga fine a una vita anche ridotta allo stato vegetativo.



La più vistosa riguarda l’eccezione concessa in casi di «regioni molto isolate o di estrema povertà» che non consentirebbero l’alimentazione e l’idratazione artificiale. Non solo sembra che la vita umana abbia in questi casi meno valore, non debba essere difesa a ogni costo. In questa eccezione si nasconde il dilemma che si pretende di risolvere una volta per tutte: che fare quando è la tecnica a mantenere forzatamente in vita al di là della vita stessa, quando un processo avviato a fini curativi prosegue al di là dello scopo iniziale. I poveri, i molti che vivono lontani da ogni ospedale tecnologicamente avanzato, rischiano di morire anche quando potrebbero essere curati (è questo il vero scandalo); ma certo non rischiano d’essere mantenuti in vita anche quando sono ridotti allo stato vegetale. Non è chiaro neppure come un essere in stato vegetale possa far valere una delle altre eccezioni previste: quando «l’alimentazione e l’idratazione artificiali possano comportare per il paziente un’eccessiva gravosità o un rilevante disagio fisico».

Al di là delle contraddizioni e dell’inconciliabilità delle diverse posizioni su che cosa s’intenda per vita umana, sul suo inizio e sulla sua fine, la questione di quando cessare il mantenimento in vita a ogni costo, quindi anche dell’alimentazione forzata, pone questioni molto simili a quelle che si sono presentate in occasioni che non avevano a che fare con la definizione di vita umana, ma con problemi di libertà e dignità individuale anche in condizioni estreme. Ricordo due casi scoppiati in Inghilterra, patria del diritto che sta alla base d’ogni altro diritto civile: l’habeas corpus, il diritto alla propria integrità fisica.


Il primo caso riguarda alcune femministe inglesi incarcerate all’inizio del ’900 con l’accusa di terrorismo in seguito alle loro azioni violente per rivendicare il diritto di voto. Quelle che in carcere fecero lo sciopero della fame vennero sottoposte ad alimentazione forzata suscitando pubbliche proteste perché tale procedimento si configurava come una violazione sia della libertà interiore delle prigioniere che della loro integrità corporea. Anche una prigioniera ha diritto a non essere violata nei confini del proprio corpo.

Lo stesso principio negli Anni 70 fu alla base d’un drammatico conflitto tra i prigionieri per terrorismo irlandesi nelle carceri inglesi e il governo inglese, allorché i primi iniziarono uno sciopero della fame di massa contro le condizioni di prigionia e si trovarono a dover combattere anche contro l’alimentazione forzata. I prigionieri irlandesi ottennero, sulla base del principio dell’habeas corpus, il diritto a non essere alimentati contro la loro volontà e quindi anche a morire. Non risulta che l’episcopato inglese e lo stesso Vaticano appoggiassero il governo di Londra in nome del principio dell’obbligo a non lasciar morire di fame. Anzi, gran parte della Chiesa irlandese era dalla parte dei prigionieri.

Perché non possiamo concedere a un essere umano che non ha altra colpa che quella di non poter più essere tale il diritto a non essere alimentato forzatamente concesso ai prigionieri terroristi irlandesi e rivendicato prima di loro dalle prigioniere femministe inglesi? Nutrire gli affamati è un obbligo umano fondamentale. Ma non prevaricare su chi - per circostanze diverse - non è in grado di rifiutare ciò che non vuole è un obbligo altrettanto forte. Almeno per chi, in possesso delle proprie capacità intellettive, dichiara esplicitamente di non voler più essere nutrito e tenuto in vita in casi di riduzione allo stato vegetale o di gravissime sofferenze prodotte dalle stesse procedure di mantenimento in vita, cessare l’alimentazione e idratazione forzata, e più in generale cessare l’invasività delle macchine, non è solo un atto di carità e forse un gesto estremo di autentico accudimento. È anche il rispetto del principio dell’habeas corpus, uno dei diritti di base della civiltà occidentale. Perciò, più che discutere di eutanasia, occorre urgentemente porre la questione del testamento biologico. [
La Stampa, 19/9/2007 ]




E' la prima volta che sento tirare in ballo il principio dell' habeas corpus, a me non era mai venuto in mente. Mi sembra un argomento di legge forte e ineccepibile. 



E' andato in onda l'ultimo atto, in ordine di tempo, del dibattito sul diritto della persona di decidere che cosa fare se dovesse trovarsi in quella terra di nessuno tra la vita e la morte, i cui confini si sono allargati in virtù dei progressi della medicina e della tecnologia. Nel documento "Risposte a quesiti della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti circa l'alimentazione e l'idratazione artificiali" il Vaticano ha affermato in via definitiva e assoluta che la persona "in stato vegetativo permenente" rimane sempre tale (c'è forse qualcuno che dice il contrario, magari fra gli orridi laicisti?) e che l'alimentazione e l'idratazione artificiali sono "mezzi ordinari e proporzionati di conservazione della vita" e quindi non è mai lecito interromperli.


 


Il Vaticano ha ovviamente tutto il diritto di diffondere la dottrina che ritiene fondata sulle sue verità assolute, pertanto il problema italiano è tutto nostro e dei nostri legislatori. Non ho notizie recenti sull'iter del testamento biologico, ma temo le pressioni del Vaticano sui nostri parlamentari e allo stesso tempo spero che i miei timori siano infondati. Per me questo è un problema grande che ho deciso di risolverlo, per quanto mi è concesso, seguendo i suggerimenti della Fondazione Veronesi [ modulo per il testamento biologico ]


 




Come dice il Vaticano, sono convinta che anche "in stato vegetativo permanente" continuerei a essere una persona e avrei il diritto di essere trattata come tale. E' evidente che in quello stato non potrei dare alcun consenso informato, quindi, per ovviare a questo "inconveniente", mi premuro di affermare la mia volontà e le mie decisioni nel momento in cui sono in salute, lucida e pienamente responsabile di ciò che penso e faccio. Il testamento biologico eviterebbe i temuti abusi sulla persona e solleverebbe i curatori dalla immane responsabilità della scelta sulla prosecuzione dell'accanimento terapeutico. Ai nostri legislatori indico il ragionamento legale della Saraceno e faccio sapere che rivendico con tutta la determinazione possibile il mio inviolabile diritto all' habeas corpus.


 




Non appartengo allo Stato e tantomeno a una qualsivoglia Chiesa. E dicendo questo voglio ricordare Piergiorgio Welby e Giovanni Nuvoli, due eroi del nostro tempo.


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Ieri a Roma si è celebrato l'anniversario del 20 settembre 1870 all'insegna di una parafrasi azzeccatissima del motto "Libera Chiesa in Libero Stato".


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LIBERI TUTTI IN LIBERO STATO


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Un post interessante sul 20 settembre 2007 da Rosalba Sgroia:  QUI

mercoledì 19 settembre 2007

PENA DI MORTE


Verso la moratoria tra difficoltà, timori e ipocrisie e veti polacchi.


Prodi ha scritto una lettera ai 55 premi nobel firmatari dell’appello per la presentazione della risoluzione sulla moratoria universale della pena di morte:


“Desidero ringraziarvi di cuore per l’appello che mi avete rivolto a sostegno di una causa cosi’ nobile. Anche grazie al vostro sforzo ed alla vostra mobilitazione un numero crescente di paesi, di organizzazioni governative di esponenti della societa’ civile hanno risposto positivamente alla nostra iniziativa contro la pena di morte. Siamo adesso giunti a un momento decisivo. All’inizio dell’assemblea generale delle Nazioni Unite che si aprira’ nei prossimi giorni, l’Europa e Paesi di ogni regione del mondo presenteranno insieme una risoluzione sulla moratoria universale delle esecuzioni e l’abolizione della pena di morte. l’Obiettivo e’ giungere al piu’ presto alla sua approvazione in Assemblea. Per prepararci al meglio a questa scadenza, l’Italia e il Portogallo promuovono a New York una riunione dei ministri degli Esteri dei 95 paesi firmatari della dichiarazione di associazione del dicembre scorso sulla moratoria delle esecuzioni capitali e l’abolizione della pena di morte. La riunine, cui sono invitati anche i paesi delle Nazioni Unite che hanno abolito la pena di morte o stabilito una moratoria, si terra’ il 28 settembre prossimo al Palazzo di Vetro, con inizio alle ore 8.30. Un vostro autorevole sostegno a questo evento e la partecipazione di quanti di voi saranno a New York in quei giorni sarebbero una testimonianza straordinaria di un impegno comune per vincere tutti insieme questa sfida decisiva per una sempre piu’ piena realizzazione dei diritti umani universali. Ringrazio fin da ora tutti coloro che vorranno raccogliere il nostro invito ad essere presenti. Romano Prodi”. [ Fonte: AGI, 18 settembre 2007 ]


e intanto


Polonia conferma sua opposizione a giornata contro pena di morte

BRUXELLES. martedì, 18 settembre 2007 6.39 (Reuters) - La Polonia ha confermato oggi la sua opposizione alla proposta di altri paesi membri della Ue di creare una giornata europea contro la pena di morte, secondo quanto riferito dal ministro della Giustizia Clemente Mastella.


"A questo punto non credo che il prossimo 10 ottobre si faccia", ha detto Mastella ai giornalisti riferendosi alla proposta di celebrare in quella data la ricorrenza dell'abolizione della pena di morte nei paesi europei.


"E' una piccola battuta di arresto", ha aggiunto il ministro dopo aver partecipato ad una riunione dei ministri della Giustizia dell'Unione che si è tenuta oggi a Bruxelles.


Il titolare di via Arenula ha definito "speciose" le argomentazioni addotte dalla Polonia, definendo l'opposizione di Vienna (?) alla proposta "un atto arrogante".


I gemelli che guidano il governo polacco con il loro partito conservatore e cattolico -- Lech Kaczynski, presidente della Repubblica, e Jaroslaw Kaczynski, primo ministro -- vorrebbero vedere approvata la celebrazione di una giornata che, oltre alla pena di morte, simboleggi anche la protezione della vita più in generale condannando eutanasia e aborto.


"Stabilire una giornata europea contro la pena di morte all'improvviso è diventata una priorità. Prima vorremmo discutere quello che realmente vuol dire", ha detto il ministro degli Interni polacco Wladyslaw Stasiak ai giornalisti.


La disputa è sintomatica di una tensione più generale che si è venuta a creare fra la Polonia e Bruxelles in vista delle elezioni per rinnovare il Parlamento di Varsavia che si svolgeranno il 21 di ottobre.


Un diplomatico della Ue ha detto che, a causa delle imminenti elezioni, è difficile che la posizione polacca possa cambiare nonostante le forti pressioni esercitate su Varsavia da parte della Commissione europea e del Portogallo, che detiene il turno della presidenza.


Il partito Legge e Giustizia dei gemelli Kaczynskis, al governo da due anni, ha basato infatti la sua campagna elettorale sulla promessa di combattere la corruzione e tornare ai valori tradizionali della famiglia, ottenendo anche l'appoggio della ultra cattolica e anti-europea Radio Maryja.


Alla luce del veto polacco, il ministro della Giustizia portoghese Alberto Costa ha detto di avere comunque intenzione di trovare un modo per celebrare l'abolizione della pena capitale.


Portogallo e Italia sono fra i paesi più impegnati nella lotta per l'abolizione della pena di morte.


In vista della discussione all'Onu sulla moratoria delle esecuzioni capitali, oggi il presidente del Consiglio Romano Prodi ha annunciato l'intenzione di Roma e Lisbona di promuovere a New York, il 28 settembre prossimo a margine dei lavori dell'Assemblea generale, una riunione dei ministri degli Esteri dei 95 paesi che l'anno scorso hanno firmato una dichiarazione sul tema.


L'annuncio è contenuto in una lettera firmata da Prodi e indirizzata ai 55 premi Nobel che lo avevano pregato di accelerare i tempi sulla discussione dell'abolizione della pena capitale, secondo quanto dichiarato da Palazzo Chigi in una nota.


La Polonia, insieme a Malta e all'Irlanda, sono gli unici paesi dove l'interruzione volontaria di gravidanza non è permessa e dove spesso politici e prelati hanno definito la pratica dell'eutanasia in Olanda come una cultura di morte.  [ © Reuters 2007. Tutti i diritti assegna a Reuters. ]


Ma i Radicali continuano la loro lotta pacifica con sciopero della fame a oltranza e manifestazioni. Consiglio a ogni viandante di visitare il sito radicali.it che è ricchissimo di informazioni al riguardo. Quelle informazioni che il nostro servizio pubblico radiotelevisivo continua a negarci con inspiegabile ottusa testardaggine. Quelle informazioni che sembra non arrivino al soglio pontificio e nemmeno al presidente della CEI Bagnasco (se qualcuno sa di un intervento dell'alto prelato generalmente interventista, è pregato di informarmi).

domenica 9 settembre 2007


   La Polonia, i suoi tragici gemelli, qualcosa della sua storia



L'ultimo atto antieuropeo e antistorico dei gemelli polacchi, Lech Kaczynski come presidente e Jaroslaw Kaczynski in qualità di primo ministro, il NO all'istituzione della giornata europea contro la pena di morte. Forse la loro avventura è già finita con l'autoscioglimento del Parlamento, ma lo si potrà sapere solo dopo il prossimo voto anticipato. Sono stati due anni terribili per la Polonia che è stata presente in Europa con le posizioni ultranazionaliste e isolazioniste dei Kaczynski, di cui gli elettori sono responsabili come avviene nei regimi democratici. Se sono stati ingannati dai loro incredibili gemelli, come sembra dalle notizie sull'opposizione interna, ora i polacchi hanno l'occasione per porre rimedio.


Quest'ultimo atto richiama alla memoria la loro proposta più repellente: reintrodurre la pena di morte, in Polonia e nel resto del continente. Tanto mi basterebbe a escludere qualsiasi possibilità di affidare ai due una sia pur piccola responsabilità politica. Vedremo che cosa faranno i polacchi.


Le ideologie dei gemelli sono di stampo conservatore, nel senso deteriore del termine, se si considerano le posizioni illiberali e intolleranti del loro partito, non a caso chiamato “Prawo i Sprawiedliwosc” (Legge e Giustizia), a cominciare dall'omofobia e dall'antisemitismo per finire con il loro evidente e disastroso antieuropeismo.


   Tadeus Rydzyk, direttore di Radio Maryja ( La Stampa )


L'antisemitismo. L'antisemitismo e i programmi di Radio Maryja e le posizioni integraliste anticonciliari di Tadeusz Rydzyk, il prete redentorista fondatore dell'emittente radiofonica polacca. Alla Polonia l'occupazione nazista prima e il regime comunista poi inflissero sofferenze enormi, ma la diffusione dell'antisemitismo oggi sulle onde di una radio cattolicissima crea qualche perplessità: l'essere stati vittime non ci rende innocenti e non abilita a comportamenti contrari ai diritti umani. Mi ha colpito la richiesta spregiudicata di più voti in seno alla UE in nome delle vittime del nazismo, perché la polazione sarebbe numericamente superiore se non ci fossero stati i morti della seconda guerra mondiale. E allora è forse il caso di ricordare che i polacchi furono senz'altro vittime, ma in parte (non so quanto grande) furono anche carnefici di ebrei, come tanti in Europa, noi italiani compresi.  


L'hanno letto i polacchi, soprattutto quelli  che hanno eletto i gemelli e che seguono Radio Maryja, "I carnefici della porta accanto". 1941: Il massacro della comunità ebraica di Jedwabne in Polonia? L'autore è Jan T. Gross, insegnante di politica e studi europei alla New York University, e di fatto "riscrive la storia del Novecento polacco e ci rivela verità atroci ma ineludibili sulle relazioni tra ebrei e gentili nell'Europa del XX secolo". Risulta a qualcuno che Jan T. Gross sia stato sconfessato e sbugiardato?


"Un giorno d'estate del 1941 metà degli abitanti del paese di Jedwabne, in Polonia, assassinò l'altra metà, milleseicento persone, tra uomini, donne e bambini: tutti gli abrei del paese, sette esclusi. I carnefici della porta accanto racconta la loro storia, una storia sciocca e brutale, mai narrata prima d'ora.
L'aspetto più sconvolgente di questa terribile vicenda è che a bastonare, affogare, scannare e bruciare gli ebrei di Jedwabne non furono nazisti senza volto, ma i compaesani polacchi, che le vittime conoscevano per nome: ex compagni di scuola, i negozianti da cui compravano il pane, la gente con cui chiacchieravano per strada. [...] Nel dopoguerra i pochissimi sopravvissuti denunciarono i fatti e seguì un processo. Ma solo Jan T. Gross con questo libro è stato in grado di ricostruire quell'orribile giorno di luglio, innescando un ampio dibattito tra i maggiori storici di tutto il mondo sul ruolo della popolazione civile nello sterminio degli ebrei d'Europa e sul superamento  della stessa definizione (di Daniel J. Goldhagen) di "volenterosi carnefici di Hitler". ( dal risvolto di copertina del testo edito da Mondadori )."


Non voglio attaccare etichette al popolo polacco, ci mancherebbe altro, l'antisemitismo alligna più o meno in tutti i paesi europei con una persistenza che meraviglia dolorosamente. Voglio riflettere, però, sulle scelte elettorali che portano al potere personaggi come i gemelli Kaczynski, scelte di oltre la metà degli aventi diritto al voto. Voglio interrogarmi anche sul funzionamento dell'Unione Europea, soprattutto sul diritto di veto assegnato anche a un singolo Stato. Voglio sapere come coniugano la loro cattolicità i gemelli con la loro voglia di pena di morte e quanto seguito hanno tra i polacchi, nostri concittadini europei, su temi come questo.

domenica 2 settembre 2007

TASSE LAVAVETRI SERVIZI


Avevo intenzione di parlare di: TASSE per dire che io le voglio pagare; di LAVAVETRI per dire che è giustissimo che tutti rispettino la legge, ma anche che tutti vengano puniti se trasgrediscono; di SERVIZI per dire che la loro efficienza dovrebbe essere l'obiettivo di tutti, o almeno di chi come me non può permettersi di pagare i celeberrimi PRIVATI che certo funzionano benissimo per i loro interessi privati e non per quelli pubblici degli utenti (non ci casco). Ma ho trovato bello e pronto l'editoriale domenicale di Furio Colombo:


Il distacco


Dove tace la sinistra, parla un grande banchiere. Ecco che cosa ha detto al «New York Times» del 31 agosto: «L’Italia, come la Germania, il Giappone, la Francia, è uno dei Paesi più pessimisti. Un sondaggio recente rivela che l’80 per cento dei cittadini di quei Paesi si aspetta un futuro peggiore. Sembra evidente che il problema sociale più grave con cui questi Paesi si misurano è la combinazione del capitalismo di mercato con la globalizzazione. Ciò rende la ricchezza di alcuni sempre più grande mentre la gran parte dei cittadini vive in un mare di ansia per tre grandi gruppi di problemi: la certezza, o qualche forma di continuità del posto di lavoro, la scuola dei figli, l’inclusione di un numero crescente di immigrati». Il banchiere si chiama Felix Rohatyn, è stato il numero uno della Banca d’affari Lazard Frères di New York, è stato ambasciatore americano in Francia, è stato l’uomo che - negli anni Settanta - ha salvato New York dalla bancarotta con grande e celebrata perizia finanziaria e senza lacrime e sangue. Ovvero senza licenziamenti di massa. In altre parole un liberal, della cui competenza e capacità di vedere le cose in grande avrà bisogno il prossimo presidente degli Stati Uniti, se sarà un democratico. La lezione di Rohatyn, come quella di altri grandi economisti che il mondo delle notizie italiano continua a ignorare, è: non perdetevi nei dettagli. Succedono cose grosse nel mondo: cercate di vederle, per governare. La vicenda dei lavavetri in Italia è umiliante per la sua piccolezza. Diciamo che saranno alcune centinaia in tutto il Paese di cui, come constata ogni giorno ciascuno di noi, la stragrande maggioranza rassegnati e gentili, pronti a rinunciare. Eppure la tv di Stato ci mostra l’assessore Cioni mentre, come un governatore inglese dell’altro secolo, assegna benevolmente un posto fisso a un anziano marocchino che ripetutamente ringrazia la telecamera. Alcuni sindaci di sinistra coraggiosamente si schierano a testuggine per salvare le loro città e il Paese dal nuovo pericolo.

Nessuno gli racconta che anche adesso, mentre Cioni tuona a Firenze per la salvezza dell’Italia spalleggiato dai più autorevoli editorialisti italiani, anche adesso, a New York, all’angolo di Canal Street con West Broadway, non si passa al semaforo senza una piccola transazione con il lavavetri del posto che, in quella città, è povero come in Italia, ma americano. E tutto ciò dopo che New York è stata governata dal famoso sindaco repubblicano Giuliani detto “tolleranza zero”. E tutto ciò sotto il governo del sindaco repubblicano Bloomberg che di recente, senza imbarazzo ha detto a una tv newyorchese: «Dopotutto si tratta di una piccola impresa».

Ma, da noi, il Corriere della sera dedica un vibrato editoriale al «vuoto valoriale» ( è scritto proprio così, «vuoto valoriale» ) di chi, nella stampa italiana, (leggi: «l’Unità», «il Manifesto») cinico o cieco o sovietico, non vede il problema dei lavavetri e non crede che, nel Paese della ‘ndrangheta, la legalità cominci con tre mesi di carcere, comminati da un assessore che sembra uscito da un film di Vanzina, e comunque decide al di fuori della Costituzione.

Forse esistono degli occhiali speciali per ingigantire problemi così piccoli, non solo al punto da istituire una giustizia sommaria dei semafori, ma anche per dividere l’Italia in due, fra il «pieno valoriale» dell’assessore Cioni e il «vuoto valoriale» di chi si stupisce e vorrebbe spiegazioni.

Evidentemente alcuni di noi, sbagliando, si ostinano a non rendersi conto che la vera illegalità, una enormità che avrebbe dovuto far trasalire un Paese civile da destra a sinistra, sono le parole di un capo partito potente (perché ex ministro e perché sostenuto in tanti modi da Berlusconi) quando annuncia: «Contro le tasse prenderemo il fucile».

Ma che cosa volete che sia la minaccia delle armi contro le leggi del suo Paese da parte di un leader politico che ha governato e potrebbe ancora governare, a confronto con la spugna dei lavavetri? Il «pieno valoriale» del vice direttore Pier Luigi Battista e dei suoi sindaci (non uno dei quali si è accorto di Bossi) sta nel gettarsi, a proprio rischio e pericolo, contro le spugne. Bossi avrà anche straparlato, ma dalla sua parte c’è Berlusconi e non si conoscono protagonisti della vita pubblica italiana che vogliamo esporsi al rischio di indispettirlo. Berlusconi non sarà più presidente del Consiglio, ma certo resta uno di buona memoria per il futuro. E anche nel presente è un editore in grado, quando vuole, di bloccare carriere o anche solo notizie su chi non gli piace.


***


Come vedete, con tutta questa inesistente questione, che ha occupato pagine doppie e quadruple di grandi quotidiani (e ringraziate il cielo che non c’era «Porta a Porta», altrimenti anche il criminologo sarebbe apparso accanto a un compatto schieramento politico destra-sinistra) siamo caduti in una piccolissima fenditura della realtà.

Sulla scena grande, quella occupata dagli adulti, Montezemolo ha annunciato la «emergenza fiscale». Si tratta di una denuncia grave e drammatica e - invece di ridicolizzarla - vorremmo avere l’autorità di chiedere quando, come, perché, rispetto a quale altro Paese si è creata questa “emergenza” che - tutto fa pensare nelle parole di Montezemolo - è unica al mondo. Montezemolo conosce bene, come lo conosco io, Felix Rohatyn. Sa che nel testo del «New York Times» che ho appena citato, uno degli uomini di finanza più influenti del mondo, esaminando il contesto della vita economica internazionale, dice: «L’Europa avrebbe difficoltà ad accettare un capitalismo senza vincoli come in America, perché il nostro sistema è troppo speculativo e permette una accumulazione senza limiti della ricchezza, un tipo di accumulazione rispetto a cui l’Europa prova disagio. L’improvvisa accumulazione di ricchezza degli “hedge funds” in così poco tempo, in così poche mani, è vista da molti con disgusto».

E poi racconta ai suoi lettori americani che in certi Paesi europei «un capitalismo più frenato (vuol dire più tassato, ndr) permette servizi e interventi sociali che negli Stati Uniti non esistono». Forse il presidente della Confindustria ricorderà che Felix Rohatyn è stato in prima fila fra gli economisti americani che più si sono battuti contro il famoso drastico taglio delle tasse ai ricchi che è stato il fiore all’occhiello del governo Bush. Forse si ricorderà che Felix Rohatyn è stato fra coloro che hanno denunciato il terribile destino toccato alla città di New Orleans (tutta la parte povera di quella città è stata distrutta dall’uragano Kathrina e non è stata mai ricostruita) per mancanza di fondi federali, a causa del famoso taglio.

Vorrei fare amichevolmente una proposta a Montezemolo. Propongo di invitare il banchiere americano (che, come è noto, conosce bene il nostro Paese) a partecipare con noi a un incontro con una sola domanda: «Ma in Italia, rispetto a tutte le altre grandi democrazie industriali, esiste davvero una emergenza fiscale, tenuto conto di tutti gli aspetti in cui, nelle varie legislazioni, si compone un bilancio, si deducono spese, si ottengono sostegni e vantaggi, si cancellano debiti e si ottengono remissioni e sconti»?

C’è qualcosa che non va, o almeno qualcosa da chiarire se, il 29 agosto, il presidente della Confindustria, nella sua lettera a piena pagina al «Corriere della Sera», chiede una tregua fiscale, e il giorno dopo, sullo stesso giornale, a partire da pag. 1, l’economista di sinistra Nicola Rossi interviene con un articolo dal titolo: «La tregua fiscale? Non basta». È come se fosse esplosa in tutte le teste, in tutte le coscienze, in tutto il Paese, dal grande imprenditore all’ultimo contribuente in busta paga, la persuasione che le tasse sono solo una rapina per finanziare la politica. Gira e rigira, anche le nobili e grandi denunce sui privilegi di chi legifera e di chi governa sono andate a finire nel pentolone cannibalesco della Lega. Ed è anche per questo, forse, che Valentino Rossi, con i suoi 126 milioni di euro sottratti - a quanto ci dicono - al fisco, appare meno ma molto meno deplorevole del barbiere di Montecitorio.

È come se ci si fosse dimenticati che, nonostante problemi gravi e disservizi ingiustificabili, le tasse tengono in vita in Italia una vasta rete di sostegno pubblico che gli americani in visita nel nostro Paese non considerano né inutili né spregevoli, dagli ospedali ai treni. In America molti ospedali sono chiusi ai poveri, i treni quasi non esistono, e molti giornali americani stanno denunciando proprio in questi giorni ritardi e confusione sempre più grave per gli aerei di linea a causa della grande quantità di jet privati che in molti aeroporti americani hanno la precedenza.

Leggete, infatti, i due editoriali del «New York Times» del 30 agosto. Nel primo si analizza un dato di cui si vanta la Casa Bianca: le famiglie con il reddito più basso, nel 2006 hanno guadagnato qualche centinaio di dollari in più all’anno. La ragione di questo piccolo apparente incremento, spiega il quotidiano, è che molti anziani tornano a fare lavori occasionali perché i più giovani della famiglia guadagnano troppo poco e non ce la fanno.

Il secondo editoriale lancia un nuovo allarme sulle cure mediche negli Stati Uniti. Sempre più aziende hanno tagliato l’assistenza sanitaria. Sempre meno persone sono in grado di pagare i 1000 dollari mensili dell’assicurazione privata. Coloro che non hanno alcuna assistenza medica - nel Paese più ricco del mondo - erano 36 milioni di uomini, donne, bambini negli anni Novanta (quando Clinton ha tentato invano di far approvare il suo progetto «comunista» di assistenza per tutti). Erano diventati 44 milioni nel 2005. Hanno superato i 46 milioni nel 2006 (ultimo dato). Il giornale ricorda le due cause: il drastico taglio di tasse a favore dei redditi alti (che, tra l’altro, ha diminuito gli incentivi alle donazioni a favore degli ospedali, donazioni che, negli Usa, sono esenti dalle tasse) e la totale flessibilità concessa alle imprese, che possono assumere anche a tempo indeterminato senza alcuna assicurazione. Pesa anche la abolizione di fondi federali, statali e cittadini per le strutture ospedaliere.

Il danno sociale è immenso. E questo afferma il «New York Times» come drammatico avvertimento al prossimo presidente degli Stati Uniti. Il Paese che forma più ricchezza nelle mani di alcuni, crea, allo stesso tempo, più rischio di malattia (poiché manca la prevenzione e ogni rete di protezione) per tutti gli altri cittadini. Quanto il rischio sia grave lo dimostra, adesso, l’annuncio dei due ultimi giganti dell’industria Usa: General Motors e Ford stanno annunciano tagli drastici alle loro residue assicurazioni sanitarie, perché gli affari vanno male.


***


Tutto ciò ci dice - con voce molto autorevole - che non è saggio spingere un Paese a una rivolta basata sul distacco, ciascuno per se, alcuni forti abbastanza da esigere ciò che vogliono, altri disposti al ricatto politico, altri ancora pronti a partecipare a una rivolta che stroncherà tutti i servizi.

La rivolta delle tasse è una grande trovata di destra. La rivolta contro i lavavetri è un piccolo servizio (acclamato non so perché dalla grande stampa) tributato alla cultura fascistoide della Lega. Una emergenza c’è. È nel distacco, nella solitudine, nel rischio di una cultura che rende sempre più vasti i due fenomeni.

Già adesso è un aspetto della vita americana, dove le tasse sono più basse ma si chiudono le porte degli ospedali. Per questo a Venezia George Clooney, l’attore, ha detto a chi gli chiedeva del suo Paese: «Voglio un presidente democratico, non uno ricco». E a chi gli chiedeva del nostro Paese (in cui vive per molti mesi all’anno) George Clooney ha detto «Almeno voi avete gli ospedali aperti per tutti». Ha dichiarato, in modo insolito e sorprendente, di avere fiducia in Walter Veltroni. Evidentemente lo associa alle figure che spera di veder prevalere nelle primarie Usa. E lo vede lontano dalla rissa umiliante sui lavavetri. Mi domando che cosa penserà l’intelligente attore e regista americano dell’Italia che ammira appena gli diranno che il ceto privilegiato del Paese dichiara «emergenza fiscale» due giorni dopo che il peggior leader xenofobo d’Europa Umberto Bossi ha chiamato i suoi fedeli alla rivolta fiscale contro l’Italia, il paese in cui Bossi è uno dei capi della opposizione.

George Clooney e molti italiani continuano ostinatamente a condividere la speranza di uscire presto dall’incubo di una politica così squallida per approdare a un poco di civiltà.

Pensano che così finirà l’epoca triste della solitudine e del distacco.



colombo_f senato.posta.it - L'Unità, 2 settembre 2007 - Pubblicato il: 02.09.07 - Modificato il: 02.09.07 alle ore 13.01


aggiornamento 3 settembre 2007


LAVAVETRI. E' mia opinione che il Comune di Firenze abbia fatto bene, anche se in parte ha esagerato. Per mantenere la concordia e l'accoglienza è necessario che tutti rispettino le regole, compresi i poveri e gli immigrati, ai quali uno status economicamente svantaggiato non concede libertà particolari. Ma è necessario anche che tutti abbiano la possibilità di svolgere lavori legali. Colombo ha il torto di mescolare argomenti diversi: l'esistenza delle organizzazioni criminali non giustifica e nemmeno attenua le infrazioni varie che pure al confronto sembrano di minore peso. Ai criminali deve pensare soprattutto lo Stato con tutto il suo peso, delle infrazioni che turbano la vita dei cittadini all'interno dei comuni è giusto che si occupino gli amministratori locali. Senza paternalismi o ipocriti pietismi. Con l'obiettivo di assicurare una convivenza civile pacifica, offrendo a tutti le garanzie proprie di uno stato democratico. Per questo mi sento di concordare con quanto afferma il sindaco di Firenze in una intervista al Corriere della Sera.


«La sinistra e in genere la politica hanno bisogno di una rivoluzione concettuale. Litigare su un'espressione linguistica come «tolleranza zero» è fuorviante. È logico che se sento parlare di tolleranza penso a Voltaire o a Beccaria, non a Rudolph Giuliani. Ma dobbiamo andare alla sostanza delle cose, e cambiarla. Abbiamo bisogno di una legge, una legislazione, una politica, per riportare il rispetto delle regole nelle nostre città. Ci occorrono nuovi strumenti per la legalità, e non solo verso i lavavetri. Penso ai graffitari. Agli abusivi che vendono merci contraffatte. Ai parcheggiatori. Ai rumori dei locali notturni. All'ubriachezza molesta. E penso alla prostituzione: non si può pensare che la clientela sia esclusa da provvedimenti di sanzione».  Leonardo Domenici, Sindaco di Firenze - QUI


Delle TASSE e dei SERVIZI parlerò in un altro post, perché questo è diventato troppo lungo, riprendendo l'editoriale di Colombo.