lunedì 25 aprile 2005

 

Sessanta anni dopo la Liberazione


Un grazie personale a tutte le persone che si impegnarono nella lotta contro il nazismo e il fascismo, nell'unificazione delle cittadine e dei cittadini Italiani in nome dei valori della libertà e della giustizia, e nella stesura della nobile Costituzione della Repubblica Italiana.



Discorso di Piero Calamandrei agli studenti milanesi (1955)

 



 


La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica. È un po’ una malattia dei giovani l’indifferentismo. «La politica è una brutta cosa. Che me n’importa della politica?». Quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina che qualcheduno di voi conoscerà: di quei due emigranti, due contadini che traversano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime, che il piroscafo oscillava. E allora questo contadino ipaurito domanda ad un marinaio: «Ma siamo in pericolo?» E questo dice: «Se continua questo mare tra mezz’ora il bastimento affonda». Allora lui corre nella stiva a svegiare il compagno. Dice: «Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare il bastimento affonda». Quello dice: «Che me ne importa? Unn’è mica mio!». Questo è l’indifferentismo alla politica.

È così bello, è così comodo! è vero? è così comodo! La libertà c’è, si vive in regime di libertà. C’è altre cose da fare che interessarsi alla politica! Eh, lo so anche io, ci sono... Il mondo è così bello vero? Ci sono tante belle cose da vedere, da godere, oltre che occuparsi della politica! E la politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni e che io auguro a voi giovani di non sentire mai. E vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perchè questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, vigilare dando il proprio contributo alla vita politica...

Quindi voi giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come vostra; metterci dentro il vostro senso civico, la coscienza civica; rendersi conto (questa è una delle gioie della vita), rendersi conto che nessuno di noi nel mondo non è solo, non è solo che siamo in più, che siamo parte, parte di un tutto, un tutto nei limiti dell’Italia e del mondo. Ora io ho poco altro da dirvi. In questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre gioie. Sono tutti sfociati qui in questi articoli; e, a sepere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane...
E quando io leggo nell’art. 2: «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica, sociale»; o quando leggo nell’art. 11: «L’Italia ripudia le guerre come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», la patria italiana in mezzo alle altre patrie... ma questo è Mazzini! questa è la voce di Mazzini!
O quando io leggo nell’art. 8:«Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge», ma questo è Cavour!
O quando io leggo nell’art. 5: «La Repubbllica una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali», ma questo è Cattaneo!
O quando nell’art. 52 io leggo a proposito delle forze armate: «l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica», esercito di popoli, ma questo è Garibaldi!
E quando leggo nell’art. 27: «Non è ammessa la pena di morte», ma questo è Beccaria! Grandi voci lontane, grandi nomi lontani...

Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti! Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa costituzione! Dietro ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, cha hanno dato la vita perché libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa cartra. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, è un testamento, è un testamenteo di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove fuorno impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione.



lunedì 18 aprile 2005

Giorno della memoria per il genocidio


dei Cambogiani sterminati dai Khmer Rossi


Senza giustizia


 

Museo del genocidio - copyright New Humanity

Il 17 aprile 1975 in Cambogia inizia il cosiddetto “anno zero”, il periodo più buio e senza ritorno della storia del Paese asiatico. I guerriglieri comunisti Khmer Rossi, guidati dal generale Pol Pot, entrano nella capitale Phnom Penh e rovesciano il governo del filoamericano Lon Nol.

Sono anni turbolenti per l’Indocina. Dopo la Corea era esplosa la guerra del Vietnam, la crisi del Laos e il conflitto in Cambogia. Tutti risultati della pressione militare esercitata sull’area dagli Stati Uniti, intenzionati a mantenere una forte presenza politico-militare ai confini della Cina Popolare. In Cambogia governa la giunta di Lon Nol, un esecutivo corrotto e tenuto in vita dagli aiuti di Washington. Il popolo è sfinito dalla violenza, dalla fame, dai combattimenti. Quella che doveva essere una liberazione si rivela nel giro di poche ore un incubo. ... continua

 



Un massacro evitabile



ex campo di sterminioL’ex reporter di guerra Bernard Hamel, fu uno dei primi a scrivere del genocidio cambogiano nel libro “De sang et de larmes” (“Di sangue e di lacrime”, gennaio 1977): una lunga inchiesta in cui raccolse le testimonianze dei rifugiati cambogiani in Thailandia e poi in Francia, il suo Paese d’origine. Hamel fu corrispondente della Reuters dalla Cambogia dal 1964 al 1975 e lasciò Phnom Penh solo due settimane prima che la città fosse occupata dai Khmer Rossi. Da lì si recò a Bangkok, in Thailandia, per continuare a seguire “un regime incomprensibile”. L’abbiamo raggiunto al telefono nella sua casa di Parigi, alla vigilia della commemorazione del 17 aprile 2005 quando cominciò il genocidio. Sono passati trent’anni, ma il ricordo di quei giorni è ancora vivo e doloroso: “Dopo tanti anni di guerra, quando arrivai a Bangkok ero molto stanco, ma volli trattenermi in Asia altri sei mesi perché ero sicuro che presto sarebbe accaduto qualcosa di tremendo. Sapevo che Phnom Penh sarebbe caduta e che ci sarebbe stato un bagno di sangue”. ... continua



Il ricordo di un sopravvissuto




Il libro di Ong Thong Hoeung“Il 17 aprile 1975 fu la fine di me stesso, della mia famiglia, dei miei amici e della Cambogia. Il giorno più nero della mia storia personale e di quella del mio Paese”. Così parla da Bruxelles Ong Thong Hoeung, scrittore cambogiano sopravvissuto ai campi di sterminio dei Khmer Rossi che esattamente trent’anni fa presero il potere in Cambogia durante il loro regime (1975-’79) massacrarono almeno un milione e 700mila persone. Hoeung dal 1982 vive in Belgio con la moglie e la figlia e un anno fa ha pubblicato il libro: “Ho creduto nei Khmer rossi”, una lucida testimonianza su cosa ha significato per lui e per l’Indocina credere nell’illusione di una rinascita e trovarsi poi davanti a un vero e proprio inferno. Lo scrittore ha partecipato alla commemorazione delle vittime organizzata in questi giorni da diverse associazioni di esuli cambogiani e ong francesi. “Siamo qui per ricordare”, dice. “Il mondo ha fatto di tutto per dimenticare il genocidio. Noi, al contrario, cerchiamo ancora le colpe e le cause di uno dei più gravi scandali del Ventesimo secolo”. ... continua




Ho trovato questo dossier in PeaceReporter, all'indirizzo:





sabato 16 aprile 2005

Così l'hanno fatto


il 9 novembre sarà la «Giornata della libertà»


Leggo sul Corriere della Sera del 6 aprile scorso che "d'ora in avanti il 9 novembre sarà la «Giornata della libertà». Lo prevede una legge approvata dalla Camera con 247 sì, 206 no e 5 astenuti. Tutto il centrosinistra ha votato contro contestando l'opportunità della legge.


ART. 1. La Repubblica italiana riconosce il giorno 9 novembre, data storica che segnala ricorrenza dell’anniversario della caduta del muro di Berlino, « Giorno della libertà e dell’indipendenza dei Popoli europei » al fine di ricordare le barbarie di tutti regimi dittatoriali che hanno caratterizzato negativamente il nostro continente, come monito di garanzia per la libertà e la convivenza pacifica dei Popoli europei nel rispetto della democrazia e dei diritti fondamentali dell’uomo. 


In occasione del « Giorno della libertà e dell’indipendenza dei Popoli europei» sono organizzati cerimonie, iniziative,incontri e momenti di riflessione, in particolare nelle scuole di ogni ordine e rado, sui valori della democrazia e della libertà nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo in un’ottica di pacifica convivenza tra le varie identità nazionali che caratterizzano il nostro continente, troppo spesso ferito da barbare e cieche ideologie che hanno dato vita a regimi dittatoriali e totalizzanti.




 


 


 Una data, quella del 9 novembre,  che i Tedeschi, protagonisti dell'evento, hanno evitato accuratamente, infatti loro celebrano la propria festa nazionale il 2 ottobre 1990, giornata della riunificazione tra Germania Est e Germania Ovest.


Ma in Italia una legge votata dalla maggioranza di centro destra impone che il 9 novembre sia la «Giornata della libertà» in ricordo dell'abbattimento del muro di Berlino avvenuto nel 1989. Il Corriere riferisce anche: «Sono molto felice», ha commentato Silvio Berlusconi. È un omaggio alla fine «di un'ideologia che ha insanguinato il mondo e ha preoccupato anche il mondo che non è caduto sotto il potere comunista. La legge serve a consolidare il dovere della memoria di un fatto che celebreremo sempre».


Che cosa ha di speciale questo giorno, il 9 novembre, di per sé del tutto innocente come tutti gli altri giorni del calendario? Ha il triste destino di ricordare due fatti atroci che eventualmente farebbero pensare all'esaltazione delle dittature e non il contrario.


9 novembre 1938



La lugubre infame criminale "notte dei cristalli", con la quale ebbe inizio il genocidio degli Ebrei.


9 novembre 1926


Il fascismo introdusse in Italia le leggi speciali, cioè diventò dittatura totale. Per inciso, fu arrestato Antonio Gramsci che sarebbe poi morto in carcere, seguito da altri patrioti, tra i quali anche Sandro Pertini.


Per completare, anche se tutte le italiane e tutti gli italiani penso ne siano consapevoli, noi abbiamo già la nostra "Festa della Liberazione", quel 25 aprile 1945 che rappresentò per noi la liberazione definitiva dal nemico nazista e dai suoi complici fascisti, quel 25 aprile che dobbiamo difendere come la nostra "Festa della Libertà".


Una domanda


L'attuale maggioranza parlamentare è pronta a votare "perinde ac cadaver" qualsiasi cosa? Che cosa c'è in questa legge: ignoranza storica o occulta affermazione ideologica?


Io mi ribello e mi oppongo a questo modo di trattare gli eventi storici e la memoria storica di noi Italiane e Italiani.


Dal sito di Libertà e Giustizia riprendo quanto segue:


"Sessanta anni fa, in questi giorni, gli alleati risalivano la penisola e respingevano tedeschi e repubblichini. ll regime stava crollando; gli scioperi a Torino e Milano segnarono il punto di non ritorno e crearono le premesse per la crisi del 25 luglio del 43 e le condizioni per la Resistenza, fino all’insurrezione del 25 aprile del 1945.
''Il 25 aprile è la festa della Liberazione, non una manifestazione qualunque. Può essere equiparata a quello che il 14 luglio rappresenta per i francesi. E' la Patria che si ritrova su valori di fondo'', spiega il vicepresidente del Csm Virginio Rognoni.


Per la destra che non risparmia attacchi, è una festa “da cambiare”.


Massimo Rendina, presidente dell’Associazione nazionale partigiani del Lazio (Anpi) ricorda che il 25 aprile “è una festa nazionale decisa dal popolo italiano: festeggiare simbolicamente la Liberazione, anche se la resa dei tedeschi agli alleati è del 4 maggio del 1945. E quest’anno, proprio per quello che accade, si carica di un ulteriore significato: la difesa della Costituzione. È proprio dalla Resistenza che nasce la carta dei diritti e dei doveri dei cittadini”. Resta sempre la vergogna di una recente proposta di legge che vuole equiparare quanti morirono combattendo tra i partigiani a chi perse la vita schierandosi con i Repubblichini."



venerdì 15 aprile 2005

Di funerale in funerale




Non voglio parlare delle persone che sono morte in questo periodo, loro non c'entrano niente, anzi che possano riposare in pace e, se possibile, essere felici nell'altro mondo.


In realtà voglio parlare della RAI, il nostro cosiddetto servizio pubblico che, non pago di aver immerso l'intera nazione per moltissimi giorni in un lugubre accanimento funerario, con qualche spruzzata di idolatria, oggi ha trasmesso in diretta i funerali che si sono svolti nel principato di Monaco. Trovo qualcosa di raccapricciante in questa sovraesposizione mortuaria, non tanto perché mi sento cittadina laica di uno Stato laico e democratico, quanto perché ben altri eventi di grande importanza sono stati trascurati o snobbati dal nostro servizio pubblico. Ad esempio, le grandi manifestazioni a cui hanno partecipato milioni di persone per sostenere delle idee che magari erano più interessanti dell'esposizione di cadaveri.


Da laica penso che almeno una parvenza di uguaglianza debba essere decorosamente salvaguardata, soprattutto nel momento della morte e delle esequie, penso che non sia il caso (non è elegante) sbattere in faccia ai popoli le grandi incolmabili ingiuste disuguaglianze. Penso anche che per coloro che si dicono animati da sincero spirito religioso dovrebbe essere imbarazzante lo stridente contrasto tra la dottrina evangelica e lo sbandieramento di un lusso così esagerato.


Mi è tornato in mente Totò e la sua celebre poesia, che oggi mi sembra stia proprio bene nel mio diario.


   


'A livella


Ogn'anno,il due novembre,c'é l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.


Ogn'anno,puntualmente,in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado,e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zi' Vicenza.


St'anno m'é capitato 'navventura...
dopo di aver compiuto il triste omaggio.
Madonna! si ce penzo,e che paura!,
ma po' facette un'anema e curaggio.


'O fatto è chisto,statemi a sentire:
s'avvicinava ll'ora d'à chiusura:
io,tomo tomo,stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.


"Qui dorme in pace il nobile marchese
signore di Rovigo e di Belluno
ardimentoso eroe di mille imprese
morto l'11 maggio del'31"


'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto...
...sotto 'na croce fatta 'e lampadine;
tre mazze 'e rose cu 'na lista 'e lutto:
cannele,cannelotte e sei lumine.


Proprio azzeccata 'a tomba 'e stu signore
nce stava 'n 'ata tomba piccerella,
abbandunata,senza manco un fiore;
pe' segno,sulamente 'na crucella.


E ncoppa 'a croce appena se liggeva:
"Esposito Gennaro - netturbino":
guardannola,che ppena me faceva
stu muorto senza manco nu lumino!


Questa è la vita! 'ncapo a me penzavo...
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s'aspettava
ca pur all'atu munno era pezzente?


Mentre fantasticavo stu penziero,
s'era ggià fatta quase mezanotte,
e i'rimanette 'nchiuso priggiuniero,
muorto 'e paura...nnanze 'e cannelotte.


Tutto a 'nu tratto,che veco 'a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...
Penzaje:stu fatto a me mme pare strano...
Stongo scetato...dormo,o è fantasia?


A te che fantasia;era 'o Marchese:
c'o' tubbo,'a caramella e c'o' pastrano;
chill'ato apriesso a isso un brutto arnese;
tutto fetente e cu 'nascopa mmano.


E chillo certamente è don Gennaro...
'omuorto puveriello...'o scupatore.
'Int 'a stu fatto i' nun ce veco chiaro:
so' muorte e se ritirano a chest'ora?


Putevano sta' 'a me quase 'nu palmo,
quanno 'o Marchese se fermaje 'e botto,
s'avota e tomo tomo..calmo calmo,
dicette a don Gennaro:"Giovanotto!


Da Voi vorrei saper,vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir,per mia vergogna,
accanto a me che sono blasonato!


La casta è casta e va,si,rispettata,
ma Voi perdeste il senso e la misura;
la Vostra salma andava,si,inumata;
ma seppellita nella spazzatura!


Ancora oltre sopportar non posso
la Vostra vicinanza puzzolente,
fa d'uopo,quindi,che cerchiate un fosso
tra i vostri pari,tra la vostra gente"


"Signor Marchese,nun è colpa mia,
i'nun v'avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie è stata a ffa' sta fesseria,
i' che putevo fa' si ero muorto?


Si fosse vivo ve farrei cuntento,
pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'osse
e proprio mo,obbj'...'nd'a stu mumento
mme ne trasesse dinto a n'ata fossa".


"E cosa aspetti,oh turpe malcreato,
che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza!"


"Famme vedé..-piglia sta violenza...
'A verità,Marché,mme so' scucciato
'e te senti;e si perdo 'a pacienza,
mme scordo ca so' muorto e so mazzate!...


Ma chi te cride d'essere...nu ddio?
Ccà dinto,'o vvuo capi,ca simmo eguale?...
...Muorto si'tu e muorto so' pur'io;
ognuno comme a 'na'ato é tale e quale".


"Lurido porco!...Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri,nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?".


"Tu qua' Natale...Pasca e Ppifania!!!
T''o vvuo' mettere 'ncapo...'int'a cervella
che staje malato ancora e' fantasia?...
'A morte 'o ssaje ched''e?...è una livella.


'Nu rre,'nu maggistrato,'nu grand'ommo,
trasenno stu canciello ha fatt'o punto
c'ha perzo tutto,'a vita e pure 'o nomme:
tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?


Perciò,stamme a ssenti...nun fa''o restivo,
suppuorteme vicino-che te 'mporta?
Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie...appartenimmo à morte!"


mercoledì 13 aprile 2005

Caro Giovanni Paolo II


Assisi, 1994. Incontro delle religioni, Papa Giovanni Paolo II © Massimo Siragusa



Comincia così Frei Betto una sua lettera indirizzata al Papa, dopo la sua morte. Frei Betto, domenicano, teologo della liberazione brasiliano, è sociologo e scrittore. L'ho trovata nel Manifesto di domenica 10 aprile. Nella dispersione disordinata e isterica dei giorni della sua agonia e poi dei funerali, nella smania della santificazione, questa lettera è stata per me come una boccata d'aria fresca.





Caro Giovanni Paolo II Sono rimasto esterrefatto con l'esibizione pubblica della sua immagine devastata dalla malattia. Forse che la curia romana voleva convincerci che Lei era un superuomo, impedendole di badare tranquillamente alla sua salute? Gesù non entrò a Gerusalemme montando un asino, in contrapposizione al cavallo bianco degli imperatori? Perché non l'hanno aiutata a rinunciare, come fece nel 1294 Celestino V, che oggi è annoverato fra i santi della chiesa cattolica? Forse che conveniva alla curia tenerla al comando della barca di Pietro perché i suoi cardinali potessero esercitare il potere di fatto?

Fu nel 1980 che ci conoscemmo, in occasione della sua prima visita in Brasile. Portai un gruppo di sindacalisti, fra loro c'era Lula, per incontrarla nel Collegio Santo Américo, a San Paolo. Diluviava e, inzuppati e infreddoliti, aspettammo in strada il permesso di entrare. Era orami sera quando dom Luiciano Mendes de Almeida, allora presidente della Conferenza episcopale brasiliana, ci condusse alla cappella. C'era poca luce e il suo segretario particolare, il padre Stanislaw Dziwisz, entrò con un vassoio pieno di sacchetti di plastica trasperante. Affamato, Lula, ne accettò uno, l'aprì e portò alla bocca quelle che sembravano arachidi. Erano grani del rosario. Lei benedisse i leader degli scioperi operai e ed espresse con chiarezza la sua posizione contro la dittatura militare che ci governava. L'anno prima, io l'avevo vista a Pubela e, negli anni successivi, l'avrei rivista a Roma, in Nicaragua e anche a Cuba che, nel 1998, meritò una sua visita e i suoi elogi per i progressi nella salute e nell'educazione.

Qual è l'impressione che conservo del suo pontificato? L'ho sempre definita un pontefice con la testa a destra e il cuore a sinistra. Conservatore in materia di dottrina, era ammirevole la sua sensibilità per le questioni sociali. Sotto il suo governo, la chiesa cattolica non ha fatto avanzare il Concilio vaticano II, ha tenuto le donne fuori dalle funzioni ecclesiastiche, è stata condiscendente con i casi di pedofilia del clero, ha reagito con reticenza alla corruzione dell'arcivescovo Marcinkus, ha condannato l'omosessualità come una malattia, ha proibito l'uso dei preservativi e qualsiasi dibattito sul sacerdozio dei preti sposati.

Tuttavia nell'ambito sociale la sua azione è stata sorprendente: ha appoggiato gli scioperi anti-totalitari in Polonia e in Brasile; ha chiesto con forza la riforma agraria al presidente Sarney; ha ricevuto Yasser Arafat e appoggiato la causa palestinese; ha tenuto le distanze dalla Casa bianca; ha condannato l'aggressione degli Stati uniti all'Iraq.

Quando mi chiedono cosa succede con la teologia della liberazione, rispondo che, per fortuna, essa è arrivata in Vaticano. Venti anni fa erano quasi solo i teologi della liberazione a parlare di neo-liberismo, debito estero, effetti negativi della globalizzazione. Negli ultimi anni tutti questi temi sono stati presenti nei suoi pronunciamenti e documenti. Quante volte la sua voce si è levata per chiedere l'annullamento del debito dei paesi più poveri!

Molti vedono il principale segno del suo pontificato nella caduta del muro di Berlino. Non per il suo anti-comunismo, bensì per il suo anti-totalitarismo. Mai la sua posizione contro la statocrazia socialista ha significato approvazione del capitalismo.


La sua dottrina sociale propone la globalizzazione della solidarietà in questo sistema che fa della concorrenza il suo valore supremo. Ora che lei riposa in pace, la chiesa si agita per scegliere il suo successore. Prevedo che sarà una scelta difficile. Gli italiani vorranno riprendere il monopolio del papato, che lei ha rotto nel 1978, dopo cinquecento anni. Però molti sanno che la chiesa ha bisogno di abbandonare il suo euro-centrismo se vuole evangelizzare i mondi africano e asiatico. Un papa nero o dagli occhi a mandorla costituirebbe un segnale forte di cambiamento di rotta.

Quali sfide attendono il nuovo pontefice? Primo, conquistare quell'empatia che lei aveva con i media e il pubblico. E com'è malumorata e arcigna, invece, la maggior parte dei cardenali! Poi, aprire il dibattito interno sulla morale sessuale, le relazioni di genere, il celibato obbligatorio e il ruolo della donna. Se il valore supremo è l'amore, perché la chiesa considera ancor oggi la procreazione la finalità primordiale del matrimonio? E chi convincerà i giovani a evitare l'Aids con l'astinenza sessuale?

Nel mondo c'è una profonda fame di Dio.


Le persone chiedono più spiritualità, profondità, etica, solidarietà. Vogliono una pace che sia figlia della giustizia. In questo la chiesa gioca un ruolo preponderante. Speriamo che il nuovo papa sia come Gesù, che ha annunciato a tutti il Dio della vita e dell'amore a partire dal suo impegno con i più poveri. Fuori dai poveri non c'è salvezza per la chiesa.


Frei Betto


Vorrei aggiungere che Giovanni Paolo II ha voluto e saputo evitare il famigerato scontro di civiltà e religioni, si è battuto per i diritti umani, si è opposto alla guerra con la massima determinazione. In questo sento di aver perso un alleato e un amico a cui invio un messaggio d'amore e di bellezza.





La fotografia è di © Massimo Siragusa:  Assisi, 1994. Incontro delle religioni, Papa Giovanni Paolo II (dal sito: http://www.contrasto.it/fotografi/dettaglio.asp?idf=39)

martedì 12 aprile 2005

 


 


... e continuo con una poesia...







Cosi' noi non andremo piu' vagando

Così noi non andremo più vagando
Tanto tardi nella notte, anche se ancora
Come sempre ama il cuore e come sempre
Splende la luna.
Perché la spada consuma il fodero
E dall'anima il petto è consumato;
Deve aver posa il cuore per rivivere
E riposare amore.
Benché la notte sia fatta per amare
E troppo presto il giorno ritorni,
Pure noi non andremo più vagando
Al lume della luna.

George Byron



 


 


E' un regalo di Masso57. Marzia e Massimo devono aver sotterraneamente capito che sto attraversando un periodo di difficoltà e disorientamento. Quale rimedio migliore della poesia? E ho voglia di condividere questa bellezza sublime.


L'immagine è di Brad. Non so chi sia. Credo di averla "sottratta" al sito della Nasa, purtroppo non lo ricordo più. Un allineamento tra Luna, Giove, Venere e Marte...al lume di questi astri forse potremo continuare a vagare (perdonate la banale parafrasi dell'amico George).


lunedì 11 aprile 2005

Ricomincio da una poesia di Thomas Stern Eliot che Marzia mi ha regalato un po' di giorni fa. La dedico a tutti voi amici e amiche. Forse domani potrò riprendere completamente gli amati scambi di visite e di visioni. harmonia 






Mentre tutto l'Oriente intrecciava il rosso al grigio,
I fiori alla finestra si volsero verso l'alba,
Petalo su petalo, aspettando il giorno,
Fiori freschi, fiori appassiti, fiori d'alba.

I fiori di stamattina e i fiori di ieri,
La loro fragranza aleggia per la stanza all'alba,
fragranza di germogli e fragranza di appassimento,
fiori freschi, fiori appassiti, fiori d'alba.

venerdì 8 aprile 2005

Stato di sospensione



Gentili viandanti del web, amiche e amici carissimi, banali problemi di connessione mi hanno impedito e continuano a impedirmi i consueti e significativi contatti con voi.


E' stata una settimana indefinibile. Forse in fondo questa sospensione silenziosa, per quanto obbligata, non è stata così inopportuna, date le emozioni vere da una parte e gli accanimenti mediatici dall'altra.


Spero di tornare presto alla consueta 'normalità', nonostante l'accavallarsi degli eventi.


Un abbraccio con affetto a tutte e a tutti.


harmonia



sabato 2 aprile 2005

























 




Il Papa è vivo.







Questa è la notizia. Si può continuare a esercitare con lui l'arte del vivere e l'arte del morire, e l'arte di stare insieme, noi creature, accogliendo l'insegnamento che viene da questo suo stato di illuminazione e serenità.