NORCIA (Perugia) - Parole forti, con la firma di Benedetto XVI: "I diritti fondamentali non vengono creati dal legislatore, ma sono iscritti nella natura stessa della persona umana, e sono pertanto rinviabili ultimamente al creatore".
Il passaggio è contenuto in una lettera che il papa ha inviato alla fondazione Magna Charta che tiene un convegno a Norcia sul tema "Libertà e laicità". E a cui partecipano, tra gli altri, Marcello Pera e di Roberto Formigoni.
Nella missiva, il Papa sostiene che uno Stato "sanamente laico" deve riconoscere nella sua legislazione quel "senso religioso in cui si esprime l'apertura dell'essere umano alla trascendenza". Solo questa, secondo Benedetto XVI, è una forma di "laicità positiva", che garantisce "a ogni cittadino il diritto di vivere la propria fede religiosa con autentica libertà, anche in ambito pubblico".
E dunque, secondo il papa, "per un rinnovamento culturale e spirituale dell'Italia e del continente europeo occorrerà lavorare affinchè la laicità non venga interpretata come ostilità alla religione, ma al contrario come impegno a garantire a tutti, singoli e gruppi, nel rispetto dell'esigenze del bene comune, la possibilità di vivere e manifestare le proprie convinzioni religiose".
"per un rinnovamento culturale e spirituale dell'Italia e del continente europeo occorrerà lavorare affinchè la laicità non venga aggredita con ostilità dalla religione, ma al contrario le religioni si impegnino a garantire a tutti, singoli e gruppi, nel rispetto dell'esigenze del bene comune, la possibilità di vivere e manifestare le proprie convinzioni sia quelle religiose che quelle non religiose ma non per questo meno nobili e morali".
da Repubblica - http://www.repubblica.it/interstitial/interstitial403783.html
Proprio oggi è apparso su Repubblica questo articolo di Mario Pirani
I nuovi "illuministi" tra Ragione e Religione
VORREI riflettere, senza ipocriti scandalismi ma anche senza diplomatiche elusioni, delle recenti affermazioni di Piero Fassino, Fausto Bertinotti e Giuliano Amato sul tema della religione. Il primo si è dichiarato apertamente credente e animato da una fede rafforzata dai nove anni passati come allievo dei gesuiti; il secondo ha proclamato l´abbandono dell´antico ateismo e l´approdo, «non senza coinvolgimento emotivo», ad un percorso di ricerca di Dio; il terzo, con una serie di interventi molto articolati, è giunto alla conclusione che nella società attuale «la vecchia premessa del laicismo non regge più», soprattutto quella che confina il fattore religioso nella sfera privata, dato che ormai la religione fa parte della sfera pubblica ed anzi i principi fondanti della democrazia, la libertà di coscienza, l´eguaglianza, il rispetto dei diritti di tutti andrebbero salvaguardati in una dialettica «dialogica» con la Chiesa.
Una dialettica, peraltro, squilibrata se il suo propugnatore, da sempre considerato come la mente più razionale della sinistra, proclama, alla stregua di un peccatore in ginocchio davanti al proprio vescovo: «So bene che sbaglierei se non avessi l´umiltà che devo avere davanti a chi esercita e ne ha la responsabilità, il magistero della Chiesa... e non posso non ribadire la mia convinzione che la società in cui oggi viviamo ha un gran bisogno dei valori religiosi come componenti essenziali di un tessuto connettivo che rischia altrimenti di sfrangiarsi e di lasciarci in preda a conflitti insanabili». E, ad evitare che la definizione di «valori religiosi» possa ingenerare equivoci, aggiunge: «Fra di essi i valori cristiani hanno una forza coesiva e una capacità di aprirsi alle diversità che pochi altri posseggono».
In questa panoramica di posizioni tralascio quelle assunte da leader del centro sinistra da sempre credenti, come Romano Prodi (peraltro più laico di molti altri) o di conversione già scontata da qualche tempo, come Francesco Rutelli. Resta, comunque, acclarato che ai vertici dell´opposizione la presenza cattolica dichiarata è preponderante in misura assoluta.
I nuovi "illuministi"
UN fenomeno altamente significativo che non può, quindi, venire considerato come un assieme casuale di privati eventi, tanto più in una stagione in cui la Cei e il cardinale Ruini, sotto la guida di Benedetto XVI, impongono la loro crescente precetticistica giuridica, scientifica, famigliare, sessuale, scolastica alla totalità dei cittadini italiani, siano o no osservanti.
Credo, peraltro, sia insufficiente - anche se ha il suo peso - ricondurre la penetrazione religiosa ai vertici del centrosinistra ad un riflesso politico determinato dalla scomparsa della Dc e dal subentrare, nei due opposti schieramenti. di forze, esplicitamente o no di ispirazione cristiana, tutte, comunque, alla ricerca di legittimazione ecclesiastica. Questo è solo l´epifenomeno che maschera lo sfaldarsi di una capacità culturale in grado di rispondere ad una sfida basata sul mortificante assioma secondo cui, venuta rovinosamente meno l´ideologia comunista, il surrogato laico sarebbe troppo fragile, arido, inadeguato per vivificare valori forti, coinvolgenti, adatti ad ispirare convincimenti e comportamenti condivisi sulle grandi questioni che l´umanità ha di fronte: il progresso della scienza e della tecnica, gli sconvolgimenti della globalizzazione, gli squilibri dell´economia, l´irrompere sulla scena dei fondamentalismi armati, la guerra e la pace.
Certo, se la risposta della sinistra si limita allo scontato balbettio «politichese» o alla sloganistica no global, il Verbo evangelico di pace, solidarietà, «visione integrale di vita buona» (come dice il cardinale Angelo Scola) appare assai più seduttivo per la grande maggioranza della gente e se lo scotto da pagare comporterà limitazioni alla ricerca scientifica, alla libertà degli individui sul piano sessuale, alla pienezza della giurisdizione civile (Pacs, ecc.), ai diritti delle donne e, persino, alla eguaglianza fiscale dei cittadini (vedi esenzione dell´Ici per alberghi e cliniche di proprietà ecclesiastica), ebbene il «buon laico» non «laicista», come oggi si viene distinguendo, dovrà con rispettosa «umiltà» perseguire pazientemente qualche compromesso residuale, sempre nell´ambito dei principi etici segnati da Santa Romana Chiesa.
Se così vanno le cose non basterà, purtroppo, richiamarsi al Concordato o al «libera Chiesa in libero Stato» di cavourriana memoria per ricondurre la Repubblica e il Vaticano entro i vecchi confini ormai travalicati. Occorre, di contro, se se ne ha il coraggio e la forza, riaprire da sinistra un confronto delle idee non impacciato da timidezze, tatticismi, mediocri calcoli di opportunità. Se ci si pone nell´ottica di un intellettuale di sinistra (tanto più se ci si candida a posizioni di pubblica responsabilità) bisognerebbe distinguere tra la politica verso il mondo cattolico e la propria fede personale. Ora, nella storia d´Italia comunisti e socialisti (più i primi dei secondi) hanno sempre avuto presente l´imperativo di un dialogo aperto e continuo col mondo cattolico, sia all´esterno che all´interno del partito. Il Pci, infatti, non solo propiziò l´inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione (art.7) ma al primo congresso dopo la Liberazione sancì nel proprio statuto la possibilità di iscrizione al partito anche per chi non accettava l´ideologia marxista-leninista, e cioè per i cattolici.
Così che molti militanti del disciolto «Movimento dei cattolici comunisti» vi aderirono, anche in posizione di responsabilità, da Antonio Tatò a Luciano Barca, da Luca Pavolini a Marisa Rodano. Questa linea non venne mai meno fino al compromesso storico ed oltre. Essa, però, non comportò una ibridazione culturale fra l´una e l´altra matrice e i capi del Pci prima e dei Ds poi, fino ai giorni scorsi, evolvendo via via dallo stalinismo d´origine al riformismo democratico, rimasero, pur sempre, nell´alveo della cultura socialista.
Una cultura che, anche in presenza della catastrofe comunista e del disgregarsi di una ideologia finalistica totalitaria, non poteva e non può rinunciare in toto, pena il suo annullamento, a una concezione materialistica della Storia, pur depurata da determinismi economicistici assoluti ad opera delle salutari filosofie revisionistiche posteriori, da Max Weber a Karl Popper. Una cultura incline, inoltre, a cercare nella Ragione illuministica, una bussola orientativa, ancor più indispensabile col periclitare relativo di quella marxista (del resto non è senza significato che Togliatti abbia ritradotto e pubblicato il «Trattato sulla tolleranza» di Voltaire o che Craxi, all´inizio della stagione autonomistica del Psi, abbia sortito il saggio su Proudhon). Ma nel vacuo convincimento che l´abbandono delle ideologie volesse anche dire liberarsi da ogni radice culturale e così procedere leggeri e senza pesi onerosi, mandando al macero non solo il filosofo di Treviri ma anche quelli dei Lumi, gli odierni leader della sinistra sembrano attraccare, nel migliore dei casi, alle sponde dello spiritualismo cristiano.
Può essere, quindi, non del tutto superfluo ricordare quale fosse il concetto di religione nel pensiero socialista più serio e consapevole che, pur respingendo sia l´anticlericalismo blasfemo e irridente come anche le derive dell´ateismo militante, sfociate nelle persecuzioni antireligiose del totalitarismo stalinista e nazista, pur tuttavia non abdicava da un giudizio storicistico. Per prima cosa le religioni erano concepite, sia nell´assieme che nelle analisi comparate, come uno dei più importanti, forse il più importante, fenomeno della storia umana.
Anche per chi le definì «l´oppio dei popoli». Questo voleva dire analizzare i singoli culti in un quadro fondamentalmente analogo. Cattolicesimo o buddismo, islamismo o giudaismo, protestantesimo e persino paganesimo e animismo non possono, in questa luce, esser distinti nel senso che il primo avrebbe il crisma della Verità e gli altri, ingannevoli tramiti di perdizione, subire l´anatema.
È evidente che chi si proclama fedele cattolico, anche se oggi non ricorrerebbe come strumento di evangelizzazione alle Crociate o ai roghi dell´Inquisizione, pur tuttavia reputa essere la «vera» Fede solo la propria.
In quest´ottica la Rivelazione subentra alla Ragione.
Un illuminista odierno, anche se orgoglioso dei propri valori, li sottopone comunque al vaglio permanente del dubbio, della verifica, dell´analisi storicistica che li spoglia del crisma dell´assoluto. La religione - anzi le religioni di ogni tempo e luogo - le interpreta come la più straordinaria e duratura invenzione dell´Uomo per esorcizzare l´idea insopportabile di una morte eterna e senza speranza e per darsi una risposta al mistero che lo circonda, ai mille perché cui la scienza non è ancora arrivata e in gran parte forse non arriverà mai a dare soluzione. Di qui l´anelito a una sentenza trascendente, a una Rivelazione che scenda sulla terra da una sfera metafisica, il più delle volte tramite un Libro sacro, trasmesso da un Profeta e interpretato da una casta sacerdotale che se ne fa custode. Le infinite falangi di credenti possono così placare l´ansia dell´esistenza, immaginare protezione e consolazione da mali, disgrazie e catastrofi, esternare riconoscenza e devozione. O anche, soltanto cercare «candidamente Dio», come scriveva Gustav Mahler per spiegare una sua sinfonia.
E con lui le innumerevoli legioni di artisti che alla religione hanno ispirato l´opera loro. Tutto ciò spiega perché la religione definisca la vita e la natura come una «creazione» e tenda a respingere le teorie evoluzionistiche o anche materialistiche e storicistiche. Di qui l´impervio rapporto con la scienza quando perviene a modificare l´esistente e, dunque, a incidere sulla Creazione. Da questo punto di vista non c´è una differenza qualitativa tra la condanna di Galileo e quella odierna sulla manipolazione degli embrioni. Del resto è stato proprio il cardinale Ratzinger a dire in un discorso del 1990 che «il processo di Galileo fu ragionevole e giusto». Il retroterra ideale e culturale dell´ansia prescrittiva della Chiesa è naturalmente assai più vasto e complesso ma il fulcro primo risiede lì: nell´incrocio tra Rivelazione e Creazione. Poi, «per li rami», infinite cose ne discendono, fino alla genuflessione politica implicita o esplicita ai dettami della Gerarchia.
L´illuminista, per contro, «sta solo sul cuore della terra», cerca ed offre solidarietà ai suoi simili per affrontare la Natura e la Storia, spinge la ricerca fin dove può per diradare il mistero e migliorare le condizioni della vita. Non obbedisce a chiese ma si fa guidare da una morale che non è immutabile nei millenni ma subisce l´influsso dei tempi, una «morale provvisoria» diceva Pascal. Non è credente ma difende strenuamente la libertà di religione come la libertà di pensiero. Rispetta e può, persino, nutrire invidia per la fede del credente ma seguita ad affidarsi ai propri valori etici, che talvolta coincidono e altre no, con quelli religiosi. Il lume della Ragione dovrebbe guidare i suoi atti, anche se non ne trae sempre consolazione. L´Inconscio, l´Errore, l´Eterogenesi dei fini ne rendono impervio e ignoto il procedere.
da Repubblica di MARIO PIRANI - http://www.articolo21.info/rassegna.php?id=2593