di J.M. Coetzee
La sistematica, silenziosa uccisione quotidiana di milioni di animali è il peccato originale che in ogni momento si rinnova intorno a noi. Senza che peraltro venga percepito in quanto tale.
Non si tratta forse di una necessità perché l’umanità sopravviva? Così dicono anche i più illuminati, svelando la rozzezza di ogni etica che riguardi esclusivamente l’uomo. Sarà pure indubbia, quella necessità.
Ma l’uccisione rimane uccisione.
E, se un occhio etico esiste, deve essere capace di osservarla e giudicarla.
Con questo libro Coetzee non ha inteso aggiungere nuovi argomenti alla disputa sulla crudeltà verso gli animali, che risale plausibilmente a quando, nella remota preistoria, l’uomo passò alla dieta carnivora. Da consumato narratore, ha voluto creare qualcosa di molto più efficace: una subdola, insidiosa macchina romanzesca che obblighi il lettore ad avvertire in tutta la sua enormità una questione che generalmente si preferisce accantonare.
Usando a questo fine un personaggio memorabile, Elizabeth Costello, anziana e popolare romanziera che riesce a mettere in crisi tutti i sapienti accademici, a cominciare da suo figlio, professore di Fisica, in una città universitaria politically correct dove è stata invitata a parlare dei suoi libri. Con la sua voce pacata e implacabile, Elizabeth Costello parlerà invece delle vite degli animali e di come vengono maltrattate dagli uomini, così gettando i suoi ascoltatori in un insanabile imbarazzo.
«Non hanno una coscienza e dunque. Dunque cosa? Dunque siamo liberi di usarli per i nostri fini? Dunque siamo liberi di ucciderli?». La vita degli animali è apparso per la prima volta nel 1999 ed è corredato, in appendice, da quattro riflessioni: una letteraria di Marjorie Garber, una religiosa di Wendi Doniger, una filosofica di Peter Singer e una etologica di Barbara Smuts.
Risvolto di copertina dell'edizione Biblioteca Adelphi
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